Diario in coronavirus

Diario in coronavirus con grani di scrittura – 8°

Indice

8° Domenica di Lettura – 3 maggio 2020

Federazione Unitaria Italiana Scrittori
Lungotevere dei Mellini, 33/A 00193 ROMA 06 6833646 www.fuis.it,
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Diario in
coronavirus
con grani di scrittura

8°
Domenica di Lettura –
3 maggio 2020

Proponente FUIS – Natale Antonio Rossi
8° testo proponente FUIS


L’organizzazione International Authors Forum ci ha chiesto di diffondere l’appello condiviso anche da National Writers Union.
Ecco il testo

Please join the Authors Guild in signing this open letter to the Internet Archive calling for the immediate shut down of the National Emergency Library.
Dear Mr. Kahle and the Internet Archive Board of Directors:
The undersigned authors, agents, and their friends and supporters demand that Internet Archive remove the hundreds of thousands of in-copyright books that you have made freely available online without permission through your illegal National Emergency Library.
Let’s be clear: Internet Archive’s so-called “National Emergency Library” is not a real library. Real libraries license the electronic books they circulate, and authors receive payments from those licenses. Real libraries do not circulate unauthorized copies. Real libraries care about authors as much as they do about promoting knowledge and literacy.
Let’s be even more clear: Internet Archive’s prior practice of providing access through Open Library to one reader at a time per copy is itself infringing of most in-copyright books—and illegal. Now, by declaring a spurious “copyright emergency” and making a massive trove of copyrighted books available for free without any restrictions, Internet Archive has demonstrated a shocking disrespect for the rule of law— the cornerstone of our civil, democratic society—at a time when we most need it to prevail. You cloak your illegal scanning and distribution of books behind the pretense of magnanimously giving people access to them. But giving away what is not yours is simply stealing, and there is nothing magnanimous about that. Authors and publishers—the rights owners who legally can give their books away—are already working to provide electronic access to books to libraries and the people who need them. We do not need Internet Archive to give our works away for us.
In response to Sen. Tillis’s letter expressing concern about the legality of using copyrighted works without permission, you assert that Internet Archive understands “that authors are being impacted by the global pandemic” and that it has been “engaged in a dialog with authors around the National Emergency Library.” This is patently false. You have made no effort to acknowledge that thousands of authors are protesting the illegality of scanning and distributing their works without permission. You also disingenuously claim that Open Library and the National Emergency Library fall under fair use, even though there is nothing in the history of copyright law that would suggest in any manner that copying and distributing entire books to the world without permission, even if not for profit, even during times of crisis, is fair use. It is a ludicrous claim, as you well know.
Books exist because authors write them, and good books take a good deal of hard work and time. Authors need to earn a living to be able to write, and they deserve to be paid for their work like any other worker. The pandemic is severely impacting authors and booksellers. Bookstores and libraries have closed, and book sales are down. The freelance writing assignments and speaking engagements that many authors rely on to supplement their income are unavailable, and yet authors are not eligible for traditional unemployment. (Indeed, thus far, they have even been excluded from the Pandemic Unemployment Insurance meant to assist freelancers, and the Authors Guild is actively lobbying to correct that.)

Mr. Kahle, to say that you “understand that authors are being impacted” while nevertheless making their books freely available is adding insult to injury.

 

Francesco Gui
Appuntamento il 2 giugno con il tricolore a 12 stelle!

“Gli esseri umani hanno bisogno di riti e di simboli, fa parte della loro vocazione come produttori di opere dell’ingegno e di di cultura. Tanto più si avverte tale necessità nelle fasi di emergenza, quando il dolore colpisce tante persone… come il contagio da Covid-19”. Con queste parole, ancora una volta, il Corriere ha motivato la diffusione del tricolore fra le sue pagine di venerdì scorso, ma anche sulla rivista Io donna e sul magazine 7. Insomma gli italiani, stando almeno alle motivazioni fornite dal giornalista Antonio Carioti sotto il titolo “Noi uniti nell’emergenza”, proverebbero un grande “affetto verso il simbolo dell’unità nazionale”. Salvo poi aggiungere che il tricolore si è conquistato il suo rango, sancito dall’articolo 12 della Costituzione repubblicana, attraverso “una storia niente affatto priva di asperità e conflitti”.
In effetti, almeno ai Savoia, riconosce Carioti, non è che lo stendardo rivoluzionario all’inizio piacesse molto. Una volta però che esso divenne il simbolo dell’indipendenza e dell’unità d’Italia il sire piemontese lo adottò volentieri, magari ponendoci nel mezzo anche il simbolo del proprio casato. Dopodiché, sempre a detta del nostro, soprattutto “in seguito alla prova tragica della Prima guerra mondiale”, il bianco rosso e verde avrebbe “conquistato un posto di primordine nel nostro immaginario collettivo”. Tanto che persino il Pci avrebbe finito per inserirlo nel suo emblema durante la Resistenza, sia pure un po’ nascosto, aggiungiamo noi, sotto la bandiera rossa con falce e martello.

E però, in fondo, un po’ parecchio nascosto si poteva anche tollerare, visto che a fare un uso a dir poco smodato del tricolore era stato fino a quel momento quel partito rivale che all’Italia, buon Dio, in camicia nera ne aveva fatto tanto del male! Ma su questo il Corriere stranamente non si sofferma. E allora, amici, facciamola breve: il nostro tricolore è tornato in auge con la Repubblica grazie anche al concorso di altre nazioni, che ci hanno restituito un sistema democratico. E il nostro sistema democratico ha potuto fiorire, pur fra mille difficoltà, proprio perché poco dopo la nascita della Repubblica e la ratifica della Costituzione si è passati alle Comunità europee, seguite a fine secolo dall’attuale Unione. E allora, cittadini, facciamolo l’atto di coraggio che ci darà ancora più affetto per il nostro tricolore! Mettiamogliele queste dodici stelle lì, al centro, dove ci stava lo stemma dei Savoia e poi dopo ci si è piazzato anche il fascio, che alla fine è stato tutto uno sfascio! Non solo diciamolo, ma anche facciamolo quest’atto di coraggio!
Perché insomma non prepariamo tanti tricolori con le 12 stelline addosso e li facciamo uscir fuori a sorpresa martedì 2 giugno, festa della Repubblica, a confermare con tanta energia che l’Italia, insieme all’Europa, dalla crisi del virus uscirà fuori più forte (e sana di testa) che pria? Infatti, “gli esseri umani – come Corriere, proprio lui, docet – hanno bisogno di riti e di simboli, perché questo fa parte della loro vocazione come produttori di cultura”. E allora, fratelli, facciamo vedere a tutta Europa che gli italiani sono ancora capaci di essere produttori di cultura!
Caro Presidente Mattarella, con il tricolore a 12 stelle la sfilata ai Fori Imperiali verrà fuori ancora più bella!

 

Huadong Qiu*

是文学给心灵带来了慰藉

                     华栋 

4月份,因为一次工作出差,我从北京到了外省,等我再回到北京,按照规定需要在我的住所单独隔离14天。这是北京为了防止疫情发展而做的规定。在单独隔离期间,阅读是能够给我带来心灵慰藉的唯一活动。但似乎很多书都读不下去,翻来找去,我能够读下去的,刚好是几位意大利作家的作品。

在这14天里,我非常关注新冠肺炎在全世界各个国家的情况,特别是在意大利的情况。我读了意大利作家伊塔罗.卡尔维诺ITALO CALVINO的两部短篇集《马可瓦尔多》和《困难的爱》。在卡尔维诺的笔下,马可瓦尔多的故事让我看到了意大利人的达观和幽默,让我带泪而笑。而《困难的爱》里,卡尔维诺对爱的困难的书写,也让我看到了爱的可能性,即使在十分困难的处境里。“带泪的笑”和“困难的爱”疏解了我在隔离期间压抑而孤独的情绪,这要感谢卡尔维诺。

我还读了翁贝托.埃科的长篇小说《波德里诺》,这部描绘意大利中世纪的小说,把我带向了时间深处的一次旅行,使我看到,作为大地上的短暂者的人类,应该以更长的时间尺度,来看待自己的处境,并由此守护住内心希望的火苗。

我还翻阅了曼佐尼的《约婚夫妇》,这部作品中有一段描绘了1630年米兰爆发瘟疫的情况,小说主人公伦佐和露琪亚的命运打动了隔离中的我,让我看到了尽管我们的生活可能要历尽波折,我们也会如伦佐和露琪亚那样最终结成美满的婚姻。

我想,宇宙浩瀚,病毒的历史至少已有35亿年。相比而言,人类历史太短暂了,这是从我们诞生起就必然面对的境遇。但人的文明陶建起高塔,必须相信存在某种能将彼此维系的东西,这就是希望、良知、信心和勇气。这些古老的伦理,能够帮助我们战胜病毒,获得呼吸,并与大自然中的万物一起生存与生长。

                                                                              4月30日 北京

作者简介:

邱华栋(1969-  ),文学博士、研究员小说家,诗人。16岁开始发表作品,18岁出版第一部小说集,《青年文学》杂志主编、《人民文学》杂志副主编、鲁迅文学院常务副院长,中国作协主席团委员。

邱华栋出版有多部长篇小说、中短篇小说集、电影和建筑评论集、散文随笔集、游记、诗集等数十种。多部作品被翻译成日文、韩文、英文、德文、意大利文、法文和越南文发表出版。作品也在中国多次获奖。 

La letteratura è il solo conforto per lo spirito
Traduzione di Qi CHEN (Beihang University, Pechino, Cina)

30 aprile, Pechino
Ad aprile, a causa di un viaggio di lavoro, mi sono trasferito da Pechino in un’altra provincia, e quando sono tornato a Pechino, mi è stato chiesto di rimanere in quarantena a casa per 14 giorni in conformità con le normative vigenti. Questo è un regolamento adottato da Pechino per prevenire la diffusione dell’epidemia. Durante l’isolamento, la lettura è l’unica attività che poteva darmi conforto. Ma sembra che molti libri non possano più essere letti e non riesco a leggerli, ciò che posso leggere sono le opere di alcuni scrittori italiani.In questi 14 giorni, sono stato molto preoccupato per la situazione della nuova polmonite coronarica in vari paesi, specialmente in Italia. Ho letto due brevi raccolte dello scrittore italiano Italo Calvino, “Marcovaldo” e “Gli amori difficili”. Nella scrittura di Calvino, la storia di Marcovaldo mi permette di vedere le filosofie e l’umorismo degli italiani, e mi fa ridere in lacrime. In “Gli amori difficili”, la scrittura sulla difficoltà dell’amore mi ha anche fatto vedere la possibilità di questo, anche in una situazione così difficile. “Ridere di lacrime” e “Amore difficile” hanno risollevato alcune mie emozioni represse durante l’isolamento, grazie a Calvino.
Ho anche letto il romanzo di Umberto Eco “Baudolino”, raffigurante il Medioevo in Italia, che mi ha portato ad un viaggio nel profondo del tempo, facendomi vedere, gli esseri umani, la cui esistenza è di breve durata sulla terra, dovrebbero guardare la loro situazione su una scala temporale più lunga, e quindi proteggere la fiamma della speranza interiore.
Ho anche letto “I promessi sposi” di Manzoni: in questo lavoro c’è una sezione che raffigura lo scoppio della peste a Milano nel 1630. Il destino dei protagonisti Renzo e Lucia mi ha commosso in isolamento, e fattomi vedere che anche se le nostre vite potrebbero subire colpi di scena, finiranno in un matrimonio felice comeRenzo e Lucia.
Penso che l’universo sia vasto e che il virus abbia una storia di almeno 3,5 miliardi di anni. In confronto, la storia umana è troppo breve: questa è una situazione che dobbiamo affrontare da quando siamo nati. Ma quando la civiltà umana costruisce torri, deve credere che ci sia qualcosa che può li sostenere a vicenda: questa è rappresentata da speranza, coscienza, fiducia e coraggio. Questa antica etica può aiutarci a superare il virus, a respirare, a sopravvivere e crescere con tutte le cose in natura.

*Informazioni sull’autore:

Huadong Qiu (1969- ), dottore in letteratura, ricercatore, scrittore e poeta. Ha iniziato a pubblicare all’età di 16 anni, e ha pubblicato la sua prima raccolta di romanzi all’età di 18 anni. È stato caporedattore della rivista “Youth Literature”, attualmente è vicedirettore della rivista “People’s Literature” e vicedirettore esecutivo del Lu Xun Literary Institute, membro dell’Ufficio di presidenza della China Writers Association.

Huadong Qiu ha pubblicato decine di romanzi, racconti, critiche cinematografiche e architettoniche, saggi, poesie, ecc. Molte opere sono state tradotte e pubblicate in giapponese, coreano, inglese, tedesco, italiano, francese e vietnamita. È stato insignito di numerosi premi in Cina.

 

Antonio Filippetti
I vecchi e i giovani del coronavirus

L’epidemia del coronavirus ha coinvolto senza esclusione grandi e piccoli, giovani e anziani, bianchi e neri, ricchi e poveri , al di qua e al di là del mare; in questo senso si può condividere l’opinione di chi ritiene che si  è trattato (e si tratta) di una  malattia “democratica” che non guarda in faccia a nessuno, anche se le difese di ciascuno,  come si sa,  divergono considerevolmente  in funzione di molteplici fattori.

Tuttavia sono due le categorie che meritano una particolare riflessione e sono quella dei vecchi e quella dei giovani, protagonisti incolpevoli di allarmanti sventure.

 I vecchi, come si sa, sono i più colpiti dall’epidemia e questo impone se non altro  alcune  considerazioni  non proprio secondarie.  Con il Covid 19 se ne va buona parte della memoria storica, scompaiono i ragazzi degli anni quaranta che hanno vissuto un’epoca di dolore terrificante, come la guerra mondiale e poi sono stati chiamati col duro lavoro a ricostruire il mondo, a rimboccarsi le maniche perché ci fosse ancora un futuro per tutti.  Questa generazione, che ha visto la luce nascendo per lo  più in casa e spesso in condizioni precarie (niente cliniche attrezzate o parti cesarei), con un infanzia trascorsa per le strade o in quartini sgarrupati,  ma artefice del boom economico,  se ne è andata in silenzio, senza poter ricevere il saluto dei propri cari, abbandonata in bare spoglie, avvolta in un lenzuolo anonimo  e  deposta in  fosse comuni, ovvero  senza identificazione  e  senza il suffragio della   memoria. Eppure questa generazione ha allevato figli e nipoti e spesso ha concorso a tenerli in vita con le pensioni del proprio lavoro visto che di lavoro, per gli altri, ce n’era troppo poco e non ce n’era affatto.

Gli altri, i ragazzi e i giovani che sono passati indenni attraverso il morbo dovranno fare i conti con ciò che resta che sicuramente non è molto. Le generazioni future si troveranno più sole e smarrite, non soltanto private dell’esperienza e della saggezza degli antenati ma costrette a misurarsi con un’esistenza più amara e violenta, giacché sprovvista di slanci ideali e di memoria. Questi giovani non potranno giovarsi del supporto di chi li ha preceduti e aiutati in un percorso di crescita e consapevolezza. Avranno meno appigli a cui afferrarsi e mancherà loro qualsiasi riscontro memoriale.  Dovranno fare i conti con una scuola a distanza, in solitudine, senza poter far conto sull’”aiutino” dei nonni, ancora più esperti, malgrado tutto, e memori di date e  storie varie.  Ma poi come sarà il lavoro e in quali condizioni si svolgerà?  I nonni, magari con meno nozioni e tecnologia a disposizione, si sono industriati per ricostruire la casa distrutta e permettere a quelli del “dopo”, ai nipoti, di poter vivere in una società migliore, riuscendo a preparare e costruire una generazione finalmente senza guerre e più desiderosa di solidarietà internazionale.  I vecchi che non ci sono più e i giovani che restano e si preparano a vivere un “nuovo giro”, hanno certamente di che lamentarsi oggi nei confronti di quest’odioso Covid 19 che ha portato via il passato senza lasciar spazio al futuro. Coloro che si trovano ora al timone della barca nella quale come si dice siamo tutti alloggiati,   dovrebbero almeno rendere  grazie alla memoria  di questi  defunti  dimostrando  concretamente di saper  dare supporto  ai giovani ora senza memoria né domani.

 

Samuel Makore di Zimbabwe
POEMS ON COVID 19

 

THE BEAUTY OF LOCKDOWN

Without a nuclear bomb or fighter jets

Corona virus has declared a third world war

Invisible soldiers from Wuhan streets

Have attacked the world all over

 

Governments valiantly closed their borders

No more aeroplanes, trains, buses, and cars

No Zimbabweans to travel in and out of homes

Merrymaking noises disappeared from local bars

 

Cities, towns, farms and mines became quiet

No more crowded pavements and streets

Workers, traders and loiterers all became silent

All secretly hiding listening to their heartbeats  

 

The President of Zimbabwe ordered a lockdown

Heroically protecting citizens from Covid-19

The invisible merciless soldiers attack anyone

Not willing to stay at home for a given time

 

Mornings no longer bring smiles and handshakes

Harare no longer has places of joy such as sports bars

Sunday mornings are no longer spent in churches 

Because of a lockdown imposed on all of us

 

Life has come to a standstill!

Each home has become a jail!

Staying at home is no longer a thrill!

Oh! Lockdown has delivered us to hell!

 

LA BELLEZZA DELL’ISOLAMENTO

 

Senza una bomba nucleare o un caccia

Il virus Corona ha dichiarato una terza guerra mondiale

Soldati invisibili dalle strade di Wuhan

Hanno attaccato il mondo intero

 

I governi hanno coraggiosamente chiuso le loro frontiere

Niente più aerei, treni, autobus e automobili

Non è consentito ai cittadini dello Zimbabwe viaggiare dentro e fuori casa

Rumori allegri sono scomparsi dai bar locali

 

Città, borghi, fattorie e miniere sono diventate quiete

Niente più marciapiedi e strade affollate

Lavoratori, commercianti e vagabondi tutti silenziosi

Tutti segretamente nascosti ad ascoltare i loro battiti cardiaci 

 

Il Presidente dello Zimbabwe ha ordinato l’isolamento

Proteggere eroicamente i cittadini da Covid-19

I soldati invisibili e spietati attaccano chiunque

Non vuole restare a casa per un determinato periodo di tempo

 

La mattina non porta più sorrisi e strette di mano

Harare non ha più luoghi di gioia come i bar dello sport

La domenica mattina non si passa più nelle chiese

A causa di un blocco imposto a tutti noi



La vita si è fermata!

Ogni casa è diventata una prigione!

Restare a casa non è più un’emozione!

L’isolamento ci ha portato all’inferno!



COVID-19 LOOKS FOR FRIENDS

 

China was our home

That was in December 2019

Till a friend came along

Betrayed us to the king

Too late to have warned him

Not to have talked about our presence

And farewell to our friend to his grave

 

King became our enemy

Fumigated us in January 2020

People became unfriendly

We had become isolated

Enemies in white clothes became many

Ventilators became a common item

And farewell we had to migrate

 

Nobody wanted us in Wuhan

Fumigators were set on us

Unwilling friends became our refuge

From doctors and nurses

Aeroplanes, ships, trains and buses

Took us to all parts of the world

Fleeing Wuhan as corona virus

 

We had no arms of war

We attacked anyone on sight

We relied on our lucky star

To provide a bright light 

To attack the rich and the poor

And the healthy and strong

To hide in homes from our power

 

We want to be your friends!

Do not hide from us !

 

COVID-19 CERCA AMICI

 

La Cina era la nostra casa

Questo era nel dicembre 2019

Finché non è arrivato un amico

Ci ha traditi con il re

Troppo tardi per averlo avvertito

Non aver parlato della nostra presenza

E addio al nostro amico alla sua tomba

 

Il Re è diventato il nostro nemico

Ci hanno fumigato nel gennaio 2020

La gente è diventata ostile

Eravamo diventati isolati

I nemici in abiti bianchi sono diventati molti

I ventilatori sono diventati un elemento comune

E addio abbiamo dovuto migrare

 

Nessuno ci voleva a Wuhan

I fumigatori sono stati impostati su di noi

Gli amici riluttanti sono diventati il nostro rifugio

Da medici e infermieri

Aerei, navi, treni e autobus

Ci ha portato in tutte le parti del mondo

In fuga da Wuhan come il virus corona

 

Non avevamo armi da guerra

Abbiamo attaccato chiunque a vista

Ci siamo affidati alla nostra buona stella

Per fornire una luce brillante

Attaccare i ricchi e i poveri

E il sano e forte

Nascondersi nelle case dal nostro potere

 

Vogliamo essere tuoi amici!

Non nasconderti da noi!

 

YOU ARE TO BLAME

 

You were in Wuhan

You were in London

You were never at home

Always travelling here and there

 

You brought Corona virus to us

You carried it to all night clubs

You spread this deadly virus

To fun seeking people in your local pubs

 

It is no longer the Harare I know

The city is now deserted

No one can be seen anywhere

The city has gone silent

 

You are to blame for this pandemic

You have brought misery to everyone

You have made our situation pathetic

Everyday having to stay at home

 

The whole country is under lockdown

The President having to be on television

Telling everyone to stay at home

You forced everyone to go into isolation

 

You are to blame

We will all die

It will not be the same

The end of the world is here now

 

It is you we all blame

You did not listen to anyone

You brought here Covid-19

From where you had travelled

 

LA COLPA È TUA

 

Eri a Wuhan

Eri a Londra

Non sei mai stato a casa

Sempre in viaggio qua e là

 

Ci hai portato il virus Corona

L’hai portata in tutti i locali notturni

Tu diffondi questo virus mortale

Al divertimento di cercare gente nei pub locali

 

Non è più l’Harare che conosco

La città è ormai deserta

Nessuno può essere visto da nessuna parte

La città è diventata silenziosa

 

La colpa di questa pandemia è tua

Hai portato la miseria a tutti

Avete reso la nostra situazione patetica

Dover stare a casa tutti i giorni

 

L’intero paese è in isolamento

Il Presidente deve essere in televisione

Dire a tutti di stare a casa

Hai costretto tutti ad andare in isolamento

 

La colpa è tua

Moriremo tutti

Non sarà lo stesso

La fine del mondo è arrivata

 

È a te che tutti noi diamo la colpa

Non hai ascoltato nessuno

Hai portato qui Covid-19

Da dove avevi viaggiato

 

PLEASE STAY AT HOME

 

Stay at home

Is like a jail sentence

Being put behind a cold wall

Or behind a razor wire security fence

 

Stay at home 

Is like removing my good neighbour

Leaving me in this world alone

Without the morning cheerful chatter

 

Stay at home

Is like a punishment for knowing covid-19

Brought here by an eastern aeroplane

To end the wonderful dream world

 

Stay at home 

Is like victory won by corona virus

That has left Harare without a handshake

Nor the usual noise from my city bus terminus

 

Stay at home 

Is like a flower withering in our autumn

The beauty having gone

Being locked up in a prison 

 

©Samuel Makore 2020

 

SI PREGA DI RIMANERE A CASA

 

Rimanete a casa

E’ come una pena detentiva

Essere messi dietro un muro freddo

O dietro una recinzione di sicurezza con filo spinato

 

Rimanete a casa

E’ come togliere il mio buon vicino

Lasciandomi in questo mondo da solo

Senza le allegre chiacchiere del mattino

 

Rimanete a casa

E’ come una punizione per aver conosciuto covid-19

Portato qui da un aereo orientale

Per porre fine al meraviglioso mondo dei sogni

 

Rimanete a casa

E’ come una vittoria vinta dal virus corona

Che ha lasciato Harare senza una stretta di mano

Né il solito rumore del capolinea degli autobus della mia città

 

Rimanete a casa

È come un fiore che appassisce nel nostro autunno

La bellezza è andata

Essere rinchiuso in una prigione

Silvana Cirillo
2 maggio 2020;
COME NELLA COSCIENZA DI ZENO

Il 4 si riparte, il 4 si riparte… Con cautela, certo, slow (finalmente anche a noi frenetici è dato capire il senso di questa  parola…), piano ovvero, e con mille precauzioni,  ma piano che sia, ci si riapre al mondo. Eppure, chissà perché, mi viene in mente la breve favola che Svevo ci racconta nella Coscienza, quella dell’uccellino in gabbia che un giorno trova la porticina aperta. Si guarda attorno: ”quanti bei voli potrei fare! In fondo sono nato per questo, pensa, ma…Ma se mi chiuderanno la porticina alle spalle e io resterò fuori, prigioniero? E se ne torna dentro, nella sua gabbietta, perché solo lì sta, tutta piena, la sua libertà! E si sente al sicuro. Un poco quel che capita  anche a noi ora che si avvicina il fatidico 4 maggio, che ci lascia uscire di casa e ritrovare rapporti affettivi, lavorativi o di necessità… In fondo, se vogliamo, ci consente di riappropriarci  un po’ tutto!  Però, ora che ci stiamo arrivando e la porta un po’ più avanti è aperta, quasi quasi il volo per le strade della città e della regione ci fa paura …E non siamo certo uccellini sprovveduti! Cosa ci aspetta? Il gioco varrà la candela? O è ancora azzardato? E fino a che punto spingere la voglia di  bighellonare ? Non diventerà la diffidenza la nuova bussola ai nostri passi, ai nostri cuori?

LA PAURA DEL NUOVO

 Mi ricordo quando all’Università si parlava, della  “paura del nuovo” in arte, stato d’animo che ha caratterizzato tutte le fasi di cambiamento e i tempi dopo la crisi, in cui lo status quo risultava meno entusiasmante o attraente, ma tranquillizzante, dove il cambiamento e la trasgressione invece, con le tante incognite, sembravano aprire baratri esistenziali e culturali…Pochi coraggiosi si avventuravano. Le famose avanguardie. Per paradosso qui  il vecchio, abitudini e sistemi di vita fino a ieri consueti, si ribalta in nuovo  e ci sconcerta, ci fa quasi paura e ci chiediamo:  sapremo tornare a vivere tranquillamente come prima? Finché non conosciamo dinamiche e segreti di questo nemico che, come fulmine del cielo,  pare voler colpire un’umanità che a quel cielo ha saputo regalare fumi e veleni, e a se stessa  indifferenza, odio, competizione, ingordigia. Guerre…e cecità.

Ci avrà illuminato, quel fulmine, le ferite – chissà quanto ancora guaribili? – che abbiamo inferto al pianeta? Apriremo gli occhi e ci guarderemo attorno con sguardi più docili e umani? Visto che davanti al BENE o al MALE siamo davvero tutti uguali? Mi viene in mente così, d’emblée, la splendida canzone cantata da Modugno, che si sente spesso in questi giorni e sembra essere l’emblema della rinascita, Meraviglioso: “Ma guarda intorno a te /Che doni ti hanno fatto/Ti hanno inventato il mare/Tu dici non ho niente/Ti sembra niente il sole? La vita L’amore…La luce di un mattino/L’abbraccio di un amico/Il viso di un bambino…Meraviglioso”. Impareremo ad apprezzare le piccole cose e calmeremo un po’ quest’ambizione sfrenata che, a vari livelli, divora singoli e popoli? 

Mi viene in mente anche il mio adorato amico e maestro di vita, Cesare Zavattini, che a una esplosiva poetica della meraviglia attingeva le sue idee più belle, perché il banale non esiste, diceva, siamo noi che vediamo piccolo e l’altro è me e  io sono l’altro! Quanto amore e gioia di vivere, quanto stupore infantile in tutto questo! Ma ora niente implicazioni filosofiche, torniamo alla semplice e spicciola vita quotidiana, che in un battibaleno questo imperiale corona virus ci è venuto a inficiare e  a far tremare… Come casa mia. Costruita a fine ‘800, flessibile come è , oggi, con le strade vuote e agibili percorse da tram veloci e liberi da fermate, trema ad ogni piè sospinto e accusa nuovamente una cicatrice sulla parete: non se ne vedevano più da  una decina di anni, da che i sanpietrini di via Po vennero finalmente rimossi e sostituiti  dall’asfalto … Prima prima, ogni volta che un autobus passava – e qui sotto ne passano tre diversi – e poi nervosamente frenava alla fermata, in casa tintinnavano i miei bicchierini da collezione che si strusciano il fianco nel grande vassoio sulla piattaia e le tazze provenienti da tutti i paesi (compreso da quell’Invercagall in Nuova Zelanda che segna il punto più lontano da Roma, a 23 ore di volo) che si contendono lo spazio ammucchiate sulla antica cassapanca in salotto… Un concerto grazioso, penserà qualcuno, e inusuale: certo, i primi tempi simpatico pure, ma poi sempre più ansiogeno e invadente. Come le crepe che pian piano si intrecciavano sulla parete dello studio. Pensa che la prima volta che venne mia zia a trovarmi, la sorella giovane  di mia madre, mentre ce ne stavamo bellamente in salotto a gustarci l’aperitivo prima di pranzo e a brindare alla casa nuova, lei sbianca, si alza di botto e con la voce spezzata : “ Ragazzi, niente paura, niente paura: il terremoto! Andiamo subito tutti sotto la porta ! 5 piani non li possiamo fare, l’ascensore non se ne parla..” mi prende la mano e mi trascina sotto l’arco della porta, che, per fortuna, in una casa antica è largo mezzo metro…Facciamo finta di  rifugiarci tutti sotto gli archi della sala e poi scoppiamo a ridere; lei, quasi offesa, sicuramente allibita, ci prende per  matti e incoscienti… Finché le spieghiamo…“ Ma come fate – ci chiede – tutto il giorno così?” E non sapeva cosa era la sera e la notte, che a volte mi svegliavo di soprassalto e non sapevo se era di nuovo un effetto L’Aquila o il 92 che faceva l’ultima corsa verso la Stazione.

L’ALLEGRIA GIUNGE DAL BASSO

Ora nuovamente questa fessura sul muro, traccia anch’essa del passaggio senza orari di questo maledetto coronavirus. Neutralizziamolo, però, per quel che possiamo, con un po’ d’allegria letteraria. L’allegria viene dal basso, scriveva in un raccontino quel democratico convinto, umorista e giocherellone,  che fu Zavattini. Lui sì che non aveva paura del futuro, e neanche dei poveri, benché matti o proprio perché matti, lui che avanti ci è stato da sempre, da quando sulla “Gazzetta di Parma” ( 1927) dedicava un’intera rubrica ai bambini! E, inamovibile nella sua preoccupazione, proponeva al mondo intero insegnamento e lezioni sulla Pace… (senza risultato, naturalmente!). Da quando decretò che la fotografia era arte, e la diffuse nei giornali più importanti degli anni ‘30, da quando conciliò neorealismo e surrealtà e li portò in giro per il mondo (Cuba, dove rimase mesi, gli ha dedicato addirittura una piazza, nel centro sperimentale di cinema di S.Antonio de’ Bagni, de L’Avana, intitolata Za), da quando capì che la comunicazione  era alla base del mondo moderno e inventò in tempi non sospetti rubriche e trasmissioni basate sulle domande del pubblico… Potrei parlare per ore e pagine dei 10 anni trascorsi lavorando con lui e per lui, fino a quando se ne andò.  Ora però lo presento solamente, questo grande, autore di soggetti e sceneggiature cinematografiche più apprezzati nel mondo! C’è una riflessione molto bella di Leopardi, che mi torna ogni volta che penso a Za: ” E’ curioso a vedere che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici; e  che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore”. La tengo in bella vista sulla mia scrivania, mi piacerebbe poterla riferire ai più, ma in realtà presunzione e arroganza, quando non trombonaggine, prevalgono spesso negli atteggiamenti di tanti nostri contemporanei… Non sono grandi, allora? mi obietterebbe  qualcuno E mi sa…O forse devono ancora crescere.

