Diario in coronavirus

Diario in coronavirus con grani di scrittura – 13°

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Diario in
coronavirus
con grani di scrittura

13°
Domenica di Lettura –
7 giugno 2020

Indice

Proponente FUIS – Natale Antonio Rossi
13° testo proponente FUIS Fine del DIARIO: 7 giugno 2020
Appunti per continuare a scrivere e riflettere insieme.

a. Gli scrittori hanno preso atto che è possibile una società senza contatto, e che possono esistere una quantità di “io” solitari che annientano qualsiasi nozione di comunità, ma non quella di umanità;

a.1 per converso, il DIARIO IN CORONAVIRUS costruito ha emanato un forte profumo di scritture. E’ quel che serve agli autori e artisti per stare insieme, dovunque si trovino?

E’ un profumo che si perpetua?

b. La nozione di spazio elaborata dagli scrittori nel DIARIO è quella di essere “novunque”, che non è un “non luogo”, ma il luogo dove ognuno si trova quando attiva conoscenza e comunicazione;
b.1 per converso, Roma, per la sua storia, può essere il luogo adatto per costruire il romanzo globale? per meglio dire, secondo cultura italiana, universale.
A chi spetta scrivere il romanzo globale?

c. Giò si sapeva: gli scrittori, gli artisti, in primis gli italiani, sono cittadini del mondo: il DIARIO, anche perché scritto in tempi di isolamento individuale, l’ha riaffermato con l’orgoglio di chi non è soltanto europeo, occidentale, ma di chi ha gli orizzonti dello scrittore universale?
d. Gli scrittori nel DIARIO hanno documentato una nozione di tempo sospeso, per cui la prossima sarà una pestilenza che non farà ceninaia, ma migliaia di morti? Di morti poveri o ricchi?

e. Lo scrittore, l’artista con la clausura non ha cambiato la propria identità di produttore delle opere dell’ingegno, ha solo raffinato un nuovo, originale intendimento di essere partecipe delle sorti del genere umano?

f. Lo scrittore, dopo il coronavirus, sa di non avere più una sola finestra, domestica, ma ha accresciuto il modo di vedere e di pensare.

g. Il DIARIO ha rilevato le qualità degli scrittori FUIS: non sono impegnati a produrre il libro come merce; ma a farsi riconoscere il lavoro di scrittore di qualità?

* * *
PROPOSTE PROPOSTE PROPOSTE

Si intende concluso, dopo 13 antologie, il DIARIO IN CORONAVIRUS CON GRANI DI SCRITTURA.
Ha esibito un bel retaggio di idee e riflessioni, e un orizzonte di scrittura che.a misurarlo in pagine giunge a tremila, e in proposte e iniziative a diverse decine.
Facendo divenire propria degli scrittori l’ipotesi formulata da Giorgio Benvenuto, nel 1° scritto di questa antologia, “cambiare tutto perché nulla rimanga com’è”, che ben si allinea al “MANIFESTO PER UN NEO-ILLUMINISMO” , enunciato da Salvatore Rondello, la Fuis ritiene che non debba andare dispersa la qualità di autori e di scritti pervenuta e non rinuncia a continuare quest’esperienza lanciando alcune iniziative a favore degli scrittori e degli artisti che vi hanno partecipato.

E quindi propone:
1°. una conclusione a più voci (collettiva) del DIARIO richiedendo a tutti i partecipanti un contributo per una prefazione all’antologia che sarà pubblicata su carta e che probabilmente dovrà essere articolata in più volumi, grandi o piccoli) .
Si invii un testo breve di venti righe (in prosa o in versi e non di più) utile ad essere sussunto in tale prefazione;

2°.
la redazione di un panorama di qualità degli scrittori e degli artisti associati FUIS e aderenti a Federintermedia (chi non è iscritto, lo facccia, è gratis) da diffondere a livello nazionale e internazionale con
a. nomi degli scrittori e degli artisti, corredati da una biobibliografia aggiornata, raccolta in un massimo di quarantacinque righe (facoltativa è una foto):
b. indicazione dell’opera più recente o preferita pubblicata o opera d’arte realizzata negli ultimi due anni (dal 1gennaio 2018 al 31.12.2019) corredata da un breve brano/citazione quale esempio di scrittura (max 20 righe).

c. ogni scrittore o artista avrà a disposizione max. 2 pagine.

La FUIS si adopererà per una scelta su criteri di opportunità e di uniformità della proposta al lettore. Tale scelta di testi di autori FUIS e Federintermedia sarà diffusa anche in traduzione (in inglese o nella lingua del Paese che la richiederà) e avrà diffusione nazionale e internazionale periodica semestrale; la prima entro il 1° dicembre 2020. Si possono inviare testi fin da subito a info@scrittoritaliani.it, oppure info@fuis.it.

3°. Su proposta delle organizzazioni degli scrittori con cui la FUIS è collegata (quale il Consiglio Direttivo di (I.A.F), International Authors Forum si ritiene opportuno continuare con una rassegna-raccolta, a scadenza quindicinale o mensile, richiedendo agli scrittori di tutto il mondo testi dedicati agli elementi naturali: acqua, aria, terra, fuoco, il cui valore – assimilabile a quello dei diritti naturali – è stato messo in grande risalto dovunque dalla pandemia del coronavirus.

La F.U.I.S. propone il 1° esempio di
Bandiera del Mondo

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Giorgio Benvenuto
“CAMBIARE TUTTO, PERCHE’ NULLA RIMANGA COM’E’


courtesy di Rivoluzione Democratica, giornale socialista di idee e critica politica, di Paolo Bagnoli, direttore

La pandemia ci renderà migliori? Ci vorrà tempo per capirlo perché le trasformazioni, quando riguardano i comportamenti delle persone, non sono quasi mai immediatamente visibili: scavano silenziosamente, come una talpa al centro della nostra anima.

Saremo migliori? Sicuramente abbiamo un nutrito gruppo di scienziati che hanno acquisito, grazie alle numerose commissioni create dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, una notorietà inattesa, simile a quella delle star del rock. La scienza viene normalmente maltrattata in questo paese anche a causa di forze politiche animate da evidenti pulsioni antiscientifiche. Nella nostra vita la ricerca ha una funzione delicata e decisiva, come quella di chi amministra giustizia. Al pari dei giudici, gli scienziati dovrebbero usare con larghezza lo strumento della discrezione. Invece, l’esposizione eccessiva li ha fatti diventare simili ai politici: egocentrici e litigiosi. Il governo che si è saggiamente affidato alle loro valutazioni, alla fine è andato oltre dimenticando le sue prerogative (cioè decidere dopo aver fatto la sintesi delle indicazioni ricevute nel rispetto dell’interesse collettivo) e dalla consultazione è passato alla sostituzione: alla “sua” sostituzione come pubblico decisore.

Saremo migliori? Sarebbe già sufficiente essere più attenti. E smetterla di considerare gli anziani un peso che si alleggerisce un po’ solo quando si rendono utili facendo i baby sitter o accettano passivamente di farsi tagliare le pensioni. La strage prodotta dalla pandemia è la conseguenza non solo di evidenti errori di chi avrebbe dovuto vigilare, ma anche dell’incuria collettiva. Abbiamo dimenticato che il paese sta anagraficamente cambiando. Per due motivi fondamentali: i babyboomers sono entrati o stanno entrando nell’età della vecchiaia; l’attesa di vita si sta progressivamente allungando. Eurostat ci dice che quella italiana è la popolazione più vecchia d’Europa con il 22,8 per cento di over 65 (la media Ue è 20,3), in tutto 13 milioni e 780 mila persone. La Liguria è una delle regioni più anziane del continente (28,5 per cento di over 65), superata da Chemnitz (Germania, 28,9). In dieci anni questa categoria anagrafica ha avuto una crescita di 1,8 milioni di unità mentre gli under 15 si sono ridotti di 400 mila unità. Ma c’è di più. Dal 2000 al 2017 gli over 70 sono passati da 7 a 10 milioni e promettono di essere quindici milioni nel 2042. L’attesa di vita a 65 anni nel 2017 per gli uomini era di 19 anni, nel 2042 sarà di 21, nel 1982 è stata di 14; per le donne nel 2017 era di 22 anni, nel 2042 sarà di 25, nel 1982 si fermava a 17. Il dato, volendo, fornisce una indicazione a chi è chiamato a governare: il sistema sanitario va rafforzato sul fronte dei servizi agli anziani e, in particolare, su quello delle malattie legate all’invecchiamento e sul versante dell’assistenza domiciliare.

Saremo migliori? Sicuramente siamo più scettici nei confronti dell’Europa. Tutti i sondaggi dicono che la nostra simpatia nei confronti di una istituzione che avvertiamo sempre più come matrigna che come madre, si è enormemente raffreddata sino a diventare aperta antipatia. La Germania, poi, è al centro dei nostri pensieri peggiori ma questo è, in qualche maniera, un atteggiamento ricorrente e vicendevole. I nostri rapporti con Berlino sono stati caratterizzati negli ultimi 120 anni da diffidenza mista a rare fasi di simpatia. Il peccato originale risale alla Grande Guerra quando ci “slegammo” in “zona Cesarini” dall’alleanza che ci teneva legati all’attuale capitale tedesca. Poi siamo tornati alleati con Mussolini ma si trattava più che altro di un rapporto personale tra due dittatori. In realtà, i rapporti dell’Ovra custoditi negli archivi segnalano abbondantemente la contrarietà della maggior parte del popolo italiano a quella alleanza. Contrarietà ricambiata dai tedeschi che soffrivano nei nostri confronti, e probabilmente soffrono ancora, di un evidente complesso di superiorità.

Poi è arrivata l’Europa, ci siamo conosciuti, a volte apprezzati, non sempre capiti, abbiamo anche ironizzato su quelli che un tempo venivano con i carri armati e adesso scendevano con i “maggiolini” per le vacanze sulla riviera romagnola. Sono nati i luoghi comuni sulle “libere” bionde tedesche e sui focosi amanti latini, sulla nostra eleganza e la loro rigidità, le teste tonde e le teste quadre, dimenticando quel che diceva un grande tedesco, Immanuel Kant, a proposito del legno storto da cui è stato ricavato l’uomo. Oggi c’è chi propone di fuggire dall’Europa, di tagliare i ponti con la Germania per abbracciare la Cina con la quale abbiamo sempre avuto rapporti commerciali, già molto prima di Marco Polo, ai tempi dell’Impero romano e di quello degli Han. Ma l’Europa per quanto costruita con un legno più storto di quello utilizzato per il confezionamento del genere umano, resta il nostro destino: come tutti i destini irreversibili ci obbliga anche a portare la croce. Secondo un sondaggio Swg solo il 27 per cento degli italiani apprezza l’Unione Europea; secondo un’analisi di Tecnè il 42 per cento l’abbandonerebbe volentieri; secondo Demos, invece, il gradimento tocca il 30 per cento.

L’Europa ha sicuramente sbagliato molto nella vicenda della pandemia ma sarebbe un errore buttare a mare una storia ricca di fascino e una idea che ha ancora una sua validità per quanto maltrattata da una classe dirigente che ha mostrato straordinari limiti di leadership, a cominciare da Angela Merkel che da sempre insegue un’occasione per scrivere la sua pagina di storia europea ma che si deve accontentare di leggere quelle scritte da altri suoi connazionali come Adenauer, Brandt, Schmidt e Kohl. Lei è rimasta la “ragazza” nata ad Amburgo ma cresciuta nella più provinciale Ddr: potente economicamente e perennemente temporeggiatrice come il famoso Quinto Fabio Massimo che la seconda guerra punica, però, la vinse.

Ma per quanto timida nelle sue iniziative, la cancelliera nel panorama europeo appare una gigante in una assemblea di nani. Dal punto di vista delle intenzioni e delle dichiarazioni di principio, la Merkel è sicuramente in sintonia con la cultura europeista. Il problema è che i fatti non sono sempre conseguenti perché ispirati da logiche elettorali e opportunistiche. Insomma, il problema è Confucio. Ma tra i tanti discorsi ascoltati nei giorni caldi della pandemia, sicuramente il più “nobile”, alto è stato quello pronunciato dalla cancelliere davanti al Bundestag: “Tutti i nostri sforzi a livello nazionale potranno alla fine avere successo se avremo successo in Europa […] Dobbiamo essere pronti, nello spirito di solidarietà, a realizzare contributi di ben altra natura, ossia molto più alti. Perché noi vogliamo che tutti gli stati membri dell’Unione europea possano riprendersi economicamente. Per noi in Germania riconoscerci nell’Europa unita fa parte della ragione di Stato […] L’Europa non è Europa se ognuno non sta dalla parte dell’altro in tempi di emergenza di cui nessuno ha colpa”. E qualche ora dopo, al Consiglio europeo faceva seguire a questa dichiarazione di principio l’indicazione di una politica comunitaria: “Se stiamo andando come sembra che stiamo andando, verso la mobilitazione di una quantità di denaro senza precedenti per costruire la necessaria capacità di bilancio, allora dobbiamo avere coerenza nei sistemi di tassazione delle società e ci serve un sentiero di convergenza, con una quantità di idee diverse su come usare i nostri sistemi fiscali”. Quello che propone la Merkel è un passo enorme nel senso dell’integrazione. Soprattutto di tipo psicologico perché all’interno del corpo di ogni tedesco c’è una vena che non si è mai prosciugata. L’ha indicata con chiarezza il germanista Angelo Bolaffi: “La Germania […] accettò di rinunziare all’amatissima Deutsche Mark (in tedesco il termine è femminile) perché non aveva alternative. Tale rinuncia è stato il prezzo che il governo federale tedesco ha dovuto pagare per l’approvazione dell’unione tedesca”.

Insomma la Merkel per quanto frenata da quegli irrefrenabili istinti nazionalistici segnalati da Habermas, prova a dare dell’Europa una interpretazione in qualche maniera prossima a quella di Thomas Mann: una Germania europea, più che un’Europa tedesca. Forse non ci riesce pienamente ma a volte le capita pure di lanciare qualche segnale, qualche idea in questa direzione. E gli altri?

Tra gli altri ci sono pure gli italiani. Noi ci lamentiamo dell’egoismo altrui, ma negli ultimi anni, anzi decenni non abbiamo saputo produrre praticamente nulla al di là delle sterili lamentazioni. In questa assenza di proposta, inevitabilmente la Germania finisce per guardare con maggiore interesse verso l’area geografica a cui è stata storicamente sempre interessata, cioè l’Europa centro-orientale, trovando assonanze culturali e di linguaggi in quel pezzo di continente più sensibile agli spifferi dell’utilitarismo riletto in chiave protestante.

L’Italia non è riuscita a proporre la propria leadership o il proprio pezzo di leadership nonostante l’uscita di scena della Gran Bretagna il cui vuoto avrebbe dovuto e potuto colmare. Ci ha sicuramente danneggiato il declino economico che in questi ultimi anni ci ha allontanato dalla “locomotiva” continentale. Ma è anche mancata una politica europea perché invece di concentrarci sul complesso dei problemi, ci siamo attardati nel dibattito inutile e sfibrante su populistiche bandierine ideologiche (Mes sì-Mes no). L’ultimo colpo d’ala lo abbiamo prodotto quando Craxi impose alla Thatcher l’ingresso della Spagna e del Portogallo. Poi sprazzi occasionali attraverso Carlo Azeglio Ciampi, Tommaso Padoa-Schioppa, ovviamente Romano Prodi. L’ultimo ricordo consegnato agli annali è rappresentato dai sorrisini ironici di Merkel e Sarkozy nei giorni in cui il governo Berlusconi veniva travolto dai tempestosi marosi dello spread. Ma non è certo un’immagine che ci riempie di orgoglio e di gloria. O eravamo subalterni (governo Monti) o puntavamo a strappare qualche decimale di flessibilità per gli ottanta euro, quota 100, il reddito di cittadinanza.

La responsabilità di questa debolezza progettuale incombe in particolare sulle spalle degli uomini del centro-sinistra anche perché sono gli unici dotati di una radicata cultura europeista. Ma sul tavolo di Bruxelles questa cultura non l’hanno spesa adeguatamente pur occupando posti di rilievo nella nomenklatura. Di fronte a una Merkel che ovviamente pone questioni fondamentali per il progresso dell’integrazione, l’Italia risponde con il vuoto delle idee. Il centro-sinistra italiano vive immerso nelle sue ossessioni ma stenta a mettere sul tavolo una proposta sistemica e prospettica. E pensare che la strada è stata anche aperta dalle sollecitazioni di Papa Francesco e di Mario Draghi che nei primi giorni della pandemia ha spiegato sul Financial Times che era “necessario un approccio su scala più vasta” e che “il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni Venti” avrebbe dovuto essere per tutti noi di avvertimento. Al sovranismo, il centro sinistra non ha saputo contrapporre un’idea alternativa preferendo accettare passivamente un’Europa sempre più prigioniera di una logica liberista imposta dalle “vincenti” narrazioni politiche del nord: abbagliati da Schroeder, Blair e Clinton; dimentichi di Brandt, Palme e Roosevelt. Avremmo dovuto proporre una nuova rivoluzione europea nel nome di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni; avremmo dovuto rilanciare il discorso della Costituzione, rivendicare il completamento dell’impianto politico, pretendere il perfezionamento della struttura istituzionale in senso più democratico in ossequio al principio della sovranità popolare, reclamare la sburocratizzazione del sistema, sconfiggere l’abusivo primato tecnocratico, rivendicare la supremazia dei diritti sociali rispetto a quelli economici. Invece non siamo andati oltre un inutile vertice tragicamente evocativo al largo di Ventotene su una portaerei.
Un capolavoro tanto nei contenuti quanto nei simboli .