Torniamo a Za. Coi suoi camicioni a quadri, le cravatte di lana, il berretto in testa estate e inverno per nascondere la calvizie e difendersi dal freddo, il vocione appassionato, un bicchiere di lambrusco e un tocco di parmigiano doc sempre pronti per gli amici, la casa semplice e accogliente, preziosa solo dei quadretti che gli amici pittori gli hanno regalato negli anni (quanti ne ha aiutato e promosso, chi si dimentica di Ligabue? quante lotterie e mostre si è inventato per loro!) e di libri. Semplice e umile, legato profondamente alle sue origini paesane, generoso, pronto a regalarti le sue idee e ad entusiasmarsi per  le tue, amico del giornalaio, degli operatori cinematografici, così come di Antonioni, Scola o Lizzani (tutti gli devono in arte qualcosa!) o dei ragazzini che incontrava in via sant’Angela Merici… Insomma, per farla breve racconto un aneddoto, quello che ha segnato il nostro incontro. Fine anni 70. Rinasce la Lerici edizioni, grazie a Walter Pedullà. Si inventano collane, riviste, progetti : uno, che curo io, in cui  lo scrittore parla di sé accompagnato da un intervistatore letterato, con apparati critici aggiornati. I primi protagonisti furono Dario Fo, Antonio Pizzuto e Cesare Zavattini. Poi un incendio alla casa editrice, mise a tacere tutti i vari progetti e il futuro stesso della Lerici.

LA PRIMA VOLTA DA ZAVATTINI

Giovane, appena specializzata (equivalente del Dottorato di ricerca di oggi), mi preparai ad andare a casa di questo Mostro sacro – benché umile e diretto (ma questo l’ho scoperto dopo) – del cinema mondiale, per proporgli di scrivere con me Zavattini parla di Zavattini, primo lavoro dedicato solo allo Zavattini scrittore!

“Sono più famoso che letto” diceva in giro in quegli anni con rammarico, sapendo che la fama cinematografica e il rapporto con De Sica, avevano fin lì offuscato la sua vena più amata e ambiziosa, quella di scrittore: io andavo finalmente a riscattarlo da questa onta. Arrivai nella sua mitica casa, centro di raccolta di intellettuali e artisti sin dagli anni 40, pensando di trovarmi in chissà quali ambienti lussuosi e diventando rossa per l’emozione già prima di suonare il campanello: Cesare Zavattini, conoscevo a memoria i suoi libri, avevo già formulato una mia idea precisa e innovativa, rispetto al cliché di neorealista in cui ne forzavano i confini, e mi chiedevo come l’avrebbe presa…Timida io, ma timido anche lui! Incredibile! Il personaggio per la circostanza diventai io: donna, giovane e per giunta carina (allora era quasi una colpa!), timida e riguardosa, venni accolta invece da Za come fossi la prima studiosa e critica letteraria del momento. Non finiva di scappellarsi, rosso ed emozionato anche lui! Rappresentavo la università e la Sapienza, una voce accreditata e importante, che si era ricordata che dietro al grande soggettista c’era anzitutto il grande scrittore: così stupendamente umile, il nostro Za non sapeva come ringraziarmi. Lui a me! Riuscì a farmi sentire importante! Nacque subito una splendida empatia, la mia chiave di lettura tra reale e surrealtà gli era assolutamente attagliata e gradita, parlammo per giornate intere, riempimmo 15 cassette, che ridussi alla fine in neanche 100 pagine, conobbi i suoi familiari (la mamma centenaria, la tata storica che ci faceva i tortellini con la zucca e l’amaretto, il figlio Arturo che diverrà il “vestale” della sua eredità culturale…), i suoi collaboratori, i suoi amici, che spesso divennero anche miei: quella che non dimenticherò mai e di cui gli sarò sempre grata, è Teresa Mattei, la giovanissima partigiana che ricoprì un ruolo importante e decisivo nella storia dell’antifascismo, e divenne anche la più giovane costituente! Nacque tra noi un legame amicale e dialettico impagabile. Conobbi Pierluigi Raffaelli l’archivista fedele, imparai a memoria il suo archivio, aperto a tutti per anni (da cui per anni sparirono quatti quatti fogli e documenti…Ah quanto si era rivelato comodo all’uopo – mi raccontava Za –  il vecchio scampanato loden!), poi controllato a vista e a cui ebbi libero accesso…Era iniziato uno splendido sincero sodalizio: primo frutto, dopo Za parla di ZaUna cento mille lettere, l’epistolario che misi insieme selezionando 350 pagine (questo il limite che mi diede Bompiani) su decine di migliaia di lettere a e da tutto il mondo che lessi in due anni. Za era davvero – per nostra fortuna – grafomane e perfezionista, scriveva e riscriveva e correggeva e prosciugava : la scrittura doveva essere aderente ai fatti, compresi quelli del pensiero, farsi fatto essa stessa! Lettera da Cuba ad una giovane che lo ha tradito, per esempio, stupendo racconto monologante, era partito da un dattiloscritto di 1000 pagine per ridursi con gli anni  a 100: ma tutte necessarie, non ne toglieresti e non ne aggiungeresti una!

Mi fermo qui, ma se continueremo a scrivere, su Za farò anche una seconda puntata.

Mario Bagordo, Isola Tiberina – Ponte Cestio, acquerello

Mino La Franca
La bandiera dell’Italia  con le stelle europee

Elaborazione grafica di Mino La Franca

Giovanni Prattichizzo
Le parole del Coronavirus
La comunicazione emergente e l’emergenza della comunicazione

Chiuso. Isolato. Distanziato.

Quel giorno alcune parole hanno riecheggiato più di altre. Hanno iniziato a forzare le nostre abitudini (corrette o erronee che fossero), hanno sconvolto in pochi istanti azioni e piani. Come solo una nemesi narrativa può fare.

Per chi, come me, vive di comunicazione le parole sono importanti. Sono sapori, abbracci, carezze. Respiro. Vita.

CONTAGIO: Trasmissione da un individuo ad un altro di una malattia infettiva.

Non immediatamente ho compreso il pericolo della vicinanza perché il mondo che abitiamo richiede l’esatto opposto. Anche e spesso non di intenti. Anzi quella profonda distanza sociale si è tramutata in distanza fisica.

Tutti assenti nella vita, a causa di un virus.

Per evitare il contagio devo nascondermi, allontanarmi, chiudermi in casa. Essere lontano dal contatto con gli altri. Dal loro respiro.

Può salvarmi solo una maschera.

MASCHERA: Apparecchio che, applicato sul viso, si presta a ottenerne una contraffazione o a renderne impossibile il riconoscimento.

Oggi la maschera è per tutti. Se la indosso posso proteggere e proteggermi. Avere cura di me. Nuova estensione corporale dopo gli smartphone.

Ciò che serve non si trova. Maschere fai da te. Maschere chirurgiche. Maschere anti-qualcosa. Maschere vip. Maschere usa e getta. Maschere da sub. Maschere da soli. Maschere in compagnia.

A ciascuno la sua maschera.

Affinché ci sia un respiro.

RESPIRO: Il respirare, lalternarsi dei movimenti respiratori.

Il mio respiro accoglie ed emette i suoni che attraversano il mio corpo. Che respiro sarà? Ansioso. Rotto. Emozionato. Spezzato. Quel respiro che ho sempre legato alla vita ora può far male e farmi male. L’unico pensiero è riuscire a respirare. Non perdo il respiro, lo guadagno, lo custodisco. Ne comprendo il valore. E ricordo il consiglio di mia mamma quando da bambino mi diceva: “ed ora fai un bel respiro”. Per lei era una frase usuale, ma, ora che ci penso bene, per nulla banale.

Dall’inizio della quarantena ogni mattina, appena sveglio, osservo il sole, apprezzo il cielo e respiro.

Non ho più paura.

PAURA: Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso.

E se fosse un bene questa paura? E se ci svelasse finalmente chi siamo? La nostra più pura identità. Sognatore? Illuso? O forse tremendamente spaventato da voler cogliere un seme positivo in un campo di terribile infodemia e sovraccarico pandemico. 

Ho paura che il mondo che verrà sarà dominato ancora di più dalla paura dell’altro, del simile e del diverso, dell’uomo.

Una paura più preoccupante della paura di morire.

Non ho paura di ammalarmi. Ma temo che la paura passi e non avvenga alcun cambiamento.

CAMBIAMENTO: Il cambiare nelle abitudini, nel carattere.

Alla fine grazie a questo mio breve viaggio nelle parole per raccontare il tempo del coronavirus, scopro che sono meno solo. Che so cosa conta per me. Percepisco benessere e serenità.

Penso a questa emergenza come creatrice di un effetto domino in un mondo interconnesso di parole dove ciascuno di noi può fare la differenza.

Ecco le parole che vorrei che fossero in cima nel nuovo vocabolario post-virus: solidarietà digitale e condivisione sociale.

Uniti. Insieme.

In armonia.

La bandiera della Francia con dodici stelle europee

Elaborazione grafica di Mino La Franca

Franco Ferrini
SHINING –REMAKE

La locandina: Jack Nicholson grida “Sono il Lupo Cattivo!” con una mascherina bianca sul volto.

Frase di lancio: “Covid-19 for murder!”

   Montagne del Colorado. Oggi. L’Overlook Hotel chiude. C’è il coronavirus. Il direttore, Stuart Ullman, non vuole che resti abbandonato del tutto e cerca un custode.

Candidato, tramite una app: Jack Torrance, aspirante scrittore, sposato con un figlio di cinque anni.

   Durante il colloquio, Ullman lo avverte che cent’anni prima lì   in albergo avvenne un episodio terribile. C’era una pandemia anche allora, la cosiddetta spagnola (che secondo alcuni storici malgrado il nome ebbe origine nel 1917 negli Stati Uniti, in Kansas), e l’Overlook dovette chiudere, proprio come adesso. Il custode di quell’epoca,    Delbert Grady, contrasse il virus e per curarsi, del tutto isolato com’era (il primo centro abitato si trova ancora oggi a 65 km), prese dei farmaci-fai-da-te che gli fecero venire la claustrofobia e le allucinazioni, al punto che uccise la moglie e le due figlie gemelle di otto anni. Le fece a pezzi con l’accetta e si sparò al cervello.

Jack non si lascia impressionare e accetta l’incarico. Quindi va a Boulder a prendere la moglie, Wendy, e il figlio, Danny, e li porta all’Overlook Hotel. Durante il viaggio, su un maggiolino giallo senape, tra montagne e foreste, Wendy chiede se la zona che stanno attraversando è quella in cui si smarrì la spedizione Donner. Danny chiede che cos’è. Jack risponde che era una spedizione di pionieri, sui carri coperti. Si trovarono bloccati in inverno sulle nevi e così divennero cannibali per sopravvivere. Wendy ha paura che Danny s’impressioni, ma lui la rassicura: “Mamma, so tutto sui cannibali, ho visto la serie in TV”.

   Arrivati in albergo, Danny parla in privato con il cuoco afroamericano, Dick Hallorann, che gli offre un gelato e lo chiama ‘Doc’. Come fa a sapere che i genitori lo chiamano così? Perché condivide con Danny lo shining, la ‘luccicanza’, un potere sovrannaturale fatto di telepatia e preveggenza. Prima di partire, Hallorann avverte Danny che si possono avere visioni di brutti episodi avvenuti lì in albergo, ma non bisogna spaventarsi perché non sono reali. Lo ammonisce, però: “Non entrare, assolutamente, nella camera 237. Stanne lontano!”

   I Torrance si insediano nell’albergo deserto e all’inizio va tutto bene. Wendy chiama Jack ‘amore’ e gli dice “abbiamo fatto tardi ieri sera” (lasciando intendere qualcos’altro). Jack comincia a scrivere, a macchina, in disparte, un romanzo. Wendy si occupa delle faccende domestiche. Danny, che non ha altri bambini con cui giocare, gioca un po’ a nascondino con la madre nel labirinto con le siepi potate a forma di animali. Ma poi s’inventa un amico immaginario, Tony, che comunica con lui, all’insaputa dei genitori, scrivendo con un dito o parlandogli con la sua stessa voce (di Danny).

   Il romanzo langue. Jack diventa scontroso e si arrabbia con Wendy perché viene a disturbarlo mentre tenta di scrivere. “Levati dai coglioni, eh!”

   Ci si mette pure una tempesta di neve. Le linee telefoniche saltano, e i cellulari lassù non prendono. Unici collegamenti con il mondo esterno, la radio ricetrasmittente e un gatto delle nevi (il passo è chiuso per la neve). La quarantena perfetta.

   Danny, però, come gli aveva predetto Hallorann, ha le visioni: una cascata di sangue; una parola, REDRUM, scritta da Tony (si direbbe col sangue); le siepi-animali che nel labirinto hanno cambiato posto (cosa di cui sarà contento Stephen King, scrittore di “Shining”, che se la prese con Kubrick a suo tempo perché questo non succedeva nel film, assieme ad altri cambiamenti che non gli sono mai andati giù). Inoltre, gironzolando negli sterminati corridoi dell’albergo in triciclo, Danny trova la camera 237 aperta, da cui esce una pallina da tennis che rotola verso di lui. Incuriosito, contro l’avvertimento di Hallorann, entra dentro e vede le gemelline Grady che lo invitano a giocare con loro. Danny si spaventa, ma Tony lo rassicura: non sono vere.

Jack invece di scrivere il suo romanzo gioca ossessivamente con una pallina da tennis. Poi Wendy lo coglie mentre grida nel sonno, dopo essersi addormentato davanti alla macchina per scrivere. Lo sveglia e lui le spiega che ha avuto un incubo in cui la uccideva assieme a Danny e li faceva a pezzi. In quell’istante, arriva Danny con dei segni rossi sul collo. Wendy se ne accorge e dà la colpa al marito:

“Danny, che cosa hai fatto al collo? Sei stato tu che gli hai fatto male, Jack? Come hai potuto? Come hai potuto?”

Jack casca dalle nuvole. “Cosa?”

Quindi va a farsi un goccio nella sala da ballo (passando senza stacco, in un solo e unico take, dal 2020 al 1920, o giù di lì), dove dietro il bancone c’è il barista. Jack non si sorprende minimamente e lo chiama Lloyd. Lloyd a sua volta lo chiama Mr. Torrance, come se si conoscessero. Jack chiede una bottiglia di bourbon e, bevendo, gli dice che non ha mai messo le mani addosso a Danny. Solo una volta, tre anni prima, ma è stato un incidente. Una reazione inconsulta perché “quella stronza di mia moglie mi aveva toccato i fogli”.

    Quando torna da Wendy, lei gli dice che Danny le ha riferito come si è fatto i segni sul collo: era entrato nella camera 237, dove una pazza ha tentato di strangolarlo.

   Jack va a controllare. Vi trova la luce accesa e, in bagno, una bella ragazza nuda che gli si avvicina, invitante. Lui la bacia. Al posto della ragazza tutto d’un colpo c’è una vecchia ignuda e putrefatta. Jack si stacca e rincula indietro inorridito. La vecchia gli ride in faccia.

   Jack, tuttavia, non ne fa parola con Wendy, limitandosi a dire  che nella camera 237 non ha “trovato niente di niente” e che “Danny se l’è fatto da solo male al collo”. Wendy, però, si preoccupa lo stesso e gli dice che Danny dovrebbe lasciare l’albergo; sarebbe molto meglio per lui.

   Jack, nettamente contrario, ritorna nella sala da ballo, in cui è in pieno svolgimento una festa in stile anni ’20. Questa volta, oltre a Lloyd c’è anche un cameriere in divisa di gala che macchia la giacca di Jack sbadatamente con dell’Advocaat. Per ripulirla, lo conduce nella toilette degli uomini, foderata di un rosso shocking, dove Jack gli dice che lo riconosce, avendo visto la sua fotografia: è Delbert Grady, il custode autore della strage e suicida. Grady lo corregge:

“Il custode è lei, Mr. Torrance, e lo è sempre stato. Io lo so perché sono qui da sempre”.

   Quanto alla strage, dice il motivo per cui l’ha commessa: una figlia aveva rubato una scatola di fiammiferi e lui credeva che volesse dar fuoco all’albergo.

“Le punii tutt’e due. Mia moglie si mise in mezzo e punii anche lei”.

   Solidale con Jack, Grady -il suo predecessore, il suo Doppio-lo avverte che “Danny ha dei poteri segreti e sta cercando di inserire un elemento estraneo nella situazione, un negro, cuoco”.

Esatto. Hallorann, in Florida, ha una ‘luccicanza’ tramite Danny di quanto sta accadendo all’Overlook Hotel e decide di tornarvi per impedire una nuova tragedia. Trump ha sospeso i voli per l’Italia e altri stati europei a causa del covid-19; quelli interni no, così Hallorann prende il primo volo per il Colorado.

Nel frattempo Wendy scopre che Jack al posto del romanzo ha scritto una sola e unica frase (un vecchio proverbio) ripetuta per centinaia di pagine. Così capisce che è impazzito. Vistosi scoperto, Jack getta la maschera: s’infuria e la insegue, emulo di Grady, con intenzioni omicide. Wendy lo stordisce con una mazza da baseball e lo rinchiude nella dispensa. Vorrebbe fuggire con Danny, ma non è possibile perché Jack ha fracassato il gatto delle nevi (assieme alla  ricetrasmittente). Lei e Danny, così, rimangono intrappolati in albergo. Tony e Danny ripetono: “Etrom, etrom, etrom, etrom, etrom, etrom, etrom…” (morte all’inverso). E Wendy vede la parola REDRUM riflessa alla rovescio nello specchio del bagno: MURDER.

Grady si materializza nella dispensa-prigione di Jack e gli dice che lo ha deluso. “Sua moglie sembra più forte di lei. Dovrebbe trattare il problema nel modo più severo. Purtroppo non c’è altro da fare”.

Jack riesce a liberarsi sfondando la porta della dispensa con l’accetta e va a regolare i conti con Wendy:

“Cappuccetto rosso… sono il Lupo Cattivo!”

Wendy corre via, incontrando sul suo cammino una visione horror dopo l’altra, e fa scappare Danny attraverso la finestra del bagno, ma è troppo stretta per lei. Jack irrompe all’interno, e lei lo ferisce alla mano con un coltello.

   Hallorann sta arrivando con un gatto delle nevi. Jack lo sente, gli tende un agguato e lo uccide con l’accetta. Quindi corre dietro a Danny, per uccidere anche lui, fin dentro il labirinto tutto ricoperto di neve, laddove il figlio lo beffa camminando all’indietro, cosicché il padre seguendo le sue impronte nella neve si perde come la spedizione Donner e muore assiderato: una statua di ghiaccio con gli occhi rovesciati all’insù.

   Wendy e Danny montano sul gatto delle nevi di Hallorann e vanno a rifugiarsi dalle guardie forestali.

   Time lapse. Wendy è in ospedale. Si è beccata il coronavirus e Ullman, il direttore dell’Overlook, viene a trovarla per dirle (con la mascherina bianca sul volto) che il corpo di Jack non è stato trovato in nessuna parte dell’albergo.

   Andando via, Ullman incontra Danny che gioca nella hall dell’ospedale con delle automobiline. Estrae di tasca una pallina da tennis identica a quella uscita dalla camera 237 e rotolata verso Danny (citazione da “The Curse of the Cat People”, 1944, di Robert Wise, in cui una bambina ha come amica immaginaria la Donna-Gatto del prequel, “Cat People”; citazione poi ripresa da Spielberg in “E.T.”), la stessa pallina con cui giocava Jack, e gliela porge,

   Foto in bianco e nero della festa da ballo all’Overlook Hotel, nell’estate del 1921, per celebrare, dopo la riapertura, la fine della pandemia di spagnola. Restringe su un uomo al centro della prima fila, fino a inquadrarlo in volto da vicino. E’ Jack, con un sorriso smagliante. O, se si vuole, demoniaco, beffardo.

Scritta finale: “L’Overlook Hotel sopravviverà al coronavirus e a questa tragedia come è sopravissuto a molte altre”. FINE.

La Bandiera della Germania con dodici stelle europee


Elaborazione grafica di Mino La Franca

Luciana Vasile
La città dei maiali

       Devo dire che ogni volta che in televisione ci mostrano immagini, all’aperto o al chiuso, con tante persone rigorosamente equipaggiate di  mascherine, mi viene da sorridere. Sembra un piccolo esercito di maiali su due gambe, ovviamente non in branco bensì ben distanziati.

Infatti le mascherine chiamate FFP2 e FFP3, soprattutto quelle dotate di filtro, presentano al centro della prognatura una specie di grande bottone piatto.

Insomma, che dire, così conciati i nostri volti assomigliano al muso allungato del maiale, detto grugno che presenta all’estremità un disco in cui si aprono le narici.

       Agli ottimisti come mi piace pensare che il Covid-19, sicuramente un dramma per il mondo intero, potrebbe essere anche una buona opportunità per riflettere cominciando proprio da noi che, privati di spazi e rapporti esterni, con una capriola di 180° ci potremmo immergere nel , e lì meditare. Chissà, un punto dal quale ripartire per un serio cambiamento nell’atteggiamento di fronte alla vita? Per riconoscere le cose veramente importanti?

       Il Rispetto. L’Uguaglianza. La Solidarietà. La Pace.

E così mi sono detta: – Una città di maiali deve essere un buon auspicio -.

       Il maiale si chiama così perché sacro a Maia, antica dea del risveglio della natura, della fecondità della terra e della primavera. E noi in primavera ci siamo! Approfittiamone!

        La Città Ideale, città dei maiali,vagheggiata da Platone nella Repubblica, è una città giusta e ben funzionante. Si evidenzia come l’uomo non possa essere solo bisogno: nella città dei maiali lo spazio per il desiderio non c’è; l’appellativo “suino” non è da intendere in senso dispregiativo, ma indica coloro che si accontentano di poco. Ovviamente la città della brama, portata ad esempio, è Atene ed i problemi non mancano anche qui: una città individualista ed egoista senza un profondo senso di comunità è portata alla degenerazione. Questo l’allarme offerto dal filosofo greco.

       Il 2019, per tutti i paesi asiatici, è stato l’anno lunare del maiale. Nella cultura dell’Estremo Oriente il maiale è un animale importante, sinonimo di prosperità, abbondanza, vita, gioia e fertilità. Ha il colore della pelle, rosa, gradevole, un carattere simpatico, in genere socievole ed è sinonimo di salute e sviluppo.

Perché, pensandoci bene, un maiale non fa la guerra contro nessuno, ma vuole vivere in pace con tutti. Forse un aspetto questo che potrebbe suggerire qualcosa ai nostri politici?

Sì, mettiamoci le mascherine!

Guido Barlozzetti
Restate nelle trincee

L’Ordine, con la maiuscola, era stato emanato dal Comando Supremo e a nessuno sarebbe passato per la testa di metterlo in discussione.  Nella testa ci passava solo il proiettile dell’infallibile cecchino quando qualcuno ancora si affacciava oltre il bordo della trincea. Gli ordini si eseguivano e basta.

Un soldato che fa? Si mette a questionare con il caporale, il caporale con il sergente, il sergente con il maresciallo, il maresciallo con il capitano e su su, fino al generale e al Maresciallo dei Marescialli? L’Ordine diceva di restare nelle trincee, guai ad uscire.

Che gli ufficiali, i sottufficiali e soprattutto le truppe fossero rimasti un poco stupiti non deve meravigliare. Stupiti, increduli e anche diffidenti, perché l’Ordine era una minaccia vagante e imprevedibile che calava giù e non potevano far altro che eseguirlo.

Questa tassativa decisione di immobilizzarli nelle trincee contravveniva a tutto quello che era successo dall’inizio della guerra. Un attacco dopo l’altro, un’offensiva che seguiva un’offensiva, il fischietto del tenente, la baionetta innestata e via, fuori da quel serpente  scavato nella terra e di corsa a sbattere e intrappolarsi contro i reticolati degli avversari che, non fosse bastato il filo spinato, innaffiavano tutto il fronte con il cicaleccio micidiale e accelerato delle mitraglie.

E invece basta. Toglietevi dalla testa di andare all’assalto. Che era anche una buona notizia, perché sarebbe stata sufficiente un’occhiata sulla terra di nessuno che separava le due linee per farsi un’idea del banco di macelleria che vi era disseminato.

Così, cominciò una guerra stanziale in cui la trincea diventava una residenza, senza alternative al ricovero a tempo pieno nei cubicoli scavati nel terreno roccioso.

A quel punto le giornate che prima passavano nell’attesa angosciante dell’attacco e della lotteria mortale dei colpi vaganti dei nemici, si allungarono e, un giorno lunghissimo dopo l’altro, la noia s’impadronì dell’esercito tutto. Up and down, dall’urlo disperato e rabbioso della battaglia alla gnagnera rammollita e snervante.

Ci furono tentativi da parte dei militi di creare qualche diversivo. Giocare a briscola o tressette, gare di braccio di ferro, scommesse sulle corse dei topi con cui si condivideva l’alloggio, pregare il Padreterno che accendesse una qualche luce nella testa del Comando Supremo e ancora più su..

Troppo poco per sconfiggere quel tedio che dalla testa passava nei muscoli, li sdilinquiva e si estendeva a tutto il corpo. di ciascuno dei militi, sia a quello dell’armata tutta.

Venne fatto presente che le truppe erano demoralizzate e depresse e che quindi fosse urgente trovare un modo se non per dare entusiasmo, almeno per estrarle dal torpore e dalla piattezza di un tempo sempre uguale a se stesso.

Non è inutile ricordare che il Comando considerava quei disgraziati sepolti in quei cretti che tranciavano la terra e le anime, niente di più che pedine per vincere nel suo gioco preferito, la guerra. Avevano emesso l’Ordine perché ormai si andava verso l’inverno e dunque sarebbe stato impossibile lanciare un’offensiva. Nessuna pietà, a costo dell’inclemenza del meteo e delle montagne di neve.

Furono le più diverse le proposte che vennero avanzate per rivitalizzare un esercito annoiato, in una dimostrazione di fantasia che in qualche caso avrebbe fatto gridare alla genialità, se non fosse stato che l’intrattenimento era soltanto il premio di consolazione che si dava ai morituri.

Il sottotenente Orfeo Grocchi figlio di un domatore del circo propose di arruolare una divisione di quegli strani tipi che nel tendone si abbandonano a frizzi, lazzi e cotillon. L’augusto con la pallina rossa sul naso e il clown bianco con il cappello a punta, chi meglio di loro avrebbe potuto risollevare dalla monotonia claustrale di giorni sempre uguali a se stessi? Orfeo convocò una coppia che tanto successo aveva riscosso con il circo Fantalà davanti a marescialli del Comando Supremo, tutti avrebbero voluto ridere, ma nessuno avendolo fatto per primo, tutti restarono in silenzio.

Puntò sul testosterone un tipo sveglio che le trincee non le avrebbe mai sfiorate, l’attendente di un generale per il quale organizzava festini tra l’una e l’altra di quelle carneficine che chiamavano offensive.

Suggerì di trasferire nelle trincee le signorine che offrivano le loro grazie nelle camerette improfumate e insaponate dei bordelli. Il fronte come un immenso casino in cui s’incastravano corpi esausti a lenire una disperazione che era la stessa per gli uni e per le altre, e a riempire l’aria torva della guerra di spasimi e di orgasmiche effusioni.

Poi, fu la volta di un commerciante di grammofoni ammanicato con gli Alti Comandi. Propose di dotare ogni plotone di uno di quegli apparecchi con un  corredo di dischi scelti per l’occasione. Insomma, una colonna sonora per riempire le giornate e risollevare almeno le orecchie con brani scelti per funzionare da ansiolitico.

Quale effetto incredibile! Il silenzio delle montagne e delle trincee rotto da O’ sole mio, da Funiculì Funiculà o Torna a Surriento cantate a tutto volume da Enrico Caruso che avrebbe potuto anche gonfiare il petto per Nessun dorma o Va’ pensiero, e poi Reginella, Ciribiribin che era stata scritta in piemontese anche se poi l’aveva lanciata una soubrette del nemico, un’austriaca che si chiamava Mitzi Kirchner, e metteva allegria come non si sarebbe stancato di ripetere Mike Bongiorno, perché questo doveva fare la musica, rasserenare e accendere i cuori. E allora giù con la Marcia trionfale de L’Aida, i Toreradors di Carmen, L’intermezzo de La cavalleria rusticana, il factotum del Barbiere di Siviglia, e gran brindisi finale con Libiamo ne’ lieti calici.

Sarebbe stata un’iniezione energetica come i ricostituenti che una volta si davano ai bambini. Perché questo erano i soldati, bambini accuditi dalla mamma premurosa del Comando Supremo. E meglio ancora se gli avesse fatto versare qualche lagrimuccia di commozione. E chissà che non sciogliesse pure il cuore degli avversari.. Già gli avversari, anche loro avrebbero potuto organizzare una contro-guerra musical canora, con il Bel Danubio Blu e La marcia di Radetzky,  La romanza de la Vilja o il Valzer di Hanna e Danilo delizie della Vedova allegra e, per ricordare la patria, Gott Erhalte Franz den Kaiser!

Ogni proposta aveva i suoi avvocati difensori, ognuno bravo a difendere la propria e la discussione ben presto diventò una palude di veti contrapposti, esattamente come il fronte che non si muoveva di un millimetro. I clown contro il grammofono, le marchette pagate dal Comando contro Caruso.

Non ci fu verso di decidere, neanche fosse il Conclave di Viterbo dove alla fine per far eleggere un Papa chiusero a chiave i Cardinali e scoperchiarono il tetto.

Nel frattempo, arrivò fatalmente il freddo, perché le stagioni erano ancora le stesse e da quelle parti con l’inverno le temperature scendevano in picchiata e la neve veniva giù a metri.

Ben presto la legna finì, e nei ricoveri delle trincee la noia dei soldati poco a poco si congelò. Proprio così, pian piano i loro corpi divennero come l’orata e la lombatina nel congelatore. E se qualcuno li avesse visitati,  li avrebbe trovati raccolti in silenzio su una branda o con la testa sulle braccia appoggiate a un tavolaccio, rinserrati in quei cappottoni pesanti e gelidi.

Mentre si discuteva su come divertirli, un sottile strato bianco e gelato cominciò a ricoprirli, e con loro tutto quello che c’era, come se qualcuno  si fosse messo a giocare con pacchi e pacchi di borotalco.

Era ghiaccio e in capo a qualche giorno nulla più si mosse, neanche una mano per farsi il segno della croce o un piede per dare un calcio ai topi che facevano i loro comodi.

Ben presto tutto il fronte si ritrovò surgelato e anche la noia venne sopraffatta dal frigorifero.

Il Comando Supremo lì’ per lì fu sorpreso dal fenomeno che si era verificato. Poi, però, consultò alcuni esperti di ingegneria e zoologia, e pubblicò un comunicato gagliardo e tosto in cui annunciava il successo di una rivoluzionaria sperimentazione effettuata su tutto il fronte. L’ibernazione in trincea. Un modo per sollevare le truppe dal problema dell’attesa, dalla clausura forzata  e da mesi e mesi dl vuoto quotidiano.

Purtroppo, quando con la primavera i ghiacci si sciolsero, nessuno si risvegliò.

Occhi negli occhi

Non era stato per una vocazione irresistibile. La vocazione c’è o non c’è e nel suo caso non c’era. C’era, invece, il padre. Filippo Rossi di Sanservolo, una di quelle famiglie che contavano le generazioni e ne facevano una differenza con gli altri.

Era uno di quei possidenti che quando la mattina si affacciava dalla finestra della camera poteva dire che ciò che vedeva era tutto suo. Terre e terre, attorno alla villa di campagna, che nel loro tempo volevano dire la superficie di una ricchezza. Un possidente, un Re e, con qualche riserva, un capo di Stato ragionano allo stesso modo.

Dunque, Filippo aveva tre figlie e ringraziava il Signore per il dono, al punto  che aveva deciso che l’ultima dovesse entrare in  convento per dimostrare al Signore quanto grande fosse la sua devozione.  L’aveva chiamata Lucrezia.

Un giorno, quando l’adolescenza stava sbocciando, la guardò in faccia, l’unica volta, e le annunciò il destino che l’attendeva.

E forse non guardò bene nei suoi occhi..

Lucrezia prese i voti e la bussola della sua vita si orientò stabilmente sulla povertà, la castità e l’obbedienza.

Ora, sarebbe banale e volgare dire quanto questo trio di virtù potesse stridere con la condizione di una ragazza in fiore che conosceva da tempo il rimescolamento degli umori del  corpo e viveva in una casa dove bastava chiedere per avere. L’unica cosa a non cambiare era l’obbedienza, anche se il padre era stato un padrone, ben più autoritario della badessa.

Non strepitò e non si mise di traverso, rispettò la decisione di Filippo e una volta entrata nel convento non turbò in nulla l’intensità con cui le consorelle ispiravano la loro vita a quello che lei non aveva. La vocazione.

Non ci furono mai occasioni in cui un suo atteggiamento confliggesse con l’armonia del luogo o una parola infrangesse la regola del silenzio. Pregava, lodava e meditava quando si doveva pregare, lodare e meditare. E così per la Messa, il Rosario e i Vespri. Puntuale e senza un eccesso di quello zelo che magari sarebbe dispiaciuto alle compagne come un mortale peccato di superbia.

Lucrezia imparò ad abbassare gli occhi scuri e bellissimi, a mortificare le labbra che pure avrebbero desiderato il colore di un rossetto, fosse anche il più tenue, a sopportare la clausura totale del convento e quella della propria cella. Lì si entrava e da lì non si usciva più e, certo, a una ragazza che non era posseduta dalla fede e aveva davanti a sé una vita incanalata nella regola come le navi che attraversano Suez o Panama, nel segreto della sua stanza qualche pensiero – e qualcosa di più – si affacciava nella testa come il panorama al padre nell’ora del risveglio mattutino.

Una qualità innata, che nessuno aveva potuto toglierle e che lei aveva sempre usato con umile discrezione, era il controllo razionale delle cose e di se stessa. Lucrezia sapeva sempre quale fosse il limite da rispettare e però la sua testa non aveva limiti con se stessa. Là dentro nessuno poteva entrare e a lei era consentita ogni divagante navigazione.

Fin qui si potrebbe pensare a una donna dalla fervida immaginazione che con la fantasia compensava la durezza imposta della realtà, ma Lucrezia era un passo oltre.

E’ assai probabile che la costringente clausura del convento ne fosse la condizione e comunque nessuno può avventurarsi oltre la semplice congettura, soffocata dalle regole nella sua testa si cominciò a manifestare qualcosa di più di quella dote immaginifica, una forza sconosciuta che all’inizio la lasciò sconcertata e timorosa.

Se ne accorse  incrociando lo sguardo di una giovane consorella, un attimo, sufficiente però per sentire che i suoi occhi penetravano in quelli di Suor Sophia e di lì nella sua testa, al punto da ritrarne la sensazione di  poter forse    soggiogarne la volontà e indirizzarla dove avesse voluto.

Si era fermata, subito, un sobbalzo del cuore che l’aveva raggelata, la paura di scoprire qualcosa di sé che poteva sconvolgere il suo rapporto con gli altri e, nel suo caso, con le compagne di vita.

L’inquietudine, tuttavia, cedette rapidamente alla curiosità.

Nella lucida ragione che non le faceva difetto capì presto di avere un potere e che sarebbe stata un’improvvida  debolezza far finta di niente e rimuoverlo come se si trattasse di un difetto sciagurato e inconfessabile.

Così, ricominciò da Sophia, da dove l’aveva lasciata, e ci volle poco per verificare che, con l’intensità di un’occhiata accompagnata dalle parole giuste, poteva portarla dove voleva e che se c’era un limite, era solo quello che lei avesse deciso di darsi.

Non solo, poteva farla entrare e uscire a piacimento in quello stato, un semplice schiocco delle dita e tutto tornava come se nulla fosse accaduto.

Era inebriante, Lucrezia, come uno scienziato che prima di annunciare un risultato replica l’esperimento, decise di ripetere l’esercizio e via via, scegliendo il momento adatto, si applicò a Suor Gina, di cui scoprì un passato da rusticana che aveva avuto una storia complicata con un paio di carabinieri, Suor Marilina, che prima della vocazione si era divisa fra un campione di pugilato e un algido e QI top scrittore di drammi finendo in entrambi i casi maltrattata, Suor Greta che all’improvviso aveva interrotto una carriera luminosa e si era chiusa in convento, Suor Marlene, un’altoatesina emigrata in America dove fu molto chiacchierata per predilezioni sessuali che variavano dall’etero all’omo, Suor Ingrid, troppi sogni in frantumi, Suor Anna, una rabbia indomabile che doveva essere placata, e Suor Liz, la badessa, luce che spandeva luce.

A quel punto avvertì che nel suo spirito si agitavano impulsi e pensieri che non necessariamente andavano nella stessa direzione. L’eccitazione che le veniva dalla conferma di un potere, la tentazione che portava con sé di approfittarne con le consorelle, il rispetto che aveva per loro, il senso di rivalsa nei confronti di una vita che le era stata imposta.

Ed era in questo stato d’animo quando tutto il convento si riunì per la preghiera della sera. Fu lì che in una pausa delle orazioni si alzò  con una sorpresa che fece volgere su di lei gli sguardi di tutte, anche quello della Badessa che pure era folgorante. E lei li rovesciò nel suo, sicura di poter entrare nelle loro anime.

In verità, si era alzata non sapendo bene per fare cosa, forse per la curiosità del gioco in quanto tale, l’incantatore che vuole godere del suo potere di incantare.

Restarono così, immote nel silenzio di una sospensione.

Lei poco a poco si rese conto di aver stabilito un contatto con la profondità delle sorelle e cominciò a sentire come una vibrazione che si allargava, la toccava, penetrava dentro di lei  e andava in tutte le direzioni. Un moto, un’energia, no, qualcosa di più e di diverso, perché anche lei sentiva di uscire fuori da se stessa e lo scandaglio nell’anima delle consorelle stava diventando un’immedesimazione in cui ciascuna perdeva la sua identità. Dove sparivano le ansie della vita, le paure del domani, i fallimenti, i desideri voraci e insaziabili e pure i padri padroni. Lucrezia non era più Lucrezia, come se il suo sguardo  analitico così capace di varcare la soglia delle consorelle le ritornasse dalla loro purezza e devozione con una potenza impensabile.

Lei aveva guardato dentro di loro e adesso erano loro che guardavano dentro di lei  e tutte si sentivano partecipi di un’armonia indicibile e portate verso un altrove immenso e luminoso.

Fu in quel momento che Lucrezia venne invasa dalla vocazione.

Eugenio Lucrezi
25 aprile 2020

ad Alfredo Guardiano, capomanipolo dei Resistenti

Liberarsi di chi? Del mio nemico

conosco il volto, il ceffo, la bruttura,

l’inconciliato scarto che cesura

quel che depreca da ciò che benedico.

Arrendersi o perire. La vittoria

procede sulla morte capovolta

di chi si specchia nel buio di una Storia

che è stata uccisa, e resterà insepolta.

Animosa riuscita, hai inanellato

I giorni incerti di un evo che dimentica.

Oggi, la Storia scoperchia la Natura,

e ci ferisce un codice semantico.

Liberarmi di te? Covid sgraziato,

tu non hai volto: non sei la mia iattura.

Micromégas      
   Ah! dit-il, je m’en étais bien douté.   
                                                      Voltaire                                                                                                                                                                                                                                                         

Virus Corona, puntuta e trista icona
del novissimo die, micropresagio
di ventura stagione, che ci vede
scorati portatori di un disagio
inveterato in vero da millanta
epoche cromosomiche, da evi
diuturni per rosicchio che ci schianta
e che ci disredime, mala pianta
sortita dal mio seno, ma non solo:
dal tuo, dal tuo e dal tuo, per vero dolo
camuffato col ceffo del progresso,
che già il Contino irrise, trincerato
dietro la sponda folta della siepe
nonché di quella, pallida e celeste,
del selenico manto di Dïana…
… mia CoViD sgraziata, benedetta
forse da chi, malevolo, ci concia
per le feste e a puntino, e ci cucina
a fuoco acconcio, la sera e la mattina:
a te dico – ma so che non mi senti:
quantunque non ti veda, i miei fendenti,
tirati, sì, a casaccio, ma furenti,
fendono il vento per farti la festa!

Risposta del virione: mio universo,
anzi, che dico: mio immane multiverso!
Posa la spada. Io sono la Parola
che da sempre ti sale per la gola.
Sono il senso e il nonsenso, sono il Tutto
che fa te bello, ed il vivente brutto.
Pacifica la furia. La scintilla
che t’ha inreato son Io che in Te s’immilla.

                                                                                                                                                                                                                                10 aprile 2020

Eleonora Mazzoni
Roma vuota assomiglia a Forlì

Roma vuota assomiglia a Forlì come è di solito, dice mio figlio mentre gusta la sua mezz’ora d’aria con la stessa voluttà di quando lecca il suo cono preferito. In effetti la mia città natale non ha mai brillato per brio eppure, scegliendo tanti anni fa di andarmene, sapevo che mi sarebbe mancato il suo placido abbraccio protettivo.

            Facciamo il giro dell’isolato, lambendo Piazza Testaccio che, fino a poche settimane fa, mi dava l’illusione di abitare in un posto perfetto: al centro di una metropoli, come ho sempre sognato, ma con l’aspetto, i ritmi e i suoni di un paese. Le persone che la frequentano, anche solo di vista si conoscono. E ogni pomeriggio una marea di ragazzini la invadono, scorrazzano in bici o sfrecciano sui pattini, tirano calci al pallone o disegnano a terra con i gessetti colorati, mentre seduti sulle panchine adulti e anziani chiacchierano, l’occhio che vigila sui figli propri e altrui, in un’atmosfera caciarona e informale che mescola le età e gli status.

            È strano ora vedere la piazza desolata e immota. Pare presa in prestito da un quadro di De Chirico. Ma l’imprevisto insinuarsi del virus nelle nostre vite ha spazzato via le immagini consuete. O forse le ha arricchite di ulteriori letture. Per un attimo la Fontana delle Anfore acquista una potenza enigmatica, una maestosità finora sconosciuta. E mi ricorda che il mondo esiste aldilà di noi, molto prima che vi si posi il nostro sguardo, flusso impassibile in cui le cose si urtano e si combinano con l’incandescenza composta dalla vita e dalla morte.

            Anche il silenzio del parchetto di Piazza Santa Maria Liberatrice, risorto grazie alla cura di genitori e nonni, è irreale, con tutti i giochi parcheggiati in ordine accanto alla ringhiera. Sembra impossibile che le persone rintanate nei numerosi appartamenti dei palazzi sovrastanti facciano così poco rumore. Di tanto in tanto qualche urlo improvviso o una litigata furiosa accelerano il mio battito cardiaco: so che le case possono essere non solo nidi accoglienti ma anche gabbie testimoni di violenze. Poi però tutto ripiomba di nuovo in una quiete lunare.

            È il turno del passeggio di mia figlia. Su Via Marmorata bar, pizzerie e ristoranti sono chiusi, alcuni si accenderanno verso sera per le consegne a domicilio. Sul 3 oggi sono in sette, dice. Con lei è diventato un rito contare le persone dentro gli autobus su cui, poco tempo fa, in certi orari, si era costretti a farsi spazio a suon di spinte. Interpreta la leggera crescita come un segno fausto e mi chiede se quest’estate andremo al mare in Romagna.

            E mentre ci prepariamo a festeggiare l’anniversario della Liberazione d’Italia ancora in clausura, anch’io spero di sì e che la quarantena, dopo averci costretti a una prossimità esclusivamente familiare h 24,  finisca. Perché, nonostante mi abbia regalato inaspettati momenti di dolcezza, ho bisogno di riappropriarmi di quella stanza tutta per sé, per ottenere la quale le donne nel passato hanno battagliato. Nello stesso modo i miei figli sono stufi di stare soltanto con il babbo e la mamma e non vedono l’ora di incontrare i loro amichetti.

            Loro mi chiedono “quando” finirà questo periodo insolito ma non mi fanno mai domande sul “dopo”. Quelle le lasciano a me.  Ancorati alle abitudini e al senso di stabilità che ne ricavano, il “dopo” se lo immaginano uguale al “prima”, mentre esplorano l’avventura e l’ignoto durante i loro giochi. Sono io che invece arzigogolo su come guadagneremo e come tireremo avanti. Come affronteremo l’inevitabile impoverimento. Se avremo voglia di uscire. O al contrario saremo del tutto demotivati. Se selezioneremo di più i contatti. O ci butteremo nella mischia. Se alla fine, quando si troverà la medicina, si continueranno ad editare i libri. E quanti. Se si ripopoleranno i cinema e i teatri, già in crisi prima dell’epidemia. Se questi oggetti e luoghi a me cari- attraverso cui mi sono conosciuta, ho nutrito ribellioni e lotte, formato il mio pensiero- diventeranno sempre più desueti o recupereranno un nuovo vigore, stimolando quella forza vitale di cui avremo tutti un gran bisogno.

            Intanto nella libreria appena riaperta che porta il nome del quartiere c’è sempre qualche cliente che si aggira tra gli scaffali. Da molti negozi ancora sprangati si percepiscono all’interno persone all’opera. Pure il mercato ha alcuni stand già in funzione e un composto via vai di gente che si serve. E questo sotterraneo brulicare di vita alimenta la mia fiducia. Walter Benjamin si augurava che dopo l’ultimo giorno tutto sarebbe stato come qui sulla terra, solo leggermente diverso. Ecco. Anch’io in fondo anelo a ritornare a ciò che già conosco e a quello che di buono conteneva . Con qualcosa di diverso, però. Di migliore, forse. Almeno un po’.

Gabriella Sica*
Non venitemi più a dire

Non venitemi più a dire, vi prego,

che è una generazione fortunata

figlia del miracolo

questa mia che ha visto quanto

gli uomini possono fare

le ingiustizie e i soprusi cosa credete

uno sull’altro come ondate del mare,

un paesaggio s’è visto di echi e rovine

i contadini scacciati via al vento

gli innocenti travolti via nel vento

i poeti amici già portati via dal vento

di turbolenze e traumi eccovi l’erede

ai quattro che eravamo sopravvissuta

se dire non si può che c’è una guerra

però si sente oh come si sente il male

in strada e in ospedale

e io qui sempre a curare e curare ancora

risanare riunire ricucire

i tagli i destini sparpagliati

rimbombano per la mente e per le vene

le esplosioni di granate e mine

dalla testa stordita del nonno

spaesato in chissà quale luogo

e del fratello chissà dove scomparso

nella bufera della prima guerra globale

o di mio padre in aereo bombardato

nel mediterraneo e salvo a nuoto

era allora la seconda guerra globale

e di mia madre che fuggiva in cantina

assordante al sentire la vedova nera.

E se uscivo e all’angolo di casa giravo

fiduciosa almeno nella bellezza

dell’aria di mattina

nella prima luce

nel bel pino che era lì ma ora no

non c’è più e non si può neanche da casa

per decreto uscire

riapparso è tra noi l’antico untore

del contagioso male

s’annida qui e s’india in noi mortali

umana annichilita gente

nella città-carcere sbarrata

del bel secolo nuovo e tracotante

il clima è da peste ma non è peste

nascosta ovunque la vedova nera

sui più fragili ecco balza spietata

condotti i nostri meravigliosi vecchi

privi d’esequie sui carri alle fosse

la clausura è l’unica cura

ascolta si espande in città la natura

profumano i lillà trionfanti

sollevo con quest’atto di grazia

un ponte levatoio

umana sparpagliata gente

non avvicinatevi non mi toccate

e restiamo in compagnia e uniti gente.

Dal poco giorno dall’anno sperperato

a metà dalla primavera nemica

liberi saremo di camminare

all’aria aperta fresca e ulteriore andare.

27 marzo -3 maggio 2020

Gabriella Sica, originaria della Tuscia e romana d’adozione, scrive in versi e in prosa fin da quando negli anni Ottanta ha ideato e diretto “Prato pagano”, pubblicato le Poesie per le oche, con prefazione di Giovanni Raboni (Almanacco dello Specchio, Mondadori, 1983) e La famosa vita (1986, Premio Brutium-Tropea). A più di dieci anni di distanza dal suo ultimo libro in versi, Le lacrime delle cose, a fine 2019 è uscito Tu io e Montale a cena per Interno Poesia.Tra i vari riconoscimenti, ha ricevuto nel 2014 il Premio Internazionale del “Lerici Pea” per l’Opera poetica. Tra i libri in prosa Sia dato credito all’invisibile. Prose e saggi (2000), Emily e le Altre. Con 56 poesie di Emily Dickinson (2010) e Cara Europa che ci guardi. 1915-2015 (2015).

Due sue poesie sono appena apparse nell’antologia Dal sottovuoto. Poesie assetate d’aria, a cura di Matteo Bianchi, Samuele Editore, 2020.

Per informazioni e contatti la pagina: https://www.facebook.com/gabriella.sica.54

Pascal Schembri (da Parigi)
Al tempo del “Corona Virus”

    In un momento difficile come quello  che stiamo vivendo a causa della pandemia corona virus, ognuno di noi si sente più sensibile e più esposto rispetto alle nostre paure  ataviche e, soprattutto, alla paura della morte. Quante famiglie, in questo periodo, hanno visto morire i loro cari, soprattutto persone anziane, nonni e nonne, che finora erano la base su cui potevano contare per un punto di riferimento affettivo sicuro, oltre che per il supporto importante ed essenziale da loro fornito,  anche nei confronti dei nipoti.

  Quanto dolore nel vedere sparire i propri cari, senza nemmeno poter fornire loro il conforto di un’ultima carezza e senza nemmeno poter celebrare un degno funerale per l’ultimo saluto.

   Tutto questo non avviene senza lasciare traccia anche in chi, per sua fortuna, non è stato toccato, almeno finora, da questo terribile virus.

  Infatti la consapevolezza che tutti siamo a rischio, fa sì che, soprattutto le persone più fragili, non vivano più serenamente, ma si sentano in pericolo di non avere più abbastanza tempo per fare tutto ciò che hanno in progetto e per dire tutto quello che non hanno ancora  detto alle persone care .

  Ecco dunque  che un padre possa sentire il bisogno di dire al proprio figlio quanto amore senta per lui, ma anche quanto forte sia il bisogno di sentire l’amore del figlio verso di lui. La vita a volte ci allontana, l’abitudine che tutti abbiamo di andare sempre di corsa, mettendo al primo posto , magari, il lavoro, ci fa perdere di vista i veri valori che, invece, in un momento come questo, riemergono in tutta la loro potenza, richiamandoci ad una vita più basata sulle cose essenziali e sugli affetti più veri.

   Questa circostanza così particolare, che non avremmo mai pensato di vivere, può farci ridimensionare molti aspetti della vita che prima ci sembravano importanti e ci può far ridare il giusto valore a cose che non prendevamo più in considerazione, perché le davamo scontate. Così può accadere che ci rendiamo conto  solo ora di quanto fossero importanti le presenze quotidiane degli amici, le passeggiate, lo stare insieme, magari a cena o a casa e di quanto, a maggior ragione, ci manchino gli affetti più importanti, che mai come ora, vorremmo vicini a noi, non solo spiritualmente, ma anche , fisicamente, la qualcosa, però,  attualmente ci è impedita.

  Nell’ambito di questa nuova visione della vita, ma anche più impauriti da quanto sta succedendo di cui, purtroppo non riusciamo ad intravedere la fine, un padre può sentire il bisogno di rivolgersi ad un figlio per esprimergli i suoi veri sentimenti, le sue paure ed il suo bisogno di affetto e di vicinanza, per far sì che il figlio possa comprendere fino in fondo le sue ragioni  ed il futuro, nella speranza  che ci sia, possa essere migliore del passato e possa far ritrovare ad entrambi la vera essenza del loro amore.

  Mi piace dunque, per esempio, immaginare che un padre possa scrivere al figlio una lettera siffatta e che il figlio sia in grado di capire e di rispondere in modo adeguato, con affetto e tenerezza  a tanta sincera sete di affetto, fornendogli tutte le necessarie rassicurazioni :

Caro figlio,
se un giorno mi vedrai vecchio, se mi vedrai sporco quando mangio e non riesco a vestirmi…abbi pazienza,  ricorda il tempo che ho trascorso io a insegnartelo.
Se quando parlo con te, ripeto sempre le stesse cose, non interrompermi…ascoltami.
Quando eri piccolo dovevo raccontarti,ogni sera, la stessa storia, finche non ti addormentavi.
Quando non voglio lavarmi non biasiarmi  e non farmi vergognare…ricordati quando dovevo correrti dietro, inventando delle scuse, perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico.
Ho avuto tanta pazienza ad insegnarti l’abc.
Quando, a un certo punto, non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso… dammi il tempo necessario per ricordare. E se non ci riesco, non ti innervosire: la cosa più importante non é quello che dico, ma il mio bisogno di essere con te e averti lì che mi ascolti.
Quando le mie gambe stanche non mi  consentissero di tenere il tuo passo,non trattarmi come se fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti, nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te, quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto… non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo.
Cerca di capire che alla mia età a volte non si vive, si sopravvive soltanto.
Un giorno scoprirai che, nonostante i miei errori, ho sempre voluto il meglio per te, che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po’ del tuo tempo, dammi un po’ della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa, allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza.In cambio io ti daro’ un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te . Ti amo figlio mio. Non dimenticarti di questo padre…………….

Parigi 29 aprile 2020 -ore 24 e 55

Il bocciolo di Rosa di Mariù Safier (sua è la foto)

Mariù Safier
Giornate in ordine sparso 6

Guardo le pagine dell’agenda sul tavolo, diventata inutile nelle ultime settimane: non ho bisogno di sfogliarla, per sapere che conserva una sequenza di pagine bianche. Niente da segnare, nessun appuntamento da ricordare. Il Corona virus ha cancellato convegni, riunioni, occasioni d’incontro, di scambio. Giornate rimaste attive, per chi ha l’abitudine di trasferire sulla carta, il pensiero, per chiarire, per chiarirsi.  Recupereremo, la volontà c’è, l’inevitabile impressione però, è che si possa ripresentare in altre forme, lo spettro di quello che viene, eufemisticamente chiamato, il distanziamento sociale. Non ho mai amato i bagni di folla, ma la privazione di una possibilità rende il futuro meno futuro. Inquieta la sindacabilità e l’occhiuta indagine del minimo gesto, la necessità di giustificare.  

Arriverà l’equinozio

giorno e notte saranno pari

divideranno l’ozio

celebreremo i Lari

festeggeremo i Penati

abbandonando le case.

Nell’estivo solstizio

nato tra mani distanti

si annulleranno i divari

il conto sarà pari allo zero

in uno shock termico

riapparso alla fine dal vero.

I due emisferi torneranno a riunirsi

il cerchio massimo dell’Equatore

si comporrà nell’armonia Celeste

la Luna indosserà una nuova veste.

La Natura non è né buona né cattiva. Né Bene né Male, semplicemente È.

Si avvicenda incessante, invadendo, colonizzando la Sua Terra. Solo l’uomo l’ha incanalata, addomesticata, per il proprio utilizzo. L’uomo che invece conosce il Bene e il Male, discrimine limpido e netto, agli albori della civiltà. Oggi ha valicato ogni confine, ha intrecciato la coscienza agli interessi egoistici del campo che coltiva.  

Non ci voleva il virus per saperlo, ora appare visibile, è emerso alla superficie. Gioverà a stimolare la concreta ammissione, che una virata deciderà il Destino?

È iniziato Maggio, il mese del libro. Stimoli per la lettura, per viaggiare con la mente, tenere il passo, aggiornarsi. Sembra più importante che mai, e guardo con estremo compiacimento al volume (1226 pagine) di Giulio Ferroni, professore emerito alla Sapienza di Roma, acquistato prima della chiusura delle librerie. Si tratta dell’Italia di Dante, che traccia un itinerario attraverso luoghi del nostro paese, citati nella Divina Commedia. Interessanti scoperte, riflessioni e curiosità: il modo migliore per celebrare il sommo, immortale poeta. Nonostante le lunghe giornate, non sono ancora arrivata alla fine.

Maggio è anche il mese delle rose: come promesso, vi mostro il bocciolo cresciuto in questi giorni, in attesa che se ne uniscano altri aulenti.   

Salvatore Rondello
CHIUSO  IN  SICUREZZA


                  Costretto  alla  clausura,

                   Ho pensato alla iattura.

                   Immagine  oscura

                   Urta  la  natura

                   Sgomenta di paura,

                   Oltre la chiusura.

                   Inquiete  tenebre

                   Nascondono le ombre

                   Scese dai fantasmi

                   Invisibili nei marasmi

                   Contagiosi dei plasmi.

                   Un  deserto nel cuore

                   Rotto dal rigore,

                   Esprime  dolore

                   Zeppo  di  sapore,

                   Zaffato  di  calore,

                   Arso d’amore.

Roma, 28 aprile 2020

PRIMO MAGGIO VIRTUALE

                   Perso il lavoro

                   Resto a casa.

                   Inquieto  animo

                   Mastica  amaro

                   Ogni  cosa.

                   Mi  duole  la  festa

                   Arrivata  mesta.

                   Gente  onesta

                   Giunge  alla  festa

                   Inscenata  in  testa,

                   Oratori  in  resta.

                   Vedo  il lavoro

                   Incerto nel futuro.

                   Ricerco  con costanza

                   Tuttora la speranza.

                   Unito all’ideale,

                   Amico non banale,

                   Libertà  corale

                   Esulta nel finale.


Roma, 01 maggio 2020              

Anna Maria Petrova – Ghiuselev
UNA VITA IN CORSIA

Tutta una corsa, questa esistenza …

Fermiamoci un istante.

Ferma l’attimo,

come quando stai girando il tuo film attuale!

Scorrono, scorrono

tanto veloci gli anni,

i miei anni,

i nostri anni …

Corrono, corrono

come animali in fuga,

inseguiti da un obbligo ossessivo, assillante –                    

la fretta di passare e andare avanti

senza assaporarla ,

                      questa vita …

E cosi impegnati,

e cosi affannati

non viviamo mai bene colui che è qui  accanto …

Incontri e scontri,

                            casuali e non,

fuggitivi, effimeri,

                           impetuosi e non …

Fermatevi!

Eccoci qui – ma tutto passa poi …

E siamo qui con noi stessi

e siamo noi sempre soli,

                senza noi!                                                                            

                                                                            Annabelle    

Mare

Mare Blu e Mare Nero,

Mare Bianco e Mare Rosso…

Ci sono tanti mari nella nostra vita.

Ma noi siamo sempre gli stessi.

Quella vita che cambia e  c’impone

il suo gioco strano, subdolo.

E ci ride in faccia con la sua faccia tosta, quella antica.

E noi?

Noi ce la dobbiamo fare alla sua faccia!

Anche quando si è arrivati alla cima del mondo,

o che abbiamo toccato il fondo…

Anche quando si è orfani di chi ci ha amato,

orfani dei nostri amati,

orfani di noi stessi conosciuti fin ora,

orfani di una vita sognata.

Ma ce la dobbiamo ancora fare…

Perchè è vivere la vita solo

che ci fa conoscere e amare nel modo divino

tutti quelli che da noi sono partiti per aspettarci…

                                                 Ei, mare mare!

                                                                Annabelle

Alessandra Jannotta
29 aprile 2020:
Nono piano 

Sono proprio contenta, la scuola sta per finire e sento che la primavera è pronta a scoppiare nell’estate che amo.

L’ho detto ad Agnese e lei si è messa a ridere dicendomi che sto diventando più brava della mia amica poetessa. 

Caro Virus, sono sicura che,con una sorella con cui ridere, anche tu saresti un po’ più bravo. 

Al nono piano della mia fabbrica voglio mettere una pista da bowling. 

I birilli avranno i nomi dei virus che abitano il nostro pianeta.  

Ci saranno,quindi, anche molti birilli con il tuo nome.

I bambini  faranno cadere i birilli facendo scivolare sulla pista i loro sogni chiusi in palle colorate. 

I sogni che colpiranno i birilli diventeranno realtà e subito dal soffitto cadranno migliaia di cioccolatini per tutti.  

Se no vorrai cadere troppe volte,  sbrigati ad  indovinare  il messaggio della poesia che lascerò a guardia del tesoro: 

“Il gioco di Teodomiro 

Voglio essere Cascata  d’acqua,potenza brontolante,capace di lavare i pensieri.

Neve di primavera che sa di sciogliersi presto.

Voglio essere Fiore piegato dal vento per sbocciare re.

Aquila capace di volare in alto.

Voglio essere Aria,

Luce.

Oggi,ho lasciato i giudizi e le lamentele a terra.

Ho sorriso leggera.”

30 aprile 2020. Decimo piano 

Per trovare la mia fabbrica i bambini non devono fare proprio nulla, ma solo desiderarlo. 

Per colpa tua-caro Virus-siamo rimasti molto tempo chiusi in casa e,quindi, sono sicura che adesso i miei amici saranno felici di potere fare finalmente un po’ di sport.

Al decimo piano della mia fabbrica ci sarà una pista ciclabile con centinaia  di tricicli,di biciclette e di caschi colorati.

Tutti i bambini potranno scegliere la bicicletta del loro colore preferito, ma la cosa fantastica saranno i caschi. Non appena  li avranno indossati,infatti, tutti i luoghi che i bambini avranno immaginato per la loro passeggiata  diventeranno realtà. 