Saremo migliori? Slavoj Zizek, filosofo comunista non pentito, interprete di Marx attraverso le rimodulazioni di Althusser e la psicanalisi di Lacan, sostiene che “l’epidemia di Covid 19 dimostra non solo i limiti della globalizzazione ma anche quelli più letali del populismo nazionalista che insiste nella piena sovranità dello Stato: è la fine di ‘prima l’America’ (o qualunque altro paese)! […] La crisi attuale dimostra chiaramente che la solidarietà e la collaborazione globale sono nell’interesse di tutti e di ciascuno di noi, e sono l’unica cosa razionale ed egoista da fare”. Posta così la questione diventa più complicata e allo stesso tempo intrigante perché obbliga a pensare a un cambiamento che non riguarda solo gli individui ma coinvolge soprattutto le istituzioni e, nel complesso, quell’organizzazione capitalistica che celebra quotidianamente la sua potenza ma poi si scopre un gigante dai piedi d’argilla davanti a un virus visibile solo al microscopio.

Mariana Mazzucato è una stimata economista. Ha scritto in un articolo sul “Guardian”: “Dagli anni Ottanta ai governi è stato detto di fare un passo indietro e lasciare che fossero le imprese a orientare la creazione della ricchezza, intervenendo solo allo scopo di risolvere i problemi quando si presentano. Il risultato è che non sempre i governi sono preparati ad affrontare crisi come Covid 19 o l’emergenza climatica […] Occorre un ripensamento di ciò che i governi devono fare: piuttosto che limitarsi a correggere i fallimenti del mercato quando si presentano, essi dovrebbero dedicarsi a concepire e creare mercati che garantiscano una crescita sostenibile e inclusiva”. Nei mesi del Covid si è scatenata la tempesta perfetta: la pandemia, le borse che crollavano, il prezzo del petrolio che scendeva letteralmente sotto lo zero.

Troppe volte abbiamo detto che il sistema andava ripensato, che l’Italia andava ricostruita. Cominciando dall’apparato produttivo che ha accumulato enormi ritardi rispetto ai partner europei perché non tutti hanno capito per tempo che le vecchie produzioni che tiravano l’export non funzionavano più, che bisognava investire per costruire cose ad alto contenuto tecnologico; un grosso problema per un paese come l’Italia che ha fatto dissolvere l’Olivetti emarginandosi dal palcoscenico principale della terza rivoluzione industriale. Siamo estremamente interconnessi con la Germania (soprattutto nel settore automobilistico) ma negli ultimi decenni Berlino ha dirottato gran parte delle sue attenzioni, dal punto di vista delle forniture, verso i paesi del gruppo di Visegrad e forse per questo è così poco interessata al dumping sociale iscritto nel cuore dell’Europa al pari di quello fiscale.

Giustamente le imprese hanno chiesto sostegno allo Stato sotto forma di liquidità. Ma se lo Stato è utile nel momento delle crisi, può esserlo ancora di più per evitarle. Va superato quel paradigma che ha portato alla distruzione di un enorme capitale attraverso la svendita delle aziende che facevano capo all’Iri: in molti casi l’investitore privato non si è rivelato migliore di quello pubblico e in alcuni lo ha superato nel peggio. Non si tratta di ritornare alle vecchie Partecipazioni Statali ma riservare alla mano pubblica quelle aree di investimento che incidono maggiormente sull’interesse generale. Significa chiedere allo Stato un intervento più massiccio sulla ricerca di base, quella che reclama capitali pazienti; un ruolo decisivo nella definizione dei principi e delle regole di una economia sostenibile. Soprattutto invitarlo a interessarsi un po’ di più del sud tornando a spendersi su quella convergenza tra le due aree del paese che inseguiamo senza successo da ben oltre un secolo e mezzo. Da quarant’anni la “questione meridionale” è stata cancellata dal lessico politico e sociale. L’ultimo tentativo di affrontarla con uno sforzo creativo fu fatto dai sindacati quando a Palazzo Chigi vivacchiava un debole governo presieduto da Francesco Cossiga.

Di tanto in tanto rispunta l’idea della banca per il sud; all’epoca fu avanzata la proposta di un fondo alimentato da un piccolo contributo degli stessi lavoratori, una trattenuta sullo stipendio dello 0,50 per finanziare investimenti che si erano bloccati dopo iniziative sciagurate (il quinto, mai nato, centro siderurgico di Gioia Tauro immaginato nel mezzo di una crisi petrolifera che aveva ridotto i consumi di acciaio). Il Pci di Berlinguer, in lotta con le maggioranze di allora dopo la fine della solidarietà nazionale, la boicottò facendola abortire, una linea che, ad esempio, la sinistra del dopoguerra guidata da Palmiro Togliatti e Pietro Nenni aveva evitato di seguire al contrario agevolando l’impegno massiccio per la ricostruzione del Mezzogiorno, nonostante l’estromissione dal governo e la
proclamazione della conventio ad excludendum nei confronti dei comunisti.

Ma il Pci del dopoguerra fece anche di più promuovendo una iniziativa che di tanto in tanto rispunta da una memoria sotterrata nel forzato oblio. L’ha ricostruita in un bel romanzo Viola Ardone: “Il treno dei bambini” (Einaudi). La guerra era appena finita, le condizioni del sud erano disperate. Non si mobilitarono le classi agiate, ma i contadini, gli operai prevalentemente dell’Emilia. Sessantamila ragazzini tra il 1945 e il 1951 salirono al nord: le famiglie che li accolsero li nutrirono e li fecero studiare. Più tardi i Modena City Ramblers avrebbero cantato: “Sui treni del bestiame oggi partono i bambini/ sui treni per l’Emilia un bambino per famiglia/… non si aprono ville abbandonate dai ricconi ma il cuore e le case di onesti lavoratori/… perché dove si mangia in sei si mangia in sette”. Questo senso di comunità è scomparso nel tempo e la pandemia compirebbe un vero miracolo se riuscisse a farlo rinascere. Ma non ci si può fermare all’invocazione di un evento soprannaturale. Per risvegliare l’attenzione su un pezzo d’Italia mandato alla deriva ci vuole l’impegno di una grande forza sociale di cambiamento. Il Mezzogiorno ha pagato anche l’assenza ingiustificata del sindacato, l’accettazione di un mondo costruito intorno a migliaia di monadi chiuse all’interno delle quali non penetrava più il soffio “rivoluzionario” dello slogan “Nord-Sud uniti nella lotta”. Solo un sindacato che recupera la sua funzione di “produttore” di coesione, può spingere la politica a fare quel che non riesce a fare perché interessata solo a piantare bandierine ma non a elaborare progetti in grado di ricostruire il tessuto socio-economico. Questa netta divisione ha pesato in maniera decisamente negativa nella fase del lockdown perché fermatosi il cuore produttivo del paese, siamo rimasti totalmente senza alternative. Rinunciare al Mezzogiorno equivale a rinunciare a una riedificazione dell’Italia su basi più solide, unificanti e inclusive. Se la generazione che uscì dalla guerra ricostruì produttivamente il paese, quella attuale ha la possibilità di completare l’opera cercando di agganciare i due vagoni della penisola. Ma abbiamo bisogno di soggetti che riescano a dare un senso compiuto al bisogno di cambiamento, per fare in modo che se non tutto, almeno molto non sia più come prima. Davide Conti nel suo libro su Piazza Fontana ricostruisce l’ambiente politico, sociale, economico, anche militare che fece da sfondo alla strage che inaugurò la tragica stagione della strategia della tensione. Il 1969 fu un anno di grandi battaglie operaie che poi, per semplicità mediatiche, sono state sintetizzate in una sorta di sigla, l’Autunno caldo. Scrive lo storico: “Le lotte e le vertenze del movimento sindacale si configurarono in questa dinamica come un orizzonte di senso di portata complessiva in grado di svolgere una funzione generale di progresso per tutto il paese in ordine agli squilibri e alle tare storiche dell’Italia postunitaria”. Il miracolo economico aveva garantito una grande crescita ma non aveva favorito un adeguato sviluppo civile, né prodotto la giusta dose di riforme modernizzatrici. La lievitazione del Pil aveva lasciato intatti gli squilibri aggiungendone di nuovi causati dal massiccio trasferimento al nord di manodopera meridionale. Nel 1966 il salario medio di un operaio si aggirava intorno a 70 mila lire quando l’Istat sosteneva che ne servissero 100 mila per garantire un decente livello di vita a una famiglia; a metà degli anni Sessanta a fronte di un aumento della produttività del 15 per cento, le retribuzioni nell’industria calarono del 4 per cento.

Il sindacato seppe interpretare il bisogno di rinnovamento, riuscì a proporsi a una vasta comunità come soggetto di trasformazione a dispetto di forze che, al contrario, lavoravano, spesso nell’ombra per una stabilizzazione in senso autoritario. Erano anni di politica “debole”, segnati dalla crisi del centro-sinistra, dal suo irreversibile esaurimento. Oggi abbiamo un evidente vuoto di leadership, l’assenza di punti di riferimento sicuri, affidabili. Il sindacato è un grande protagonista sociale, lavora nelle viscere del paese, ne interpreta bisogni e umori, non vive con la gente attraverso i social ma vive tra la gente nei posti di lavoro, laddove la fatica può essere disperazione o speranza: deve solo riuscire a ritrovare lo spirito di mezzo secolo fa quando attraverso la contrattazione riformò la società sulla base di un’idea modernizzatrice che partiva dalla creazione di un funzionante welfare avendo di fronte una Confindustria arroccata in un immobile e a volte rancoroso passatismo.

Abbiamo attraversato anni in cui il lavoro è stato svalutato; d’altro canto, dopo l’introduzione dell’euro era l’unica cosa che potevamo svalutare visto che con la scomparsa della lira era andata perduta l’altra leva con la quale si spingevano le esportazioni. Questo è il momento per restituirgli dignità, anche salariale. In vent’anni i precari sono raddoppiati, dal 12 al 24 per cento, mentre solo il 10 per cento dei lavoratori dipendenti sono riusciti a mantenere invariato il proprio potere d’acquisto rispetto a un quarto di secolo fa. In compenso, la macchina dello Stato funziona perché l’80 per cento del combustibile (le imposte) viene fornito da lavoratori dipendenti e pensionati, mentre trecentomila italiani tengono al calduccio i loro averi nelle banche svizzere e decine di migliaia nei paradisi fiscali più esotici. Abbiamo capito e si spera una volta per tutte, che il welfare non è un costo ma un investimento sulla vita di tutti noi; che nella sanità l’area dei privati non va ampliata ma ridimensionata, anche a dispetto delle troppe “baronie” che hanno sempre frenato l’evoluzione del sistema; che quella pubblica va valorizzata e potenziata e non evocata, semmai in malo modo, solo quando la situazione volge al peggio.

Dobbiamo, però, anche chiederci quale lezione riusciremo ad apprendere da questa vicenda e quali soluzioni nel medio-periodo riusciremo a dare ai problemi accentuati o creati ex novo dalla pandemia. La Merkel parla di un sistema fiscale da armonizzare a livello europeo. Quello italiano, nel frattempo, brilla per iniquità perché in realtà fa pagare sempre ai soliti noti, cioè prevalentemente a coloro che hanno la ritenuta alla fonte. Nel tempo ha smarrito, con la scusa della semplificazione, la progressività e per raccattare la maggiore quantità di gettito possibile dalle fasce di reddito più comuni tra lavoratori dipendenti e pensionati, ha creato un vero e proprio scalone tra la seconda e la terza aliquota con la conseguenza che il salasso è troppo gravoso per alcune tasche, quindi ingiusto. L’Irpef è come una margherita: ha perso petali con la conseguenza che pezzi di reddito personale (ad esempio quelli di origine finanziaria) possono contare su tassazioni decisamente leggere. Abbiamo la “patrimoniale dei poveri”, l’Imu, ma se si prova a parlare di una patrimoniale vera, peraltro sollecitata persino da organizzazioni come il Fmi, che vada a colpire anche in maniera blanda le grandi ricchezze, chi quelle grandi ricchezze detiene e ha potere sull’universo dei media, immediatamente organizza una campagna contro la proposta semmai mettendo nel mirino gli spietati “tassatori” della sinistra. Eppure nel mondo appena il 4 per cento del gettito fiscale deriva da imposte sul patrimonio. In compenso un terzo della ricchezza dei miliardari proviene da successioni ereditarie. Traduzione: le tasse di successione alleggerite tra gli anni Ottanta e Novanta sotto la pressione del liberismo non hanno favorito i comuni mortali come una propaganda mirata e ben orchestrata ha sostenuto, ma prevalentemente i più ricchi. Il risultato di questa operazione è anche un altro: oggi un terzo dei giovani con genitori non abbienti è destinato a rimanere al gradino più basso della scala reddituale; al contrario, il 58 per cento dei figli del 40 per cento più ricco, resterà sui gradini più alti a dispetto di qualsiasi catastrofe.

Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ scriveva: “La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo”. Non solo quei criteri non sono stati ripensati, ma la disuguaglianza, che ne è la conseguenza, è cresciuta. La peste del 1347 rese più equa la distribuzione del reddito per un secolo e mezzo. L’economia di allora era diversa: si basava sull’agricoltura e l’artigianato; dal punto di vista tecnologico quello non era certo un mondo avanzatissimo e le “braccia” avevano una funzione centrale nel processo produttivo. Ciò che accadde allora non si ripeterà adesso; la pandemia produrrà più disoccupazione e disuguaglianza, un processo quest’ultimo apparentemente inarrestabile, come ci spiegano con dovizia di particolari Bezos e i suoi amici.

La popolazione mondiale ormai sfiora gli otto miliardi. Eppure 6,9 miliardi di persone detengono tutte insieme appena la metà della ricchezza netta dell’1 per cento più ricco. Il 60 per cento della popolazione mondiale ha meno disponibilità di 2153 super-ricchi; appena ventidue persone mettono insieme la ricchezza detenuta da tutte le donne africane. Nel nostro paese il 10 per cento più abbiente possiede una ricchezza pari a sei volte quella del 50 per cento più povero; l’1 per cento più ricco ha un patrimonio più pingue del 70 per cento più povero. Nel mondo il 10 per cento dei lavoratori che percepiscono i salari più bassi (ventidue dollari al mese) avrà bisogno di tre secoli e mezzo per raggiungere la media salariale della fascia più alta. Se esistesse un umano praticamente immortale in grado di risparmiare 10 mila dollari al giorno dall’epoca delle piramidi ad oggi, dopo questa gran fatica avrebbe messo insieme appena un quinto del patrimonio medio dei cinque miliardari più ricchi. Possiamo provare a costruire le condizioni per quel cambiamento reclamato dal Papa? Il governo italiano, pur tra mille contraddizioni, ha provato a sostenere tutte le vittime economiche della pandemia, un necessario intervento assistenziale in un momento in cui milioni di persone si sono ritrovate senza reddito. Ma questo non può esaurire tutti i nostri bisogni. Soprattutto non può soddisfare tutte le nostre attese. Il rischio, in questi casi, è quello dell’appagamento, fermarsi all’oggi senza guardare alla prospettiva. Ma è l’Italia di domani che i partiti e, soprattutto, i sindacati devono provare a immaginare perché per troppo tempo siamo andati avanti con lo sguardo voltato all’indietro. Questo è il tempo dell’azione non della rassegnazione. È il tempo della coerenza non del gattopardismo; non possiamo permetterci di pensare come Tancredi: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Al contrario è necessario che tutto cambi proprio per evitare che tutto resti com’è.

Concludendo, saremo migliori? Dipende solo da noi.

Toni Maraini
La quarantena è finita, la quarantena continua…

A fine quarantena, circolano con entusiasmo (e molta retorica pubblicitaria…) parole come ‘rinascita’ e ‘ricominciare’. Anche se questa nuova fase sembra più complicata, preoccupante e confusa di quella della quarantena, per molte persone, e comune/comuni mortali come noi, spostarsi, uscire, ritrovarsi e riprendere contatti reali, è invero una boccata d’ossigeno liberatoria nonostante mascherine e tanta prudenza… Ma ri-nascere e ri-cominciare implicano di più : elaborazioni nel profondo esistenziale, e riflessioni su nuovi paradigmi per ‘ricominciare’ ad riorganizzarsi con, e nel, mondo. Il mondo tuttavia non è gestito da comuni mortali… Come osserva Noam Chomsky in alcuni suoi recenti interventi il mondo è oggi più che mai gestito da poteri che, cogliendo al volo quanto ha comportato e comporta la crisi pandemica, ne hanno fatto – e faranno – un lucrativo business per propri finì, affari, sfruttamenti, propagande, rivalità e contese politico-ideologiche. E non si tratta soltanto della ‘corsa all’oro’ (come scrive un giornale) di Big Pharma, né del florido mercato mondiale delle armi o della devastante corsa allo sfruttamento delle risorse naturali, ma di tutte quelle istanze, multinazionali e non, che gestiscono sempre più il nostro vivere, perfino il nostro immaginario, e popoli ed eventi del nostro pianeta. Se speravamo che si sarebbe preso maggiore coscienza della necessità di una nuova maniera di rapportarvisi, con meno prevaricazioni, consumismo, sperpero, degrado ecologico e invasione tecnologica, e più attenzione ad esseri e natura, e alle crisi, miserie, sofferenze, ingiustizie sociali e guerre che ci attorniano, dobbiamo prendere atto che le cose non stanno proprio così. La questione del Coronavirus ha come irretito e ipnotizzato media e dibattiti. Ma la pentola ribolle di insorgenze. Della disattenzione sui reali problemi di fondo che ci attorniano peccano anche coloro che perdurano nell’ignoranza e non cambiano modo di vivere. Il farsi limpido delle acque marine li aveva dilettati? ma ecco che miliardi di guanti di plastica e di mascherine di un confuso mercato ed usa e getta senza regole, nonché fiumi di prodotti chimici non sempre validi e necessari come propagandato, costituiranno nuove immense isole e riversamenti inquinanti tra terre e mari. Tutto sembra ricominciare con un acuirsi degli annosi problemi che Collassogi e ambientalisti avvertono essere dovuti ad una crisi profonda dei sistemi, crisi che continuerà a manifestarsi… Come essi però sostengono, l’orizzonte non è inevitabilmente catastrofico se affrontato con lucidità, accorgimenti, resilienza, adattamenti, e (cosa assai problematica….) adeguate politiche. Da tempo consapevoli (Collassologia o no!..) di questo stato di cose, in molti si sono rimboccate le maniche e noi con loro continuiamo a resistere, sognare ed operare concretamente. Se uniti con trasversale coscienza, questo può pesare sulla bilancia senza bisogno di ripetere lo slogan ‘c’è la faremo’ pensando soltanto ai propri privilegi e faccende. Chiuso il Diario della quarantena, s’apra ora quello dei nuovi paradigmi per un mondo bello, ampio, variegato – in ostaggio e sofferto – da salvare.

Salvatore Rondello*
MANIFESTO PER UN NEO-ILLUMINISMO

L’invito lanciato dalla Fuis a scrittori e poeti per rappresentare letterariamente questo sorprendente momento storico determinato dalla pandemia da coronavirus, ha suscitato un grande interesse oltrepassando i confini nazionali, dimostrando ancora una volta che la cultura non ha limiti territoriali essendo patrimonio dell’umanità. Ma poiché, come ogni cosa, la pandemia sta per finire, di conseguenza finisce anche la raccolta antologica dal titolo ‘Diario in coronavirus con grani di scrittura’.

Da questa esperienza, è emerso qualcosa di molto importante: la libertà artistica ed espressiva che ha unito scrittori e poeti attorno allo stesso tema. Finita la pandemia non significa che sono finiti tutti i problemi dell’umanità.

I problemi che già c’erano prima, adesso si sono manifestati in modo ancora più accentuato. Il virus culturale del neo-nichilismo continua ad essere pervasivo, determinando disagi sociali che affliggono l’umanità. Al momento attuale, non è emerso ancora nessun movimento culturale in grado di contrastare questo neonichilismo diffuso principalmente attraverso gli strumenti mediatici, limitando l’affermazione del libero pensiero. Questo virus è talmente pervasivo che esercita condizionamenti comportamentali finalizzate ad una graduale annichilimento dell’essere umano. Subdolo ed invisibile, falso ed ingannevole, figlio dell’egoismo e dell’ingorda avarizia, cinico ed oppressivo, questo virus sta distruggendo l’umanità intera senza rendersi conto che distruggerà anche se stesso. Per fortuna esistono gli anticorpi, ma bisognerà farli entrare in funzione.

L’anticorpo più adatto potrebbe essere un neo-illuminismo volto all’humanitas, che ponga le esigenze degli esseri umani al centro dell’attenzione per correggere le degenerazioni sociali già in essere.

L’Illuminismo è stato il più grande movimento culturale e filosofico che ha segnato la società negli ultimi tre secoli. Ha determinato gradualmente il passaggio dagli assolutismi regi alle moderne democrazie, abbattendo le forme oppressive per affermare i principi di libertà e di uguaglianza dei diritti umani.

Il cosiddetto neoliberismo economico, da oltre vent’anni sta mettendo in crisi le moderne democrazie alimentando il ritorno del razzismo, la creazione di governi autoritari, la limitazione della libertà di pensiero attraverso il controllo della stampa e dei mezzi mediatici. Le nuove forme di oppressione non si manifestano con la stessa violenza che portarono al potere i regimi dittatoriali del secolo scorso. Si stanno affermando attraverso l’alterazione di quegli stessi valori e principi che sono alla base delle democrazie moderne.

I nuovi ‘dittatori’ del mondo, come i virus, sono invisibili, invadono tutti i tessuti sociali e sono quasi sempre irraggiungibili.
Ma tutto questo va contro la stessa natura umana. La pandemia del Covid-19 rappresenta un momento di svolta. La crisi economica che ha determinato sta spingendo gli stessi sostenitori del neoliberismo a cambiare politica economica ritornando alle politiche keynesiane con l’intervento statale.

Sono maturi i tempi per pensare ad un grande movimento culturale finalizzato ad educare l’humanitas per una società solidale e di rispetto tra gli esseri umani, ma anche di rispetto dell’ambiente in cui viviamo. Una società ideale, un mondo migliore da costruire per le generazioni future. In tal senso, come la storia ci insegna, gli uomini di buona volontà hanno il dovere di impegnarsi. L’umanità non può restare imprigionata dal neonichilismo, ma dovrà continuare il suo percorso etico di elevazione culturale, morale e civile.

Ecco perché è importante non disperdere la positività prodotta per il Covid-19. Il contributo che è stato dato all’umanità attraverso la raccolta antologica ed il successo ottenuto, sono un incoraggiamento a continuare verso nuovi orizzonti il dialogo iniziato da scrittori e poeti della Fuis.

Roma, 6 giugno 2020

*E’ Presidente del Circolo “Giustizia e Libertà” di Roma

Nicola Bottiglieri
PARLARE CON IL PROPRIO CORPO

Al Museo archeologico di Napoli vi sono dei reperti trovati nella Villa dei Papiri di Ercolano ed etichettati come “statuette di corridori”. Rappresentano due ragazzi che corrono nudi, la schiena piegata nello scatto della partenza, le mani protese in avanti come se, appoggiandosi all’aria, potessero iniziare la corsa con più veemenza. Ma quello che più colpisce in queste statuette sono gli occhi grandi, messi in risalto dalla pasta vitrea di colore bianco. Nei loro occhi dilatati dallo sforzo e dalla volontà di vincere, la distanza fra partenza ed arrivo è come se fosse già stata annullata. Perché correre significa annullare il vuoto della strada, della pista o del sentiero, riempire lo spazio che ci circonda con il proprio corpo. Perciò è davvero con stupore che guardo sempre un poster della maratona di New York che ho a casa, dove più di trentamila persone stanno correndo, mi chiedo: quale vuoto stanno riempiendo, quello delle strade o quello delle loro vite? Questa domanda è inevitabile, altrimenti non riusciamo a spiegarci come la maratona sia diventata, dopo il calcio, lo sport più popolare nel mondo. Fra tutte le specialità dell’atletica leggera, la maratona è quella più partecipata, mentre le altre, la corsa veloce, i lanci, i salti, ecc. vengono progressivamente abbandonate. Perché questo fenomeno oramai globale ed apocalittico allo stesso tempo?

A partire dagli anni sessanta, nella società di massa è esploso il fenomeno del grande evento condiviso, spesso a guidarli è stata la musica e così si ebbero Woodstock nell’agosto del 69, il concerto di Rod Stewart a Rio de Janeiro nel dicembre del 1994 cui parteciparono quasi 4 milioni di persone, altre volte è stata la religione come successe con le giornate mondiali della gioventù nel 2000 a Roma con Giovanni Paolo II, oppure la politica, i raduni della Piazza di Tien Ammen in Cina nell’aprile, maggio del 1989 o la festa per la caduta del muro di Berlino nel novembre 1989. Questi fenomeni tipici della società di massa, sono comunque occasionali ed hanno una natura diversa dai grandi raduni sportivi. Perchè le grandi maratone avvengono tutte le settimane, tutti i mesi, tutti gli anni in ogni parte del mondo. Perciò ci chiediamo ancora, perchè avvengono? Una probabile risposta è che vi sia il bisogno di riappropriarsi di se stessi, di inventare un linguaggio per parlare con serenità con il proprio corpo. Quello che sorprende, tuttavia, è che questo “linguaggio sereno” è intriso di fatica, come se la sofferenza fosse il dizionario dal quale attingere le parole giuste per parlare con se stessi. Il maratoneta della domenica non corre per vincere, corre per non perdere la gara con la vita, per non perdere il contatto con il proprio corpo, come non deve mai perdere il contatto con il terreno. Perciò egli “ascolta” l’eco dei suoi passi che battono la strada, perché il rumore delle scarpe sulla strada va al ritmo del suo cuore, egli avverte se le pedate sono festose oppure mute, veloci o lente e sollecita il piede ad alzarsi da terra sempre con entusiasmo. Non è esagerato dire che il maratoneta tratta il proprio corpo come fa un padrone con il cane. Lo nutre, gli parla, ne conosce i limiti ed i pregi, ci scherza e lo inganna a seconda dei casi e la sua gioia è immensa quando, all’arrivo, rotto il guinzaglio, l’uomo e l’animale si identificano in un grande abbraccio. Di che cuoio è fatto quel guinzaglio? Quel cuoio si chiama volontà, voglia di vivere, a volte rancore ma sopratutto gratitudine per essere stati insieme a migliaia di altre persone, per avere di nuovo affermato la vita. Se questa immagine dell’uomo che porta al guizaglio se stesso la moltiplichiamo per mille, diecimila, ventimila persone, ci rendiamo conto di quale dimensione apocalittica si rivestano le maratone quando la gara sportiva coincide con il grande raduno cittadino annuale di New York, Boston, Roma, Madrid, Londra o a Sidney . Quanti guinzagli vengono strappati in quelle ore? Quanta sofferenza viene patita? Quanti rimproveri a se stessi vengono annegati nel sudore?

Vedere i maratoneti alla partenza di una gara, con le magliette variopinte, i saltelli, gli spintoni e le scarpette colorate e poi osservare la selva di gambe che va all’assalto della strada, guardare le schiene saltellanti, i gruppi che si sfilacciano uno dietro l’altro, riempie di gioia perché è manifestazione di una vita che esplode, però, come sappiamo, il gruppo è fatto di individui singoli ed ogni individuo è un mondo che ragiona per proprio conto. Tutti insieme fanno la stessa cosa, ma ognuno di essi ha ragioni diverse per farlo. Ma tutti hanno lo stesso obiettivo, come lo aveva Fidippide nel 420 a.C., arrivare da Maratona ad Atene fine e gridare vittoria. Che oggi, il più delle volte, consiste nell’avere vinto la gara con se stessi, aver dato un “senso” alla giornata ed avere riempito il vuoto della strada e della vita. Facendo la cosa più naturale ed antica dell’uomo, cioè correre all’aria aperta, lasciandosi alle spalle gli incubi della pandemia.

Danilo Vélez Sánchez (da Colombia)
COVID-19 EL NUEVO AVATAR DEL DOLOR DE SER-HUMANO

El apocalipsis, así es como algunos nombran en forma de chiste la situación actual, se trata tal vez de una manera de mitigar la angustia provocada por la incertidumbre sobre el presente y sobre el futuro. Incertidumbre producida por el surgimiento del COVID-19.

Y es que sin duda alguna pareciera que nos encontraramos en los tiempos repletos de plagas, guerras, muerte y sufrimiento que son narrados en el último libro de la Biblia, es decir, parece que nos encontramos en el fin de los tiempos.

Puede ser esa la situación, puede que haya llegado el momento en el que la humanidad deba responder ante el Dios creador de los Judíos y de los Cristianos o simplemente se trate de otra mala época, de una más en la lista de tantas épocas obscuras en las que la humanidad sufre y padece la perdida de cientos de miles de muertes. En ocasiones ha sido por causa de las guerras, en otras de las cruzadas y finalmente encontramos que las pestes y las plagas también han tenido parte de responsabilidad en dichas situaciones.

Ahora nos enfrentamos a una peste que constituye un enemigo invisible, en tanto invisible su podre se hace mayor, pues es prácticamente imposible identificar quien pueda estar contagiado y en ese sentido quien nos pueda transmitir el virus, nos encontramos indefensos ante semejante amenaza, ni las grandes potencias con todo su poderío militar, económico y científico han podido hacerle frente al enemigo.

Cientos de miles han sido los caídos, sin discriminación de edad, raza, estatus social o credo. Todos enfrentamos la misma amenaza, un enemigo en común que resulta titánico, tan poderoso que ha obligado a la humanidad a unirse en un solo grito, cosa que no suele pasar pues las divisiones y las diferencias de los seres humanos son marcadas y operantes.

Tal vez sea ese el punto positivo frente a la situación que venimos viviendo, si, la presunta unión de toda la humanidad en un objetivo en común. No obstante, se trata posiblemente de una ilusión, pues los rumores no se hacen esperar y viajan con el viento recorriendo lo largo y ancho del planeta, a saber, rumores de que el virus fue creado, de que hay intereses particulares en que el virus no sea eliminado, en que todo es planeado y si es así entonces no estamos unidos.

Son precisamente esos rumores los que hacen aún más titánico al COVID-19, pues la incertidumbre crece y se apodera de las personas. Con ella el miedo que se convierte en un arma devastadora en contra de la humanidad robando las esperanzas y dejando en jaque a la sociedad.

El panorama es desalentador, por donde se lo mire la obscuridad es lo que impera. Día y noche, semana tras semana lo único que hay en los medios, de lo que nos alimentamos, lo que motiva las conversaciones y el tema principal de las reuniones familiares y entre amigos es el COVID. No existen otros temas para hablar y cuando de repente algún otro eje surge en la conversación como el deporte, la situación económica o política del planeta es rápidamente opacada por el monstruo que encarna la sombra de la muerte, pues todo lo que sucede hoy en día es producto del progreso del COVID-19.

La situación en un pequeño pueblo llamado Chigorodó ubicado en Colombia no es diferente, si bien cuenta con algunas particularidades el nombrado municipio se encuentra atravesado por lo anteriormente dicho referente al COVID-19.

Aquello que parecía ser un chiste, algo lejano que no afectaría a dicha población y de la cual los chistes y los memes eran un atractivo que permitía la diversión y distracción de los habitantes de Chigorodó se ha convertido en una amenaza certera, que pasó de ser latente a una realidad explicita.

Si bien es cierto que hasta el momento los habitantes de dicha población contamos con la suerte de no registrar personas infectadas con el virus del COVID-19, la tranquilidad ha desaparecido, la zozobra se ha apoderado de sus habitantes y cada día crece la angustia. Con la llegada el virus a los municipios vecinos, a los pueblos hermanos el temor se ha convertido en la insoslayable compañía que se hace presente las 24 horas del diario vivir de los chigorodoseños.

Y es que ¿Qué más podría pasar con los habitantes de una población que no cuenta con los medios tecnológicos apropiados para afrontar el poder arrollador de la pandemia? Una población cuyo máximo líder, ha dicho de manera categórica que de padecer la llegada el monstruo gigantesco que asecha en las sombras de la invisibilidad sucumbiría en un 80% sin que se pudiera hacer nada al respecto.

A eso debemos sumarle algunos comportamientos irresponsables, casi suicidas de gran parte de sus habitantes que paradójicamente, aun con todo el temor y la zozobra propia de la situación no cumple con las medidas y protocolos de bioseguridad. Una población que se debate entre los cuidados pertinentes y el desafío a la muerte.

Existe entonces una disyuntiva entre el poder ser y el deber ser. Entonces pasamos de una batalla contra la pandemia del siglo XXI a un combate en el cuadrilátero entre la ética y la canallada. Un duelo de titanes, un encuentro que se constituye legendario y se hace constitutivo del ser-humano.

Pues no es un secreto que a lo largo de la historia de la humanidad han existido sujetos éticos que someten a juicio sus actos y se hacen responsables de las consecuencias que estos puedan acarrear, también han poblado el planeta canallas que sin pensar y someter a juicio sus actos terminan condenando a los demás a un destino trágico y para colmo de males se desprenden con gran habilidad de la responsabilidad que les corresponde engendrándosela a otros.

Bien, el panorama parece esclarecerse, no nos encontramos en una lucha del hombre contra el virus, nos encontramos en una nueva edición de la lucha del hombre contra su humanidad. Entonces ¿Qué pasa con el virus? ¿Deja de ser importante? En efecto el virus de la pandemia está, es una realidad que no podemos simplemente omitir o denegar pues viene haciendo su trabajo, sobrevivir a costa de las vidas humanas.

Dicho lo anterior queda claro que en ningún momento ha dejado de ser importante la pandemia, por lo contrario cada día se hace más importante pues es la dueña del destino de la humanidad y cada día que pasa se hace más fuerte. Para nadie es un secreto que no sólo la salud es súbdita del emperador de turno llamado COVID-19, también la economía, la educación, la misma sociedad y todo lo que le compete dependen de la voluntad de este nuevo gobernante.

Se preguntarán entonces, por qué motivo me “desvié” del tema en cuestión para hablar de una cuestión que pareciera pertenecer al campo de la filosofía en lo que pareciera ser una disertación poco pertinente y que nada aporta al problema en cuestión.

La respuesta no puede ser clara, seguramente no lograré satisfacer a los lectores en este asunto –ni en el de la empresa que he iniciado, a saber, una reflexión frente al COVID-19-. Permitanme entonces pedir perdón por hacerles perder su valioso tiempo, ese tiempo que en estas épocas donde la muerte pareciera estar tan cerca que en cualquier momento nos arrastraría a su reino, tiempo que en vez de desperdiciar leyendo un texto que no resuelve nada podrían aprovechar para pasar con sus seres queridos.

Pero debo decir que no es mi objetivo resolver nada con este escrito, si ese fuera realmente sería ingenuo de mi parte y a la vez irresponsable traerles esa promesa. Mi objetivo –más allá de dar a conocer mis disertaciones frente a la situación coyuntural que atraviesa a la humanidad- es permitir una apertura a pensar, ¿Pensar qué? Cualquier cosa.