Ci saranno,così, bambini che andranno a pedalare su sentieri di montagna, quelli che sceglieranno di andare in riva al mare, altri ancora che potranno  pedalare nelle vie di splendide città d’arte e,infine, quelli  che,con la loro bicicletta,potranno raggiungere le strade  di campagna piene di luce e di profumi.

Io so già quale casco sceglierò,ma  te lo dirò solo quando la smetterai di mordere il mondo!  

Ora devo proprio andare e, come sempre, ti lascio una poesia da interpretare per salire al piano superiore:   

“Bicicletta 

Hai attraversato strade in pianura, 

solcato discese impervie,

scalato salite insormontabili, 

ora ferma, immobile,

dopo tanto rumore, 

riposi. 

Anch’io in quest’ora velata,

voglio godere in silenzio e sognare di pedalare ancora …”  

1 maggio 2020:Undicesimo piano 

So che stai finalmente diventando bravo,se  continui così  diventeremo grandi amici. 

L’undicesimo piano della mia fabbrica sarà 

una divertentissima scuola al contrario. 

I bambini saranno i professori e gli adulti saranno gli alunni. 

Sarà bellissimo vedere cosa succederà. 

Forse anche con te,invece di essere tutti arrabbiati, dovremmo darti dosi infinite di zucchero e così la smetteresti di essere cattivo e diventeresti nostro amico.  

Torniamo alla mia fabbrica. 

I banchi saranno a forma di nuvole e quando verranno occupati si solleveranno di qualche centimetro da terra.

I bambiniprofessori si metteranno a raccontare le loro favole preferite, ma gli 

adultialunni, per essere in grado di ascoltare, dovranno  mangiare i cioccolatini che troveranno sui loro banchi. 

Alla fine delle lezioni gli adultialunni saranno tutti sorridenti e felici perché avranno viaggiato nel nostro fantastico mondo dove tutto è possibile e niente è fatica.

Ora ti lascio,come sempre, la poesia della mia poetessa preferita:

“Il cantastorie

Non ricordo o forse ricordo troppo.

Sento soffiare un vento leggero.

Lo sento  sopra la mia pelle. 

Uguale a ieri, racconta di favole meravigliose.

Le ha rubate alle profondità degli abissi marini,

dove, nel silenzio e nel buio, la vita  sa,comunque, trovare la sua forza.

Sento soffiare un vento leggero. 

Lo sento sopra la mia pelle.

Uguale a ieri, racconta di favole meravigliose.

Le ha liberate in mille bagliori di luce.

Le ha fatte viaggiare abbracciate sopra lunghissime onde salate.

Sento soffiare un vento leggero.

Sopra la pelle, racconta di ieri.

Nel buio della notte lo sento 

carezza leggera,è Culla che avvolge d’incanto 

il Mare baciato dalla Luna.”

Mario Bagordo, Veduta di Ponte Sisto, acquerello

Lucia Marchi*
Al ritorno

Al ritorno

Cosa sarà diverso

Quando la vita

Riprenderà i suoi spazi

E il tempo inesorabile

Definirà le cose

Lasciando al pensiero

Il compito

Di privilegiare l’essenziale.

Considerazione

Spaesati

In un mondo che cambia

Senza preparare

Nessuno

Alla prossima fermata

Si attende l’inizio

Della nuova umanità.

Riflessione

Il colore del cielo

Nei tuoi occhi chiari

Lascia intravedere

Un’anima guerriera

Che ama instancabilmente

Ma che spesso

Sente il peso

Di un’atavica solitudine.


*Direttore Biblioteca Casanatense

Condirettore Centro di Ricerca di Eccellenza Diritto d’Autore

Masimiliano Kornmuller
voyage autour de ma chambre 6

       Oggi mi accingo a restaurare (con la porporina e la gommalacca) il mio salotto dorato, che si compone di un divano e di due poltrone con braccioli, riccamente scolpite in stile neobarocco. Queste , in realtà, sono delle vecchie conoscenze, che incontravo ogni anno in una soffitta avita, ove mi nascondevo nelle ore calde pomeridiane di giugno, quando , finita la scuola (le vacanze, allora, duravano dai primi di giugno ai primi di ottobre..!), attendendo di partire per il mare, a Marina di Pietrasanta e, poi a settembre , ad Alassio, in dimore perdute per sempre, che forse un giorno ricorderò per iscritto…

       Sprofondato in una delle suddette poltrone, leggevo per ore i “Gialli per ragazzi” editi da Mondadori, ed in particolare ero letterariamente innamorato di una protagonista di una di queste serie, dalla fulva capigliatura, figlia di un avvocato del New England…Quanto possono essere intensi i sentimenti in quella fase della vita…! Ma anche prima: mi ricordo ancora la prima fidanzatina dell’ asilo, all’ insaputa dei miei…! Si idealizzava moltissimo, ma i sentimenti erano nitidissimi e violenti!

Queste poltrone erano allora rivestite di damasco verde, tutto squarciato, che si ambientava benissimo nel luogo, simile a quello descritto da Guido Gozzano:

Bellezza riposata dei solai, 

ove il rifiuto secolare dorme…

(omissis)

tra i materassi logori e le ceste

v’erano stampe di persone egregie

v’era “Torquato Tasso nei giardini d’Este”

“Avvocato, perché su quelle teste

buffe si vede un ramo di ciliegie?”

Io risi, tanto che fermammo il passo

e ridendo pensai questo pensiero:

oimé! La Gloria!Un corridoio basso,

tre ceste, un canterano dell’Impero,

la brutta effigie incorniciata in nero

e sotto il nome di Torquato Tasso!

(G.Gozzano, i Colloqui, La Signorina Felicita, vv 1,2 e 156-169)

Ma la soffitta di cui parlo io era molto meno asfittica di quella sopra descritta: si trattava di un complesso di otto o nove stanze,compresa quella dell’acetaia, con tante botti decrescenti per grandezza e volume, che custodivano la “madre dell’ aceto”, vecchia più di centoventi anni!

Ma non mancava neppure una stanza adibita a pollaio, ove mi ricordo che la domestica spaccava il collo di alcune di quelle bestie col manico da scopa  e poi subito dopo le spennava: cosa da far fremere ogni vegano…! Ma c’ era anche un enorme stenditoio ove appendere il bucato nei giorni di pioggia…

Questo mio salotto e’ stato poi da me rivestito di damasco rosso dell’ Ottocento (recuperato chissà come da certi rigattieri: erano il rivestimento parietale di un salone di un palazzo del centro storico) e sembra imparentato con alcuni arredi presenti  al Quirinale o in qualche ministero sabaudo. 

A questo proposito, si narra che il Re Galantuomo quando, esattamente centocinquant’anni fa, giunse al Quirinale (che trovò vuoto d’ogni arredo, poiché il precedente illustre Occupante non gli lasciò neppure una forchetta, come era da immaginarsi..!) si lasciasse andare a questo schietto commento:

“Am pias nen, a me smijla la ca’ d’ un preive!” ( tr. ” non mi piace affatto:mi  sembra la casa di un prete”…!)

       Il Quirinale fu cosi arredato con arredi in stile neobarocco, integrati da pezzi d’ antiquariato provenienti dalle reggie delle antiche capitali, con particolare predilezione per quella del Ducato di Parma.

Ma al Quirinale e’ andata sin troppo bene: penso con orrore al cortile affrescato dal Pomarancio nella villa “La Petraia” presso Sesto fiorentino (FI), residenza estiva sabauda ai tempi di Firenze Capitale: fu trasformato in sala da biliardo, coperto da una volta di ghisa e pannelli di vetro…!
In realtà è solo lo stile che unisce questi ai miei mobili, ovviamente, non certo la cubatura degli spazi dove sono ospitati…!

Ed è qui che il mio pensiero torna a Gozzano (grande poeta, da poco in corso di rivalutazione, che passò indenne il dannunzianesimo ed il futurismo, senza mai rinunciare all’eleganza della metrica tradizionale, impresa che altri poeti non sono riusciti a compiere…!), ed al salotto di nonna Speranza:

Il cucù delle ore che canta, le sedie parate a damasco

chèrmisi…rinasco, rinasco nel mille ottocento cinquanta!

(G.Gozzano, I colloqui, L’amica di nonna Speranza, vv.12,13)

       In realtà , proprio come i mobili della poesia,questi hanno conosciuto tempi migliori: facevano parte, in effetti, assieme ad altre sedie imbottite, e ad una consolle con specchiera dello stesso stile, del salone di una villa nei colli del preappennino emiliano , ad Albinea (RE), un villa posta sulla sommità d’ una collina coltivata a vigneto, ove in alto, tra alberi di cipresso e qualche cedro sorrideva con la sua facciata d’ un rosso caldo emiliano e ove , sopra la doppia scalinata curva cui si accedeva al primo piano, spiccava una bella meridiana e, poi, sopra, l’ altana panoramica…

Nella cappella di questa villa si sposarono i miei genitori.

Mi ricordo che giocavo nel viale ghiaioso col figlio del custode, che si chiamava Pietrino:come faccia a ricordarmi di questi particolari a più di cinquant’anni di distanza, non lo so proprio neanch’io…!

Sembra che l’ uomo, più si avvicina all’orizzonte degli eventi, più si ricordi con proustiana minuzia certi particolari avvenuti tanto tempo prima, giungendo  a dimenticare invece quelli recentissimi…

Chissà se, quando, liberati dal veicolo temporale, succederà quello che insegnavano le laminette orfiche incise su foglia d’ oro e poste  a fianco del defunto come promemoria, quando la nostra anima, assetata dal lungo viaggio,sarebbe giunta a  due sorgenti :la prima era quella del fiume Lethe, sotto un cipresso bianco, dissetandosi alla quale ci saremmo dimenticati della nostra  origine divina ,  ricadendo  nel ciclo delle reincarnazioni; la seconda era  la fonte di Mnemosyne, che invece avrebbe conferito la pienezza del ricordo e la felice vita futura nei Campi Elisi, senza essere più costretti a tornare nel mondo sublunare…

Ecco cosa dice un frammento trovato in Grecia, del III sec. d.C.  e conservato al British Museum di Londra: 

Tu troverai alla sinistra delle case dell’ Ade una sorgente

e ritto accanto ad essa un cipresso bianco:

a questa sorgente non t’ avvicinare.

Un’altra ne troverai , fresca linfa scorrente

dal lago di Mnemosyne:guardiani le stanno innanzi.

Tu dirai:” Io sono figlia di Gea e di Urano stellato

e celeste e’ la mia stirpe:cio’ sapete anche voi.

Di sete mi ardo e mi consumo:or datemi tosto

della fresca acqua che scorre dal lago di Mnemosyne”.

Essi ti lasceranno bere alla divina sorgente, 

e tu allora regnerai in seguito con gli altri eroi…                                                            

Pietro De Santis
Roma, due maggio, sabato

Siamo ad un passo dalla cosiddetta riapertura e gli atteggiamenti dei più si dividono tra l’esaltazione e il timore.

Ritenendo entrambi preoccupanti comincio però fornendo esempi di esaltazione, che a me paiono tanto perniciosi perché s’infilano nei meandri più demenziali dell’animo umano.

Già in mattinata mi aveva sconcertato un video su Venezia – per altro bellissimo – il cui messaggio di speranza finale veniva lasciato a una signora: la bellissima città, vuota e piegata dall’assenza di turisti, si riprenderà perché i suoi abitanti sono veneziani (!) e soprattutto veneti (!). Questa seconda affermazione lascia per altro trapelare una nascita fuori laguna. Traducendo in altre parole: vinciamo di sicuro perché siamo forti; siamo forti di sicuro perché vinciamo…  non c’è bisogno di certificato di nascita né di intelligenza per capire il non senso (e il senso di frustrazione).

Ma questo discorso mi ha riportato alla mente le immagini dei balconi e delle finestre da cui si affacciano i soliti arcobaleni con la scritta “andrà tutto bene” alla quale bisognerebbe aggiungere un amaro “ma non per tutti” alla luce dei dati epidemiologici che martellano le nostre teste da sessanta giorni. In alternativa agli arcobaleni – o in loro compagnia –, sventolano le solite bandiere tricolori che piuttosto di ribadire la nazionalità, insignificante dal punto di vista virale, sembrerebbero attestare la promessa dei caroselli di auto e dei bagni nelle fontane.

Questo si accompagna all’ultimo discorso ascoltato, stasera da terrazzo a terrazzo, in merito ad un elenco di appuntamenti che un giovane adulto – trotterellante – prendeva a partire dalla giornata del prossimo lunedì per tenersi impegnato tutte le sere a venire.

Nel versante del timore invece si colloca una telefonata esemplarmente angosciosa di un’amica, che vede virus annidati ovunque e teme per la sua salute a partire dal prossimo lunedì quattro maggio, essendo uscita tranquillamente e con ogni pretesto nei sessanta giorni precedenti.

Segno fondamentale della prossima riapertura è la ripresa delle ostilità politiche.

Da noi si cerca lo scontro interno per misurare le reciproche virili lunghezze dei consensi. In Gran Bretagna, invece, si cerca lo scontro con l’Europa per far scordare ai sudditi di Sua Maestà le disgrazie, vere e sempre più dolorose. 

Negli Stati Uniti c’è un tipo che annaspa in balia dei suoi stessi discorsi, cercando di incuriosire l’opinione pubblica con notizie dalla Corea del Nord e obbligando i virologi di stato a comunicare la favolosa scoperta dell’elisir di lunga vita, probabilmente lo stesso di cui parlò Gaetano Donizetti già nel 1832 con un certo Dulcamara.

Mentre l’Oms cerca di attirare l’attenzione universale verso l’Africa e le drammatiche conseguenze del contagio in quel continente, ho potuto ascoltare – mortificato e con grande imbarazzo personale – un commento dei chiamati in causa, cioè degli Africani, in merito al grande rischio che stanno correndo: non ne sono affatto preoccupati; muoiono molto più di fame. Si potrebbe chiudere qui, senza altre parole.

Però un commento mi sembra d’obbligo: la pandemia è questione da ricchi; forse basterebbe fare un giro di notte intorno alla Basilica di San Pietro per saperlo.

Angelo Zito
LA TRASPARENZA DER VETRO

La superficie liscia de lo specchio

te dà le certezze giorno pe’ giorno

ce trovi quello che cerchi nun te sbaj

er soriso er pianto l’amarezza

l’abbitudini li sbaj l’occhio stanco

e nun va ortre, parla la lingua tua.

Ma si levi quela patina d’argento

è come guardà er dietro de la luna

perdi li punti fermi der conforto

vaghi co’ lo sguardo perso all’infinito

e lí ne la trasparenza der vetro

cerchi l’orientamento p’annà avanti,

è ‘na battaja che nun conosce fine

pare persa prima de comincialla

ma è lí che c’è più gusto a misurasse.

LA PROSPETTIVA DER BOROMINI

Er vero e l’apparente so’ fratelli

cammineno accostati l’uno all’artro.

Si pensi d’avé in mano le certezze

apri le dita e trovi solo mosche.

Pe’ fattelo ricordà er Boromini

fece la prospettiva a Villa Spada,

nun è così longa come te sembra

quanno vedi le colonne tutte in fila.

Entrece dentro, prova a fà du’ passi

e caschi dall’apparenza dentro ar vero,

rischieresti de sbatte pure er grugno

si l’architetto avesse fatto un muro

invece de lasciallo a cielo operto.

Voleva significà che l’illusione

cià lo sguardo buttato ner futuro

sempre si nun trova su la strada

un muro che appare come fosse er Vero.

A PORTA PIA

Quanno er 20 settembre der settanta

lí bersajeri co le piume ar vento

je sfonnorno er muro a Porta Pia

er portone de Bonaroti restò intatto

la ferita la sentí solo Pio IX

che concruse l’anni der papato

da prigioniero dentro ar Vaticano.

Ma un sasso da la scarpa se lo torse

“Siino maledetti in sempiterno

quanti metteranno piede ar Quirinale”

Defatti er primo re de li Savoia

superstizioso come un contadino

nun volle mai entrà da quer portone.

E quer palazzo pieno de ricchezze,

come tutte le case de li preti,

nun portò tanta fortuna ai torinesi.

E insino a oggi, se famo un po’ de conti,

so’ più li Presidenti a casa loro

de quanti hanno dormito in quele stanze.

Quanno che un Papa lancia un anatema

pure si nun ce credi stai accorto

che quelli se la so’ legata ar dito.

Co’ bona pace de quer Papa nono

che pe’ ricompensa de quer sacrificio

te l’hanno fatto santo, e cosí sia.

Giovanni Antonucci
La speranza

            Frustrata è

            la speranza.

            Di passegiare

            senza giustificarsi

            Di tornare nella casa

            di campagna

            Di rivedere i figli

             lontani

             Di assaporare di nuovo

             il  gusto della libertà

             Di  essere padroni

             della propria vita.

             Frustrata è

             la speranza


Roma 28 aprile 2020

Giulia Morgani*
DIARIO IN CORONAVIRUS – parte IV

GIORNO 44

Oggi piove. E’ da prima della quarantena che non succedeva. Sono uscita per fare la spesa, incredibilmente non c’era la fila. Mi è sembrato di tornare alla normalità. Ho chiesto perché ci fosse poca gente all’addetto che controlla che tutti indossino i guanti del supermercato sui propri. La risposta è stata la pioggia. La gente non esce se piove. Buono a sapersi.

GIORNO 45

Ieri ho avuto la netta percezione che qualcosa fosse in agguato al piano di sopra. Durante il giorno tutto è calmo ma la notte arriva la paura per ciò che non posso vedere ma solo avvertire. Non ho soluzione. Devo farmi coraggio e andare avanti. Non distrarmi troppo, devo essere lucida.

GIORNO 46

Sono nervosa. Vorrei distruggere tutto. Mi prendo a schiaffi in un moto d’isteria.

GIORNO 47

Sono turbata. Mi hanno detto di un video che mostra 5 poliziotti che picchiano un ciclista e vanno via. Poi dopo qualche minuto tornano e lo arrestano. Non ho visto il video e non voglio farlo così posso conservare il dubbio che chi me l’ha raccontato stia romanzando, mi do spiegazioni su cosa possa essere successo, mi dico che è un fake ma non ci credo neanche io. Mi dico che la realtà fa sempre meno paura delle ipotesi. La conoscenza toglie la paura. Però adesso devo distrarmi. Spegnere il cervello. Mi pare di sentire un coro di voci provenire dalla strada. Che sia iniziata la rivolta? Ecco la verità. Siamo sotto assedio, ci stanno piegando con varie armi a seconda delle nostre resistenze personali. Hanno disseminato mille tipi di trappole, mille voci che fanno eco l’una all’altra confondendo il vero significato. Le tecnologie cambiano ma gli scopi sono sempre quelli. Sapevo che sarebbe successo, lo dico da anni. D’altronde è tutto un ciclo e riciclo storico.

GIORNO 48

A quanto pare ieri c’è stata una manifestazione, la gente (poca) era in strada. Il governo ha fatto sapere che sono partite le denunce. Per reato di assembramento? Sul mio dizionario trovo questa definizione:

assembramento ‹as-sem-bra-mén-to›

s.m.

1 Raggruppamento di persone con intenzioni ostili, sospette o sconosciute: fare, proibire, sciogliere un a.; generic. , affollamento, folla.

2 arc. Adunanza di soldati pronti per il combattimento; moltitudine di armati.

S’intende nella sua accezione di folla ma non posso far a meno di notare la matrice bellicosa insita nel termine scelto. Per lo Stato siamo ostili, sospetti o pronti al combattimento? Un modo per tenerci a distanza e farci diffidare gli uni degli altri?

GIORNO 50

Leggendo un articolo mi sono accorta di essermi persa cose che per molti sono state appuntamenti fissi, strumenti per far orientare i cittadini in questo nuovo mondo.  Una di queste è il bollettino dell’epidemia, in onda ogni giorno alle 18. Pare che scandisse le giornate della gente ma, per la ripetitività del format e per i numeri diventati poco spettacolari, da quotidiano avrà invece una cadenza bisettimanale.

Incuriosita anche dagli studi televisivi svuotati del pubblico accendo la tv. Scopro con orrore che la pubblicità è cambiata.  Ci mostra con naturalezza vite intrappolate in abitazioni, mascherine e distanze, rapporti umani fatti di videochiamate come se tutto ciò fosse normale. Ci siamo già rassegnati a dimenticare e siamo pronti ad accettare? E’ questa la fase 2 di questa guerra fondata sulla narrazione?

GIORNO 51

E’ strano svegliarsi al canto degli uccelli invece che con i clacson delle macchine. Un’upupa mi accompagna con il suo verso mentre faccio il caffè. Prima d’ora l’avevo sentito solo in campagna. La natura prende il sopravvento. Gli uccelli sono tornati a cantare, o si sono trasferiti in città?

GIORNO 52

Stamattina quando ho aperto la finestra ho sentito un grido, era umano anche se la voce era montata, non saprei descriverla, sembrava una caricatura ma era spaventosa.  Avrei creduto che fosse un gioco, qualcuno che voleva scherzare, se non fosse stato per una donna che rispondeva con apprensione di calmarsi. La voce spaventosa continuava a urlare e diceva cose ingarbugliate, non si capiva una parola. Poi un urlo della donna e davanti agli occhi mi è passato qualcosa di grigio, qualcosa che cadeva da qualche piano più su. C’è stato un tonfo che sapeva di morte. Non riuscivo a vedere fin giù. Ho pensato di scendere ma avevo paura dello spettacolo che avrei trovato. Poi ho sentito voci in lontananza, salivano dal cortile interno. Poi più niente. Ho pensato che presto sarebbe arrivata anche la polizia. Mi sono allontanata dalla finestra. Dopo lunghi ripensamenti sono scesa in cortile. Mi sono meravigliata di trovarlo deserto, nessuna traccia di polizia, di curiosi, né di “incidenti”. Niente di niente. Sono tornata a casa e ho chiamato il mio vicino. Non aveva sentito urla ne tanto meno il tonfo.

Ho chiesto anche a lui che durante tutto l’avvenimento era già sveglio ma era rimasto a letto. Niente di niente.

GIORNO 53

Mi sono buttata fuori casa, ho bisogno di respirare. Ho camminato lungo la via principale con voracità, smaniosa di esterno. Neanche una macchina. Neanche una persona. Ho incontrato una bicicletta, di quelle che si noleggiano con il cellulare. Ho scaricato l’app e sono salita in sella. Sono andata al quartiere vicino, è un quartiere storico molto popolato. Anche lì non ho incontrato nessuno. Ho vagato nella mia zona postindustriale soffermandomi a guardare i vecchi mercati generali: fabbricati in rovina con al centro una palude. Li ho trovati di una bellezza violenta. Spostando lo sguardo altrove potevo vedere gli scheletri dei gazometri dismessi, il rudere del vecchio silos e la cisterna di cemento: archeologia industriale che ci vuol poco a immaginare ricoperta di edera e verde, ultime testimonianze della presenza dell’uomo sul pianeta.

I piedi pedalavano veloci percorrendo il ponte moderno che sembra la carcassa di un dinosauro. La strada era vuota e il sole splendeva, il mio viso finalmente libero dalla mascherina fendeva l’aria e mi sono sentita felice.

“La città è mia!” ho urlato pedalando sempre più veloce nella mia corsa di libertà.

* Il romanzo di Giulia Morgani “IL PAESE DALLE PORTE DI MATTONE” (HarperCollins) è disponibile da subito in versione ebook e dal 14 maggio in tutte le librerie.

Bice Privitera
Di fronte alla Storia

“[…]

Realmente l’unità nazionale è sentita come aleatoria, perché forze selvagge, non conosciute con precisione, elementarmente distruttive, si agitano continuamente alla sua base.

[…]”

Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Quaderno 19, ed. critica dell’Istuto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino, 1975, vol. III, p. 1980

Nel Tuo abbraccio, Signore, la speranza

di riscoprire ciò che è necessario,

d’interrogarsi, soli in questa stanza,

con la forza desunta dal Rosario.

In un viaggio all’interno di noi stessi

cerchiamo di capire la lezione

e cambiare un passato senza nessi,

trovando ora la giusta direzione.

Accorgersi del debito morale

prima creato con indifferenza

solo passando dalla porta stretta

è il prezzo chiesto: risposta centrale

per la rinascita della coscienza,

volta la mente al futuro che aspetta.

27-28 marzo 2020

Riferimenti:

Preghiera di Papa Francesco del 27 marzo 2020, con benedizione urbi et orbi.

Rai Radio Tre, Uomini e profeti, 28 marzo 2020

Adriano Prosperi: a) Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari. Einaudi, Torino, 1996, 2009. b) Un volgo disperso. Einaudi, Torino, 2019. c) La vocazione. Einaudi, Torino, 2016.

Paul Klee: Angelus novus, 1920.

Aretha Franklin: Think, 1968.

Enthusia, percorso di crescita personale.

    Mario Bagordo, Campo de’ Fiori e Cupola di S.Pietro, acquerello

Carla Gagliardi Desaur da Londra
INCONGRUENZE:
Londra fine aprile 2020: un mese di dichiarato corona virus

Fortunatamente oggi, 28 Aprile, e’ una giornata di pioggia intensa. Un cielo plumbeo con una luce comunque accecante e soffocante, qualche lampione rimasto acceso dalla notte perche’ il timer giorno/notte esce confuso da questa dimensione di quotidianita’ opaca, senza risveglio.

La mattinata e’ scivolata silenziosa ed il costante rumore della sirena delle ambulanze e’ stato interrotto da un sommesso e ruvido mezzo per la raccolta dell’immondizia.

Notiamo da giorni che il regolare servizio di pulizia delle strade principali, i due corsi maggiori a due/tre corsie per direzione, non viene disinfettato dai macchinari provvisti di grandi spatole cilindriche. Gli unici che incontriamo per strada sono i classici netturbini che si trovano con il loro carretto ad ogni angolo delle strade. Ma questi ultimi puliscono dai rifiuti persi per strada, dal fogliame stagionale… non disinfettano.

Inoltre per strada c’e’ un aumento vertiginoso della quantita’ di persone problematiche, anche in pieno centro, dimensione di umanita’ svariata che ciondola tra i pochi supermercati aperti e le deserte fermate degli autobus.

Sara’ un incremento visualizzato solamente perche’ le persone che prima invadevano le strade con la loro normalita’ ora sono chiuse in casa ? non penso perche’ ieri le strade erano apparentemente normali, molti negozi avevano riaperto ed in realta’ camminare sui marcipiedi costringe ad un vero zigo-zago se si vuole mantenere la social distance. Dunque ieri con una bella giornata di sole alle 17 era decisamente problematico trovare una liana per sfuggire al rigoglio umano in questa jungla: persone ovunque…come in uno zoo sovraffollato.

Al momento i luoghi dove l’affollamento pare meno pericoloso sono le code fuori dai supermercati ma purtroppo la gestione all’interno lascia molto a desiderare. Nella catena Sainsbury abbiamo avuto due esempi di incongruenza manageriale: sotto casa nostra, in un piccolissimo supermercato, mantengono le distanze di sicurezza anche all’interno dove il personale indossa un camicione con scritto di ‘mantenersi a due metri di distanza’; a circa un km da casa, dove c’e’ un altro supermercato della catena, in questo caso di dimensioni colossali, lo stesso manager non rispetta le distanze parlando coi clienti… e non coprendosi con la mascherina.

Caos e confusione: i postini con i loro carretti rossi indossano guanti ma solamente con uso saltuario delle mascherine, i loro colleghi che viaggiano nei rossi camioncini RoyalMail spesso non portano neppure i guanti neri che dovrebbero essere parte della divisa. Un mondo libero di confondersi e confondere…

Peraltro proseguono ininterrotte le delivery di forni e frigoriferi ed una marea di persone viaggia e lavora senza mascherina e talvolta con il solo ausilio di guanti che probabilmente nemmeno cambiano durante la giornata.

Le incongruenze diventano mostri giganteschi se si cambia zona: se a South Kensigton puo’ colpire la liberta’ di vendita al mercatino all’aperto del sabato mattina, dove peraltro preferisco recarmi con guanti e mascherina perche’ credo nella scelta all’aperto di prodotti genuini; ad Hounslow nella maggioranza dei negozi nessuno indossa ne’ mascherina ne’ guanti, nei grandi negozi indiani e turchi non esiste, per definizione, il concetto di distanza di sicurezza ne’ dal prodotto ne’ dal cliente.

Ore di coda che dissuadono mio marito dal comprare qualsiasi cosa: abbandona una coda di 50 minuti al Whole foods per lanciarsi a comprare un gelato take away, dove realizza, giunto sul posto, che la lista di attesa sfiora le 2 h.

Incongruenze degenerative: i londinesi non possono accumulare nei sottoscala i rifiuti domestici e allora il centro della citta’ si trasforma nella Napoli dello scandalo delle pattumiere a cielo aperto, fortunatamente qui il clima ancora mite ne riduce il puzzo….

Avete notato che sono uscita nei miei articoli dai grandi parchi ? Divago perche’ da ieri vi era una tale invasione delle zone verdi che non le ho neppure raggiunte: il caos resta padrone del presente, incongruenze infettive, sociali, degenerative.

Ad ogni entrata all’Hyde park si legge in un foglio bianco e rosso, colori che dovrebbe colpire l’attenzione: VIETATO FARE PICK NICK, tra le poche indicazioni per vietare gli assembramenti … L’ultimo giorno in cui ho completato la passeggiata lunga ho incontrato ben tre gruppi di ragazzi di vent’anni in gruppi di 7-9 persone che bivaccavano nel verde dove nei giorni seguenti trovai lattine di birra abbandonate sul prato.

Mentre il governo si preoccupa di scrivere sull’asfaldo, difronte ai distributore di biciclette, STAY FAR EVERY 2 m, ancora nessuno ha pensato ad introdurre una legge, una indicazione, un suggerimento da far scrivere ovunque e da far leggere e rispettare quanto prima tipo: “NON parlare, urlare, sbraitare al telefono mentre si cammina senza mascherina”.

In attesa che un filone di buon senso si insinui nella citta’ siamo felici che piova per contenere l’esuberanza dei vacanzieri, l’incoscienza dei senza mascherina, l’ottimismo disperato dei senza guanti perche’ da ieri, subdola notizia scivolata in maniera casuale, si e’ cominciato a parlare del virus19 associato a malattie pediatriche. 

Una sorta di similare infezione, un virus non gemello ma cugino primo…qualcos’altro di cui aver paura, qualcos’altro da studiare e conoscere, qualcos’altro da rispettare prima di riaprire, seguendo incoscienti la primavera rigogliosa, negozi, bar e ristoranti. 

Tutti incuranti dell’ultima indicazione di lock down fino al 7 maggio sognano di tornare alla vita DI PRIMA.

Ripenso allora inevitabilmente agli ultimi giorni di marzo mentre rileggo Primo Levi:  “la nostra ignoranza ci concedeva di vivere, come quando sei in montagna, e la tua corda e’ logora e sta per spezzarsi, ma tu non lo sai e vai sicuro”.