Lo importante no es que piensen, lo importante –a mi modo de ver- es que vayan y vengan entre un pensamiento y otro, que hilen ideas, que imágenes opuestas se encuentren y que ese ejercicio les permita salir. Es importante salir de este agujero en el que caímos por cuenta del COVID-19. Aunque sinceramente me atrevería –asumiendo la responsabilidad que me corresponda- a plantear que el virus de apellido pandemia no es más que una excusa que encubre la escena que se encuentra al otro lado del velo.

Escena que ya era algo evidente, que de una u otra forma se sentía amenazada con caer, con derrumbarse por su propio peso pero a la cual como en los más grandiosos relatos míticos acudió un mesías que promete salvarla.

No quiero encausarme en la función de señor de las conspiraciones –no es algo que me agrade- tampoco pretendo exponer algo nuevo, pues lo que pueda llegar a decir a través de las siguientes palabras.

Demos un salto y posicionémonos en la primicia de que somos ontológica y filogenéticamente seres sociales, en tanto seres sociales necesitamos de los otros que nos rodean para poder alcanzar nuestras metas. Ahora bien, otro punto que hay que indicar es que esa característica social que nos constituye es la que nos ha permitido llegar desde el punto evolutivo en el que iniciamos hasta lo que somos hoy como especie y como sociedad.

Es decir, hemos evolucionado por la gracia de la naturaleza que nos ha dotado con dicha cualidad que al parecer es ajena a las demás especies animales. Viéndolo de este modo, podemos decir que alcanzamos un progreso superlativo en comparación a las demás especies logrando convertirnos en algo así como una especie de dioses –o por lo menos es lo que nuestro egocentrismo nos dicta-, en tanto seres superiores tenemos la potestad de regir el destino de las demás especies y someterlas a nuestra voluntad.

Esta lógica funciona y funciona bien hasta cierto punto. Sin embargo, para otros la lógica se inscribe en otro orden, reconocemos nuestra superioridad, no obstante enfatizamos en que dicha superioridad nos ha convertido en una plaga que destruye los recursos naturales y acaba con las otras especies con las que cohabitamos.

Inclinémonos por la segunda consecuencia de nuestra característica de sociabilidad, a saber, por el hecho de que nos convertimos en una plaga que devora todo cuanto se encuentra a su alcance.

Se hace necesario entonces que algo nos ponga un punto de quietud, que nos suspenda en nuestro progreso y permita de una u otra manera recuperar el equilibrio natural del que partimos –si no todo, si una parte-, esta responsabilidad deviene de algo superior a nosotros –es aquí donde se pueden tomar en cuenta dos puntos de vista oponibles-. Ya sea que se trate de un Dios o de la madre naturaleza, lo cierto es que alguien debe tomar cartas en el asunto.

Resta pensar en el medio para lograr el objetivo, es aquí donde entra nuevamente en escena el COVID-19. Algunos sostendrán que se trata de algo natural, otros de algo divino o que lo ha producido el propio hombre. Sin importar mucho cuál de las tres posibilidades sea la causa, podemos afirmar que se constituye en una amenaza para la especie, amenaza que podría cumplir el objetivo de dar un respiro y en consecuencia restaurar el orden –no es algo que profundizaremos puesto que no es la tarea propuesta-.

Ya sea cierta la hipótesis del equilibrio natural –o divino- o no, lo que sí es un hecho inobjetable es que la normalidad, el modo de vida que veníamos llevando durante décadas y tal vez siglos ha cambiado radicalmente –tal vez permanentemente, tal vez temporalmente-, durante prácticamente toda nuestra historia como humanidad veníamos evolucionando en sociedad, alcanzando cosas inimaginables.

Entre dichos progreso encontramos la invención de la tecnología, que terminó desembocando en el internet y su más grande aliado, a saber, las redes sociales. Paradójicamente –esto no es nuevo insisto- estas redes sociales nos estaban haciendo cada vez más asociables.

Nos convertimos poco a poco en seres enclaustrados, sometidos a un ostracismo disfrazado de benevolencia, de generación de vínculos más allá de las fronteras y de las distancias. Pero la realidad era otra, aquellos que se encontraban cerca los hacíamos lejos con la barrera de los gagets tecnológicos que nos atrapan por medio de heterogéneas e ingeniosas “artimañas”.

Entonces contamos con Facebook, instagram, twitter, youtube y netflix entre otras manifestaciones de esa prisión. Se debilitaron los vínculos y nos convertimos en la generación del facilismo, aquella que lo tiene todo a tan solo un click de distancia. Poco a poco entonces los hábitos fueron cambiando, nos subsumíamos en un mundo surreal en el cual nos masificamos y perdimos de a poco nuestra individualidad. Todos siendo uno sin derecho a la diferencia en un discurso que paradójicamente proclama lo contrario.

Con la llegada y fortalecimiento del COVID-19 ese ostracismo se radicalizó. Ya no se trataba de una situación en la cual terminábamos sin darnos cuenta, no, ya muchos lo notaron y emprendieron una lucha contra ello. Se trata entonces de una orden, de un imperativo que bajo la amenaza de muerte y la promesa de supervivencia se debe cumplir.

Entonces, Chigorodó, ese pequeño pueblo desconocido por el mundo en el cual aún se imponían las relaciones vinculares –aunque debilitadas- se vio obligado a someterse a el distanciamiento que bajo ingeniosos eufemismos atenúan las consecuencias del mismo.

Aunque algunos, por diversos motivos que son de analizar a profundidad –pero que no nos competen en este momento- se niegan a cumplir con ese mandato “inobjetable” devenido de la gran pandemia del siglo XXI. Lo cierto es que en términos generales, los habitantes de este pequeño municipio accedieron a renunciar a las caminatas, a las salidas a los parques, a las fiestas y aglomeraciones, a disfrutar de eventos al aire libre o en centros de diversión.

Ese pequeño pueblo ubicado en la mejor esquina de América –afirmación valida en todos los sentidos- que se mantiene invicto frente al enemigo, se ha vuelto dependiente de las redes, de las plataformas de entretenimiento. Cuando estaba superando el flagelo de la guerra territorial entre fuerzas legitimas del gobierno y grupos armados al margen de la ley, cuando por fin había recuperado la confianza en su gente, en sus capacidades y en sus infinitas posibilidades ha resultado presa nuevamente del temor, de la angustia y se ha constituido de nuevo en un pueblo paranoico.

Y es que Chigorodó es la fiel prueba de que el COVID-19 no es en sí mismo tan fatal, de que lo que realmente destruye a los pueblos en este momento es todo lo que alrededor del nombrado virus se teje, se revela y se posiciona como un ejército fuertemente armado frente a civiles desarmados.

De pronto, la paz producto de esa promesa perdida se vino abajo, ahora tenemos que elegir entre la posición ética de los cuidados –extremos o no- y la solución canalla de ir por ahí sin cuidados algunos, violando las normas preventivas y de paso la confianza del pueblo y el poder de las autoridades.

Entonces descubrimos que el verdadero problema no es el COVID-19, que este no es más que una herramienta; el verdadero problema somos nosotros, nuestra condición insoslayable de ser-humanos, ya que en tanto ser-humanos somos incapaces de evitar las acciones propias de egoísmo, de soberbia y de maldad que nos son constitutivas. Entonces nos damos cuenta que somos nosotros los que amenazamos nuestra especie, que somos nosotros los que ponemos en la cuerda floja la supervivencia nuestra y de los que nos siguen.

Para finalizar, tengo por decir que no todo son noticias malas, que en ese pequeño pueblo real –aunque de fantasía- no se van a extinguir sus habitantes. Es posible que la nueva infección –pues ya estamos infectados de nuestra humanidad- llegue y diga presente entre sus habitantes, que algunos no sobrevivan a esta etapa tan importante en la historia humana –al fin de cuentas la historia es humana, los animales y las plantas por ejemplo no escriben historia, solo existen-.

Sobreviviremos, como especie lo haremos, nos adaptaremos y continuaremos adelante –seguramente menos sociales, menos libres-, tal vez quien lea este texto y quien lo escribió no logren ver el nuevo día, pero la especie con seguridad sí.

Pido perdón por estas líneas, que logran cerrar menos de lo que abren, por estas palabras que se deslizan entre ideas inconclusas y que retornan continuamente a donde empezaron. Espero les sirvieran para pensar el momento, para pensar-se o por lo menos los entretuvieran sacándolos de la agobiante rutina.

Siamo tutti sulla stessa barca


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Elaborazioe grafica di Mino La Franca

Gabriella Sica, scrittrice
Intervista a cura di Carmelo Cedrone*
SALVARE L’EUROPA – E gli intellettuali?

Premessa. Di fronte alla pandemia l’Europa è incerta e sbandata. Le sue debolezze, il suo vuoto confusionale, la sua assenza sulla scena mondiale, risultano evidenti e preoccupanti. Non ha gli strumenti per dare risposte efficaci all’emergenza dal punto di vista sanitario, economico e sociale. Tanto meno è in grado di indicare soluzioni in prospettiva, a medio e lungo termine. Le mancano gli strumenti, la volontà politica e la cultura per farlo. Difficile che le persone possano trovare riparo solo sotto l’ombrello della religione, per secoli comodo rifugio e rimedio ad ogni cosa. A 75 anni dalla fine della guerra, nemmeno di fronte a una pandemia, l’Unione, meglio alcuni paesi, sono in grado di indicare e di “giustificare” la “ragione” dello stare insieme. Anzi. La decisione della Corte Costituzionale tedesca di questi giorni va in senso contrario. Ci ha ricordato, non trovando nulla di meglio da dirci, che in Europa non si può costruire una Unione democratica, perché manca “un popolo omogeneo” (incredibile, ma fino ad oggi cosa siamo stati a fare?). Perciò il diritto nazionale (tedesco) è prevalente su quello dell’Unione, perché la Germania naturalmente il “popolo omogeneo”, da tutelare, ce l’ha. I giudici della Corte, non un partito xenofobo, hanno utilizzato i principi giuridici con un approccio ideologico, come la Germania fa spesso anche in campo economico e contabile. Una decisione, reiterata, molto grave, che rischia di far saltare il lavoro della costruzione europea fatto sinora, a meno che la successiva conversione della Merkel, favorevole all’emissione di titoli di debito europeo, non rappresenti la fine di un tabù e un cambio di marcia per l’Unione.

1^ domanda
Oggi di fronte alla crisi e alle paure che la pandemia sta generando si fa un gran parlare, spesso vacuo. Secondo lei ci sono le condizioni per un ripensamento serio sul modo di concepire la vita e i suoi valori? Ciò potrà favorire l’introduzione di regole nuove nel rapporto tra gli attori a livello globale?

C’è un grande problema nel mondo che ne intreccia e ne trascina molti altri: un incremento demografico enorme. Pare che dagli anni Sessanta, quando io ero una bambina, la popolazione si è più che raddoppiata, un incremento ben superiore a quello sviluppato in secoli e millenni. Questo comporta accumuli spaventosi di rifiuti, inquinamento atmosferico (e mi viene da pensare che i cinesi la mascherina la portano già da anni), corsa folle verso il saccheggio delle risorse della terra, deturpazioni continue del paesaggio, danni ambientali, minacce nucleari e cambiamenti climatici, come il riscaldamento globale. La pandemia in corso nel mondo intero è una spia e una conseguenza di tutto questo. Si è detto che nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe successo un simile aggressivo attacco di un nemico misterioso e indomabile per noi uomini, perennemente illusi sulla nostra modernità, sulle “magnifiche sorti e progressive” del secolo che sempre si mostra “progressivo e sciocco”. La Dichiarazione dei diritti umani del 1948 ha finalmente stabilito che “i diritti umani siano protetti da norme giuridiche”. Ma l’uomo a volte sa essere bestiale, sempre in guerra con qualcuno, come vediamo in America anche in questi giorni. L’uomo deve sviluppare la sua umanità e la relazione con chi è Altro, con la pluralità e diversità delle culture e delle fedi. E sperimentare su di sé un cambiamento personale, nel nostro piccolo mondo, che si è così ridotto in questo periodo, riconoscere che abbiamo doveri verso gli altri. A volte basterebbe un po’ di gentilezza, se non vigesse la legge del più forte. La confidenza con le diverse religioni si è indebolita, perfino la poesia, che è l’espressione essenziale dell’umano, pare esclusa se non fosse che i poeti esistono ancora, quasi a dispetto del mondo. Simone Weil, a guerra appena iniziata, vagheggiava una Costituente per l’Europa che, rovesciando il primato illuminista del principio assoluto dei diritti, comprendesse una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, nella sua integrità di anima e corpo. Invece la mancanza di rispetto, il non riconoscere la fragilità dell’Altro, malgrado sviluppi e social, persiste tragicamente.

2^ domanda

In questo scenario drammatico, com’era prevedibile, emerge chiaramente la divisione e l’assenza dell’Europa, nonostante i suoi generosi tentativi in corso. Questo può portare a un definitivo distacco dell’opinione pubblica dalle Istituzioni attuali, meglio dalla Germania, che sinora aveva respinto qualunque principio di solidarietà? Uno scenario di distruzione che dobbiamo accettare passivamente o che potrebbe cambiare con la scelta tedesca di accettare l’emissione di debito europeo per far fronte alla pandemia? Basta per evitare la fine di tutto e far avanzare l’Unione politica?

Posso solo dire che l’idea dell’Unità europea è nata nella prospettiva di una nuova civiltà dopo gli spaventosi abissi delle due guerre mondiali tanto ravvicinate. Un’idea che nella pratica non può essere un’entità fissa o metafisica ed è infatti diventata un’entità concreta, con le sedi parlamentari, ma è anche un movimento perpetuo e non definitivo, un processo di avvicinamento a un difficile equilibrio dei diversi paesi. Certo l’introduzione dell’euro è stata per l’Italia un trauma mai guarito, ma il ritorno indietro sempre sventolato come minaccia e propaganda politica non può funzionare. Conosco giovani dell’Erasmus, i primi nostri giovani europei, che sono delusi. E pure bisogna aggiustare le cose, con civiltà, lavoro e rispetto, non guardare anacronisticamente a un paese con i confini fissi, ormai impossibile.

3^ domanda

Gli/le intellettuali, le donne e gli uomini di pensiero, della cultura, ignorati e spesso assenti dal dibattito, salvo eccezioni, cosa possono fare per evitare una “rottura” e/o per salvare quel che resta dell’Unione?

Intanto suggerirei di smettere di parlare di rottura e resti dell’Ue, che ci salva comunque da altre guerre, e non è poco. Lavoriamo, educhiamo giovani che siano fino in fondo cittadini europei, si deve fare più Europa, e più europei. Gli scrittori ci sono sempre, e lavorano. Magari bisognerebbe ascoltarli di più. Anche io ho scritto un libro, uscito cinque anni fa, sul nostro continente, Cara Europa che ci guardi (1915-2015). Mi sono ispirata a figure autorevoli, da Simone Weil a María Zambrano, da Sereni a Pasolini e Zanzotto. E in questo mio libro ibrido, l’Europa è delineata come fibra delle generazioni che ci hanno precedute nella prima e nella seconda guerra, e linfa vitale della vita e del corpo, nei nostri decenni. Era un momento cupo per l’Ue ma io ho voluto vederla con fiducia. E avevo anche previsto che sarebbe arrivata una pandemia. Noi ci siamo sentiti presi alle spalle, ma gli avvisi c’erano stati e ne avevo scritto in questo libro: “Aumentano le temperature e aumentano i cicloni, gli incendi e i sismi, nella generale serra che è il mondo. Quanti casi di asma, infarto e tumori sono da ricondurre a emissioni inquinanti! … Tornano le infezioni di malattie dell’infanzia che erano state debellate con il vaccino. In agguato la minaccia di una peste moderna, di cui, chissà, l’ebola è stato un annuncio: nel mondo globale il giardino d’Europa non si potrebbe salvare, come il giardino assediato dalla peste a Firenze, ricordata nel Decameron”. Gli scrittori ci sono ma non vengono letti e tanto meno davvero ascoltati. Si pensa che i libri siano “solo” romanzi o poesia. E non mappe di civiltà con implicite importanti istruzioni.

7 giugno 2020

*E’ coordinatore del LABORATORIO EUROPA/Eurispes
SALVARE L’EUROPA

Antonio Filippetti (da Napoli)
Le parole del coronavirus

E’ noto che il linguaggio che usiamo quotidianamente si è via via impoverito, sotto la spinta delle “condivisioni” social e in funzione del ricorso sempre più frequente a termini e espressioni esterofile (anglofile); sta di fatto che l’uso comune si restringe ad un paio di migliaia di vocaboli utilizzati ogni giorno per definire, esprimere, qualificare le nostre azioni. Con l’arrivo del coronavirus questa consuetudine non è mutata gran che ma quello che è da notare è come alcuni termini, assai poco utilizzati fin qui o utilizzati diremmo con altro valore e significato, siano tornati prepotentemente in uso. Questo escludendo ovviamente termini ed espressioni linguistiche finora pressoché sconosciuti che si sono imposti con una frequenza altissima in tutte le discussioni, relazioni scritte, articoli giornalistici e così via, come coronavirus, sars, covid, lockdown, ecc.

Proviamo ora a stilare un breve elenco alfabetico di come sono entrate nell’uso quotidiano e come vengono utilizzate determinate accezioni fino all’altro giorno usate poco o addirittura impiegate con altre specificazioni.

Lettera A – Autorità. Di solito utilizzata per richiamarsi a qualcosa di indubitabilmente sobrio e imperativo. Ora invece associata quasi esclusivamente alle regole suggerite o meglio imposte dalle alte sfere delle istituzioni politiche o scientifiche e a pena, in caso di inosservanza, di sanzioni severe.

Lettera B – Bollettino. Normalmente un termine minore e burocratico: il bollettino postale, dei protesti, delle ricevute, ecc. Ora invece in grande considerazione in funzione di come si attende ogni giorno il rendiconto sul numero dei contagiati dal virus, delle persone decedute, ecc. Il bollettino quotidiano della protezione civile è diventato anzi un vero e proprio must dell’informazione quotidiana.

Lettera C – Contagio. Termine finora assai poco usato, è diventato di uso comune, utilizzato in tutte le risoluzioni istituzionali (evitare il contagio, valutare il numero dei contagi e dei contagiati, ecc.) e visto anche come il lasciapassare per un periodo di vita migliore, quando calerà il numero dei contagi, ecc.

Lettera D – Distanziamento. Termine pressoché sconosciuto finora e raramente usato, è viceversa al momento uno dei più impiegati perché determina la distanza di sicurezza, ovvero certifica la norma grazie alla quale ci si può sentire al sicuro, al riparo dal male; Il distanziamento “sociale” è attualmente considerato il migliore passaporto per non correre rischi.

Lettera E Esperto. Termine di solito poco usato, chiamato in causa per ragioni legali o di valutazione commerciale o anche artistica, è diventato di uso comune. Si ricorre agli esperti per avere certezze di verità e sconfiggere le paure. Gli esperti sono cresciuti a dismisura e pur senza una reale patente di merito, abbiamo esperti che si improvvisano tali per tutte le stagioni ed in particolare per questa contrassegnata dall’epidemia. Poiché tutti sembrano averne bisogno, allo stesso modo tutti si ritengono all’altezza di discettare e emettere giudizi “di valore”.

Lettera F – Fiducia. Termine scarsamente usato giacché di fiducia la gente comune non sembra proprio disposta ad accordarne a nessuno, ma in questo caso ritorna quasi in funzione religiosa nel senso che si deve (vuole) avere fiducia per superare il momento terribile, di conseguenza viene riposta passivamente in alcune figure carismatiche, come il presidente del consiglio, gli scienziati ed anche il papa.

Lettera G. Giustizia. Termine che richiama uno dei fondamenti della democrazia parlamentare, viene ripreso al momento con una certa continuità per richiamarsi alle tante vittime del virus che non essendo state protette da alcuno, reclamano ora – post mortem – tramite i familiari e gli amici, un’adeguata giustizia. Ma c’è anche chi la invoca per i diseredati occasionali, l’enorme fascia di cittadini messi in crisi dall’epidemia.

Lettera H – H24. Locuzione diventata di moda per indicare un servizio che si espleta senza interruzione, ventiquattr’ore al giorno. In questo caso lavorano h24 i medici e gli altri operatori ospedalieri, i volontari delle diverse organizzazioni, e anche coloro che malgrado tutto si sono esposti in prima fila per limitare i danni del coronavirus.

Lettera I – Informazione. Termine utilizzato con sovraccarico di frequenza in quanto tutti chiedono informazioni e tutti si ritengono in grado di poterle fornire, causando una confusione dalla quale è difficile uscire e soprattutto raccapezzarsi finendo per creare un effetto opposto a quanto normalmente ci sarebbe da aspettarsi.

Lettera L – Libertà. Termine del quale ci si riempie spesso la bocca a sproposito, diventa di dominio pubblico in questo periodo. La libertà viene condizionata o addirittura soppressa in funzione di un bene cosiddetto superiore, qual è la salute pubblica e la vita degli individui ma sospenderla per legge ha le caratteristiche di un vero e proprio arbitrio anticostituzionale, anche se alcuni “esperti” si sono dati da fare per sostenere il contrario (potrebbe cioè essere sospesa per un tempo limitato).

Lettera M – Medico. Termine solitamente usato in caso di necessità, come chiamare il medico, andare dal medico, l’ha prescritto il medico, ecc. Ora è diventato di uso comune e continuo, sia con funzioni miracolistiche, tipo i medici salvatori ma anche vittimistico, con i medici morti (tanti) nell’espletamento del proprio lavoro nel generoso tentativo di salvare quante più vite possibili.

Lettera N – Numero. Termine con una precisa connotazione matematica, usato talvolta anche con intenti scaramantici (un numero al lotto), è diventato d’uso comune con aspettative e risvolti drammatici. Ogni giorno contiamo il numero dei morti, dei malati, dei guariti, ecc.

Lettera O – Obbedienza. Termine impiegato prevalentemente nella didattica per i bambini, bisogna obbedire ai maestri, ma anche nel settore impiegatizio, si obbedisce fantozzianamente al proprio superiore. Ora diventato di uso universale, nel senso che bisogna tutti obbedire alle disposizioni dei vari comandanti, il governo centrale, quello periferico delle regioni o dei comuni, o più ancora osservare scrupolosamente quanto ci viene imposto dalle rigide regole dettate dal commissario straordinario.

Lettera P – Pandemia Termine semi-sconosciuto finora e quasi mai impiegato per mancanza di necessità. Ora diventato di uso comune visto che l’epidemia ha interessato i cinque continenti senza fare sconti a nessuno, per cui è diventata buona norma chiedere come si è sviluppata e soprattutto quando finirà.

Lettera Q – Quarantena. Altro vocabolo scarsamente usato finora, è diventato d’uso assai comune, in quanto interessa tutti coloro che hanno avuto a che fare con il coronavirus ed essendo potenzialmente contagiosi devono assentarsi per un po’ dal contesto sociale e vivere in solitudine, senza contatti col prossimo in attesa di recuperare la buona salute

Lettera R – Responsabilità. Termine con valore legale o morale, viene ripescato in questo periodo affinché tutti si dimostrino responsabili di fronte all’attacco del virus mettendo in atto comportamenti ispirati alla massima responsabilità per se stessi ma anche per non mettere a rischio la vita degli altri. E diventa un felice contrasto con tutti gli atti irresponsabili compiuti dal “sistema” in questi ultimi anni.

Lettera S – Salute. Si solito usato con la locuzione secondo cui appunto basta la salute per sentirsi vivi e vegeti, acquista ora un valore incalcolabile visto che viene messa a dura prova. Di conseguenza il termine ha conosciuto una grande frequenza d’uso visto che mai come in questo momento occorre badare proprio alla salute.

Lettera T – Terapia. Termine medico-scientifico, talvolta applicato alle vicende economiche, ora è al centro di ogni attenzione, giacché tutti si chiedono qual è la terapia giusta per curare l’infernale virus e quale terapia può essere più efficace per venir fuori dal tunnel.

Lettera U – Untore. Termine tornato di uso abbastanza comune in questo periodo sulla scorta di quanto sapevamo anche grazie ad Alessandro Manzoni che ne parla ne “I Promessi Sposi” quando ci racconta della peste del 1630. Al giorno d’oggi viene impiegato principalmente per oltraggiare chi si è fatto carico di accudire i malati, temendo che possa essere portatore e diffusore del contagio.

Lettera V – Virus. E’ il termine principe di ogni conversazione, quello più usato da tutti: scienziati, politici, giornalisti, gente comune. Viene utilizzato anche in funzione scaramantica, usato cioè il più possibile per vincerlo, esorcizzarlo, metterlo fuori gioco. Si utilizza anche in forma declinata, come virale e in contrasto col suo più potente agente demolitore, il vaccino per il virus.

Lettera Z – Zona. Termine usato in ambito sportivo, come giocare a zona, o in declinazione urbanistico-amministrativa, come zona a traffico limitato; in questo periodo è un indicatore di pericolo, descrivendo a seconda dei casi il rischio incombente: zona, rossa, zona arancione, ecc.

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Massimiliano Kornmuller, Cavallo alato, incausto su tavola

Massimiliano Kornmuller
Voyage autour de ma chambre 9
Finalmente posso raggiungere le altre regioni

 

Finalmente posso raggiungere le altre regioni, e la mia prima meta e’ laToscana: Pietrasanta!

Qui, grazie ad un legato testamentario di mio nonno materno, potei acquistare un piccolo appartamento nel centro storico della citta’ , nell’ isola pedonale, in pieno centro storico, vicino ad una famosa enoteca.

Quello che mi colpi’ subito dell’ appartamento, oltre ai soffitti con travi a vista ed alll’ eleganza toscana del settecentesco edificio, fu l’ affaccio delle finestre, che si aprivano tutte su un giardino interno, dominato da un’ imponente magnolia, tanto che dalla finestra del salone, ad una certa distanza, si poteva vedere solo una muraglia di fogliame verde tempestato di candidi fiori, ove le tortore facevano il loro nido.

Sotto la magnolia, alberi di aranci e qualche fico profumavano l’ aria..

Purtroppo qualche anno addietro la F ondazione Igor Mitoraj acquistò la proprieta’ del giardino ed adesso, pur sussistendo il grande albero e qualche arancio, osservo uno spiazzo pavimentato, rallegrato , pero’, nella parete dell’ edificio prospiciente al mio, da un grande tondo di bronzo del famoso artista.

Questi ebbi modo di conoscerlo nella stamperia d’ arte “Il Malbacco”, del mio fraterno amico Aldo Galleni, punto di riferimento per tutti gli artisti che vivevano in Versilia, molti dei quali stranieri.

Mitoraj era molto riservato , ma gentile e, soprattutto modesto, a differenza di altri grandi artisti ( alcuni di origini latino- americane) che vivevano in citta’…

Di quelli che frequentavano “il Malbacco” mi ricordo in particolare di una pittrice newyorchese, assolutamente priva di spirito autocritico, per cui, ogni volta che si sollevava il feltro del torchio di stampaed appariva una copia della sua opera(concettual-pop)esclamava sempre”Wonderfull , Che capolavoro”!…!

Al contrario di me che, sempre desideroso di ottenere l’ esatto risultato che avevo in mente, lavoravo la lastra con due o tre morsure per l’ acquaforte, e poi ,dopo queste , dalle tre alle cinque morsure per l’ acquatinta, sperimentando almeno venti prove di stampa con piu’ tonalita’ di colori…!

In questa stamperia io passai le estati della mia giovinezza,poiche’ raggiungevo lo stabilimento balneare sempre verso il tramonto, facendo quindi dopo il bagno , lunghe passeggiate sul bagnasciuga , trovandovi anche una fidanzata con cui ebbi una lunga, anche se intermittente, storia, e che era( e penso sia tuttora, non vedendola piu’…) una delle persone migliori che abbia mai conosciuto: la storia , purtroppo fini’ per colpa mia…

Comunque, tornando alla mia piccola abitazione, il mio pensiero non puo’ che volgersi se non alla capanna di Robison Crosue, arredata con quanto  recuperato dal naufragio della sua nave.

In effetti della casa di Alassio, di cui gia’ parlai, ho recuperato alcuni mobili, tra cui la mia camera da letto in barocchetto veneziano laccata verde e crema, mentre altri provengono dalla villa di Marina di Pietrasanta, localita’ Fiumetto, ove passai delle meravigliose estati.

Da questa ho potuto recuperare il tavolo di noce massiccio in stile barocco emiliano ed alcune seggiole dall’ alto schienale in stile Luigi XIV tappezzate di broccato fiammeggiante( un arredo, tutto sommato, molto marino…!)e, soprattutto, due litogafie a colori d’epoca di John William Godward (1861-1922), raffiguranti una danzatrice con tamburello ed una venditrice di fiori, in abiti romani.

Godward era, fino a pochi anni fa, un  misconosciuto epigono di Alma Tadema, ma ora e’ in corso di grande rivalutazione, visto che alcuni suoi dipinti, raffiguranti per lo piu’ modelle in abiti romani appoggiate davanti a sontuose pareti di varii marmi , ovvero riposanti su ben scolpiti sedili marmorei sotto bei cieli mediteranei, hanno raggiunto nelle case d’ asta internazionali quotazioni che raggiungono il milione di euro…!

Questi, la cui famiglia puritana vittoriana distrusse ogni foto e ricordo ( ci sono giunti solo due autoritratti in costume romano) visse per un lungo periodo a Roma, con una bella modella che ritrasse in qualche centinaio di opere, alla stessa maniera di AnselmFeuerbach, nipote del grande filosofo, innamoratosi di una romana chiamata Nanna , che ritrasse in splendidi quadri di morbida, ma rigorosa classicita’..

Feuerbach viveva in una elegante palazzina davanti al Colosseo, nell’ attico del la quale fu immaginata l’ abitazione del protagonista del film” la grande bellezza”, epidermco film che non e’ affatto riuscito a ritrarre la vera anima di Roma,( al di la’ delle bellissime immagini.. ), a differenza di Federico Fellin iche, di madre romanana, nel suo capolavoro “Roma” delineo’ perfettamente l’ anima interstratificata socialmente e culturalmente, ma immutabile a dispetto di tutto, della Citta’ Eterna…!

Ma , tornando a Godward, questi ebbe una strana ed ingiusta fine: nella prima meta’ degli Anni Venti, non riuscendo a vendere piu’ nessuna delle sue bellissime opere per il mutato gusto del pubblico, preso da profondo sconforto ,mise fine ai suoi giorni infilando la testa in un forno a gas , cosi’ soffocandosi, e lasciando scritto queste parole: ” In quest’ epoca non c’e’ posto per me e Picasso”.

Caro Godward, penso di essere un buon profeta augurandoti un’ ascesa della tua fama nelle generazioni future, come una discesa di quella del pittore di Malaga…!

A questo proposito mi e’ caro ricordare alcune affermazioni daliniane su quest’ ultimo autore:

” Grazie Pablo! I tuoi ultimi ed ignominiosi quadri hanno ucciso l’arte moderna. Senza te ed i tuoi sublimi “adefesos esperpentos” , con il gusto e la misura, peculiare della prudenza francese , avremmo avuto una pittura sempre piu’ brutta, per almeno cent’ anni. Con tutta la violenza del tuo anarchismo spegnolo in qualche settimana hai raggiunto i limiti e le conseguenze ultime dell’ abominevole.

E questo, come sarebbe piaciuto a Nietzsche, firmandolo con il tuo sangue.Ora non resta altro che tornare a volgere i nostri occhi a Raffaello. Che Dio ti protegga!”( S. Dali, “I cornuti della vecchia arte moderna” p.29 , Paris, 1956)

Di Dali’, che non apprezzo tanto come pittore, quanto come teorico dell’ arte , ricordo sempre con piacere  i seguenti paradossali aforismi:

Pittori , non abbiate timore della perfezione.

Non ci arriverete mai!

Se siete mediocri, anche se faceste grandi sforzi 

per dipingere molto, ma molto male,

si vedra’ sempre che siete mediocri”.(S. Dali’ , op. cit., p.80 )

Pittore, non sforzarti ad essere moderno.

Sfortunatamente, e’ l’ unica cosa che, qualunque cosa tu faccia,

non potrai evitare d’ essere” (S.Dali’, op.cit., p 38)

Ma, tornando al mio appartamento, debbo confessare che la scelta della localita’ e’ stata determinata dall’ affezione ai luoghi delle mie antiche  vacanze estive, in quella villa ove io vissi nella mia fanciullezza ed adolescenza ,immersa nella pineta della villa “La versiliana”, ove D’ annunzio fu ospite ai primi del ‘900 .Poco distante c’ era la villa ove Boecklin passava le sue estati: .ilCaffe’ dei Quattro platani in cui si trivavano Carrà, Soffici, Savinio, Maccari ed altri, era ancora da venire…

Architettonicamente questa villa della mia infanzia, progettata da un cugino di Piacenza, non aveva nulla di originale, tranne una pompeiana che attorniava la facciata davanti e ai lati.

Il fascino consisteva nel trovarsi sotto pini secolari, che mitigavano non poco le temperature estive…

La mia stanza al, primo piano, dava proprio verso il mare ( in linea d’ aria distavo non piu’ di quattrocento metri) , e mi ricordo che delle mattine( allora in vacanza mi sveglaioi, o, piuttosto, mi svegliavano presto…)potevo udire con gioia il rumore di una mareggiata: sapevo quindi gia’ da letto che avrei domato la onde col mio surf ( quasi come i protagonisti del flim “Un mercoledi’ da leoni”…!)

Mi ricordo altresi’del vento che faceva scricchiolare i rami delle chiome dei pini( allora avevo un udito molto piu’ acuto di oggi), tanto che, quando lessi il frammento di Settimio Sereno avente ad oggetto il medesimo argomento, non potei far a meno di commuovermi a  questo ricordo :

“pinea brachia cum trepidant, 

audio canticulum Zephiri” ,

che tradotto dice:

quando i rami del pino si agitano scricchiolando, 

ascolto un motivetto di Zefiro

(Sept. Ser., 10-11)

Ma la vita in pineta aveva anche i suoi lati negativi:penso, per esempio , ad un enorme ramo di pino che per poco non cadde sulla casa ,

il fatto avvenne in una sera di tempesta di fine estate (non mancava mai la tromba d’ aria prima o dopo la festa di S. Ermete con cui al Forte si chiudeva la stagione…!), quando stavamo guardando alla televisione una puntata dello sceneggiato triller esoterico” Ritratto di donna velata” , storia da brivido di una reincarnazione  con tanti delitti…!

In pineta non mancavano mai le visite di ricci, topolini, istrici e bisce d’ acqua oltre mosche, zanzare ed altri insetti che penso siano estinti in Toscana, come il cosiddetto cervo volante ed una specie di calabrone dalle ali dorate, amante delle piante di lilla’, ed assolutamente innocuo, che veniva chiamato “ronzon d’ oro”…
La vita in quella villa, che durava alcuni mesi, era tutta proiettata verso uno stabilimento balneare un po’ sui generis: infatti ne aveva la concessione un deputato lucchese del Parlamento Italiano, che concedeva le tende e gli ombrelloni ai pochi clienti che gli erano graditi: ricordo, tra gli altri, un noto conduttore televisivo di divulgazione scientifica, con suo figlio..

Mi ricordo dell’ estrema libertà di cui si poteva godere, impensabile già allora in qualunque stabilimento balneare vicino.