Ieri sera infatti ho notato che un ristorante della catena Nando’s aveva inaspettatamente riaperto e dalle finestre illuminate si vedevano clienti all’interno in attesa di un take-away; stasera passando alla stessa ora dallo stesso angolo mio marito ha richiamato la mia attenzione per farmi notare che le saracinesche erano chiuse ed il responsabile delle delivery sistemato all’angolo del marciapiede mentre le persone in attesa dei piatti take away stavano in coda, in mezzo alla strada, a circa mezzo metro di distanza.

Incongruenze che si diffondono rapidamente come le peggiori malattie infettive, discrepancy che hanno nel loro DNA il corona virus: mentre il panico governa la mancanza di PPE, materiale protettivo ospedaliero, a tal punto che il personale NHS ha chiesto di interrompere gli applausi del giovedi sera a loro dedicati, in questi stessi difficoltosi giorni il governo parla di voler riaprire le scuole.

Contraddizioni economiche: le compagnie aeree non sarebbero in crisi ma userebbero la crisi per una riorganizzazione ante litteram del personale, e del sistema di volare, che in altri periodi non avrebbero potuto affrontare con la stessa rapidita’, efficienza e leggerezza….

E’ finito il mese di aprile, sta concludendosi il periodo di lock down a cavallo delle festivita’ pasquali e tutto pare irreale. Nascono manifestazioni in opposizione al lock down mentre viene chiuso il secondo pub di un gestore che ieri nascondeva i clienti assicurando loro il consumo di birra.

Quest’ultima settimana di aprile e’ finita la saga…come la sagra del maiale grasso e della pecora nera, conclusasi la degenza del primo ministro nella country side, finito il gioco dell’aristocratico ritiro scopriamo che tutti cercano di avere la parola in una arringa di infruttuosi sostituti. 

La realta’ dura e crudele parla da se coi suoi numeri e gli innumerevoli esperti si perdono nei dati incompleti e nelle bugie celate.  L’unica notizia sicura, trapelata ed urlata nei telegiornali, arriva dal privato ed incorona il primo ministro genitore guarito, forse sano perlomeno dal Codiv19, ormai tornato sullo scanno della politica stanco e impreparato per la giostra cittadina.  

Eugenia Serafini
1 Maggio 2020

1 Maggio 1886 Chicago

New York 1908

Ricordo di povere donne

New York 1911

Triangle Shirtwaist

Arse nell’incendio il sogno

del lavoro

OGGI 1 MAGGIO 2020 FESTA DEL LAVORO

Festa che festa NON È

Scorrono nuvole nel cielo incerto

Il sole a chiazze sull’asfalto

Il morbo coid19 in agguato

Festa del lavoro

Che non c’è

Saracinesche abbassate

Lucchetti e mascherine

PAURA

Nella metropoli dove tacciono

Ormai

Anche i Flas Mob

Pure…

Sono arrivati i rondoni

In volo

LIBERI

Stridono appena

ATTESA SENZA PAUSE

Mariarita Spera
Dio ci da

Venne un angelo

a declamare

le parole di Dio.

Con grande enfasi

si espresse.

Festa ci sarà

per coloro che

rispetto avranno

per l’altrui vita.

Dio premia sempre

chi è nel giusto.

Non castiga chi osserva

le sue leggi divine.

Questo disse l’angelo

che Dio aveva mandato.

Disse anche che,

ci mette alla prova a volte,

come in questo brutto momento,

così ci da un’ammonimento.

Ma tutto passerà perchè ,

nella sua misericordia,

Dio da altre opportunità…

Vincenzo Ruggero
Libertà (diarietto)

28 aprile 2029 prima (della libertà)                          

Il 3 maggio che verrà lo sto vivendo simile all’attesa della prima libera uscita – Firenze 1972: addestramento in Aeronautica per Ufficiali di complemento, proprio in giorni di primavera come questi – dopo trenta giorni di caserma, con lezioni e marce interminabili sotto il sole di maggio .

Adesso come allora aspetto ansiosamente di uscire liberamente, adottando le giuste precauzioni (distanza sociale, mascherina e guanti), di godere la leggerezza del sentirsi senza l’obbligo delle pareti domestiche, di riavere la facoltà di camminare, forse (?) senza la paura di giustificare ad un anonimo poliziotto, autocertificazione alla mano, dove e perché ci rechiamo per urgenza.

Questi patetici (poetici?) pensieri nel futuro benessere, onestamente, mi si sommano agli indubbi vantaggi che il carcere tuttavia ha concesso: si è avuto più tempo del solito per riflettere e informarsi, non importa se con la TV, i giornali on line o i libri; si è ritrovata l’aria priva di smog e rumore nelle strade cittadine; sono riemersi dei valori persi nella fretta del vivere frenetico, quali il lavoro di chi opera nei servizi, dal camionista che trasporta medicinali e derrate al medico che cura in emergenza negli ospedali; la casa è stata culla di ricordi e gusto di stare a tavola con cosette fatte come una volta, senza surgelati e scatolette; ma l’elenco potrebbe essere lungo…  Allora aspettiamo con pazienza, vivendo normalmente per qualche giorno ancora, e serbiamo  nel cuore l’ ideale bilancio di croci e delizie, con l’augurio di un risultato algebrico positivo: tranquilli! in molti ne usciremo più forti, almeno moralmente, davanti alla misera Storia che ogni giorno il mondo deve scrivere.

29 aprile 2020  un po’ più prima (della libertà)                                    

L’altra sera in televisione il Premier  ha presentato il DPCM-fase2 per la cosiddetta riapertura (parziale) dell’Italia.

  Acquolina in bocca come un bambino davanti alla zuppa inglese, così io sbircio sottecchi il guardaroba per immaginare cosa metterò addosso fra non molto per uscire, abbandonando la monotona tenuta sportiva (spesso direttamente il pigiama) di tutta questa lunga quarantena passata in casa.

   Sto rimettendo a posto negli scaffali una discreta catasta di libri visti o riletti, non da meno gli svariati dischi di musica riascoltata: che tuffo nel passato, ragazzi! Come non ripensare alla memoria involontaria  (per me volontaria) di Marcel Proust della Recherche?

Oso attendere a qualche vecchio incontro o nuova telefonata, sforzandomi di non eccedere in planning come consuetudine, quanto invece dare valore intrinseco al fatto in sé (persona, impegno, commissione, visita, decisione, eccetera).

Ho seguito puntualmente le news sul Decreto Legge su questa riapertura del Paese – che orribile definizione, la fase 2, quasi fossimo elementi di un sistema tecnologico o di un algoritmo – onde assaporare in anticipo qualche piacevole  novità.

Già penso alla gioia di alcuni amici-titolari di attività, commercianti ed affini che riaprono i battenti con il fiato sospeso e il sorriso pronto al primo cliente della giornata, dopo il fosco periodo appena andato.

Non nascondo la mia stessa sorpresa, pensando e nello scrivendo queste sensazioni, per come sia cambiato radicalmente il nostro piccolo pianeta, così velocemente da farci sembrare la frenesia dei normali mesi scorsi come appartenenti ad un’altra epoca. Però si sa bene che l’Uomo moderno ha la memoria corta, per cui non ci metterà tanto a ritrovare la sua normalità, fatta di velocità sconsiderata e povera di serenità interiore.

Ma va bene così (?): “domani è un altro giorno, si vedrà…” cantava la brava Ornella Vanoni dei tempi d’oro, “domani è un altro giorno, ritornerà…” ribadiva Vasco Rossi agli inizi ‘2000.

1° maggio 2020 quasi (la libertà)

E’ la Festa dei Lavoratori: ahimè, adesso io non lo sono un lavoratore, ma mi prendo (lo stesso) riposo dai miei pensieri.

3 maggio 2020   domani (la libertà)

Da bambino con spirito libertario ante litteram scappavo via dall’asilo, e qualche volta pure dalla classe di prima Elementare, disperazione della maestra,santa donna, e di mia mia madre: i vicini boschi del paese e i frutti da rubare sugli alberi mi allettavano rispetto agli strani segni della lavagna.

Domani, però, nel riprendermi la libertà (parziale) non sarò quel fanciullo  discolo di allora, ma semplicemente un anonimo e serio cittadino che torna a vivere insieme ai suoi simili, magari simpatico nel salutare i conoscenti, e non so quanto tale per tutti gli altri; uno, cioè, che va a lavorare in giacca e cravatta nell’azienda di famiglia, parimenti orgoglioso di contribuire nel suo piccolo al PIL italiano e  di poter ritagliare del tempo per il Pensiero e la Scrittura – tutto ciò, è bene dirlo, solo a livello di passione.

Domani 4 maggio, chissà, lo ripeto, se solo i miei occhi vedranno un mondo cambiato o se tutto sarà diventato altra cosa, colpa (fortuna?) dello shock  inevitabile da Coronavirus, affossando anche tante brutte abitudini della gente – ma con nuove paure, tipo lo starnuto assassino senza mascherina – e costringendo a ripensare qualsiasi organizzazione consolidata.

Dimenticavo, scusate, e l’Ecologia? Che fine farà la montagna di plastica generata dai miliardi di mascherine e guanti che si produrranno nel nuovo mondo? A quando la loro versione bio-degradabile?

Come al solito, lo sa solo Iddio!

casa mia, oggi 3 maggio 2020

Domenico Mazzullo
AL  TEMPO  DEL  CORONAVIRUS – 7

Il Ritorno alla Normalità al Tempo del Coronavirus

Da qualche giorno sto assistendo ad un fenomeno che mi stupisce grandemente e che mai avrei immaginato, o sospettato si potesse verificare.
Lo osservo naturalmente nel mio ambito ristretto, professionale, ascoltando ciò che i miei Pazienti mi raccontano e provano e ne faccio tesoro, per capire, per comprendere, per prevenire.
Tutto è cominciato da quando l’allarme gravissimo della epidemia si è un poco allentato, i ricoveri in terapia intensiva sono progressivamente e piano piano scesi, l’emergenza ospedali si è leggermente ridotta e il clima di imminente catastrofe si è alleggerito.
Ciò ha permesso che si potesse cominciare, timidamente e con molta prudenza, a parlare di” Fase II”, ossia di lento e progressivo, prudente allentamento delle misure restrittive, cui abbiamo dovuto sottoporci tutti, per poi procedere, sempre con molta lentezza e prudenza, ad un auspicato e anelato da tutti, ritorno alla normalità, pur con tutti i distinguo, che la situazione, del tutto nuova e imprevedibile, comporta e impone.
Si sono fatti programmi, si sono accese speranze e illusioni, alcune sono state soffocate sul nascere dalla prudenza dei Virologi, neo Cerberi, che avevano in mano la chiave della nostra prigione, nella quale ci siamo spontaneamente e quasi di buon grado reclusi da soli, viste le circostanze che imponevano con risolutezza, l’applicazione di queste draconiane misure restrittive.
Abbiamo, tutti assieme cominciato a sperare di poter tornare a quella normalità, prima così naturale e spontanea, da apparirci ovvia e intoccabile e che invece, in un battibaleno, abbiamo perso, abbiamo dovuto abbandonare, per accontentarci di un pallido ricordo di quella, di un simulacro, di un’ombra che ce la ricordava appena e che ci rendeva lontana e desiderabile, quella condizione che solo poco prima ci appariva assolutamente ovvia e certa, tanto da non permetterci nemmeno di apprezzarla.
Abbiamo cominciato a sperare, che timidamente e a piccoli passi, con moderazione, avremmo potuto riappropriarci di quei beni, di quelle prerogative, di quelle condizioni di vita, così proditoriamente strappateci e che ora ci appaiono allettanti e desiderabili, tremendamente appetibili, ansiosi come siamo, di liberarci dei vincoli che da noi stessi ci siamo imposti, per salvaguardare la nostra salute.
In questo clima idilliaco di speranza, di sogno di un ritorno ad un passato di normalità perduta, mai avrei pensato o minimamente sospettato, che molti dei miei pazienti, prima con timore e poi sempre con maggiore sollecitudine e bisogno di confessare, mi avrebbero confidato, che in fondo al loro animo, tutto sommato, in questa condizione di restrizione della libertà si trovano bene e che, con stupore di loro stessi, si accorgono di temere un ritorno, seppur progressivo e prudente alla normalità, alla vita di prima, alla vita senza più Coronavirus, senza mascherine, senza distanziamento sociale senza proibizione assoluta di strette di mano, abbracci, baci e altre effusioni affettive, una vita non più relegata in casa a far nulla, o a pulire ossessivamente, a fare il pane con il lievito divenuto introvabile, a trascorrere ore e ore davanti allo schermo del computer a chattare o anche a lavorare, ma in pigiama e pantofole, senza dover affrontare il traffico cittadino e senza rapporti gravosi con i colleghi.
Una vita, insomma, ricca di “senza” e poverissima di “con”, una vita sospesa, come è quella di molti in questi ultimi mesi.
Superato lo stupore iniziale, per una rivelazione che mi appariva assurda ad inconcepibile, ho cercato di comprendere, mi sono sforzato di comprendere, ho iniziato a comprendere, e in questo processo di comprensione di ciò che mi appariva incomprensibile, mi ha aiutato la rilettura de “Il Malato immaginario”, di Moliere.
Chi era infatti, il protagonista dell’opera di Moliere, se non un uomo terrorizzato dalla vita, dalle incombenze di questa, dalle responsabilità di questa, che ognuno di noi, quotidianamente affronta, e che per paura, terrore di queste responsabilità, si rifugiava nelle malattie “immaginarie” che gli impedivano di vivere?
E allora, anche in epoca moderna, attuale, perché non dovremmo provare gli stessi sentimenti, le stesse paure, lo stesso desiderio di sottrarci alla vita attiva e responsabile, che hanno condizionato e coercizzato il personaggio, di fantasia, ma perfettamente reale di Moliere?
Perché non dovremmo provare, tutto sommato allettante, confortevole, rassicurante, una vita vissuta in tono minore, più modesta certamente, con minori entusiasmi e aspirazioni, ma anche con minori responsabilità e incombenze? Ma soprattutto una vita in cui non fosse necessario prendere decisioni, ma ci fosse chi prendesse decisioni per noi, e a noi non rimanesse altro che il compito di obbedire?
Se si facesse strada questo sentimento malsano e pericoloso, autodistruttivo e rinunciatario, passivo e apatico, lo dovrei considerare l’effetto più deleterio a pericoloso del Coronavirus, ancora peggiore dell’effetto letale.

Roma, 26 aprile 2020

Galeotto fu il Supermercato… al Tempo del Coronavirus

L’Essere umano, donna o uomo che sia, ha straordinarie capacità di adattamento e deve proprio a queste capacità la sua sopravvivenza sulla Terra, soprattutto quando i tempi non erano così favorevoli a questa nuova specie di scimmie che camminavano erette.
Poi i tempi sono cambiati, ma questa straordinaria capacità di adattamento in tutte le circostanze, anche le più sfavorevoli, e stata sempre una dote precipua nel lento e periglioso cammino della Evoluzione, tanto che lo stesso Essere umano è riuscito, non solo a sopravvivere, ma ad ergersi autonomamente ed autonominarsi, come specie più evoluta sugli altri esseri viventi.
Su questo ultimo punto esistono ancora molti dubbi e i pareri sono spesso discordi. Io sinceramente ritengo che la specie umana rappresenti non l’ultimo anello della evoluzione, ma invece, il primo anello della involuzione, ma è un mio parere personale di cui mi assumo tutta intera la responsabilità, ritenendo che non può essere ritenuta evoluta una specie animale che fa di tutto per distruggere il territorio in cui vive.
Ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano.
Questa straordinaria capacità di adattamento, l’Essere umano la sta dimostrando, naturalmente, anche in questo attuale, spiacevole momento, dominato dal problema del Coronavirus e questa riflessione mi è stata suggerita, ieri, dal racconto di una mia paziente, che conosco ormai da anni e con la quale vi è una notevole confidenza, anche su vicende strettamente private e personali.
Premetto che la mia paziente mi ha fornito ampia autorizzazione a parlare di Lei in questa sede, pregandomi, ovviamente di rispettare l’anonimato.
La Signora A. per l’appunto, è sposata da anni e la coppia non ha figli, per assoluta volontà del marito, caparbiamente tetragono sulle sue posizioni.
Ciò ha fatto molto soffrire la Signora A. Che ha cercato, attorno a Sé altre soddisfazioni che dessero un senso, seppur surrogato, alla propria vita, soprattutto di tipo artistico e culturale.
Essendo poi una persona molto piacente e molto attenta al proprio fisico, oltre che alla mente, ha sentito pressante l’esigenza di iniziare a frequentare, come tanti, una palestra vicino casa, per realizzare quella indicazione di “mens sana in corpore sano”.
Queste palestre, so per sentito dire, sono frequentate da uomini e donne negli stessi orari e quindi spesso sono fatalmente sedi privilegiate di inevitabili incontri e conoscenze amichevoli per esempio su tapis roulant contigui, o mentre ci si produce nel sollevamento pesi.
Queste conoscenze assolutamente amichevoli, solo alcune volte, rarissime, così mi dicono, si tramutano in frequentazioni un po’ più assidue, anche fuori dal locale della palestra e addirittura, ma sono casi isolatissimi, in vere e proprie relazioni affettive, a volte, ahimè clandestine.
E’ quanto è fatalmente accaduto alla Signora A. Che ha dapprima resistito strenuamente all’assiduo corteggiamento del Signor G., uomo prestante e dai modi molto cavallereschi e gentili, fortunatamente celibe e libero da altri vincoli affettivi, che per sua successiva ammissione, aveva deciso di frequentare la palestra proprio nella speranza di fare conoscenze femminili, e così è stato.
Ne è nata una stupenda relazione, naturalmente clandestina, che dura ormai da tre anni e che ha avuto come luogo di incontro facilissimo e insospettabile, la palestra da entrambi frequentata, estendendosi poi la frequentazione in altri luoghi appositamente concertati.
Tutto sembrava avviarsi verso una tranquilla e sicura relazione extraconiugale serena, quando purtroppo è intervenuta l’epidemia da Coronavirus, a rompere gli equilibri consolidati e collaudati e a creare straordinari problemi di incontro ai due amanti, essendo state per decreto chiuse dall’oggi al domani le palestre, loro luogo di incontro perfettamente legittimo e insospettabile.
Il decreto “Io resto a casa” rendeva legittime le uscite, di una sola persona, e solo per recarsi a fare la spesa, in farmacia o eccezionalmente per visite mediche di urgenza.
Non essendo il Signor G. un medico, non rimaneva altro che la prima opzione per incontrarsi e così è stato.
Da allora la Signora A, e il signor G. si incontrano tutti i giorni in uno dei Supermercati di zona, e non sempre lo stesso, per non destare sospetti, concordando precedentemente per SMS il Supermercato e lo scaffale presso cui incontrarsi, mai lo stesso per due giorni di seguito. La varietà è tanta, dai detersivi per la casa, al Tonno in scatola, dai Risotti in busta ai formaggi.
Ma il luogo privilegiato è il banco dei surgelati, ove la particolare conformazione del locale permette anche una fugace intimità e quindi la possibilità di scambiarsi qualche pudica effusione affettiva.
La capacità di adattamento dell’Essere umano è sconfinata.

Roma, 27 aprile 2020

Il Sentimento religioso al Tempo del Coronavirus

Più volte ho affermato, in questa sede e anche in altre, che non sono credente, non ho avuto il “dono della fede”, forse perché non l’ho meritato, o forse perché la mia psiche è limitatamente troppo razionale per concepire la dimensione della fede, ragion per cui, chi mi conosce si stupirà certamente per questa pagina del Diario al Tempo del Coronavirus, dedicata al sentimento religioso.
Questa pagina nasce e trova le sue ragioni dalle riflessioni, in me evocate e provocate, dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, riguardo alla ormai famosa “Fase II”, che avrebbe dovuto rappresentare una prima apertura verso un allentamento delle misure restrittive fin qui resesi necessarie dalla pandemia da Coronavirus.
Ora, proprio in una situazione di estrema emergenza, quale quella che stiamo vivendo, ancora più drammatica e disorientante perché è la prima volta che ci troviamo ad affrontare una emergenza come questa, le direttive, o le istruzioni, le disposizioni, da parte di chi è in grado di darle, ovvero è deputato a darle, dovrebbero essere chiare, comprensibili, inoppugnabili, assolute e non dovrebbero lasciare zone d’ombra, ove potrebbero, o possono, insinuarsi varie interpretazioni soggettive, ma soprattutto devono essere logiche ed ispirarsi ad un principio informatore che sia chiaro, comprensibile, esplicito e legittimo.
Per non rimanere nel vago, ma scendere ad un discorso concreto, come in questi momenti è indispensabile, due cose nel Decreto emanato domenica scorsa mi hanno lasciato perplesso e credo che abbiamo alimentato polemiche e insoddisfazioni da più parti.
La prima è la esplicita chiusura delle Chiese e degli altri luoghi di culto, a fronte e in contraddizione con altre aperture e liberalizzazioni.
Lo ripeto ancora, non sono religioso, per cui la cosa non mi riguarda personalmente, e frequento le Chiese solo per ammirare le Opere d’Arte in Esse contenute, ma non mi sembra giusto, che a fronte di altre aperture, dettate da motivi di salvaguardia economica, si debba impedire ai fedeli di recarsi nei luoghi del proprio culto, pur nel rispetto di tutte le precauzioni del caso.
Non vedo sinceramente che differenza ci possa essere tra la pericolosità di un Supermercato e la pericolosità di una Chiesa, o un altro luogo di culto.
Mi si obietterà facilmente, che nel Supermercato ci si approvvigiona di beni alimentari e quindi di prima necessità. E per chi prova profondamente la fede entro di sé, non è egualmente una prima necessità la possibilità di vivere il proprio culto nel luogo adibito a questo?
Inoltre non ho mai visto fedeli accalcarsi in Chiesa gli uni sugli altri, incuranti delle più elementari norme di prudenza, irrispettosi delle disposizioni, come invece avviene ahimè in altri luoghi.
Si è detto che queste decisioni sono state prese dietro suggerimento e raccomandazione della comunità scientifica. Benissimo, se così è. Ma allora come si spiega il mezzo passo indietro del Presidente del Consiglio, Che afferma, il giorno seguente, dopo la levata di scudi della CEI, che probabilmente le Messe si potranno di nuovo celebrare a partire dal 10 Maggio, anzi no, forse dall’11 Maggio.
Queste disposizioni, che poi vengono mitigate, modulate, ridotte, articolate, in seguito a proteste e opposizioni, lungi dall’essere rassicuranti, in quanto provenienti da una determinazione, giusta o errata che sia, lo si giudicherà dopo, ma conseguente ad un ragionamento e una convinzione precisa, appaiono come dettate piuttosto dal desiderio di accontentare tutti, senza scontentare nessuno e danno l’impressione a chi a tali imposizioni deve sottostare, di rispondere piuttosto ad un arbitrio e non a una determinazione dettata, lo ripeto, da una logica e da una ragionata convinzione.
Io sono medico, e quando ho di fronte a me un paziente, che aspetta da me un responso, una diagnosi e conseguentemente una terapia, io devo dare a Lui la sensazione di sicurezza nella mia decisione, anche se entro di me quella decisione è stata il frutto di tormentosi ragionamenti, struggenti riflessioni, angoscianti dubbi e incertezze.
Tutto questo deve avvenire prima, nel chiuso della mia coscienza, ma in seguito la mia risposta deve essere univoca e certa.
E anche il linguaggio deve essere coerente ed esprimere questa certezza.
Cosa vuol dire, nella prima comunicazione del Decreto, il termine “congiunti”, per incontrare i quali sono permessi gli spostamenti? Familiari? E fino a che grado di parentela? Amici da tempo? E da quanto tempo? Fidanzati? Amanti? E anche qui da quando?
Più tardi, a fronte di critiche e dubbi una precisazione: per congiunti si intende “parenti e affini”, ma chi sono gli affini? E successivamente una nuova definitiva lettura: ci si potrà incontrare tra persone cui si è legati da una “relazione affettiva stabile”. Come si stabilisce quando una relazione affettiva è “stabile”?
Mi viene da pensare allora che anche le due persone che sono costrette ad incontrarsi clandestinamente al banco dei surgelati al Supermercato e di cui ho raccontato nella pagina del Diario di ieri, possono a tutto diritto considerarsi “una relazione affettiva stabile” e dal 4 di Maggio incontrarsi finalmente alla luce del sole e non più in mezzo ai surgelati.

Roma, 28 aprile 2020

Insicurezza e incertezza al Tempo del Coronavirus

Una frase, nei commenti che ho ricevuto, per iscritto e a voce, riguardo alla pagina del Diario di ieri, di cui ringrazio con sincera gratitudine, mi induce, a tornare sull’argomento , perché penso rispecchi il clima che si respira in questi giorni e purtroppo, a quanto posso vedere , non è un clima gradevole e rassicurante, ma anzi, al contrario, e oltre alla legittima preoccupazione per l’epidemia, si associa, anzi si erge, la sensazione di insicurezza e di incertezza imperanti, che forse è anche più deleteria e pericolosa della stessa epidemia.
“Ha colto nel segno dottore la sensazione che.abbiamo nei confronti di chi governa é di insicurezza”.
Questa è la frase, il commento che ho letto ieri e che tanto mi ha colpito e preoccupato, lapidaria, concisa, sintetica, incisiva, netta, che va dritta al bersaglio e rende in un attimo l’atmosfera in cui viviamo.
Mi ha tanto colpito e preoccupato per il contenuto, naturalmente, ma anche, anzi soprattutto per la incisività nel rendere con poche brevi, ma dirette parole, il sentimento, lo stato d’animo in cui ci riconosciamo e con il quale conviviamo in questi giorni.
Che esista l’epidemia, che sia molto grave, anzi forse la più grave fino ad ora, che sia un pericolo incombente, subdolo, insidioso, minaccioso, tanto, al di sopra degli altri che incombono su di noi, proprio perché è ancora in gran parte sconosciuto, credo che ormai sia ben chiaro a tutti, anche ai negazionisti dell’immediato passato, che ottimisticamente lo paragonavano a quello di una banale influenza stagionale, e ritengo non ci possa essere ulteriormente discussione.
Ma un altro pericolo, forse più gravoso e ancora più subdolo e insidioso, incombe su di noi e ne fa fede il commento che ho letto e che ho riportato integralmente.
Credo, anzi sono sicuro, che la sensazione di insicurezza che si prova nei confronti di chi governa sia certamente più pericolosa, destabilizzante e inquietante della stessa pandemia che stiamo subendo in questo tempo.
Mi ricorda e mi fa rivivere la sensazione di panico, di smarrimento, di sgomento che provavo quando, bambino, ero malato gravemente e, nonostante le parole rassicuranti e confortanti, leggevo negli occhi dei miei genitori la seria preoccupazione, non esplicitata, ma, ancor peggio lasciata involontariamente trapelare, dagli sguardi, dal viso tirato, dal muoversi concitato, che ben al di là delle parole e dei sorrisi falsamente rassicuranti, svelavano una angosciosa preoccupazione e apprensione,
La stessa identica sensazione e preoccupazione la provo io adesso, e penso che con me la provino in molti, che, consapevoli di essere in pericolo, vorrebbero affidarsi ad una guida sicura e confortante, e invece, mutatis mutandis, si trovano a rapportarsi e confrontarsi, con Autorità che decidono e impongono linee guida, comportamenti, limitazioni e obblighi spesso impegnativi e stringenti, ma che non hanno, non posseggono due elementi, che in questo caso sono indispensabili ed inalienabili, ossia la evidente logica razionale cui si sono ispirati nelle loro decisioni, e una chiarezza nella definizione dei termini, dei contenuti, delle specifiche, da cui queste disposizioni sono composte e caratterizzate.
La assenza, la carenza di questi due elementi di chiarezza, fa si che si ingenerino fraintendimenti, dubbi, incertezze, cattive interpretazioni, ma ciò che è ancora più grave e deleterio, si insinua il serpeggiante sospetto che non ci sia detto tutto, che non ci sia rivelato tutto, ma che chi ha il compito e la responsabilità di decisione, sappia cose che noi cittadini non sappiamo, non conosciamo, di cui non siamo al corrente e che quindi certe iniziative e decisioni assunte, possano essere state determinate da elementi a noi ignoti e occultati.
Io sinceramente non credo a queste ipotesi, ma certe ambiguità di comunicazione, certi pareri discordanti di difficile spiegazione e interpretazione sono passibili di essere interpretati in questo modo.
In ogni caso è evidente il clima di sfiducia e di mancanza di affidamento alle Autorità, che serpeggia sempre più diffusamente e che rende ragione, a mio parere delle diffuse violazioni, soprattutto nei giorni di festività, che si sono verificate e si verificano, in assoluto conflitto con una banale e naturale attenzione alla propria salute.
Violazioni e previsioni di queste che hanno comportato un ingente spiegamento di Forze dell’Ordine, per prevenire e reprimere, ciò che ogni logica elementare avrebbe ritenuto impossibile.
Il secondo elemento cui accennavo prima e che anch’esso mina e inficia la fiducia della popolazione nei confronti delle Istituzioni e nel Loro operato, è la mancanza di facile comprensibilità, o meglio la difficile interpretazione dei decreti con i quali si prescrivono regole e comportamenti.
Ci rendono ragione di questo fenomeno i dubbi amletici che ci attanagliano quando ci chiediamo se questa o quell’altra cosa, prima assolutamente naturale e abituale, si possa o non si possa fare e credo purtroppo che il massimo della ambiguità si sia raggiunto con il famoso termine “congiunti”, adottato nell’ultimo decreto e che ha richiesto ulteriori chiarificazioni o spiegazioni, conclusesi poi con la salomonica sentenza di “rapporti affettivi consolidati”, che ha gettato ancora più nel panico i diretti interessati alla ricerca di chiarimenti su quanto tempo di frequentazione occorra perché i rapporti affettivi si possano considerare consolidati.
Al di là della facile ironia, per alleggerire il discorso, mi sembra chiaro che queste ambiguità e difficoltà di interpretazioni, non corroborino la fiducia che noi cittadini possiamo riporre nelle Autorità che hanno il compito di decidere per la nostra salute

Roma,  29 aprile 2020

Tutti insieme appassionatamente… in ordine sparso al Tempo del Coronavirus

Chi è appassionato di Cinema come me e ha approssimativamente la mia età, avrà riconosciuto subito che il titolo di questa pagina odierna del Diario, si ispira ad un famoso film degli anni ’60, vincitore di molti premi Oscar e che fece appassionare le platee di tutte le età, per le immagini e per le musiche.
Questo film e soprattutto il Suo titolo, mi sono tornati immediatamente alla memoria, quando dal notiziario della radio e poi dai giornali ho appreso, come le varie regioni di Italia si preparavano ad ottemperare alle direttive emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in funzione della ormai famosa Fase II, di prima timida e prudente ripresa della vita, dopo il blocco totale, resosi necessario per contrastare il Coronavirus.
Per un attimo, se non fosse stato per la luce elettrica, accesa nel mio studio, a causa dell’ora antelucana, avrei creduto di trovarmi due secoli indietro, in una Italia Che dopo l’esperienza napoleonica e il Congresso di Vienna altro non era che “una entità geografica”, come La definì, con fare sprezzante, il Principe Metternich proprio in quel Congresso, spezzettata, divisa come era in tanti stati e staterelli separati e spesso in conflitto gli uni con gli altri.
Se fossi vissuto in quei tempi, oggi, giorno in cui scrivo, mi troverei nella Capitale dello Stato della Chiesa, uno dei più retrivi e conservatori tra i tanti in cui la nostra Patria era divisa.
Laico e agnostico come sono, avrei avuto vita difficile nella città dei Papi e forse sarei stato un ospite delle galere papali in Castel Sant’Angelo, ma dopo un attimo di panico, per fortuna l’improvviso squillo del telefono, mi ha riportato alla realtà dell’anno 2020 e mi ha ricordato che ora l’Italia è un Paese libero e soprattutto Unito e che gli ideali, le aspirazioni, i sogni di Mazzini, di Garibaldi, di Mameli, di Federico Confalonieri, dei Fratelli Bandiera, di Carlo Pisacane, dei Fratelli Cairoli, di Silvio Pellico, e di Pietro Maroncelli con la Sua rosa, di Carlo Poerio, di Tutti I Mille di Garibaldi e di Tutti gli Altri Martiri del nostro Risorgimento, Che hanno donato la Loro vita per questo Sogno comune di una Italia, Libera e Unita, si sono realizzati, si sono compiuti, sono stati esauditi.
L’Italia è una Nazione, una Repubblica, uno Stato sovrano libero e unito.Questa certezza mi ha confortato e rassicurato, gli Eroi del Risorgimento non sono morti invano, non hanno sacrificato la Loro vita inutilmente.
Un piccolo , crudele, subdolo dubbio, un fastidioso, spiacevole interrogativo, subito fugato dalla consultazione del Manuale di Storia, mi era proditoriamente sorto, si era clandestinamente insinuato entro di me, ascoltando il notiziario radiofonico e leggendo poi il quotidiano alla notizia di come le singole Regioni d’Italia avessero reagito e deciso di uniformarsi alle direttive del Governo in tema di prime prudenti riaperture verso la normalità, dopo il blocco totale provocato dal Coronavirus.
Per un attimo di angoscia e panico ho fatto un salto indietro nel tempo, quando eravamo tristemente separati in tante realtà diverse e disunite, e ancora tanto lontana e di là da venire la nostra Unità.
Solo per dare un pallido esempio delle difformità che tanto mi hanno angosciato e fatto temere:
Trentino: Consentite le passeggiate e le corse a piedi
Lombardia: Via libera ai mercati scoperti solo per prodotti alimentari.
Liguria: Consentito l’asporto di cibo, lo spostamento nelle seconde case e sulle barche, l’apertura dei cimiteri
Veneto: Sì al take away (?) e alle passeggiate.
Toscana : Via libera alla ripresa delle attività per le aziende dei distretti tessili, in particolare di Prato
Abruzzo; Divieto di rientro dalle regioni del Nord fino 18 Maggio
Campania. Sì alla attività motoria (passeggiata, non corsa), con mascherina e soli; ai turisti sarà richiesto il passaporto sanitario.
Puglia: Sì alla pesca amatoriale, riaperti i cimiteri, quarantena per chi rientra da altre regioni
Calabria: Quarantena per chi rientra da altre regioni e via libera a bar e ristoranti con tavolo all’aperto.
Sicilia: Quarantena per chi arriva da fuori e poi tampone.
Mi viene da chiedermi, con stupore e angoscioso sgomento, cosa penserebbero i Martiri del Risorgimento nominati sopra, di tutto questo e se, conoscendolo, avrebbero ancora sacrificato la Loro vita per l’Ideale di una Italia Libera e Unita.