Penso alle cene sul mare sotto le tende illuminate da candele romane e da festoni di lampadine elettriche montate per l’ occasione, con molte griglie accese, e bagni di mare a mezzanotte…

Mi ricordo anche che, da adolescente, dietro le cabine, tra i pitosfori e le piante delle belle di notte  che, al tramonto aprivano i loro fiori profumati, potevo fare la doccia calda dopo il bagno in mare assieme ad una mia amica e compagna di giochi: ricordi comunque innocenti e meravigliosi …

Penso anche ai giochi che facevo, impraticabili oggi in qualunque stabilimento balneare, ed in particolare  a quel gioco  da me inventato,la diga ( allora ero ludi magister…!)

Il gioco consisteva nel contenere tramite muretti di sabbia bagnata l’ acqua che fuoriusciva da un tubo di gomma: ognuno doveva gestire un settore e perdeva chi non era riuscito a salvare il proprio tratto: si raggiungevano altezze impressionanti,  anche di piu’ di mezzo metro, prima dell’ inevitabile tragedia…!

Mi ricordo altresi’ di partite con bigile di plastica, ove la pista da me ingegnata era piuttosto difficoltosa: da un trampolino di sabbia bisognava infatti saltare sopra la bocca di un vulcano di sabbia entro cui bruciavano le pagine di un giornael: molte biglie con l’ effige di ciclisti famosi finirono bruciate vive…!

Allora c’ erano ancora le paranze a strascico sulla spiaggia, al tramonto: li’ imparai a conoscere il nome di alcuni pesci commestibili: c’erano triglie , sardine, sogliole,  ma anche cavallucci e stelle marine, oggi, ahime’! ,scomparsi, soppiantati dalle meduse…

Lo stile di vita semplice, tutto sommato, e molto riservato ,era quello che si puo’ osservare nel film “Sapore di mare”, tranne, pero’ , la svaccatezza rampante d’ impronta meneghina delle serate e delle tresche d’ una notte: quindi gite in bicicletta, cacce al tesoro, ma niente ore piccole alla Capannina di Franceschi,o focaccine da Pietrino e bomboloni di Vale’ all’ alba …!

Pero’ c’erano le aste di quadri ed il teatro…

Nella piazza del mercato di Forte dei Marmi c’era allora una galleria che alla sera batteva quadri di arte contemporanea, commentati da un bravo banditore, che conosceva la storia dell’arte contemporanea.Quante serate felici passai in quella sala, riuscendo anche  a battere alcuni quadri…!

La faccenda andava cosi’. prima d’iniziare a presentare i pezzi piu’ importanti questo battitore voleva, diciamo cosi’ , “scaldare la sala”: pertanto , anche per far aumentare la presenza del pubblico dentro di essa, faceva prtare dei quadri girati all’indietro iniziando dal prezzo base di mille lire…( non valeva neanche la cornice, allora..)…alla fine i quadri non raggiungevano cifre elevate, ma erano tutte litogafie numerate e firmate di media e buona qualita’ : mi ricordo con emozione della mia prima tenzone d’ asta ( con quadro coperto  )riuscii a battere una litografia di Marcello Scuffi ,che allora era ancora un artista emergente,  per ventimila lire…!

Avro’ avuto quindici anni…

Circa il teatro, noi residenti conoscevamo i sentieri che ci portavano segretamente al teatro all’ aperto della Versiliana, che allora, per la prosa, era pari qualunque teatro di primaria importanza…Comunque la maggior parte degli spettacoli li ho comodamente visti seduto in platea..

Cosi’ imparai a godere delle opere di Goldoni , Molière, Shakespeare, Plauto, Aristofane, senza dimenticare Achille Campanile, recitate da attori del calibro di Tino Buazzelli, Ernesto Calindri ( non mi sembrava possibile di vederlo dal vero : era quello che pubblicizzava l’ amaro Cynar seduto vicino ad un tavolino spartitraffico, a Carosello…!),Lina Volonghi, Ugo Pagliai ( il Professor Forster dello sceneggiato televisivo”Il segno del comando”….!),  Giuseppe Pambieri e Lia Tanzi ( nel ruolo della bisbetica domata , Caterina, che mi piacque tantissimo…), Gigi Proietti, e tanti altri…

Questa esperienza accese in me la fiamma amorosa perpetua per il teatro, che ancora oggi arde dentro il mio petto, poiché “fabula de te narrat“!

Desirée Massaroni* – Marco Palladini**
L’Age d’Or, rivista nonostante la pandemia

“L’Age d’Or”, rivista di cinema e cultura, è andata per la prima volta online all’inizio di marzo, più o meno in coincidenza con l’avvio del lockdown. Potremmo quindi dire che siamo nati assieme alla pandemia, ovvero anche contro la desertificazione indotta dalla quarantena che ha forzatamente spostato l’agire culturale sul web, facendo della rete una trincea di resistenza o resilienza che dir piaccia, per reagire al rischio di ammutolirsi o di essere totalmente soverchiati dal logos o dalla chiacchiera onnimediatica incentrata ossessivamente sul coronavirus. Naturalmente pure noi siamo intervenuti con testi sia critici sia creativi sull’emergenza sanitaria e sociale determinata dal Covid-19. Nel numero attualmente online di giugno abbiamo pubblicato, in proposito, un’intervista a Enrico Magrelli, storico conduttore della trasmissione di RadioTre “Hollywood Party”, sulle ricadute dell’epidemia sulla produzione e la fruizione di film e serie tivù; un’altra intervista ad un giovane filmmaker turco sulla situazione culturale e politica nel paese guidato dal discusso premier Erdogan; nonché degli scritti poetici dell’attore-autore Giuseppe Alagna.

Ma lo sguardo della rivista è più ampio e in questo numero annovera un’articolessa di Pippo Di Marca sul teatro d’avanguardia italiano in omaggio all’attore e regista Cosimo Cinieri, compagno di scena di Carmelo Bene, deceduto meno di un anno fa; i testi del poeta danese, inedito in Italia, Poul Lynggaard Damgaard, tradotti da Marco Caporali con la collaborazione di Pia Henningsen; c’è poi un ricordo critico di Michel Piccoli, uno dei più grandi attori francesi ed europei, morto a 94 anni; una recensione del singolare libro critico di Franco Cordelli Che tutto abbraccia. I giorni e i film.

Da segnalare, inoltre, il pezzo di Stefano Lanuzza sul volume della studiosa e docente fiorentina Ernestina Pellegrini Dietro di me. Genealogie. Le artiste surrealiste e altre storie; i due racconti in forma di dialoghi immaginari e impossibili (con Josè Saramago e Mario Lunetta) di Maria Jatosti; e l’analisi sulla crescita della destra populista-sovranista di Fratelli d’Italia, ripresa da un sito inglese, a firma di Valerio Alfonso Bruno e James F. Downes.

Molto altro abbiamo pubblicato nei tre mesi precedenti: rammentiamo soltanto la recensione del libro Zavattini a Roma. Di padre in padre, firmato dalla nipote Silvia e da Steve Della Casa, e la visione gratuita del film del regista-musicista Luigi Cinque Transeuropæ Hotel, interpretato, tra gli altri, da Pippo Delbono, Peppe Servillo e Petra Magoni.

Come si può arguire il confino domestico non ci ha tolto la voglia e la necessità di un impegno di riflessione e di azione culturale in un tempo grave e tragico per tutto il pianeta. Nessuna desistenza o defezione perché “La rivoluzione siamo noi” come diceva Joseph Beuys, un grande artista visionario, antesignano del bisogno vitale di riequilibrare il rapporto tra civiltà umana ed ambiente.

*Desirée Massaroni è direttrice editoriale,

** Marco Palladini è direttore responsabile.

Lucio Castagneri
CAP. 15 LA VOCE DI NòSSIDE

Georghis Keraunopoulos, uomo dalle mille arti dell’ingegno, fantasia e risorse del cuore aveva gli occhi bagnati di lacrime. Aveva riletto ancora una volta i versi fatali di Nòsside di Locri:

Se approderai, straniero, a Mitilene ariosa,
dove s’accese il fiore e l’incanto di Saffo,
di’ che le Muse amarono anche a Locri una donna;
va’, Nòsside è il mio nome. *

E finalmente gli fu chiaro perché il suo amore per quella pietra di Londra 1: non era amore d’archeologo per la pietra in sé, ma il suo udito fine, capace d’intendere Amazon e Akillia, il risuonare dei ferri e le urla del combattimento da dentro la pietra come suoni e voci da paesaggi, oggetti, non solo opere d’arte, e così pure quando attraversava Atene di notte sul tram tornando a casa, e invece dello sferragliare sui binari udiva il crepitìo dei maledetti fuochi persiani e le urla della sua gente nel terrore tra l’incendio in fuga.

O quando ascoltava la pietra cantare versi sublimi con voce lieve come uno stormir di fronde d’alloro. O l’aroma del pitosforo sospeso sulla ligure terra bordata d’acqua marina. Genua me genuit.

“O Nòsside, mentre ti leggo sei viva come lo sono io che ti sto ascoltando con religioso amore”.

“Sapevo che un giorno mi avresti letto e i tuoi occhi si sarebbero bagnati di lacrime. Così vivo ancora per il tuo amore. Charis”.
Ancora una volta Georghis s’era salvato dalle grinfie mortali di Artemisia, quel lemure pervasivo ad intreccio dei suoi viaggi mentali, si era concesso una notte di straniamento sotto la coltre del piacere, mentre il pescatore Pietro infine se la portava dietro lasciva ad affogarsi insieme, padre e figlia, amante bastarda nel mare perlaceo dell’alba. Doveva essere tutto un incubo. Le lamie sanno fare di queste cose.
Ora che Andouille si ricreava alla sua vista, splendente Afrodite come doveva essere Frine scendendo in acqua per la festa di Poseidone, Georghis sa da dove riprendere le fila. Anzitutto grazie alla sua prodigiosa memoria supportata da appunti che ha sempre avuto con sé senza mollarli neppure nei vortici più angosciosi da far saltare lo stomaco in gola, si metterà calmo a prendere le distanze da quel mondo di Alicarnasso. Troppo pericoloso.

Ma non poteva finire lì, perché anche Andouille lo vide, quel cialtrone di Ermogene:

“Oddio lo vedi anche tu, cos’è quel fantasma?…” e si gettò nelle braccia di Georghis tremando tutta.

“Tranquilla, è un amico che ci viene a trovare.

“Ehi, Georghis, vorremmo fare un salto a Londra, al pub di Rufo, per celebrare qualcosa tutti insieme con una grandiosa bevuta. Naturalmente porta Andouille…! È l’anniversario del viaggio della Siren che portò le ragazze a Londra, ricordi, ma se eri proprio tu a fare quel disegno mentre i marinai caricavano la Stele a bordo…!”.

Questo Georghis non se lo ricordava proprio, e mentre Andouille si stava abituando all’idea di una bevuta in compagnia di simpatici fantasmi amici di suo marito, si grattò la testa e disse: “Bene, d’accordo, ma fammi scrivere un appunto, che magari domattina mi credo di avere solamente sognato”.

Roma 3 giugno 2020

Carlo Piola Caselli*
Europa! Europa!

Finalmente, grazie al Coronavirus, molti, anche i più scettici, in un modo o nell’altro, hanno riacquistato la vista. Infatti, essa si era loro offuscata sull’Europa. Dicevano che l’Europa non c’era, non era mai nata, non si era sviluppata, anche se fosse veramente nata non si sarebbe potuta sviluppare, e via, tutto un tam-tam, di articoli, interviste, ovviamente disfattiste, riempiendo giornali, libri, conferenze, televisioni, era di moda essere euroscettici, far gli sfasciacarrozze, poi, finalmente, tutti concentrati, come in una seduta spiritica, «Europa, se ci sei, batti un colpo!» o, meglio ancora, «batti moneta», inoltre, date le difficoltà a viaggiare all’estero, trovando delle barriere, ora, specialmente coloro che erano contro Shengen, ad implorare, a supplicare, ad ergersi sapientini con la scienza infusa, che vengano riaperte le frontiere. Si invoca il turismo da altre parti d’Europa, ma esistevano davvero delle altre parti, si estendeva essa davvero a nord, a sud, ad est, a ovest? Ma allora c’era, c’è, o «La vita è sogno», come scriveva Calderon de la Barca? Tutti rapiti nel sonno, ancor di più dei soldati romani della Resurrezione, che nemmeno il terremoto, i tuoni, i lampi, il temporale erano riusciti a svegliare.

Assicurato il numerario, da parte della Banca Centrale Europea, ciò è condizione necessaria ma non sufficiente, poiché esso non crea vera ricchezza, caso mai la trasferisce in alcune “tasche” più o meno grandi (Cappuccetto Rosso, ingenuamente, direbbe al lupo, «ma che tasche grandi che hai!»).

Allora l’Europa esiste, per davvero, c’era semplicemente da riacquistare la vista, la coscienza, svegliarsi da un sogno, come da un sonno pesante che aveva intorpidito la mente. Ma il sonno porta consiglio, lo diceva anche Omero, quindi non meravigliamoci che, finalmente, per molti, sia arrivata l’ora del risveglio.

Come ad ogni risveglio, occorre poi utilizzare bene la giornata. Comunque, possiamo essere tutti contenti, gioire, poiché siamo in Europa, tutti vorrebbero poter venire a stabilirvisi e noi che ci siamo non ce n’eravamo accorti. Abbiamo anche l’Euro, tutti lo cercano, tutti lo vogliono, euro di qua, euro di là, e noi che ce l’avevamo da vent’anni volevano che ce ne disfacessimo per farci diventare degli extra-comunitari.
Cartesianamente, possiamo dire: «Cogito, ergo sum»; quindi «Penso all’Europa», allora esiste! Poi «Critico l’Europa», allora è vero che c’è!

Sì, c’è, «Terra! Terra!», ovvero «Europa! Europa!», ma, come ne «L’ammiraglio dell’oceano e delle anime», di Rosso di San Secondo, «Nessuno s’illuda, occorre ancora navigare», non solo in internet, aggiungiamo, così come con la pandemia.
Avete notato che negli euro cartacei son disegnati i ponti? Perché essi hanno l’importante funzione di unire due territori, infatti se si passa su un ponte, si attraversa un fiume, un canale od un tratto di mare, andando da una sponda all’altra, mentre se si passa sotto un ponte, in genere si va lungo il fiume od il canale, quindi può esserci una bella differenza tra passare sopra e passare sotto.

Tutto dipende da dove si voglia andare!
Occorre rivedere, rielaborare, il concetto di economia, a livello europeo ed a livello mondiale. Riconvertire piano piano l’industria, adattandola ad un concetto più fisiocratico, meno inquinante (specialmente quello «dell’usa, si rompe subito e quindi si getta, o si getta anche se non si rompe»), meno consumistico, promuovere, ma veramente, non a parole (secondo l’antico detto «Con le chiacchiere non si va al mulino») l’artigianato.

La grande sfida del terzo millennio, dopo lo scempio di risorse degli ultimi cinquant’anni, sarà quella di tornare non solo ad una «realpolitik» ma anche e soprattutto ad una lungimirante «real economy», che tenga conto dei fattori ambientali e degli equilibri del pianeta.

Tutto il resto sarà solo chiacchiericcio, che riempirà la bocca ma rovinerà (se tutti i Governi delle Nazioni, nessuno escluso, non agiranno saggiamente), come sta già rovinando, il mondo.

Oppure non ci rimarrà che, sconsolatamente, adagiati su un’amaca, leggere, non solo ai figli, ma ai nipoti, ai pronipoti ed agli arcinipoti, «La salubrità dell’aria», del Parini.

* Fondatore e presidente del «Museo Europeo», www.museoeuropeo.altervista.org

Alessandra Cesselon
1. Le parole – Logos 2050. Racconto Breve

La parola umana

è spesso come un pentolino di latta

su cui andiamo battendo melodie

da far ballare gli orsi

mentre vorremmo

intenerire le stelle.

Gustave Flaubert, Madame Bovary, 1856

Ho venduto l’anima alla Rete e non posso ormai farci più nulla.
La storia, ve la racconto subito. Tempo fa non riuscivo più a buttar giù una riga, avevo perso l’ispirazione e questo per una scrittrice non va certo bene. Ma un giorno accadde un fatto. Mi trovavo davanti allo schermo del mio BioPC, che copriva fluttuando tutta la stanza, quando mi colpì una scritta lampeggiante e profumata… Io di solito non sono una facile preda delle vendite sul web, anzi, in genere sto molto attenta a non farmi fregare, ma Loro, poi capirete di chi si tratta, per intrinseca qualità, sono molto brave a far leva sui desideri e aspirazioni degli utenti e io ci sono caduta in pieno. Il banner, poichè di questo si trattava, era molto accattivante e ben collocato in un noto sito per scrittori.: Il testo diceva:

– Volete scrivere come Dante e Manzoni? Stephen King e John Fante? Fatevi guidare da “Logos: le Parole”, vi daranno la fama che meritate. Acquistate Logos! Tutte le Parole della Terra. Diventerete padroni del lessico universale! Nessuno potrà scrivere meglio di voi! –

Avrei dovuto dubitare della serietà della proposta: il kit d’istallazione costava solo pochi euro e questo sicuramente non era normale. Non sapevo in che guaio mi stavo cacciando, ma mi sembrò carino perché l’istallazione del driver consisteva, sentite un po’, nel mangiare ogni sera per una settimana delle focaccine alle mele.  Indubbiamente la cosa poteva risultare strana, ma io credo nella biotecnologia, inoltre da bambina avevo visualizzato più volte con passione Alice nel paese delle Meraviglie e le focaccine che facevano crescere o rimpiccolire mi sembravano davvero interessanti. Inviai il denaro con Galaxy pay e poco dopo arrivò col teletrasporto il Kit di “Logos: le Parole”. Anche sottovuoto vi assicuro che si sentiva un incantevole odore di cannella. Passò una settimana, mi rimpinzai di focaccine buonissime ma i risultati non sembravano arrivare e, visto che avevo una spasmodica voglia d’ispirazione, decisi di provare alla vecchia maniera, quella che usavano tutti gli scrittori in crisi: viaggiare.

Di solito si partiva in due: io che sono una tipica volpe dei tempoviaggi e Nettie, la mia vecchia macchina del tempo, che ormai riusciva a connettersi via Timenet quasi solo a luoghi e persone dell’Ottocento. Un breve brrrrr pifff e via, eravamo arrivate.

Quella squinternata di Nettie, coi circuiti rossi e blu ancora a vista, aveva una spiccata predilezione per la Francia. In particolare si era innamorata di un certo poeta maledetto con cui sembrava aver stabilito un rapporto particolare e che mi aveva ormai imposto come mentore. Nettie dunque non perdeva mai l’occasione di tornare in quel tempo e in quella storia, voleva rivedere il suo Charlie, quindi decidemmo di comune accordo di andare a Parigi.

Avevamo peregrinato in tutta la città, da Monmartre a Pigalle, per trovare il soggetto della mia vita, già perché io volevo scrivere per la OloTV. Già m’immaginavo una storia succosa, tra l’erotico e il sublime che avrebbe inchiodato ai visori milioni di spettatori. Una sorta di poesia/racconto che mi avrebbe resa immortale. Eravamo stati a pranzo con Toulouse Loutrec e a cena con Lina Cavalieri. Tutto inutile: d’ispirazione, neanche a parlarne.

Poi una sera successe di botto, senza preavviso!

Pochi secondi di silenzio totale e poi un rumore assordante nella mia mente: tutte le parole del mondo erano lì, in un file pazzesco e ipercompresso, collocato in quel luogo oscuro che era la mia testa, dietro la sella turcica, proprio al centro della nuca, invisibile per tutti. Le focaccine alle mele, un po’ in ritardo avevano fatto il loro effetto…

Logos era attivo: le Parole Promesse urlavano come furie scatenate, parlavano tutte insieme in tutte le lingue e idiomi nella mia testa! Stavo diventando pazza!

Temevo che di lì a poco avrei perso completamente la mia identità e che Loro, le Parole, avrebbero preso il sopravvento: i vocaboli noti e desueti di ogni lingua viva o morta che fosse stata parlata sulla terra si erano annidati dentro di me. E anche le parole di tutti i libri del mondo.

Quando riprendevo il controllo mi sfogavo con i miei amici.

Charlie, che era per tutti Charles Baudelaire, me lo aveva detto fin dall’inizio, ma io non avevo voluto crederci.

– Povera illusa – aveva sogghignato – credi davvero di poter fare come vuoi tu? Credi che Loro ti aiuteranno a scrivere la piubellastoriadelmondo?

– Certo che lo credo – replicavo io – In fondo sono o non sono i nodi d’accesso a tutto lo scibile umano?-

Ma Charles insisteva petulante:

– E’ il miscuglio del grottesco e del tragico che rende un libro degno d’essere letto, è il cuore, il sentimento! .. e non solo le parole usate per esprimerlo! E se non lo capisci, non starò certo qui a spiegartelo!-

Io e Nettie ci siamo stabilite a Parigi al quartiere latino, il romanzo è iniziato ma i miliardi di input di storie possibili, mi bloccano più che mai…

Sono convinta che riuscirò a convincere la mia vecchia e testarda macchina del tempo a intraprendere un ultimo viaggio, indovinate dove? Ma verso Babele naturalmente! Forse nella sua altissima Torre al di la delle nubi, troverò qualcuno che riuscirà a resettare Logos, e farmi guarire da quella che ora considero una terribile malattia.

Mentre partiamo per Babele, Nettie piange… Ce ne andiamo in un Pifff… Nell’ultimo istante vedoCharles scomparire in un ologramma rarefatto e lontano mentre continua a borbottare sottovoce contro la stupidità delle donne. Dietro di lui, in dissolvenza, intravedo forse per l’ultima volta una fumosa e affascinante Parigi fin de siecle.
Me
“… scrivo fin dalla culla. Sono casualmente laureata in lettere, ma vengo dall’accademia di belle arti e dal canto medievale. Ho pubblicato racconti, fiabe e poesie in raccolte, ma li ho anche appesi/e ai muri delle strade per farle leggere a tutti. Non mi perdo una mostra d’arte e mi piace recensirle tutte. Dipingo astratti e lego i testi che scrivo a immagini pittoriche; qualche volta li ho anche cantati ed è stato ancora più divertente…
Su di me….
Alessandra Cesselon si guarda intorno, legge se stessa, ritaglia episodi, li annota ora con ironia, ora con mestizia, infine con la dolente amarezza di chi si sente abusivamente espropriato di know-how e intelligenza; ma dal personalismo dell’introspezione riesce ad allargarsi, ad aprire uno specchio riflettente sul mondo circostante per misurarne la mediocrità e una stoltezza che sembra incomprensibile. Spesso gioca con le parole intessendo calembour e sciarade come un torero che sfavilla veroniche nell’arena o, più verosimilmente, un prestigiatore che nello sfondo rabbuiato della scena illumina con artifici mimici i sorprendenti effetti di un gioco paradossale.
Critica di Pier Luigi Coda

2. Usciti all’aria fresca del mattino


Siamo di nuovo usciti all’aria fresca del mattino. E ci guardiamo intorno spaesati!

Siamo alla necessaria conclusione di questo Diario in Coronavirus che ci ha collegato e unito ogni settimana a raccontare di sè e di quello che ci circonda.

In questo ultimo appuntamento Fuiss, dove Natale ci ha guidato come un novello Virgilio, per non farci perdere nei meandri di noi stessi, ma anche nelle spire di una scrittura tesa e arrabbiata di chi non ci vuole stare, di chi racconta tutto in cronaca come una mitragliatrice, oppure della scrittura romantica che vola nell’empireo della poesia, oppure di chi intellettualmente si spinge oltre al concetto di sé per trovare l’empireo, o ancora di chi va oltre il reale per precorrere scenari fantastici che sono gli unici che in quel momento sembravano dare un qualche tipo di conforto. Ci siamo tutti! E siamo stati tanti! Uomini e donne italiani ma anche da tutto il mondo che hanno lasciato una traccia di sè in questo spazio virtuale e reale che è la parola, il logos. Noi, che amiamo le parole e il loro senso per raccontare il vero e il fantastico, siamo stati tutti qui, come in una grande sala virtuale, connessi e uniti da questo Diario, che ha anche il merito – non secondario – di essere libero e assolutamente trasversale alle varie tendenze e tipologie di pensiero.

Libero intrinsecamente da ogni connivenza e controllo!

Il privato e il pubblico, il sociale e anche il po’ il collettivo, sono qui ben rappresentati.

Siamo tutti insieme ora: scrittori, poeti e cittadini, che ci stringiamo a coorte come nell’inno nazionale. Siamo qui che guardiamo e ricordiamo, con una sorta di ineffabile nostalgia, le foto e i video dell’Italia vuota, che nonostante tutto, ci piaceva un po’.

Le foto possono apparire inquietanti, immagini aliene, prive di umani, come dopo una guerra nucleare o batteriologica, di cui tanto si parlava già molti anni fa.

Quei virus di cui si narrava con terrore e un po’ a voce bassa, quei terribili nemici che uccidevano gli uomini, ma lasciavano intatte le architetture.

Oppure riguardiamo le foto di qualche amico incosciente che girava per Roma nonostante tutto e che non è stato fermato da nessuno, e a guardarle ci veniva un po’ d’invidia.

Eccoci siamo qui! A uscire finalmente al sole, con la voglia di andare al mare che sembra impossibile da realizzare, con questi quadrati di metri, queste gabbie di distanziamento che non vogliono ancora smettere di farci sentire soffocati.

Siamo qui ad analizzare un dopo che non sembrava arrivare mai.

Ma ora c’è appunto il dopo.

Ci sono le lotte le proteste di piazza, i gilet arancioni, le destre unite, e tanti altri. Tutti con la rabbia e con la voglia di avere una strega con cui prendersela.

Spaventati forse un po’. Ma con tanta voglia di riprendere in mano la vita.

Ma non tutti sono così.

La paura riesce ancora a serpeggiare tra di noi. In questo giugno 2020, i casi sono ormai minimi nella nostra regione Lazio e in Italia diminuiti ovunque. Ma non è facile adeguarsi di nuovo alla socialità, all’affetto, e nemmeno all’amore.

Un bacio, un abbraccio, una carezza, valgono più di tonnellate d’oro! Ma il popolo delle mascherine non ci crede!

Molti di coloro che erano già misantropi per natura, si sono trovati bene in questo stato di isolamento da Covid 19. E resteranno chiusi ancora per molto, con il proprio io e le svariate ipocondrie che sono diventate una seconda natura. “Loro” avranno ancora e per molto tempo quelle mascherine sul viso, che ora fanno parte di loro stessi, che sembrano attaccate ormai alla pelle e alle quali non sanno rinunciare!

E noi? A quale gruppo apparteniamo?

Torneremo mai alla normalità?

Mariù Safier
Ricominciamo

È arrivato il momento di tirare le somme: siamo onesti, la forzata clausura non ha migliorato il nostro carattere. Ci ha impaurito, costretti a fare i conti con un orizzonte limitato e limitante, niente di più. Per alcuni, c’è stata la gioia della riscoperta di affetti vicini, tenuti spesso lontani dagli impegni esterni; per altri, la sofferenza di dover rimanere confinati tra le pareti di case, non sempre confortevoli e sufficientemente ampie, per scongiurare l’insofferenza. Il senso di claustrofobia ci accompagna, ci segue e condiziona anche all’aperto, acuito dalle mascherine obbligatorie, diventate una specie di protesi, irrinunciabili, pure se si viaggia in macchina, in perfetta solitudine. Già, la solitudine. Invocata, cercata in tempi non sospetti, piombata addosso senza essere richiesta e dunque difficile da gestire. Riempita di cibo, materiale molto, spirituale in piccole dosi, non sufficienti a placare il vuoto delle abitudini che scandivano le giornate: svariati incontri, commissioni, caffè, l’ora del tè, l’apericena. Il sapore di una libertà data per scontata che scontata non è più. Non la ritroveremo facilmente. Forse non la ritroveremo e basta. Per le chiusure, per le diffidenze subentrate. L’impatto è stato, e rimane, duro. Chi si è davvero avvantaggiato delle nostre diminuite capacità di relazioni e movimento, è la Natura. Si è rigenerata, in poche settimane, come non capitava da decenni. Adesso che torniamo ai vecchi vizi e vezzi, con l’aggravante di ingenti quantità di prodotti di protezione sanitaria da smaltire, dannosi al territorio, il suo respiro torna a farsi affannoso. Venerdì 5 giugno, si è “celebrata” la 46° Giornata Mondiale dell’ambiente: riflettere sulla sostenibilità e l’urgenza di provvedere al futuro, alla difesa del pianeta, è una priorità. Dalle tante riflessioni fatte sulla diffusione della pandemia, la correlazione tra inquinamento e virus sembra sia fondata. Altri studi saranno effettuati, ma il rispetto per la Terra deve assumere un ruolo condiviso. Il segnale più potente che ci ha lanciato il Covid, il monito da diffondere globalmente, è la sfida alla sostenibilità, per diventare un megafono assordante. Occorre trovare un modello virtuoso di crescita sostenibile e non predatoria, di ricchezze che non sono inesauribili.

Privata del teatro, ho apprezzato la programmazione televisiva che ha presentato testi classici con attori e registi, ormai mitici, purtroppo irripetibili. Da segnalare quest’ultima settimana, Misura per misura, di Shakespeare, una produzione del Teatro di Roma, datata 1976, con la regia di Luigi Squarzina, che guidava un cast di primordine. Luigi Vannucchi, grande nel ruolo del Duca che mette al suo posto nel governo della città – un’immaginaria Vienna – Angelo, interpretato da un giovane bravissimo Gabriele Lavia e Ottavia Piccolo, strepitosa, vibrante Isabella. Per non parlare di Mario Scaccia, straordinario nel personaggio, a cui sono affidate molte delle battute salaci e i doppi sensi, che caratterizzano i dialoghi più sapidi dell’opera.

La storia è quella di una novizia, che per salvare il proprio fratello dalla morte, deve cedere al ricatto del reggente; come sempre il contenuto offre spunti di attualità e riflessioni sul potere, ma quello che più mi ha colpito è la recitazione: di così alto livello, oggi non si ritrova purtroppo in giro. Rivedere e studiare queste pietre miliari, servirebbe a elevare la qualità di un prodotto artistico approssimativo, figlio della piatta platea televisiva.

Abbiamo fatto 13! Mi congedo da tutti coloro che hanno condiviso l’esperienza del Diario in Coronavirus, con grani di scrittura, raccogliendo pensieri in parole, con questi versi trasandati:

Sollevo lo sguardo dal computer

stropiccio

gli occhi, distratta dal chiacchiericcio

super

di un piccione, mi richiama all’ordine

un brontolio incoerente.

Non è un tuono sommesso, lo stomaco reclama

la razione quotidiana.

Quando in cucina hai solo

l’insalata

dal cestino spunta appena

una patata

nel frigo un panetto di ricotta

inacidita

pensi: com’è difficile vivere

la vita

in tempi di diffusa

pandemia!

Poi afferri la fetta di pane rinsecchita, guarnita

con olio e salata

mordi la mela tondeggiante, raggrinzita

un po’ striminzita

ma è confortante e ti tranquillizza:

un frutto al giorno

per evitare che il medico

ti giri intorno.

Così sei sazia e ti accontenti, dormi

sognando

non un banchetto luculliano

ma che al risveglio

tutto sia più umano o come prima

se non meglio.

Foto di Mariù Safier

Carmen Alexa Villegas Ramos*
Esbozo de un diario en cuarentena

Empecé a escribir este texto hace varios días.

Y lo perdí.

Debo admitir que es la primera vez que me sucede.

Parece mentira, pero siempre, con mis textos y mis palabras, soy muy cuidadosa. Y la razón se debe a que deseo con fuerzas sobrehumanas que mis palabras le hagan justicia a las ideas que viven en mí, que nacen en mí, para que mueran lejos, si les es posible. Por eso no quiero perder ninguna, además, en el camino ellas y yo vamos encontrando el rumbo.

No quiero ser egoísta en esta oportunidad.

Pero habrá momentos en que lo seré, con una furia casi animal, porque le temo un poco a la imposibilidad de las reflexiones y es justamente la reflexión la que me está permitiendo contar esta historia, del otro lado de lo que podrá ser una ventanilla, como la que todos los confinados utilizan para recordar qué se siente la libertad…

Vivo en Colombia y estoy lejos de lo que podría ser mi casa. Desde hace algún tiempo, de igual manera que las personas que están en sitios diferentes a los de sus familias, estoy siendo mi propio hogar.

He visto en las noticias que somos muchos en esta situación. Algunos contamos con la suerte de tener trabajos, comida y un techo. Otros, en la más fría indiferencia, padecen esta nueva forma de distanciamiento que nos lleva a temernos. Antes también sucedía, eso es evidente, pero no a este punto. Veo que en las noticias todos, absolutamente todos, nos hemos convertido en víctimas y victimarios de lo que parece ser nuestra propia condición humana.

Me explicaré un poco más diciendo que no son vidas que se encuentran en peligro gracias al hambre, a las guerras o a las malas decisiones políticas tomadas por los distintos gobiernos. La pandemia a provocado otra forma de poner en jaque nuestras propias integridades, sin que eso implique exclusión social de ningún tipo. Y los demás factores, los descritos anteriormente, parecen verse afectados en demasía por esta nueva razón. Nos pasa factura la indiferencia hacia la naturaleza, de la que somos parte, y ella misma hoy, ante nuestras súplicas o temores se ha vuelto asintomática, con justa causa.

Pero antes de seguir la descripción, debo apuntar que estuve tan llena de todo y por ende, tan habituada a la emoción de saber que en el camino a la deriva habita el silencio propio como compañero de viaje, junto la pregunta que nace de la observación que en buses, sitios turísticos o incluso las simples calles hace posible conocer o, cuando menos, tener una percepción sencilla de los sentires colectivos, que pude ver el miedo hacia los extranjeros y luego pareció matizarse con un tinto caliente, mientras en las calles o en las terminales, los vendedores ambulantes buscaban el sustento. Supongo que la necesidad, incluso de compañía, nos puede desdibujar como peligro. Porque a pesar de todo, de la diferencia de idiomas, de vestidos, de colores o de ideologías políticas e incluso de edades, los vi mirarse y sonreír.

Supongo que las sonrisas son también una posibilidad de encuentro y complicidad pese a las diferencias…

Llegué a este lugar un 13 de marzo y jamás imaginé que vendría la hecatombe. Porque para mí, estos días se han convertido en eso, un descenso por la abismal ruta de las reflexiones, los deseos vanos que se hacen a un lado con la única esperanza de seguir con vida, las muertes que implican una resignificación a las despedidas y la avasalladora puesta en escena de las noticias nacionales, que copian de los noticieros extranjeros la posibilidad de atemorizarnos con el adorno característico de los medios masivos de comunicación, que juegan a revelar algunas cosas y ocultar otras.

Un juego de palabras que nos llevan siempre a la incredulidad, al dolor que produce la empatía y a la más horrenda y desagradable resignación.