Roma,30 aprile 2020

Roberto Croce
La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo (Jim Morrison)

La gioia di vivere

È notte. La mente sceglie il suo sentiero onirico mentre si addentra lentamente in un fitto bosco, finché la ragione non trova il suo giaciglio per addormentarsi al chiarore della luna. 

Una voce sussurra il mio nome. 

La riconosco nella scintilla che subito si accende nell’anima. 

“Tu?” domando stupito. “Ma allora non sei mai andata via”, aggiungo felice, mentre un raggio di sole già illumina la radura tra gli arbusti di ginepro. 

“Non potrei mai farlo”, risponde lei in un soffio di vento. “Mi conosci, sai bene chi sono” continua intonando un’ode mentre confondo le sue parole con il canto degli uccelli. 

“Sono la fiamma

che accende il desiderio 

di progettare ogni giorno 

una vita migliore,

che riscalda ogni entusiasmo 

e che brucia di passione,

che ti aiuta a sopportare

ogni ferita 

e ogni scherzo del destino,

perché ti basterà guardarmi,

finché c’è vita,

come un fuoco nel camino,

e sarò sempre 

il tuo più grande amore”. 

I colori dell’alba dipingono la mia stanza. Mi affaccio alla finestra e la luce mi restituisce la realtà della solitudine, della libertà condizionata dalla paura, dell’angoscia per il futuro incerto. 

Uno stormo di rondini sembra trascinare una nuvola bianca. “Devo avere sognato“, mi convinco. “Eppure, mi sembra di sentire ancora quel canto….”

“Sono la gioia di vivere. 

E ti porto ogni giorno

il sorriso 

per non sentire il dolore”. 

(Roberto Croce ©️ 2020. All rights reserved).

La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo (Jim Morrison)

La gioia di vivere

È notte. La mente sceglie il suo sentiero onirico mentre si addentra lentamente in un fitto bosco, finché la ragione non trova il suo giaciglio per addormentarsi al chiarore della luna. 

Una voce sussurra il mio nome. 

La riconosco nella scintilla che subito si accende nell’anima. 

“Tu?” domando stupito. “Ma allora non sei mai andata via”, aggiungo felice, mentre un raggio di sole già illumina la radura tra gli arbusti di ginepro. 

“Non potrei mai farlo”, risponde lei in un soffio di vento. “Mi conosci, sai bene chi sono” continua intonando un’ode mentre confondo le sue parole con il canto degli uccelli. 

“Sono la fiamma

che accende il desiderio 

di progettare ogni giorno 

una vita migliore,

che riscalda ogni entusiasmo 

e che brucia di passione,

che ti aiuta a sopportare

ogni ferita 

e ogni scherzo del destino,

perché ti basterà guardarmi,

finché c’è vita,

come un fuoco nel camino,

e sarò sempre 

il tuo più grande amore”. 

I colori dell’alba dipingono la mia stanza. Mi affaccio alla finestra e la luce mi restituisce la realtà della solitudine, della libertà condizionata dalla paura, dell’angoscia per il futuro incerto. 

Uno stormo di rondini sembra trascinare una nuvola bianca. “Devo avere sognato“, mi convinco. “Eppure, mi sembra di sentire ancora quel canto….”

“Sono la gioia di vivere. 

E ti porto ogni giorno

il sorriso 

per non sentire il dolore”. 

Gerardo Pedicini
nel vuoto della clausura

c’è vento e c’è silenzio

nel vuoto pneumatico del cuore.

dietro i vetri

le piazze d’Italia si distendono al sole.

nell’ombra di mezzogiorno

le mura calcinate di rosso rasentano l’oblio.

l’aria è immota, ferma all’età del giudizio.

 l’enigma non può essere sciolto

se il movimento tace ogni voce

e l’occhio diserta ogni volto amico.

Stefano Gaeta
 Ho la schiena scoperta

Nulla di tragico, appena un triangolino di pelle. Il pigiama è abbondante e la coperta a portata di mano, sebbene il letto sia un po’ in disordine. Cercavo quella informazione tra le pagine del giornale. Mi avevano telefonato per prenotare il pranzo. Ma io non ho nessun ristorante. Per semplificare le cose ho chiamato io stesso il ristorante, ma quelli negavano di aver mai proposto un pranzo a quel prezzo. “Ma l’ho letto sul Mattino!” e intanto sfogliavo il giornale avanti e indietro per cercare quel trafiletto pubblicitario. Ogni tanto sembrava riapparire ma poi non era mai quello. Insomma, sfogliando sfogliando, mi sono ritrovato con il letto scompaginato e il tepore che evaporava dalla pelle scoperta. Con un comodo gesto avrei potuto coprirmi, ma quel triangolino di schiena avrebbe lo stesso conservato memoria del freddo. Un’insanabile incompiutezza.

Era una cosa così, come un’insanabile incompiutezza, che ti spingeva a propormi, nelle sere d’estate, interminabili giri in macchina, che pure io avrei voluti ancora più eterni? Era questo che ti rattristava, quando l’estate finiva e riprendeva la scuola: il chiudersi del periodo di libertà senza che avessi trovato o saputo cogliere l’occasione di riempire quel vuoto?

Provavo anch’io qualcosa del genere, ma ero un ragazzino e quel languore insoddisfatto era addolcito dalla fiducia del divenire, del compiersi futuro.

Tu invece sentivi che in ogni caso nulla avrebbe rimediato alla memoria del vuoto.

È per questo che hai tenacemente coltivato la noncuranza di te?

Provo fastidio quando scopro di riprodurre qualche tuo atteggiamento. E invece sono tanto contento quando la stessa cosa capita ai miei figli, che senza averti praticamente mai visto propongono a volte espressioni, frasi, gesti inconfondibilmente tuoi.

Accade, in verità non troppo di frequente, che racconti loro qualcosa di te, perché vorrei che, come me, potessero conservare il sentimento della tua presenza.

Di tanto in tanto sfoglio le tue carte. Trovo il tracciato di labirinti di solitudine, dove nemmeno immaginavo ti fossi andato a nascondere.

Vorrei che potessi parlarmi, mentre ceniamo, e che accarezzandomi con la voce mi spiegassi che quello che stiamo vivendo ora, la pandemia e tutto il resto, è una cosa impossibile. Una cosa che non ci capiterà mai.

Ho la schiena scoperta.

Renzo Brandalise
Il malefico corona virus

Mentre mi preparo il caffè, prima gioia del mattino,

rivolgo fuggevole  sguardo al calendario, nel cucinino.

Stacco il foglietto volante  , come ogni giorno,

e un silenzio spettrale m’avvolge tutt’attorno.

Guardo dalla finestra ,oltre il vetro  , la strada,

e una forte emozione m’assale e non m’aggrada.

L’assordante rumore dei motori che m’accompagnava.

e mi trastullava , ora dopo ora, inatteso se ne andava..

Cammino sulla  via  in compagnia di piccoli insetti,

e frettolosamente  raggiungo la piazza, priva di banchetti.

Chiedo qua e là se eravamo sul suolo lunare,

e mi vien riposto  ,che tutto   lo  fa  apparire.

E’ il corona virus mi dice qualcuno ,che in fretta s’accasa,

il malefico virus che  nei  nostri polmoni  ,si  posa.

Per combatterlo e perché non faccia    troppo male,

l’autorità a disposto che ,stare in casa,  è obbligo legale

Ora cosa si fa mi chiedo annaspando tra varie soluzioni;

mia nonna toglierà i ferri da lavoro dai  cassettoni.

 Si dedicherà ,come una volta, al lavoro a maglia;

Io salirò in soffitta a cercare  la tombola di zia Amalia.

Studierò come funzionano quegli aggeggi tecnologici,

che non ho mai capito   seppure con l’aiuto di amici.

In soffitta entrerò  tante cose ,a suo tempo abbandonate,

e cercherò quelle  che ritenevo di essere mai più usate .

Certo nuovi stimoli dal malefico batterio ritroveremo,

che ci faranno riscoprire cose che accantonate avevamo.

Un mondo nuovo, che certo non sarà quello passato ,

perché nuova linfa  cercheremo con spirito rinnovato.

Tutti i mali non vengono per nuocere dice un vecchio adagio,

i quali  ci    aiuteranno a superare  il sofferto e grande  disagio .

Speriamo, comunque ,che questo  male  se ne vada presto ,

perché in nostri cari,che  non ci sono più, non volevano questo.

Se ne sono   andati in silenzio ,senza lasciarci, un bacio,
                                                                       un sorriso,

perché il subdolo ,gelido e spietato  germe,  non li ha
                                                                       dato preavviso.

Dovevano affidarci ancora tanti   insegnamenti di vita,

e  trasmetterci i segreti della loro esperienza vissuta.

L’amore verso i defunti  s’è trasferita lassù nella volta celeste,

ma, della  loro esperienza vita, non abbiamo perduto niente.

Hanno camminato con no  a lungo sulle strade   della vita,

e sin, da quand’eravamo piccoli , ci hanno sorretti

                                                           con bontà infinita.

Lucia Stefanelli
Divagazioni in margine al Coronavirus

Succede sempre.

Mai capace di pronunziarmi quando un evento suscita coralità di voci!

Trovarmi nel cuore del vortice di un accadere mi diffida, mi toglie la parola. So di dover aspettare. L’attendere mi tiene in anticamera.

Non temo la gestazione della montagna che partorisce poi il classico topolino, perché non mi ergo a nessuna altezza e quanto mi piace dire serve essenzialmente a me stessa. Per fare chiarezza.

Se lo partecipo ad altri, è pura offerta testimoniale.

In piena umiltà.

L’aggressione imprevista di questa pandemia ci ha rintanati tutti e, di certo, la qualità della tana ha fatto la differenza. Un po’ come accade per certi arresti domiciliari  ” sofferti” in ville splendide con parco e piscina!

Sì, la casa è diventata protagonista in questo periodo ed abbiamo imparato ad apprezzarla di più: nel suo spazio, nella sua accoglienza, nel suo abbraccio. Abbiamo capito anche quanto di noi siamo riusciti a proiettare in essa e quanto dei nostri percorsi essa abbia conservato e custodito con cura.

Ecco i libri mai letti, i CD mai ascoltati…

Quel dopo, sempre procrastinato, che aveva reso inutili le nostre maniacali raccolte, gli abbonamenti alle riviste, gli elenchi delle persone da ricontattare…

Ho sempre vissuto molto sull’esterno: per carattere, per professione, per claustrofobia morale!

Il tempo degli anni mi ha espresso tutta la sua fertile intensità.

Oggi, però, più che il ricordo, ne è rimasto l’esproprio dalla tangibilità: tutto sembra sfumato in un improbabile sognato di cui non mi sento più né artefice né partecipe.

Tutto un sogno, appunto.

Non so quanto Shakespeare avesse ragione definendoci “della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” ( o gli incubi), ma di certo avevo sempre contestato l’affermazione perentoria di Calderon de la Barca: – “La vita è sogno”. –

Eh, no. Per esperienza!

Il dolore è dolore! Le circostanze coartanti! Gli eventi avvenuti!

Oggi solo ho capito: sogno è il vissuto rimasto alle nostre spalle; sogno è l’inconsistenza del ricordo, l’indifferenza delle cose che testimoniano, imperterrite, la scomparsa di chi non più interagisce con loro.

La casa adora il suo silenzio, ed anch’io.

Mi piace quel linguaggio muto degli angoli di accoglienza, con la poltrona slabbrata, il cassetto del mobile che promette da tempo una sorpresa, la tenda che danza alla prima folata.

Ho cambiato troppe case nella mia vita!

In alcune mi sono sentita ospite e provvisoria, da altre mi ha scacciata la precarietà degli eventi.

Oggi vivo in casa il mio approdo pigro, ma anche il luogo sacro dell’incontro con me stessa. Ritrovo un impalpabile patrimonio accumulato negli anni della formazione, fatto di studi e di disciplina, di ricerca di senso, di speranze composite, attese e negate a un tempo.

Ritrovo tra le pagine di sempre i miei più veri amici ed accerto loro la mia gratitudine per la forza che mi hanno arrecato.

Quanto si parla in giro!

Quante deleghe decisionali affidate agli occhi parziali degli esperti!

E’ tempo di richiesta di certezze.

Io, no. Non ne richiedo.

La mia libertà è quella di non richiederne, appunto. Di accettare la volatilità del presente e la curiosità vitale del futuro, pronta sempre al viaggio di Ulisse, senza muovermi dalla mia stanza.

Certo, a dover essere onesti, il molesto virus si è presentato in un tempo della mia vita meno scalpitante.

E’ l’età che sconsiglia.

Le restrizioni mi sono apparse, perciò, meno lesive.

Non nascondo che qualcuna mi ha aiutato addirittura a far spazio intorno, interpretando magari un desiderio di stanchezza e di saturazione ancora inespresso, ma giunto lì, pronto a traboccare.

Ora mi aspetto, come è per tutte le cose umane, che anche questo triste evento sia capace di mostrarci un minimo di lato positivo

Tanta terribile emergenza, tanta falcidie, tanti anziani espropriati dai loro anni pensosi, tanti funerali muti…

Questo nostro tempo, così disperso, eccessivo, deragliato, globale, ed obbligato all’asservimento ad un ritmo frenetico, ha subito il trauma dell’impotenza, sperimentato l’impossibile trattativa con la morte.

La falce apocalittica ha lasciato il turbamento iconografico della rappresentazione e si è fatta operatrice concreta di un atto che si avverte sempre come profondamente disumano.

Eppure è, invece, umanissimo nella sua definitiva lacerazione.

Tutta la pietas si concentra in questa meditazione.

La verità ineludibile chiede il suo resoconto.

Se quel pensiero ci è sempre stato compagno, la docilità del giunco ci aiuta ad una consapevolezza che mitiga la pena dell’accettazione.

Non si tratta di viverne l’ossessione, ma di saperla compagna quella fine che dà senso a tutta la nostra esistenza, che ci consente l’ottica del distacco che modula ogni giudizio e rende sobria e veritiera la valutazione delle cose.

Un virus, un esserino microscopico ed empio, ha sovvertito tutta la nostra vita quotidiana: ci ha alterato abitudini e pensieri, ci ha imposto reclusione e tempi, ci ha lasciato a fare i conti con noi stessi restringendoci il mondo circostante alla nostra piccola dimensione.

La preoccupazione di come occupare il tempo ci ha precipitato nella vertigine di ore dilatate ed allora, soltanto allora, ci siamo ricordati che esisteva il gusto di una manualità provvida, magari affidata all’ago e al disegno, all’aggiusto e al recupero del dismesso, all’esigenza di coniugare un ordine più giustificato e razionale nel sistemare le nostre cose, i libri, i regali ricevuti, i bizzarri ninnoli da salotto che da sempre ammiccavano al valore dell’inutile.

Dopo, dopo come ne usciremo?

Vorrei dire ridimensionati. Sanamente ridimensionati.

Non più affidati all’orgia della dispersione, non più fagocitanti la vita, ma con il sentimento accresciuto del suo valore, con un rinnovato gusto della riconquistata libertà. Quella libertà che consente la corsa ebbra e liberatoria, ma che conosce la responsabilità che le presiede e dà valore proprio a quello slancio di vitalità e di gioia che la contraddistingue.

Un auspicio? Certo.

Un’illusione? Mi auguro proprio di no.

Nel diritto al futuro delle più nuove generazioni.

Antonio Cervelli
Un cambio di “vocale”
 

Che sempre la “ corona”

                                sia virile

e senza mai essere virale,

soltanto con un cambio di vocale

che metta in auspicata fuga il male

col sogno vagheggiato che m’assale

e a un tempo fa da prosa e da messale…

Nei miei aerei trasporti del pensiero

trovo la forza d’essere severo

senza che poi il cuore indossi il nero

credendo che già questo è duro e altero.

Francesco Paolo Tanzj
Risveglio

Si era risvegliato quasi all’improvviso dopo una strana notte dove agli incubi e ai pensieri dubbiosi si alternavano momenti di sonno profondo in una sorta di giostra pericolosa e altalenante che lo avevano fatto entrare in uno stato di ansia fuori controllo di cui non riusciva neanche a rendersi conto. Ma così era e doveva farsene una ragione.

Marco si strappò letteralmente le coperte di dosso e restò steso ancora un po’ guardando il soffitto rischiarato dalle prime luci del mattino mentre con la mano tremante si asciugava il sudore sul volto stropicciandosi gli occhi e tastando con le mani il petto ansimante.

Era il 4 maggio e a sentire le notizie del telegiornale, compresi decreti ministeriali, avvisi della protezione civile e quant’altro, era il giorno in cui sarebbe cominciata la tanto attesa fase 2 con tutto quel che ne conseguiva. Tutti all’erta dunque, si ricomincia a vivere, a fare qualche passeggiata, a rivedere negozi aperti e a cogliere i primi sintomi di un certo ritorno alla normalità. Ma con la dovuta attenzione, mi raccomando – dicevano dal governo e dagli organi di stampa – perché altrimenti ci vuol poco per tornare a nuovi, drammatici picchi di contagio. Forza con guanti e mascherine, allora, e niente assembramenti pericolosi e fondamentalmente stupidi e autolesionisti!

Nei giorni – o mesi? – precedenti aveva vissuto, come tutti, chiuso in casa come un recluso di un penitenziario, uscendo soltanto per fare la spesa o portare a spasso il cagnolino e guardando con fare sospettoso le rare persone che incontrava qua e là, sentendosi tra l’altro in colpa di non essere abbastanza concentrato sui fatti e soprattutto sui doveri.

Solo come un cane, in casa si era pian piano adattato alla situazione cercando motivazioni e stimoli per andare da una camera all’altra alla ricerca di qualcosa da fare per non cedere alla noia e ancor peggio per non cadere in fastidiosi momenti di depressione. Cosa non difficile quando non c’è nessuno con cui condividere ansie e punti interrogativi su questa assurda storia capitata così all’improvviso quando nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Sì, certo, ne aveva sentito di storie più o meno banali e ripetitive di chi sperimentava nuove torte al mango o usciva a cantare sui balconi o rimbiancava gli infissi o seguiva lezioni di fitness collegandosi al tablet o addirittura reinventandosi improbabili giochi solitari o di gruppo – rigorosamente on line – per dare un senso alle giornate che non passavano mai. Per non parlare dei gruppi facebook o whatsapp – che lui aveva sempre visceralmente odiato – dove la gente si scambiava opinioni o lamentele o critiche a questo e a quello quasi soltanto per sfuggire alla disperazione della solitudine.

In realtà Marco di cose da fare ce ne aveva a bizzeffe. Il problema era non saperle gestire nello spazio e nel tempo. Poi pian piano aveva ricominciato a muoversi con un ordine tutto suo utilizzando i frammenti di tempo necessari a passare dalle azioni fisiche più o meno dovute a ritorsioni mentali fatte di pensieri e conseguenti ticchettii sulla tastiera del pc per dar vita a nuove, minime scritture da tempo lasciate andare nei cassetti del suo animo annichilito dai soliti, eterni dubbi esistenziali che lo avevano sempre destabilizzato. Come fare a muoversi ordinatamente tra rimorsi e rancori, ricordi di occasioni perse per non aver saputo agire nell’attimo e delusioni trasformate in laissez-faire di dubbia consistenza, lancinanti confusioni sentimentali e troppo facili gesti incontrollati?

Ora però era giunto il momento di decidersi e di uscire dall’empasse, strano a dirsi, proprio adesso che il tempo della reclusione era giunto al suo culmine. O, come si dice, al picco. Ma questa era un’altra storia. Aveva appena finito di rimettere ordine tra un mucchio indescrivibile di vecchie foto ingiallite dal tempo sistemandole momentaneamente in sequenza temporale dentro un cassetto del soggiorno, tirò un sospiro di sollievo e si diresse in cucina per andarsi a fare un caffè. Tutto bene, ma mancava qualcosa. Si sentiva solo, troppo solo. Doveva ammettere che proprio questo era il problema.

Cristo, da quanto tempo non vedeva più Rossana? Questa storia assurda del coronavirus li aveva dolorosamente allontanati e non bastava telefonarsi chissà quante volte al giorno o stare attaccati per ore allo smartphone con le videochiamate per compensare l’insostenibile voglia di toccarsi, stare vicini fisicamente e non come si diceva in quei giorni solo “virtualmente”.

Quella notte poi era stata diversa da tutte le altre, almeno di quel maledetto periodo di quarantena.

Dopo un primo momento – non riuscì a ricordare quanto lungo – di sonno profondo, e chissà cosa si era mosso nel suo subconscio latente, si svegliò di soprassalto e cominciò a macinare pensieri di ogni tipo che lo fecero quanto più agitare senza tuttavia venirne a capo in nessun modo. Problemi insoluti lasciati andare a causa anche di quella maledetta quarantena che in fondo non era mai riuscito a digerire del tutto e che adesso, nel cuore della notte, gli apparivano ancora più grandi e irrisolvibili. Ma non era certo adesso il momento di affrontarli! Cercò di scacciarli via girandosi da una parte all’altra del letto come invaso da una torbida mania. Non riusciva nemmeno a guardare la sveglia sul comodino per capire almeno che ora fosse, ma dopo un po’ – quanto? – ripiombò nuovamente in un sonno agitato e angosciante.

La bicicletta senza freni saltellava sotto il suo peso di bambino un po’ grassoccio mentre lui girava senza sosta intorno alla palazzina dei suoi, incurante dei richiami della madre che lo invitava a salire su perché il pranzo era pronto. La bambina del piano di sopra che rideva, rideva. Poi d’improvviso il mare che travolgeva tutto nonostante gli amici e i fuochi sulla spiaggia per bere e cantare canzoni come se morissero senza lasciare ilo tempo per capire come e perché. Quella volta, ancora, che non era riuscito a capire perché lei se n’era andata e lui sempre lì che non riusciva a capire che il giorno dopo sarebbe stata possibile una semplice telefonata. Le follie, le incomprensioni, le avventatezze in una ridda di sensazioni accumulate sotto una vera e propria cascata del Niagara che tutto travolgeva senza possibilità di scampo. E il lancinante dolore al braccio, alla gamba incastrata dentro l’ingranaggio del Velosolex come ogni volta gli ricordava il vecchio Snaporaz nelle sue elucubrazione senza capo ne’ coda ma sempre assolutamente veritiere come i messaggi dell’aldilà, anche adesso che sta sprofondando in un baratro senza fine, senza alcuna speranza di salvezza e tantomeno di una possibile redenzione. Buio totale, clangore di lamiere contorte, cosa fare, cosa fare, cosa fare?

Bum, bum, bum, il rimbombo ossessivo di una sorta di musica ancestrale proveniente dall’Ade di un’antichità probabilmente mai esistita se non nella fantasia di chi ci crede per perdersi nella storia fatta di storie di un inconsapevole rigurgito psicanalitico di essere e non. Ma questo frastuono non gli dava pace  e così era perdio e non c’era ormai più niente da fare. Perché i giochi erano fatti  e ormai nulla lasciava presagire un pur moderato ritorno allo stato di pace.

Perché poi tornare al fatidico appuntamento delle sei di sera con tutti quei numeri e avvisi disperati, ora che è notte e a nessuno gliene frega niente di questa assurda, fantascientifica fine dell’umanità? Apre gli occhi per un istante per poi ripiombare nel nulla scarnificato di un’onda che tutto travolge coi suoi detriti di plastica e di idrossicloridichina come fosse la scrittura automatica del buon vecchio Jack quando cercava di inabissarsi nell’inconsistente Dharma senza peraltro potersi nemmeno immaginare quale fosse l’unico, vero pernio di questo infinito, improbabile gioco virtuale.

Francesca Lo Bue
Lo straniero

E non è male morire.

Dal silenzio che scivola dolente

mancano le parole all’enigma del domani,

topo oscuro nelle caverne dello spazio,

nelle strade del tempo breve.

Arriva l’estraneità

e scivola tenue fra i capelli

col grumo di una colpa antica.

Arriva nel tempo della vittima,

scava con una lingua infuocata

deponendo uova nere nel silenzio senile.

Una bara nel cuore e la morte nel sogno

per abbandonare i labirinti aggrovigliati di ingiustizia.

Il terrore

Un pugno di silenzio,

un fremito che sboccia, putrido,

in grido mozzato.

Dalle esili foglie sfiora un eco d’ali.

Il tuo passo, Dio delle Altezze.

Nella pace di Te bruciore di morte.

Lasciami arrivare,

trapasso i sogni inutili e le vie impietrate

fin dove s’infiamma una stella di pianto.

Desio di te, del tuo germe salmastro,

pena di radice purpurea,

vita in sensi di carne.

Lo spazzacamino canta nella neve,

un’aria si spande nello scricchiolare dei timpani.

Silenziano le ombre, è breve l’occaso.

Erminia Gerini Tricarico
La cura

 Domenica 26 aprile. Il primo sintomo si è affacciato questa mattina. Avevo dato la pappa ai miei gatti e saltando il rito del caffè sono ritornata a letto. Guardavo le lancette segnare un’ora dopo l’altra, ma la cosa non mi riguardava. La giornata si annunciava sciatta e avevo una gran voglia di piangermi addosso. Ma anche questo mi costava fatica. Non sapevo da dove cominciare. Dai limiti che tutti dovevamo sopportare? Dall’elenco dei rimpianti? Da quello dei rimorsi? Così, pian piano si è cancellato il programma della mattinata. Dovevo solo pranzare con mio figlio e ritornare a letto sottraendomi alle piccole incombenze del pomeriggio. Ma qualcosa di me lo ha reso inquieto e mi ha proposto il giro del palazzo, come gli avevo chiesto la sera prima, e sono tornata a casa sfinita. Alle 16 avrei dovuto ripassare gli aggettivi della prima dispensa di “English da zero” per rispettare la cadenza dell’apprendimento. Imparare questa lingua a 77 anni era la mia riposta al coronavirus.  Mi serviva per immaginare un futuro di viaggi e la libertà di muovermi e di comunicare nei Paesi anglofoni. Perché da quando il mio compagno mi ha lasciato devo ricordare che non c’è più lui a prendersi cura di me.  Negli anni della sua malattia il rapporto era cambiato. Si affidava a me e con la sua splendida canzone Battiato mi suggeriva le parole per rischiarare i suoi momenti bui e fargli credere che tutto sarebbe andato bene:

“Guarirai da tutte le malattie,

perché sei un essere speciale.

 Ed io, avrò cura di te”.

Sono state le ultime parole che gli ho sussurrato prima che si addormentasse per sempre. Da quel giorno non l’avevo più ascoltata, né tanto meno cantata. Oggi la mia esistenza era malata e avevo bisogno di piangermi addosso. Ogni distanza era siderale. Ma Battiato mi ha presa per mano, mi ha aiutata a scendere dal letto e mi ha accompagnato davanti allo specchio. Ho visto la donna che stava deludendo il suo compagno, convinto di lasciare una persona forte, in grado di andare avanti. E al mio viso spento ho cantato:

”Ti salverò da ogni malinconia,

Perché sei un essere speciale

Ed io avrò cura di te.

Io sì, che avrò cura di te”.

Pasquale Sica
Palingenesi

Mi chiamo Arvo, nome strano, questo però non c’entra nulla. Il punto è che l’ora sta per scoccare, che ogni indugio può rivelarsi fatale, che la decisione (qualunque sia) va presa all’istante. Ma io continuo a esitare. Anni di comando hanno sedimentato in me la convinzione che vince chi gioca la sua carta per ultimo. Questa volta però è diverso. Questa volta non si tratta di una sfida, ma di vite umane. Sollevare la saracinesca, liberare la mandria dopo mesi di clausura, non mi sembra una decisione saggia. Ho detto mandria? Chiedo scusa, ma l’immagine degli zoccoli che mordono la terra battuta, della polvere che si alza, delle palizzate travolte mi è balzata in mente spontanea.

Mi domando in ogni caso se, a dispetto della fama di uomo aperto, sensibile, progressista, non alberghi in me un fondo di razzismo. Non potendo però approfondirla, derubrico la questione a spiffero molesto dell’autocoscienza critica.

Ma è davvero quello il dilemma?

No, è tutta una sceneggiata. Perché l’alternativa è lasciare tutto com’è, le strade deserte, la gente chiusa a doppia mandata. Una roba improponibile. Ti vai allora a porre le domande vere e ti rendi conto di come tutto invece danzi sull’orlo dell’assurdo.

È proponibile che le persone muoiano lontane dai loro cari? Abbiamo il virus, dicono, e ci possono contagiare pure i morti.

Ma a parte che gli esseri umani hanno bisogno di spazi aperti, prima, quando il virus non c’era, era normale relegare i vecchi lontano dalla vita e fingere che continuassero a vivere? 

Qualcuno bussa.

Non ci sono per nessuno. Quindi non solo non rispondo, ma a dir poco m’infurio. Passa un minuto e bussano di nuovo.

Mi alzo dalla poltrona, mi dirigo verso la porta e giro nervosamente la maniglia.   È la mia donna. Sa che corro un rischio grave ed è venuta in mio soccorso.

Posso fare qualcosa? mi chiede con un filo di voce.

Purtroppo no, rispondo, e inizio a piangere.

Lei mi copre di carezze e io mi addormento con dolcezza, come non mi accadeva dall’infanzia. Quando mi risveglio la mia donna è ancora là, non parla, ma io adesso la guardo con riconoscenza. Poi mi tolgo il cappello, lo avvolgo in una busta e ci avviamo verso l’uscita.

L’enorme piazza che si allarga davanti al palazzo presidenziale è vuota, se si eccettuano i militari, che al mio passaggio scattano sull’attenti. Sono tentato di dire ragazzi, finiamola con questo teatro, ma non lo faccio. Mi limito a salutarli agitando la mano, come fossero vecchi amici.

La mia donna mi chiede dove stiamo andando.

Non lo so, ribatto, ma questo è solo l’inizio. Il nemico invisibile non è il virus. È questa depressione maligna che spezza i pensieri, che corrode la fiducia, che chiude ognuno nel recinto delle sue paranoie.

Queste banalità lasciale agli psichiatri, replica lei. Nessuno ne vuole parlare, ma il virus ha subito una mutazione, ha trovato la via per entrare nel cervello. E lo sta già facendo. Lui non deve chiedere permessi.

Il virus, nei nostri cervelli, c’è già da un pezzo!

Non sto scherzando. Quello, tempo un mese e ci sbriciola tutti. Altro che aprire o non aprire le fabbriche.

Quando mi hai fatto addormentare mi è venuta in sogno una donna misteriosa. Forse eri tu con sembianze diverse. In ogni caso siamo entrati, io e lei, in una casa antica, disabitata, ma subito ne siamo usciti perché dentro c’era odore di muffa. Fuori invece l’aria era limpida, da primavera avanzata, come ora. Io avevo fretta di tornare da te, ma la donna misteriosa mi tratteneva con discorsi inconcludenti.

A un certo punto mi ha sussurrato in un orecchio delle parole che ho subito dimenticato. Ma il loro significato mi si è però impresso dentro. Mi ha voluto dire che l’epoca è arrivata al capolinea, che questa è la vera urgenza.

Che idea originale! mi gela lei. Ma la sensazione di inadeguatezza che m’invade non ha modo di attecchire, soppiantata com’è dalla percezione che il tempo sta per scadere.

Finché i nostri cervelli saranno occupati da pensieri opachi, mi affretto perciò a concludere, nessuno sarà veramente libero. E nessuno potrà esercitare l’arte del comando. Perché comandare a persone non libere non ha senso. Questo dirò tra un’ora esatta, nel mio ultimo messaggio.

Al risveglio, stamane, non sono per niente stupito che, nel sogno, mi chiamassi Arvo. Ieri ho visto un film bellissimo, sull’arte della composizione, con protagonista Arvo Pärt, uno dei musicisti che amo di più. A essere sincero dovrei dire che lo adoro. spiega il ruolo di presidente di una nazione imprecisata, forse addirittura del mondo, che gli attribuisco nel sogno.

Mi torna intanto alla memoria l’intensità dei suoi Preludi, quelle note liquide, che cadono come gocce di luce distanziate sulla cupa superficie dell’oceano e una dopo l’altra s’inabissano. Rivedo i movimenti di quelle mani, la sua concentrazione, la sua ostinazione nel cercare il ritmo, la cadenza perfetta. E continuano a rapirmi, nel ricordo, le epifanie dei suoi sorrisi, la sua faccia pensosa, solenne, che all’improvviso s’illumina e diventa quella di un bambino.

E se provassi, riaddormentandomi subito, a entrare di nuovo nei suoi panni e a fare io il discorso alla nazione?

Che pensiero sciocco! Mica sono un politico. E non sono neanche un musicista. Detto anzi tra noi, mi sento negli ultimi tempi attraversato in lungo e in largo, come una giornata autunnale, da pensieri opachi. Non sarei perciò dell’umore giusto per parlare di libertà.  Meglio perciò che non mi riaddormento. Meglio, anzi, se tutti noi ci teniamo svegli. Abbiamo battuto pesante la testa e dobbiamo assolutamente tenere gli occhi aperti e il cervello in funzione.

A proposito, e se fosse vera la diceria che il virus, una volta penetrato nella scatola cranica, attacca le sinapsi e non si arresta, nella sua micidiale destrutturazione della materia grigia, che dopo aver ridotto ogni neurone a una minuscola, insignificante isola?  In tal caso davvero la specie umana sarebbe retrocessa a mandria incapace di reagire e perciò destinata a estinguersi.

La desolazione che vedo intorno m’impone tuttavia di essere ottimista. Allora chiudo gli occhi, ma non per rifugiarmi in un sogno. Voglio solo difendermi dal dolore, non lasciarmi sopraffare dalla tristezza, dagli sguardi persi nel vuoto delle persone che incontro per strada. E voglio provare a immaginare che, alla fine, tutto questo servirà. Che possiamo di nuovo onorare i morti (nostri e degli altri, di terra e di mare), ma anche i vivi, non aspettando che uno crepi per parlarne bene o che muoia di morte violenta per onorarlo.

Voglio che un giorno non lontano ci scambiamo di nuovo carezze, baci e abbracci, ma solo con chi lo vuole, abolendo costrizione e ricatto nei rapporti affettivi. Che siamo riconoscenti, e non solo quando ci sentiamo in pericolo, con chi lavora per preservare la vita e inflessibili con chi semina morte. Che sosteniamo la scienza proprio perché ci dà certezze provvisorie e diffidiamo di chiunque tenti di propinarci certezze assolute. Che consideriamo come oltraggio personale ogni ferita inferta alla Terra.

Mi fermo qua per non stilare una lista di desideri irrealizzabili. E non lo dico per un rigurgito di pessimismo. Lo dico perché ho paura. Non del virus. Da quello stiamo imparando a difenderci. Ma chi ci difende dall’arroganza degli ignoranti?

Allora mi fermo qua. Chi potrebbe d’altronde darmi ascolto se gli confidassi di nutrire, in un angolo poco illuminato del cuore, la speranza che prima o poi l’odio venga rigenerato, al pari di un olio esausto, e riutilizzato, in una sorta di economia circolare dell’energia psichica, per espungere invidia e maldicenza?

Nessuno.

Come nessuno se la sentirebbe di condividere con me l’attesa di un tempo in cui l’arte, la poesia, la musica tornino a essere fuoco e non passatempi. Di un tempo in cui il pensiero si liberi degli schemi, che riducono la fertile molteplicità di ogni cosa in un’unità sterile e ripetitiva. Di un tempo in cui il sacro torni tra noi come serena accettazione del limite e come celebrazione della vita, dell’eternità di ogni suo momento.

Che altro posso dire? Niente. Solo che, a ripensarci, la matrice del sogno non è stato il musicista. Lui si è limitato a fornire la machera. Quello è stato invece un vero e proprio sogno di onnipotenza, rappresentazione capovolta di questo nostro sentirci in prigione, non liberi nemmeno di andare di notte a contemplare la luna.

E come ne sono uscito?

Nella maniera più scontata. Proiettando la moratoria alla cattiveria umana indotta dal virus in un futuro che sa tanto di età dell’oro, di palingenesi, di mito dell’uomo nuovo.

Sento un brivido scorrermi dietro la schiena. Quante volte è già accaduto? Quante volte l’idea di ripartire da zero, di eliminare il male dal mondo ha partorito sistemi di dominio ancora più opprimenti e pervasivi di quelli che s’intendeva combattere?

Allora?

Allora è meglio che archiviamo la palingenesi e ci teniamo svegli.

Stefano Patera
La prigione dorata

Nella prigione dorata,

da questo letto senza cuore

hai scritto la tua lettera di nascosto,

dedicata ai tuoi figli e nipoti.

Sembrava infatti che non ti mancava niente ma non era così…

mancava la cosa più importante, la carezza dei tuoi figli, dei tuoi nipoti,

il sentirsi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”

In tanti anni ne hai viste così tante

e come dimenticare la tua miseria dell’infanzia,

le lotte con tuo padre per farsi valere,

tua mamma sempre attenta ad ogni respiro

e poi il fascino di quella scuola che era per te come un sogno

poterci andare, una gioia, un onore.

A cosa servono queste morti ?

A manipolare le coscienze e i tribunali?

Non volevi aggiungere altro perché non cercavi vendetta,

in questa prigione dorata.

Hai compreso di non avere più tanti giorni,

dal tuo respiro,

hai sentito che ti restava solo la tua esile mano

a stringere una penna ricevuta per grazia

da una giovane infermiera che ha l’età di tua figlia.

La prigione dorata

si, così l’avevi pensata ricordando un testo scritto

da quel prete romagnolo, don Oreste Benzi

che parlava di questo posto.

Ma vorresti che sappiano tutti

che per te non dovrebbero esistere

le case di riposo, le “prigioni” dorate,

e quindi, si, ora che stai morendo lo puoi dire:

ti sei pentito di venire qui !

Dicevi di far sapere  ai tuoi figli e nipoti

che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide:

l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale,

nella prigione dorata.

Prendete cura di voi.

Alessandra Cesselon
Le donne del pane e delle rose. 1° maggio 2020

L’arte è bellezza, è come una donna, è come una rosa!

Era il freddo inverno del 1912, un anno in cui l’arte e la cultura fiorivano.

Era l’anno in cui Edward Hopper dipingeva la vita quotidiana dei quartieri popolari e si soffermava sulla condizione dei lavoratori nel porto.  Era l’anno in cui Edvard Munch disegnava con i suoi tocchi graffianti i Lavoratori nella neve, e Tamara de Lempica, studiava nozioni di pittura in Francia. Nello stesso anno avveniva la prima importante esposizione futurista a Parigi con Marinetti, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo. Claude Debussy intanto componeva meravigliose musiche per i Balletti russi di Sergej Djagilev e Vasilij Kandinskij, creava il famoso dipinto a olio su tela: Improvvisazione 26

Ma il mondo non era fatto solo di rose.

 Siamo a Lawrence, una fiorente città tessile americana che era attraversata da profondi turbamenti. I lavoratori di Lawrence vivevano in grandi edifici affollati e pericolanti. Erano comuni molte malattie, e il tasso di mortalità infantile era del 50%

L’aumento della produzione permise ai proprietari delle fabbriche tessili di tagliare i salari, licenziare gran numero di lavoratori, e assumere in nero donne e bambini.

Coloro che mantennero il posto di lavoro guadagnavano meno di 9 dollari a settimana per 56 ore di lavoro.

Erano i primi di gennaio del 1912, e… iniziò lo sciopero.

 Ai lavoratori di Lawrence, si unirono operai provenienti da altre fabbriche americane, e, nel giro di una settimana erano 25.000 i lavoratori in sciopero. C’erano tutti gli operai, anche le donne. E cantarono, organizzarono spettacoli, balli, dibattiti e sfilate, e in queste manifestazioni c’erano tante lavoratrici che portavano cartelli e urlavano a gran voce “Vogliamo il pane, ma anche le rose”: non volevano solo una paga dignitosa, ma anche la possibilità di godere delle cose belle della vita.

Lo aveva detto la prima volta Rose Schneiderman[1], si chiamava proprio Rose, una tra le più importanti figure sindacali, femministe e socialiste americane…

Diceva Rose: “Ciò che la donna che lavora vuole, è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere: il diritto alla vita, al sole, alla musica e all’arte.

L’operaia, così come tutte le donne, deve avere il pane, ma deve avere anche le rose!”

Ma lo sciopero continuava.

Durante una manifestazione le milizie misero con le spalle al muro un folto gruppo di persone: partì uno sparo e morì Anna Lo Pizzo, una giovane donna di 34 anni.

E lo sciopero continuava….

Qualche tempo dopo, i problemi aumentarono.  Molti bambini appartenenti alle famiglie dei lavoratori non avevano da mangiare.  Avevano pensato di mandarli col treno da famiglie amiche in altre città degli Stati Uniti, ma i poliziotti risposero attaccando le donne e i loro figli alla stazione ferroviaria, li bastonarono e li trascinarono via in camion militari.

Ma lo sciopero continuava.                                   
            
Finalmente il 14 marzo dopo due mesi e mezzo di sciopero, i lavoratori ottennero, almeno in parte, quello che avevano chiesto! Fu una grande vittoria!

 Lo sciopero di Lawrence aveva dimostrato che i lavoratori oppressi e di diverse nazionalità potevano unirsi, organizzarsi e condurre una lotta  efficace per ottenere concessioni da parte dei dirigenti. Le donne di Lawrence, per la prima volta furono protagoniste delle proteste come i loro uomini e furono anche le prime che, anche in virtù delle recenti lotte del movimento femminista, riuscirono a prendere coscienza del loro stato, della loro dignità. Le donne portarono un valore aggiunto alle lotte degli uomini, col testimoniare che nella vita, oltre al pane, non possono mancare anche le rose!

Una poesia di uno scrittore e poeta americano sul tema:

James Oppenheim
(Saint Paul, 24 maggio 1882 – New York, 4 agosto 1932) .

Il Pane e le Rose

Mentre marciamo, marciamo, nella bellezza del giorno,

Milioni di cucine buie e cupe, miriadi di grige soffite,

Son tutte toccate dalla radiosità, che un sole improvviso
                                                            dischiude,

Poichè la gente ci sente cantare “Pane e Rose! Pane e Rose!”

Mentre marciamo, marciamo, noi combattiamo anche
                                                           per gli uomini

Perchè anche loro son figli di donne, e, noi per loro,

madri ancora.

Le nostre vite non dovranno esser sudate dalla nascita

fino alla fine;

I cuori hanno fame così come i corpi: dateci pane,

ma dateci anche le rose!

Mentre marciamo, marciamo, innumerevoli donne morte

piangono attraverso il nostro canto, il loro antico

grido per il pane.

Arte e amore e bellezza i loro spiriti affaticati conobbero.

Si, è per il pane che lottiamo, ma anche per le rose!

Mentre marciamo, marciamo, portiamo giorni migliori.

Poichè la rinascita delle donne significa

la rinascita dell’umanità.

Non più la fatica e la noia che tessono la trama del riposo,

Ma la condivisione delle gioie della vita: Pane e Rose!

Pane e Rose!

Le nostre vite non dovranno esser sudate dalla nascita

fino alla fine;

 I cuori hanno fame così come i corpi:

Pane e Rose! Pane e Rose!

Antonio Scatamacchia
Il Covid 19 in Africa

Ci sono stati nella trasmissione delle continue notizie utili ma assordanti solo accenni alla situazione della diffusione del Covid 19 negli Stati africani e, sommersi dalle notizie sulle case di cura per anziani e di degenza per disabili e sulla loro gestione molto improvvisata ed erronea, ci siamo dimenticati di quel continente. E tutte le volte che ne ho fatto accenno agli amici medici mi sono sentito rispondere che sarà il vaccino a interrompere la pandemia in quel continente che, in moltissimi Stati, si presenta poco attrezzato dal punto di vista dei ricoveri e delle terapie intensive. Ma il vaccino, dicono, potrà essere diffuso su ampia scala solo fra un paio di anni, nel frattempo, se questa infezione si dovesse allargare e in presenza della povertà, della mancanza di acqua potabile in più casi, di igiene, della scarsa conoscenza e preparazione, delle guerre in atto, ma soprattutto della moltitudine di persone che spesso vediamo accalcarsi nei mercati e nelle città di quei paesi, dovesse presentarsi incontrollabile? L’Africa non sta in un altro pianeta e più vicina a noi di quanto possiamo o non vogliamo accertare, continuiamo ad avere rapporti di vicinanza continui sia diretti sia attraverso altre fasce di umanità che entrano in contatto con quelle realtà. Cosa facciamo, come prevediamo di muoverci, parlo a livello delle Nazioni europee, per interrompere quel flusso, così come stiamo operando in Europa?  Non basta dire freniamo e controlliamo l’afflusso dei migranti e, nella pandemia di crisi finanziaria ed economica che si è aperta, non è che possiamo dire: inviamo sforzi eccezionali per costruire, nelle innumerevoli situazioni disperate, le strutture necessarie a frenare il diffondersi del virus. Chiedo allora ai nostri scienziati medici e studiosi e ai nostri politici di sensibilizzarsi al problema e individuare una qualche strategia che si possa applicare per attenuare se non risolvere questa possibile epidemia. Inviare personale medico da loro, ma ne abbiamo pochi tra noi!  Non bastano i volontari e i medici senza frontiere, è necessario formare rapidamente il loro personale, informare, sollecitare comportamenti di convivenza, diffondere il concetto del distanziamento sociale, delle mascherine, interrompere quegli afflussi di persone in luoghi ristretti, ma soprattutto affermare che non è la guerra a risolvere situazioni di predominio, quando l’eventualità di una decimazione renderebbe più spedita la soluzione del possesso!  Sono forse speranze di un esaltato? Ma allora dite voi cosa dovrebbe essere necessario fare per risolvere quella pandemia che avrebbe senz’altro ricaduta anche sulla nostra situazione. Non può essere problema di una singola nazione ma è necessario l’intervento della intera Comunità europea.
2 maggio 2020

Salvatore Bernardo
Roma 28/04/20
Tra Nero e Bianco

Siamo ancora nei giorni della quarantena e non possiamo sfuggire alla sensazione di vivere un momento imposto. Non ce lo aspettavamo e, peggio ancora, non era nelle nostre aspettative. La situazione è arrivata e ha creato in noi un nuovo modo di vita e di convivenza: nuove sfide di creatività e di adattamento che ci hanno portato alla convinzione che la “normalità ” alla quale torneremo sara´ differente da quella che abbiamo conosciuto.

Certamente la pandemia è un avvenimento particolare, ma per le sue caratteristiche e la sua durata prolungata, seminerà nella nostra struttura di paradossi nuove pratiche e approcci in tanti aspetti della nostra vita quotidiana.

Stiamo acquisendo nuove abitudini e inserendo nuovi apprendimenti nei nostri modi di fare le cose e di relazionarci con gli altri e con il nostro ambiente. Emergerà un mondo diverso? Gli stati d’animo sono espressioni dell’interiorità che segnano come ci sentiamo, come stiamo assimilando ciò che ci sta accadendo, e condizionano la nostra risposta e la nostra disponibilità ad intraprendere ogni giorno.

Eravamo, in un mondo di relazione attiva e persino iperattiva, le opportunità di aggirare uno stato d’animo sfavorevole e muoversi verso un altro erano tante, e potevamo variare semplicemente spostandoci e incontrando altre persone altrove. Era un modo di vivere che ci aiutava; distraendoci, forse ci serviva per allontanare disturbi e malesseri. Ora, essendo attualmente confinati e, certamente, fisicamente distanti per un lungo periodo di tempo, ci troviamo di fronte alla sfida di trovare nuovi modi per superare gli stati d’animo sfavorevoli.

Quindi socialmente ci sono e ci saranno meno opportunità di abbracci confortanti o di incontri e feste, passeggiate ed escursioni di gruppo, sia per decisione propria sia per restrizione o addirittura per divieto. Allo stesso modo, nel lavoro incontreremo degli ostacoli se vogliamo riprendere il lavoro come l´abbiamo lasciato. 

Ogni giorno ci troviamo di fronte a fonti incoraggianti e scoraggianti su ciò che stiamo vivendo. I social network ci bombardano con variegati messaggi e notizie vere e false, che ci infondono pessimismi e ottimismi, che si alternano ad ogni secondo, e ci obbligano a decidere come vogliamo sentirci, a seconda di come interpretiamo questa continua pioggia di messaggi internet.

Attraversiamo un continuum che va dalla disperazione, dal risentimento e dalla rassegnazione, fino all’entusiasmo, all’accettazione e alla speranza.

È nostra responsabilità cercare i meccanismi per spostarci verso il lato più luminoso ed evitare, per quanto possibile, le insidie dello scoraggiamento, che di sicuro non ci porteranno ad alcun buon destino.

Lidia Popa
Nella marcia delle finte verità

Suonano le campane

i requiem dei fiori più antichi,

i boccioli fuori tempo massimo

puntano accusatorio una spina

verso chi continuerà a vivere di colpa,

per non aver trovato i rimedi

di annichilire il perturbante

che ha invaso le città,

e oppresso i giorni

uccidendone il respiro.

Quando conosceremo la verità

sarà tutto passato alla storia

delle convenzioni e convenienze.

E lui, il grande colpevole

avrà la degna sepoltura

con sottofondo

la Marcia Trionfale.

Ci rimane solo camminare a distanza

per l’Avvenire di una Rinascita,

aspettando il tempo inesorabile.

Colui che aiuta

 Metti la tua anima come una colomba

 per cantare la pace della terra imbiancata dal dolore

 e respira attraverso la tela dei progetti

 il nulla che ti circonda.

 Non sai quando e dove potresti essere

 libero di nuovo come gli uccelli del cielo.

 Come un uovo in cui la vita pulsa, ancora,

 rompere il guscio per uscire dai buchi.

 Non sai neanche dove, perché fuori

 puoi trovare solo selce e esca.

 Fai attenzione a non bruciarti, Uomo.

 Ci sono molte persone affamate là fuori

 aspettando la tua anima sul vassoio,

 e sei generosamente pronto a donarti a loro,

 a quelli che stanno solo aspettando di inghiottirti,

 boccone dopo boccone,

 in questo pomeriggio abbandonato da te.

 Senza di te, chi altri aiuterebbe gli affamati?

 I poveri hanno dimenticato il gusto del pane,

 non hanno più da bere perché i pozzi sono asciutti.

 In te il volo è fatto desiderio

 e la pioggia il fiume che lava via i loro peccati.

 Non sei Dio, hai solo un’anima per i bisognosi.

Nati per ripetere ciclicamente la storia o no

Un leone con volto di donna e ali di uccello,

l’essere che chiama al giudizio il mondo.

Un uomo che gattona è solo un quadrupede.

Un bipede cammina fino alla fine dei giorni.

Un tripode è l’anziano appoggiato sul bastone.

La Sfinge è suicida dopo lo scontro con Edipo.

E se continuasse a imbastire la memoria

di greco antico, la pietra filosofale

sarebbe senza dubbio l’arma

dell’attuale alchimista che crea

la storia infinita dei cinque portali

per arrivare all’oracolo del sud e

rispondere agli indovinelli percorrendo

al contrario il fiume ghiacciato Idrija gol

fino al Lago Bajkal o per scelta diversa

passare le Alpi a due piedi senza bastone

fino in Guascogna di occitana provenienza.

Tra est e ovest qual è la scelta giusta?

All’alba di maggio

Cantami una vecchia canzone del liuto

come il suono divino che scorre dalle brocche

un valzer blu come il delta del Danubio in mare

o l’ode della cicogna nel boschetto in prato.

Dal truciolato per la diga sulle rive di parole

costruire per ricordare una pontilena

e amore, faro nella notte, luce per te

quando il forte vento porta all’eternità.

Dal tempo ti rimane svelare un quaderno,

filo di luna d’argento nella nebbia se ti perdi

raccogli umilmente dal salice un germoglio

una rima profumata per guidarti al mistero.

Carlo Bernardi
Festa della liberazione e rinascita della democrazia

24/04/2020 Sabato – Oggi si festeggia la liberazione dal nazifascismo e la fine della guerra. Dalle ore15:00 moltissime persone hanno cantato dalle finestre e dai balconi Bella ciao. È stato qualcosa di commovente e più coinvolgente dei raduni di piazza che ogni anno si svolgevano regolarmente. Anche io ho cantato e ho esposto il tricolore sul balcone con nell’animo il rifiuto di chi vorrebbe fare di questa ricorrenza un’altra cosa.

Intanto il coronavirus, in Italia, è in curva discendente anche se meno in Lombardia e ci stiamo preparando, non senza problemi, alla fase due dove l’unica speranza è quella di non sottovalutare la possibilità di una recrudescenza della pandemia. Quindi dal quattro maggio non vuol dire liberi tutti.

Nel mondo certe situazioni sembrano peggiorare anche perché si agisce in ordine sparso e la gaffe di Trump di proporre l’irrorazione di disinfettanti nell’organismo umano e specialmente nei polmoni che rende evidente l’impreparazione e la superficialità di molti politici e capi di Stato, specialmente del presidente USA sul modo di affrontare l’emergenza pandemica.

Il governo Italiano sta varando uno stanziamento di 150 mld per finanziare molte aziende in crisi e la ripresa economica. Ora chi aveva sostenuto dall’opposizione che ne occorrevano 100 ora mi aspetto che dica che ne servono 300 denunciando un gioco al rialzo che avevo già segnalato.

Tra i programmi televisivi ha catturato il mio interesse Le parole della settimana con Gramellini impostato tutto sul 25 aprile. Anche oggi abbiamo visto due film: Croce e delizia con Alessandro Gassman e Bentivoglio che rappresentano una coppia gay in procinto di contrarre il matrimonio con lo sconcerto dei rispettivi figli e figlie e poi la sera I sette fratelli Cervi.

Mentre mi accingo a dormire pensando che forse l’Europa sta prendendo la strada giusta per presentarsi compatta alle future sfide che ci aspettano e alla ripresa di rapporti economici più avanzati. Anche oggi siamo riusciti a riempire il tempo senza deprimerci troppo. Il futuro ci aspetta.

Il PdC Conte e la seconda fase

26/04/2020 Domenica – Oggi mi sono svegliato con queste rime nella testa:

Che sia bene oppure male

In un mondo che resta uguale

Io dico no a una vita virtuale

Spero che questa situazione si protragga il meno possibile e si trovi un vaccino che ponga fine, senza più pericolo, alla forzata quarantena anche se la nostra vita non sarà più quella di prima, specialmente se non vogliamo rischiare la distruzione del nostro pianeta e l’estinzione dell’intera umanità.

Giorgia Meloni si è risentita perché Guccini, cantando Bella ciao, considera lei e Salvini come dei nuovi fascisti. Io credo che non basti, anche se lo capisco, che si respinga questa accusa e penso che sia sufficiente dimostrarlo con le parole e con i fatti invece di offendersi e respingere con le invettive quello che è sentito come un insulto.

Nel frattempo, il coronavirus, in Italia, è ancora in fase discendente tranne in Lombardia e in regioni de Nord dove si spera siano prese misure coerenti e necessarie.

Nel mondo ci sono paesi più preoccupati di altri come la Cina che è terrorizzata dall’ondata di ritorno del COVID-19, ma anche nel Regno Unito, in America Latina e ora anche in Africa.

Il governo Italiano è intervenuto prontamente per sconfiggere questo nemico invisibile e non si può negare che ora i risultati si vedono ma non servirebbe a nulla e i sacrifici sarebbero stati vani se non si pone la massima attenzione durante il tempo che si separa dalla scoperta del vaccino.

Nella Corea del Nord è stato ricoverato e operato Kim Jong-un e non si sa ancora se è in convalescenza o è deceduto.

Durante la serata a reti unificate il PdC Conte ha informato sulle decisioni emerse dalle riunioni degli ultimi giorni che hanno stabilito le regole per affrontare la seconda fase. Sono aperture introdotte con cautela e responsabilità per verificare se sarà necessario proseguire con le aperture o tornare alle restrizioni se la pandemia tornerà a infierire. Lo ha spiegato bene dicendo che questa fase non significa liberi tutti.

Anche oggi abbiamo visto tre film Gifted- il dono del talento e 3 Generation-una famiglia quasi perfetta e poi, sul tardi, Blade Runner 2049. Prima di andare a dormire ho letto sui social delle critiche mosse a Conte di persone che si aspettavano di muoversi liberamente come se la pandemia fosse cessata e certamente Salvini e Meloni coglieranno l’occasione per fare loro queste aspirazioni Il guaio è che fra questi che pensano così ci sono anche i nostri figli e alcuni parenti perciò tutta la notte ho pensato a questo anche nel sonno e non è stato piacevole doversi svegliare ogni mezzora o venti minuti.     

La strada per il Paradiso è ancora lunga

29/04/2020 Mercoledì – Queste ultime notti ho dormito poco e male perché se alcune sottovalutazioni della pandemia circolano anche nella mia famiglia significa che la voglia di tornare alla normalità sta diventando più forte della paura del contagio e della morte. Paura è soffocata da teorie che cercano di far credere che tutto è motivato da una non dichiarata intenzione di autoritarismo antidemocratico.

Ora, che questo sia dichiarato proprio da forze smaccatamente antidemocratiche non può farmi sentire tranquillo che cercano di far passare in secondo piano le notizie di morti e contagiati. Nel nostro Paese il dato è ancora alto, anche se in diminuzione, e non pare che negli altri Paesi le cose vadano meglio. Il fatto che la Germania, per aver allentato le misure restrittive, abbia subito un aumento di contagiati e di decessi ed è stata costretta a tornare alle condizioni di cautela e di limitazione degli spostamenti, la dice lunga sul pericolo di una ripresa brusca della pandemia.

Il governo Italiano è intervenuto prontamente per sconfiggere questo nemico invisibile e non si può negare che i risultati si vedono ma non servirebbe a nulla, e i sacrifici sarebbero stati vani, se non si pone la massima attenzione durante il tempo che ci separa da qui alla scoperta di un vaccino.

Nella Corea del Nord non si sa ancora che fine ha fatto Kim Jong-un e forse dobbiamo aspettare notizie da Chi l’ha visto.

Per tornare alla totale apertura si fa appello alla Costituzione e alle libertà che si ritiene siano compromesse da disegni misteriosi di chi governa. Ma la Costituzione mette al primo posto la vita e la salute degli italiani e, pur comprendendo l’angoscia e i rischi per l’economia e il lavoro, sono pochi quelli che pensano che un aumento dei contagi porterebbe all’intasamento dei posti di terapia intensiva. In questo caso si impedirebbe agli ospedali di curare e salvare tutti. Insomma, se si prevede che un allentamento delle misure potrebbe contagiare seriamente mezzo milione di italiani, vuol dire che 480 mila sono destinati a morire visto che i posti di terapia intensiva sono ventimila. Perciò il problema non è, come si vuole far credere, fra morire di virus o morire di fame ma se a morire fosse proprio chi la pensa così, compresi i suoi familiari, o cercare di evitare questa sciagura cercando di resistere fino alla scoperta di un vaccino che potrebbe giungere poco dopo queste morti inutili. Insomma la scelta è fra l’essere responsabili o essere irresponsabili. Al governo resta intervenire per facilitare la protezione sanitaria e economica dei provvedimenti.

In questi giorni abbiamo visto diversi film tra cui l’episodio n.1 della serie Yellowstone con Kevin Kostner, Vendetta finale con Antonio Banderas e Alla ricerca della felicità di Muccino.

Tra le letture abbiamo terminato il 7° Canto del Purgatorio e mi accorgo che la strada per il Paradiso è ancora lunga. Ho proseguito nella lettura del romanzo di Dolores Prato che mi ha confermato nelle mie impressioni. Spero perciò di riuscire finalmente a passare una notte dormendo.

Il vero nemico è il coroavirus e la strada per il Paradiso è ancora lunga

30/04/2020 Giovedì – Oggi è l’anniversario della morte di mio padre avvenuta nel 1951. Questo tragico evento ha cambiato improvvisamente la vita e il futuro mio e di mio fratello.

Al risveglio ho saputo che Salvini e i suoi hanno occupato il Parlamento per tutta la notte facendo appello alla democrazia e al diritto dell’opposizione di dire la sua e intervenire a modificare le decisioni del governo accusato di tendenze autoritarie. Strano se un’accusa così viene proprio da chi aveva chiesto pieni poteri. La verità è che di fronte a un’Italia responsabile che ha retto due mesi di restrizioni si sta cercando di dimostrare che le cose non stanno così, basta soffiare sul fuoco della stanchezza collettiva per far dimenticare che il vero nemico è il coronavirus.

Oggi ho incontrato persone che mi hanno detto di aver capito tutto e di essere arrivati alla conclusione che dietro le mosse del governo si nasconde qualcosa di poco chiaro. Ora, dopo che queste cose le ho sentite anche da persone di famiglia e da altre non sempre intelligenti, quello che mi è chiaro è che a lanciare questi dubbi e queste allusioni non è la riflessione dei miei interlocutori di qualcuno che approfitta di loro per creare disubbidienza e rendere così inutili i sacrifici passati fino adesso, tanto poi sarà sempre colpa del governo.

Di menzogne come quella che anche la Corte Costituzionale si sia pronunciata contro le misure del governo sono state smentite da Mattarella e dalla Presidente della Corte Marta Cartabia che ha dichiarato che sarebbe gravissimo se un presidente della Consulta volesse entrare nella discussione per dire questo atto del governo non va bene.   

Sii dice che il governo sta mettendo in discussione la libertà dei cittadini è vero, invece che sta salvando la libertà di chi vuole vivere con la consapevolezza che un’ondata di pandemia, se intasasse gli ospedali, può rendere impossibile la cura dei positivi che morirebbero senza interventi necessari. Di fronte all’incolumità generale, il governo ha il dovere di impedire che questo accada e, senza un vaccino disponibile, deve allentare in modo consapevole, graduale e controllato per poter intervenire prontamente ove aumentasse il pericolo per la popolazione.

Mi dispiace che anche Renzi si sia messo sul piano di chi pensa di combattere contro i pieni poteri del PdC Conte tacendo il fatto che Conte e questa maggioranza decidono dopo aver sentito molti esperti e parlato con tutti, compresi i sindacati.  

Oggi, abbiamo terminato il 7° Canto del Purgatorio e mi accorgo che la strada per il Paradiso è ancora lunga. Ho poi proseguito nella lettura del romanzo di Dolores Prato che mi ha confermato le mie impressioni. Spero perciò di riuscire finalmente a passare una notte dormendo senza incubi.

Festa del lavoro ma non solo dei lavoratori

01/05/2020 Giovedì – Mi sveglio col pensiero che, nonostante il coronavirus, oggi è la festa del lavoro, ma è anche la commemorazione di tutti i morti sul lavoro compresi i deceduti da COVID-19 ai quali si aggiungono medici e infermieri.

Oggi inizia anche il mese di maggio e si avvicina il giorno della fase due che senza un vaccino non sarà il ritorno alla normalità perché il seguito dipenderà dai comportamenti responsabili di tutti in quanto bastano pochi imprudenti a rimettere tutto in discussione. Ha regione quel virologo che ha avvertito che con a fase due inizierà il vero pericolo, specialmente se si pensa che ormai tutto sia finito.

Mi rendo conto che con questo diario rischio di riproporre i notiziari trasmessi ogni giorno in tutte le reti e in ogni ora della giornata e non è esattamente questo che intendo seguire ma voglio affrontare il mese di maggio in altro modo riportando le impressioni e il malessere mio e delle persone che incontrerò. D’altronde ho passato la vita a trovare soluzioni ai problemi e spero di essere ancora capace di farlo.

Oggi, abbiamo terminato il 10° Canto del Purgatorio dove sono entrato, con Dante e Virgilio, percorrendo la strada che condurrà in Paradiso. Ho anche continuato la lettura del romanzo di Dolores Prato alla quale mi sento sempre più legato, specialmente per la solitudine dagli affetti durante l’infanzia e la curiosità per ogni aspetto della vita.

Dopo aver visto il film L’ospite sconosciuto di Michael Winterbottom e il film sulla vita di Di Vittorio con Francesco Favino, ho seguito il concertone del primo maggio trasmesso solo da teatri e da studi televisivi con alcune canzoni già registrate. Cullato da queste note sono andato finalmente a dormire.

Giù nelle piazze non c’era nessuno

02/05/2020 Giovedì – Oggi, abbiamo visto il film The millionairess con Sophia Loren e Peter Sellers e ho anche proseguito la lettura del romanzo di Dolores Prato. Mentre lo leggevo, ho pensato che il titolo si adatta alle vicende di questi giorni che vedono le piazze, di solito piene per il concertone del primo maggio, ora tristemente vuote, solo che il romanzo si riferisce a un gioco di bambini in braccio alle loro madri che fingono di gettarli in terra.

Più passano i giorni e più mi accorgo che l’Italia, che deve restare unita in un momento tragico, come l’attuale, di grave difficoltà nazionale e invece non trova ancora la forza di isolare i tentativi di divisione che emergono proprio durante l’emergenza. Invece di unire c’è chi gioca a spaccare solo per fini elettoralistici e per togliere consensi a chi sta affrontando quella che potrebbe diventare una catastrofe nazionale.

Ho sentito dire che l’Italia è l’unica ad avere adottato queste misure mentre altri paesi hanno continuato a produrre e a lavorare senza preoccupazioni ma non viene in mente a nessuno che i contagiati e i morti in quelle realtà sono molto superiori ai deceduti che abbiamo avuto in Italia? Non capisco cos’è sbagliato nella scelta di aprire con cautela per verificare se la situazione resta stabile o tenderà a peggiorare. Se quest’ultima ipotesi dovesse prevalere non resta che tornare alle ristrettezze della fase uno. Se invece dovesse restare stabile si può pensare di introdurre nuove aperture. Pensare che tutto questo lo si possa prevedere prime è impossibile per chiunque anche per quelli che criticano le misure del governo.

Oggi ho intervistato, a distanza di sicurezza, alcune madri con figli in età scolare domandando loro come considerano l’insegnamento in streaming su PC o su tablet e mi hanno risposto che lo considerano funzionale e utile. Poi ho chiesto ai bambini se preferiscono questo metodo oppure tornare tutti mi hanno risposto che tornerebbero volentieri e scuola, magari alternando i due metodi di insegnamento. Può essere una buona idea ma ho letto che è già criticata da molte madri.

In ogni caso sono preoccupato che, invece di collaborare tutti uniti contro il virus, si faccia del tutto per dividere e questo potrebbe aggravare le condizioni di vita per tutti, anche per quelli che sottovalutano o si sentono sicuri.

Ogni giorno sarà diverso dal precedente e si spera che sia migliore ma questo dipende da tutti. 

Fabriazio Labarile
LA DEPRESSIONE – Conseguenza del Coronavirus


La signora Marta, un’allegra ottantenne e vedova da un decennio , ha un rapporto privilegiato con l’unico nipote Paolo di undici anni, il primogenito della figlia Anna.Sin dalla seconda settimana di marzo, a causa  delle norme restrittive emanate dal Governo, non ha potuto incontrare e abbracciare il diletto nipote. Inizialmente, appagava la mancanza dell’abituale vicinanza con video – chiamate e intrattenimenti via Skype. Con il trascorrere del tempo, si è stufata di  questi mezzi mediatici , e se n’è servita  sempre più raramente, fino a quando ha cessato del tutto. Lei, con il passare delle settimane si sentiva come un’innocente condannata ingiustamente e doveva scontare la doppia pena: non doveva uscire che in caso di necessità; e non poteva né incontrare o ricevere visite dal nipote, la persona a lei più cara. Tale situazione ha scavato nella sua mente, alla stessa stregua  di un tarlo che si annida nei meandri del legno di  un tavolo, la convinzione che il suo rapporto di affetto,protezione e amore per Paolo fosse compromessa.
Non sono bastate le parole di conforto della figlia e  del genero che, dopo questo periodo tiranno del Coronavirus, lei e il nipote  sarebbero tornati  a vivere con più affetto di prima. Dopo alcuni giorni di silenzio, la figlia si reca da Marta per appurare cosa è successo; se sta bene  o è ammalata ,considerato che non rispondeva più neppure alle telefonate. Avendo le chiavi, apre la porta  e al primo impatto nota lo sguardo cagionevole della mamma. Senza tergiversare  allerta il medico di famiglia ,che è pure un amico; il quale vista l’urgenza si reca immediatamente a casa di Marta. Dopo un’accurata visita,in cui ha constatato la pressione bassa e l’aspetto sciupato della paziente; il dottore ,prima evidenzia  delle precisazioni sullo stato di salute  , e poi le pone alcune domande:” Noto che sei alquanto dimagrita e la tua cera mi preoccupa. Siccome dall’ultima volta che ti ho visitato mi sembri molto dimagrita , è opportuno che tu risponda a queste mie domande. Hai appetito ?  Mangi sempre con regolarità  cibi adatti alla tua età ?.” La signora Marta, alquanto imbarazzata e dopo vaghi dinieghi, finalmente ammette la verità:” Da una decina di giorni ho perso quasi del tutto l’appetito, e pur preparando pietanze saporite, dopo alcuni bocconi lo stomaco si bloccava. Non ho dolori, ma mi sento molto debole:” Il dottore,che ha intuito la verità, le chiede:” Sii sincera con me! Cosa ti angustia tanto da costringerti a non  alimentarti ?”  E Lei con timidezza, asserisce:” Da quando non posso incontrarmi ed intrattenermi con mio nipote,non soltanto non ho voglio di cucinare e mangiare, ma  la stessa mia vita mi appare inutile.” Il medico, rivoltosi  anche alla figlia conclude la sua visita con queste parole:” Marta è malata soltanto di nostalgia per il suo diletto nipote e, se non rimediamo ,rischia di entrare in depressione. Pertanto, consiglio nel rispetto delle normative ministeriali, di soddisfare il desiderio di Marta ” Sin dal giorno seguente la nonna  e il nipote Paolo s’incontrano e dialogano come prima, sia pure  ad un metro di distanza. Marta è rinata  a nuova vita con la gioia della figlia, del genero e , soprattutto del diletto nipote.

Santeramo  30.Aprile  2020

TUTTI  VIROLOGI – contro il Coronavirus-                                                                                                                                 

Il 26 Aprile scorso, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte  con DPRM – Decreto Ministeriale- ha annunciato che dal giorno 4  maggio partirà la fase 2 di questa pandemia. Cominceranno a lavorare  le fabbriche, i cantieri commercio all’ingrosso e apriranno tutti i parchi, dove si potrà, nel rispetto delle regole restrittive, eseguire passeggiate e attività sportiva individuale. Il Presidente ha evidenziato il proprio rincrescimento e quello del Governo di non poter, per il momento, permettere  a tutte le altre  attività commerciali di aprire. Esiste il problema del trasporto pubblico che gli addetti stanno cercando di risolvere nei migliori dei modi; e, naturalmente, gli utenti dovranno  pazientare, perché  saranno costretti ad adattarsi alle nuove regole,sicuramente più rigide. L’auspicio del Governo è che ,già dopo alcuni giorni dalla ripresa del lavoro e se non ci saranno nuovi contagi, si possa anticipare  la data del rientro alla normalità di tutte attività. Già alcune ore dopo l’annuncio dei provvedimenti della fase 2, e ancora di più nei giorni successivi,si sono scatenate un vespaio di critiche. La maggior parte della classe politica, esclusa quella vicina al governo, ha criticato abbastanza aspramente, poiché ritiene che con gli accorgimenti come le mascherine, i guanti e la distanza di un metro, si potevano fare aprire tutte le attività ancora prima del 4 maggio. Le Tv e i giornali, sia pure  con qualche rara eccezione ,e  finanche  il clero tra cui eminenti Cardinali e cittadini  comuni, sono diventati tutti degli illuminati virologi, suggerendo  il modo migliore per permettere ai cittadini di evadere da questo eterno isolamento. In democrazia, sicuramente la critica non solo occorre , ma è indispensabile; tuttavia, è opportuno attenersi alla realtà. Non tanto il Presidente Conte o il Governo, ma la situazione sanitaria di questi giorni impongono grande cautela. Naturalmente tutti noi vorremmo uscire e riprendere la vita normale di prima, ma a quale prezzo ?  D’altronde, basta osservare cosa sta succedendo in tanti Paesi europei che, dopo aver allentato la morsa dei provvedimenti,  il Coronavirus sta colpendo molte persone. Ciò sta facendo ritornare sui propri passi molti  Governanti, in particolare di Germania e Francia,  ripristinando le misure cautelari che, per accontentare il mondo produttivo e commerciale, avevano precipitosamente accantonato. E’ indubbio che la preoccupazione  di tanti lavoratori dipendenti e  degli autonomi, evidenziata in modo inequivocabile in questi giorni dalle associazioni datoriali è comprensibile ,giusta e sacrosanta. Se, però, pensiamo alla grande responsabilità della Task force sanitaria nazionale  che ogni giorno esamina i dati ,purtroppo sempre ancora negativi e con una media di oltre 300  morti al giorno e diverse migliaia di contagiati, capiamo che la preoccupazione e la cautela del Governo sono giustificate. Le notizie provenienti da tutte le altre nazioni non inducono all’ottimismo non tanto e soltanto per l’avanzata dell’epidemia, ma, perché nessuno è riuscito a scoprire il vaccino che possa sconfiggere il Coronavirus. Tanti ricercatori sono al lavoro, e  noi tutti auspichiamo che quanto prima trovino la soluzione a questa enigmatica epidemia che ha colpito in modo grave la nostra vita.
 Santeramo 28.Aprile  2020   

UN  QUESITO  MISTERIOSO   – -mentre imperversa il Coronavirus-                                                                                                   

In questo periodo molti pensieri arrovellano il mio cervello e, forse, anche quello di molte persone. Sembra che questo nostro mondo abbia intrapreso la strada della perdizione e dell’annientamento. Una domanda inquietante sorge spontanea: “ cosa ci  riserva il futuro ? “  Dapprima abbiamo subito una sorta di assedio a causa del terrorismo che c’impedisce di svolgere liberamente i tanti eventi collettivi: fiere, feste patronali,manifestazioni per l’ambiente, per la sanità , scioperi e via discorrendo. E, ora, stiamo vivendo  queste numerose settimane d’isolamento con coraggio e rassegnazione sperando che quanto prima si ritorni alla normalità.                        
Non conosciamo i soggetti che ci costringono a cambiare le nostre abitudini, le nostre tradizioni e i ritmi della nostra stessa vita. Tuttavia, ne subiamo le conseguenze  micidiali  senza poter reagire, anzi rassegnandoci e permettendo a questo “misterioso” avversario di toglierci il lavoro, alcuni servizi ma, soprattutto, la nostra libertà. Questa grande conquista, che ai nostri avi è costata tanti sacrifici, e a molti uomini anche la vita, affrontando le guerre contro gli eserciti stranieri e subendo  la dittatura fascista, non possiamo rischiare di perderla. Sembra incredibile ma, constatare che l’avvento della tecnologia invece di migliorare sta peggiorando il nostro mondo, dovrebbe farci riflettere e reagire per evitare di farci schiavizzare da  coloro, che intendono soffocare la nostra civiltà.  Negli ultimi giorni è scoppiata la diatribe tra la Cina e gli Stati uniti. Si accusano vicendevolmente di aver causato questa epidemia. Gli americani sostengono che i cinesi sono colpevoli, poiché nel 2015 mentre facevano degli studi specifici su alcuni virus, gliene è  sfuggito uno inavvertitamente , che poi ha causato il Coronavirus. I cinesi sostengono invece  che la colpa è degli Stati Uniti . A dire il vero, alcune voci di fonte americana, che nessuno può provare, sostengono che  gli immunologi statunitensi sin dal 2014 hanno sperimentato, in varie fasi il coronavirus, diffondendolo , forse contro la propria volontà, già verso la fine di novembre del 2019.   Purtroppo nessuno sa la verità ; e , comunque ora non servirebbe a nulla. Conosciamo, però, gli enormi danni che stanno dilaniando  il mondo intero, sia dal punto di vista della malattia con la morte, fino ad oggi di oltre 200 mila persone decedute , tra cui molti medici e personale ospedaliere ,e sia per gli enormi costi sanitari.  I danni per l’economia globale sono praticamente impossibili da calcolare. Ogni Nazione, ovviamente, ha i danni in rapporto alla forza della propria economia. Ora, però. È opportuno, prima di occuparci dei  disastri del nostro mondo del lavoro, preoccuparci della salute. In fondo se non debelliamo, almeno in alte percentuali, questa epidemia, qualsiasi discorso di ripartenza complessiva delle nostre aziende sarebbe inopportuno. Tutti i cittadini non soltanto italiani, ma di tutte le nazioni colpite dal Coronavirus, desiderano ritornare alla normalità e , soprattutto ,appurare perché un Virus debba essere così potente da bloccare il mondo intero. Non sappiamo se si tratta di un piano speculativo per soggiogare l’umanità,sicuramente nessun uomo può accettare di diventare cavia di esperimenti eseguiti da altri uomini. Le  grandi potenze, anch’esse colpite, dovranno stilare un protocollo con cui prevenire che giammai un’altra simile epidemia colpisca l’umanità.

Santeramo   27.Aprile 2020

ANNULLATA LA FESTA DEL LAVORO – un dispetto del Coronavirus –                                                                                                   

Un’altra vittima di questa vorace epidemia è la revoca del primo maggio, festa dei lavoratori.  E’ un’assenza che tante persone , e non soltanto lavoratori e dipendenti, notiamo con un velo di amarezza. Questa manifestazione, che sanciva  l’introduzione delle 8 ore giornaliere  per tutti i lavoratori, ebbe inizio esattamente il 1° maggio 1867 negli Stati Uniti, a Cicago nel Illinois. Alcuni anni dopo si diffuse in quasi tutti i Paesi del mondo. Anche in Italia ,ebbe grande successo  tra la fine dell’ottocento  ed inizio del novecento ; ma, con la prima guerra mondiale e  con l’avvento della dittatura fascista, fu proibita. Tuttavia, dal 1° Maggio 1946 fino al 2019  la festa dei lavoratori è stata sempre celebrata ma, a causa di diverse ripercussioni congiunturali,  e come la luce di una candela diminuisce nel consumarsi , così la  sua forza propulsiva sta svanendo.  Oggi, 1° Maggio  è opportuno  riflettere sui motivi  della crisi socio economica che, pur comune a tutti i Paesi ricchi, ha colpito in modo eccessivo l’Italia. La prima causa è stata la delocalizzazione selvaggia della maggior parte delle produzioni nostrane nei Paesi ,dove c’è un costo del lavoro basso. Questa strategia messa in atto dalle grandi aziende con la tacita collaborazione dei Sindacati e il consenso e , spesso, il contributo economico dello Stato italiano,ha partorito una grande disoccupazione e povertà. A differenza degli altri Paesi europei che dopo avere delocalizzate  alcune produzioni leggere, hanno investito in articoli di grande tecnologia per salvaguardare l’occupazione e il benessere generale; il nostro Paese è rimasto inerme. Il danno più rilevante di un tale lassismo è stato l’attentato alla dignità della persona,poiché hanno obbligato la maggior parte dei dipendenti a lavorare con salari caritatevoli  e condizioni da terzo mondo. Quasi sempre quando sentiamo parlare di caporalato ,il nostro pensiero va ai tanti migranti  che lavorano sotto il sole per dodici ore nella raccolta dei pomodori. Invece, se osserviamo con attenzione questo sistema perverso,con il trascorrere degli anni, si è radicato in tutte le branche  e, viscido come un serpente, si è inserito dentro di noi senza che  ci rendessimo conto. Dopo  le numerose leggi capestri sulle decine formule di assunzioni, c’è stato l’atto demolitore finale  dello statuto dei lavoratori con l’abrogazione dell’art. 18  eseguito da un governo di sinistra e tollerato (o favorito) dai sindacati. Auspichiamo che la profonda crisi causata dal Coronavirus ,i cui risultati negativi s’intravedono già, sia da sprono a tutti ,ognuno per la sua parte , a rimboccarci le maniche. Il Governo deve emettere e fare rispettare nuove normative atte ad incrementare l’occupazione e il benessere generale. Le aziende ,mettendo in atto le normative di sicurezza,possono ampliare i loro prodotti e creare nuovi posti di lavoro. I sindacati, se  fanno bene il proprio  dovere,possono essere un valore aggiunto alla concordia aziendale. I dipendenti stanno scalpitando per riprendere a lavorare , e sicuramente faranno per intero il proprio dovere. Insomma, ora  come dopo l’ultima guerra necessita l’impegno costante e la collaborazione di tutti per sfruttare bene la ripartenza e, sia pure con il dovuto tempo, riappropriarci del nostro benessere. L’augurio più fervido è  di poter ritornare a festeggiare il 1° maggio del 2021 con la prospettiva di un futuro radioso  ,giusto ed equo per tutti gli italiani.

Santeramo 1° Maggio 2020

Carlo Piola Caselli
Decamerone 2020

Notte tra il 28 ed il 29 aprile 2020. Mi è apparso in sogno Messer Giovanni Boccaccio, sì, proprio colui che, in seguito alla “peste nera”, ha scritto il «Decameron», e mi ha, più che chiesto, ordinato di fargli un favore.

  • Volentieri, se posso, Maestro – gli ho risposto – ma … in cosa potrei io esser utile a Vossignoria Illustrissima? – .
  • Devi scrivere! – .
  • Scrivere io? Sarebbe un grande onore, ma non sono all’altezza … di Vostra Signoria Illustrissima! – .
  • Bando alle ciance, non ti ricordi che, quando eri a Firenze, mi nominavi spesso, poiché abitavi in cima a via Ponte all’Asse, proprio davanti allo Mugnone, dove il mio Calandrino andava a cercare la “pietra filosofale” o “elitropia”? – .
  • Certo, che me lo ricordo, Messer Giovanni, come potrei scordare un segmento così interessante della mia vita, della mia esistenza, allietata dalle Vostre arguzie, da quelle gustose scenette che avete messo in campo?  Ero stato varie volte anche a Certaldo ed ho visto il vostro ritratto, nell’affresco di Andrea del Castagno, agli Uffizi –  .
  • Orbene, trascrivi quello che ti dico in sogno, stai bene attento, mi raccomando, a riportarlo per lo filo e per lo segno – .
  • Cercherò, modestamente, di fare del mio meglio … Maestro – .
  • Ecco, scrivi: «Dalla Cina si è sviluppata una specie di pestilenza, uno virus, terribile e sconosciuto, invisibile, proprio alla maniera di Calandrino, terribilmente contagioso, che ha fatto lo giro dello mondo, ha invaso dapprima parte dell’Asia, l’Europa, le Americhe, l’Africa e sta per lambire l’Australia, falcia molte vite umane, alcune con molta sofferenza, allora le autorità, per arginarne la pandemia, hanno decretato il distanziamento sociale, come si è sempre cercato di fare in casi del genere, molte ordinanze sono in contraddizione tra di esse, c’è chi specula a parole ed a fatti, ci sono vari “leader” politici che dicono e fanno tante stupidaggini e più essi sono grandi ed importanti e più grosse sono le pericolosissime cretinate che scaturiscono dalle loro bocche. Il mondo è in un grande degrado politico.

Ma quel che è peggio, lo peggio dello peggio, son rimasto stupito del caso di un prelato, lo cardinale Bassetti, colui che dovrebbe dare lo buon esempio, se non altro di oculata saggezza, lo quale si è messo a dichiarare in televisione, arrogantemente, che lo governo limita la libertà religiosa, impedendo a li cristiani di andare a messa, mentre la Caritas ha somministrato tanti aiuti ai bisognosi. Poi, per attenuare, hanno mostrato che si potrebbero mettere nelle chiese, sui banchi, delli bollini, per indicare dove potersi accomodare, e poi si son presentate delle altre soluzioni alternative, tra cui quella di celebrare intanto solamente quelle feriali.

Non che lo cardinale avesse pienamente torto, ma è il modo arrogante con cui si è espresso che non va bene, poiché è di pessimo esempio in momenti così delicati. Infatti, ovviamente, tutti i politicanti hanno preso la palla al balzo, facendo coro a quello che ha detto, mettendosi a blaterare sulla libertà dello culto, che per logica c’entra un bel niente con le precauzioni, cercando di sollevare un putiferio politico.

Inutile dire che alcuni vescovi della Conferenza Episcopale Italiana erano allibiti, tutti li Angioli dello Paradiso erano esterrefatti e li Serafini ancor di più, tutti muovevano e vibravano fortissimamente l’ali in segno di disappunto – .

Io ho tentato di indurlo ad indulgere per quanto riguarda il cardinale, essendo stata per lui una “professione di fede”, ma egli ha subito incalzato:

  • Prima di tutto è stato lo tono usato, fuori luogo, poi non si può e non si deve ridurre la Conferenza Episcopale ad un sindacato, come stanno facendo da tanti anni – .

Allora ho provato a considerare che, forse, come si è ipotizzato, sian tutti d’accordo, ma che il Papa non possa, non debba e non voglia interferire direttamente nelle decisioni dello Stato. Non mi ha lasciato finire ed ha ribadito:

  • Materialismo! Si può essere delli buoni cristiani anche se, essendone impediti, non si può andare a messa. Allora uno astronauta non potrebbe essere uno buono cristiano se per sei mesi non ha a bordo uno celebrante? Certamente, la chiesa è lo tempio di Dio, ma Dio deve essere soprattutto dentro di noi, nella nostra mente, nel nostro cuore.

Ti dico io come sono andate le cose: lo Papa a Pasqua aveva ricevuto un paniere pieno di ova colorate e decorate, ha detto che non dovevano essere toccate, invece lo cardinale, per dispetto, è andato a rompergliele, allora Francesco ha perso la pazienza ed ha sintetizzato lo suo pensiero in due semplici sagge parole, poiché se a buon intenditore una cannonata basta, avendone abbinate due ben calibrate, esse equivalgono a due palle di cannone, quindi a due cannonate, affinché entrino bene in ciascuna delle due orecchie non solo dello cardinale ma di tutti: «PRUDENZA!» e «OBBEDIENZA!» – .

  • Sì, Messer Giovanni, infatti non solo «la pazienza è la virtù dei forti» ma, come ha scritto Pietro Metastasio, «Assai più giova, che i fervidi consigli, una lenta prudenza ai gran perigli».

Angelino Stella
Siamo alla fine della quarantena

Ci auguriamo che sia l’ultima. In questi giorni infausti, ma per certi versi prolifici di idee e confronti con il nostro vivere quotidiano, ho scritto tanto.

“Ideali smarriti “

Corro senza meta,

confuso, disperso,

nella nebbia avvolgente

del qualunquismo irritante

della speranza perdente.

Precipito in quel fiume impetuoso,

gonfiato da piogge acide

generate da un grigio speculare,

sulla pelle d’innocenti creature,

affacciatesi su un mondo

distante e lontano da quel primo vagito,

da quel fugace sorriso,

annullato e deriso dalla banalità del male,

disperso nel fragore dell’effimero imperante,

un virus conosciuto che mi sta per ghermire.

Fuggo e mi tuffo tra le onde,

mi aggrappo a quella zattera

che trasportava ideali,

annegati nel tintinnio del potere

e della banalità del pensare.

“Morse possenti 1”  “Quarantena”

Alveari di cemento, anime in disuso, atterrite,

legate ad una linea temporale che non permette di sbagliare.

Restiamo a casa, per non dover spargere

lacrime amare e non richieste, evitando così di distruggere

i nostri sogni, che fremono impazienti

in attesa di un’alba precoce, lanciata sulle tracce profonde

della Cometa più bella: la libertà.

“Morse possenti 2”  “Smarrito”

Libertà,

quanto dovrai ancora attendere, per spiccare di nuovo il volo

e librarti soave nel cielo, rincorrendo nuvole maestose,

orizzonti perduti ai confini dell’immenso,

per sfuggire dalle grinfie, di colei che appare,

e ti induce a salire su quel treno,

per un viaggio non richiesto

destinazione: solitudine.

“Morse possenti 3”   “Speranza”

Libertà presa a schiaffi, da colui che non appare,

un dittatore senza volto, ti vuole annientare.

Vaghi senza remi, nel mare tempestoso,

alla ricerca di un porto, di un numero sicuro,

prossimo allo zero, dove poter ricominciare.

 “Morse possenti 4”   “25 Aprile”

Maledetto, convitato inatteso,

al carta vinci della vita, al carta perdi del desio,

avverto di averti già schivato,

in qualche angolo sconosciuto del mio errare,

forse sull’orlo di qualche precipizio

volando verso l’abisso,

forse in qualche sogno, giocando con la vita,

duellando con la morte, in uno scontro impari

dall’esito scontato.

Tu sei invisibile, subdolo e letale,

un assassino seriale, ma io combatto per liberarmi di te.

Un nuovo 25 Aprile, come battaglia finale.

25 aprile 2020

Un’idea di Yoko Ono

–  No ad ogni muro. Il coronavirus ha scritto che il mondo è uno  come l’uomo,
– bisogna essere gentili,
–  l’amore e’ più forte della paura.
– SOLIDARIETA?
– siamo tutti sulla stessa barca
 – sulla barca c’e’ posto per tutti e
– “ogni barca di profughi, e’ un Mayflower, è una barca
   sul Mediterraneo.

Courtesy
Chi metteremo sulla barca?

Continua nella 9° settimana

[1] Rose Schneiderman è stata un’attivista statunitense. Nata in Polonia, è una tra le più importanti figure di dirigenti sindacali femministe e socialiste.

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