No tengo hijos. Mi mayor responsabilidad soy yo misma y cuesta trabajo hacerlo, aunque miro a mi alrededor a todos y cada uno de ellos y ellas, con sus problemas, con sus necesidades y parecen sobrellevarlo todo tan bien. De seguro dirán “no, no te creas”, o posiblemente con la confianza que a algunos los caracteriza dirán “es por que me vengo reconociendo”, pero lo que sí es seguro es que ninguno pensó o tuvo una pizca de certeza con respecto a las adversidades que traería consigo cada nuevo día del presente año.

¡No estábamos preparados para esto!

Recuerdo caminar desde mi dormitorio hasta la oficina y escuchar en los pasillos a muchas personas hablar con sus familias y llenarse de preocupación por lo que sucedía allí afuera. También recuerdo el inicio del uso de los tapabocas. Así como el inicio del distanciamiento social. Pero quizás esto no fue nada en comparación con el momento más fuerte que pude presenciar, las empresas comenzaron a despedir al personal porque comenzaron a frenar las contrataciones, es decir, lo proyectos. Y los vi en los pasillos, sentados en las aceras, comentándoles a sus familias que los tomaba por sorpresa sus despidos.

Sus caras…

Fueron muchos los que se vieron enfrentando esa situación. Vi en sus caras un sentimiento reflejado y aun no sé como llamarlo. Pero lo memoricé. Y al mirarlos a los ojos, vi las caras de sus hijos, de sus esposas, de sus hermanas, de sus padres y abuelos, aunque no les conozca, aunque no sepa ni sus nombres, aunque posiblemente esa, la simple mirada, fue la interacción más larga que tuve con ellos, pero puedo jurar que lo hice, que conocí a los suyos, incluso sus edades.

Y el futuro ahora parecía cada vez más incierto.

Días después visité una ciudad cercana. Y vi los puestos de control de la policía y de las administraciones municipales en las carreteras. Todos tenían puestos los respectivos tapabocas y guantes. Conforme nos acercábamos a aquella ciudad, la soledad se hacía más evidente. Es decir, los lugares concurridos siempre parecen solitarios porque carecen de interacciones personales que hablen de cercanía, cariño o amor, pero esta vez no había si quiera espacio para estos apuntes mentales.

Las calles se cubrían de la soledad de cuerpos, perseguida de las miradas furtivas desde las ventanas. Por mi trabajo me dispuse a hacer la prueba del Covid. De hecho, esa era la razón de mi viaje. Y no puedo olvidar la fila y los protocolos de seguridad. El distanciamiento con mayor rigor, el uso de los tapabocas… se volvieron memorias las sonrisas, se volvió ilusión la ilusión misma de compañía. Y empezó el temor. Uno pequeño, un poco difuso, pero se hizo presente en todos nosotros, en esa fila, ante los procesos médicos que no duraban ni 5 minutos, así como duran las promesas de eternidad.

El miedo parece eterno.

Y el miedo a veces dura 5 minutos.

5 minutos pueden ser la eternidad.

Y luego me enteré de una historia de alguien que en estos tiempos dijo adiós y no fue escuchado.

Seguramente para él, marcharse, también duró una eternidad.

En el cuarto del hospital, también soñó con ser libre nuevamente. Pero a sabiendas de la libertad final que como destino le aguardaba.

Seguramente desde aquel cuarto, veía las calles desoladas y no le importaba mucho. No era relevante. Así como tampoco lo fue la comida del hospital, pero quizás sí la compañía de las enfermeras y enfermeros y, aunque distantes, las palabras del equipo médico. Quizás un “buenos días”, un “nos vemos más tarde” una risita de simpatía y unas cuantas palabras que articularon frases en forma de respuestas…no fue más.

Por lo tanto, no hubo palabas para eternizar.

Y murió.

En la soledad de su paz y en la paz de su nueva soledad.

Fue como un augurio de libertad, del que hablábamos anteriormente, algunas cuantas líneas atrás.

En casa, su familia no le sintió irse, como se supone pasa cuando un ser amado muere. Una presencia extraña e invisible no se encargó de hacer ruidos en la cocina. Tampoco se ocupó de encender las luces de las habitaciones cuando fue de noche, anunciado su partida. Simplemente se marchó.

Ya había recolectado, antes de salir de casa, las muestras de amor sincero que le acompañarían, los sabores que más los extasiaban y las imágenes de los rostros que tanto amaba, se los sabía de memoria, porque como ejercicio para no olvidar, conservó en su mente la forma de las caras, el color de los ojos, la ubicación de los lunares, las arrugas que producía cada gesto, la fuerza de la marcha de cada uno de los cuerpos, el olor de cada centímetro de superficie que le hacían sentirse en casa.

Con eso le bastó.

Mientras tanto, para sus familiares, los nuevos protocolos sociales de despedida, que resultaban completamente inhumanos, injustos. Supongo que la inhumanidad se enlazó con la necesidad de demostrarnos frágiles. Por eso el velorio duró poco más de media hora y solo 4 de sus familiares pudo ver su cuerpo en el ataúd. El resto sintió rabia y dolor, pero no pudo evitarlo.

Mayor dolor puede ser la imposibilidad de la despedida.

Muchos de sus seres queridos, por las imposibilidades de desplazamiento, no pudieron verlo en la funeraria. Les tuvo que bastar con darse a la pérdida y recordar que a todos nos espera ese final.

Perder a un ser querido es de los peores dolores que pueden experimentarse. Y estoy por creer que ese mismo dolor se incrementó en estas fechas en las que ni los abrazos son posibles.

¿Quién estaría listo para esto?

¡Nadie!

La falta de abrazos duele. Porque parece el final del contacto… en todo el sentido de la palabra.

¿Parece exagerado?

Exagerado parece que jamás pensamos que el amor estaría en jaque cuando ni las hambrunas, ni las guerras, ni los errores políticos más inverosímiles fueron capaz de acabar con él. ¿O es ella?

Es tan radical el cambio que esta no es siquiera una cuestión de género.

Algunos dicen que esta situación evidencia mucho más las brechas existentes entre las clases sociales y no es mentira. En la noche, en los noticieros dan los resultados del número de contagios y luego, en redes sociales, en periódicos alternativos se muestra el número de asesinatos de lideres sociales.

Y mientras tanto, se siguen extendiendo las cuarentenas. Cada vez son más los infectados y los municipios en los que el virus hace presencia. El uso de gel antibacterial, los tapabocas, el distanciamiento, las locuciones presidenciales, el riesgo de ser un portador o el riesgo de muerte…

También se muestran, en otros medios, videos de personas que lo están perdiendo todo por lo difícil que ahora es su situación laboral. Y mueren de hambre algunos niños, mientras ancianos son golpeados por la policía por hacer el intento de continuar con sus trabajos, porque para los trabajadores informales el hambre se volvió política y el derecho a saciarla se volvió ilegítima defensa, mientras en entornos rurales estudiar de forma virtual parece imposible y en los medios de comunicación enaltecen la disposición de quienes no tienen acceso a computadores o internet a buscar estrategias para salir adelante…

La romantización de la pobreza como atisbo de esperanza en estos días tan solitarios.

Supongo que parece corto el fragmento en el que expongo la situación vista a través de las lentes informativas, pero ese fragmento se repite una y otra vez en mi mente, como el sonido de una explosión que causa impacto y de tal impresión, se vuelve eco, uno estruendoso, uno que jamás descansa. Así como tampoco descansan los gobernadores, los políticos, la mezquindad y la avaricia para robarse el dinero de los que realmente lo necesitan. Y las políticas públicas de seguridad fracasan y se pierde el dinero, y se pierde la esperanza.

Es por eso que en mi mente todos estamos a la espera de podernos abrazar de nuevo.

De besarnos y acercarnos tanto, que no tengamos que mirarnos con sospecha alguna.

Que no sea legal morir de hambre, ni morir por defender la vida misma.

Que puedan indignarnos las desigualdades, tanto que nos lleven a la acción.

Supongo que la forma más sencilla de decir lo anterior es apelar a nuestro sentido de humanidad.

Que se pueda amar sin tener más censura que la pena propia ante la valentía.

Supongo que es extraño que hable de amor, de valentía, de respeto y de poner alto a las desigualdades y no de salud pública, pero la muerte es el destino colectivo y simplemente no hay otra opción más que la finitud de la vida misma.

Supongo también, que lo único que verdaderamente importa hoy no es estar vivos, es que el camino que nos queda hasta la muerte, valga la pena.

Y para mi valdrá la pena,

Si de nuevo veo sus gestos,

a poca distancia,

le escucho reírse,

me siento avergonzada

y me da un abrazo

Haciéndome sentir

de nuevo en casa.

*Antropóloga (en formación) ; Aprendiz de arqueología.

Universidad de Antioquia

Giulia Morgani
DIARIO IN CORONAVIRUS – parte V
6 GIUGNO

Siamo liberi. O quasi. Possiamo uscire senza doverci giustificare, da qualche giorno possiamo addirittura lasciare la regione in cui ci troviamo. Possiamo vedere gli amici ma non abbracciarli. E siamo sempre mascherati.

Non è chiaro come sarà l’estate quest’anno. Sicuramente ne conserveremo il ricordo. Alcuni si affretteranno a cancellarlo.
Iniziano a vedersi mascherine trasparenti per mostrare il sorriso, vestiti venduti insieme alla mascherina coordinata, persino costumi da bagno “trikini”. Le strade sono affollate, le file triplicate e la gente ha ripreso a insultarsi in macchina e a picchiarsi in strada. I ristoranti sono aperti ma sono vuoti. Il lavoro arranca un po’ per tutti. Molti sono costretti a ricostruire tutto ciò che erano riusciti a conquistare.
Ma si va avanti.
La cosa strana è vedere in giro per la città i manifesti di cinema e teatri di marzo, chiaro segno del mondo che si è fermato. E il mondo è stato fermo davvero, ma per quanti buoni propositi avevamo singolarmente, una volta tornati “massa” ci prende una frenesia che rade al suolo tutto. Soprattutto i nostri simili con cui non vedevamo l’ora di riunirci. E ricominciamo con liti, egoismi, risse, forse perché l’uomo in fondo in fondo non è un animale sociale ma si riunisce in gruppi solo per rendere la vita a livello pratico più semplice.

Non abbiamo imparato niente.Ora che non è più un obbligo, a restare soli o in casa sembra di buttare la vita. Ora che la solitudine non è un’imposizione fa male come una bruciatura. Nell’affanno generale di riprendersi la libertà ora chi è solo è solo davvero, non ci sono più scuse.

Per quanto mi riguarda mi sento smarrita. Ho perso la consuetudine alla socialità e quando sono in compagnia non ho molto da dire, non mi sento sollevata o a mio agio come immaginavo. Chissà cosa mi aspettavo.
Ma cambierà.
Ho sentito che tanti, gli stessi che non vedevano l’ora di tornare a uscire, rimpiangono il lockdown. Vuol dire che non saremo mai felici?

Io sono tra quelli, la mia ansia si è duplicata senza un motivo apparente. Forse perché il mondo si è allargato e io mi sono ristretta?

Ci vorrà un po’ per riabituarmi, mi dico.
Ma non è proprio uguale a prima, c’è ancora un po’ di margine per migliorare. Voglio pensare all’isolamento non come a qualcosa che mi ha privato di tutto ma a un’opportunità grazie alla quale ho scoperto cose in più di me stessa, punti deboli e punti di forza. E passioni, quelle che se i sogni svaniscono continuano comunque a tenerti in vita. Ed essere appassionati dopotutto è il modo migliore per spendere una vita.

*Il romanzo di Giulia Morgani “IL PAESE DALLE PORTE DI MATTONE” (HarperCollins) è disponibile da oggi in libreria.

Francesca Lo Bue
L’eroe

Il prode s’accinge verso la montagna,

cingendo la spada d’ossidiana

percorre il sentiero verso il sole.

Si ferma nel cuore del prode

l’eco delle guerre di là dai margini della terra.

Raggiungerà gli atri degli aurei baluardi,

chiederà misericordia per gli scampati,

sgomenti e nudi con l’enigma del suono.

La montagna del sole ascolta

il ritmo triste del canto dei confini,

porta debiti di gratitudini,

cambiali di malattie e bocche in oblio.

Grida di fetide prigioni e brusio di ladri

che sotterrano i tesori delle anime.

Il prode porterà le lucerne nel cammino scosceso.

C’era un uomo che scendeva da lontano.

All’imbrunire, con utensili e i buoi,

portava una domanda nel cuore,

una tristezza nella bocca sigillata.

El héroe

El héroe se acerca la montaña

embrazando una espada de piedra.

Recorre el sendero hacia el sol.

Se detiene en el corazón del héroe

el eco de las guerras de allende los confines de la tierra.

Alcanzará los atrios de los áureos baluartes,

impetrará misericordia para los náufragos,

terrorizados, desnudos por el enigma de los truenos.

La montaña del sol escucha

el ritmo triste del canto de los confinados.

Lleva deudas de gratitud,

pagarés de enfermedades y bocas cerradas por el olvido.

Gritos de fétidas prisiones y rechinar de ladrones

que entierran el tesoro de las almas.

El héroe llevará lucernas para el camino abrupto.

Había un hombre que descendía de lejos;

al anochecer, con utensilios y bueyes

traía una pregunta en el corazón,

una tristeza en la boca sigilada.

Antonio Spagnuolo
“FRAMMENTI”

Impietoso il muro che ti rapisce,

ora che le foto sbiadite hanno il senso che sgretola

e il tuo silenzio nasconde quei ricordi

che furono dolcezza di forme e nude sfumature.

Tutto prosegue inesorabilmente,

anche lo sguardo è filamento diverso

che incide a differenti pulsioni e nel contagio

promette dissolvenze,

nel vuoto prolungarsi del pianto.

Era la rosa per te, la goccia di rugiada

che imperlava le ciglia, mentre il bocciolo

dischiudeva poesie tra le cromie di luce

e l’errore del suono.

Ora il libro ha gli accenti impossibili

di carezze e parole,

rincorrendo invenzioni.

*

Alessandro Papetti (artista)
Ho spesso definito la pittura…

Ho spesso definito la pittura come la cura e la malattia allo stesso tempo e questa affermazione è ora quanto mai calzante.
La struttura mentale di chi ha passato la propria vita a dipingere, per necessità più che per virtù deve essere articolata a tal punto di sentirsi il più delle volte quasi dissociata tra più aspetti, due dei quali totalmente antitetici. Una parte congenita di astrazione ( termine che qui uso impropriamente anche per esprimere quella capacità di osservare da una posizione altra, distaccata, che per sua stessa natura permette di tradurre in un proprio linguaggio quella sostanza fisica o evanescente che è sostanza straordinaria del reale ) e la capacità, molto spesso forzatamente acquisita dall’esperienza, che attiene all’aspetto funzionale, all’organizzare e programmare. Questo essere “doppio”, con aspetti che possono ovviamente cambiare, in continua evoluzione nel migliore dei casi, dopo tanti anni diventa quasi un “dato di fatto”, una sorta di pseudo certezza… e poi, in un periodo come questo, all’improvviso e soprattutto senza alcuna avvisaglia, senza quel lontano sentore che a volte sottilmente percepisci quando hai le antenne sempre in allerta, tutto cambia in un secondo.
Lo shock per sua definizione è sempre traumatico e improvviso. Succede ora che il mio dualismo, nell’incertezza di questa situazione spiazzante, si fonde nei confini impedendomi la lettura separata tra i due lati conosciuti ed esercitati da una vita; confondendo i margini mi lascia in sospeso e in attesa di poter ridefinire la nuova lettura della realtà, o meglio la lettura di una nuova realtà.
Mi mancano però dati, indizi, conoscenza. Tutto è nuovo, immediato, inquietante.

Mi trovo d’istinto a cercare di riesaminare la mia situazione. Ci vuole lucidità in un momento che necessita di ancora maggiore sforzo analitico e questo paradossalmente aiuta proprio a riattivare il processo di accettazione, senza il quale difficilmente potrei essere in grado di ritrovare quel punto di osservazione di cui parlavo all’inizio, quel punto “altro”.
L’aspetto pragmatico, funzionale all’organizzazione del mio lavoro, in questo momento è sospeso, si sa, è così e non posso farci niente.
Ma sull’altro fronte, quello che mi appartiene e mi prende interiormente molto di più, regna quel senso di incertezza che però in fondo appartiene proprio al mio processo creativo, anzi direi quella consapevolezza riguardo al sentimento di incertezza che è fuso insieme ad altri fondamentali elementi nel pilastro portante del mio procedere pittorico. Perché l’incertezza è una grande possibilità di conoscenza quando è la consapevolezza di questa a condurre il processo.
Inoltre coincidenza vuole che dall’autunno scorso avevo cominciato a concepire e sviluppare un concetto che si stava via via formando da almeno vent’anni e che andava finalmente a ritrovare tasselli della mia produzione pittorica, tasselli mai dimenticati ma che fino ad allora non sapevo collocare. Erano tutti pezzi di un unico puzzle e all’incirca tre anni fa l’esecuzione di un dipinto per me spiazzante aveva svegliato la mia parte silente e portato di colpo la mia attenzione al fatto che forse ero in possesso del tassello fondamentale. Anche se per questo mi trovavo di colpo in una situazione che ancora non sapevo gestire, cominciò una nuova fase della mia pittura perché avevo spostato il mio punto di osservazione.
Dovevo maturare nuova consapevolezza ma mi ci sono voluti quasi tre anni per capire a cosa, inconsapevolmente stavo lavorando da più di venti. Non si tratta solo di un tema nuovo ma un “modo” nuovo e per nuovo non intendo, non solamente, dal punto di vista tecnico–pittorico.
Stavo, sto, lavorando su un concetto che riguarda trasversalmente (forse anche di più) ciò che stiamo vivendo in questo momento difficile e che con questo può fondersi o entrare in collisione, ma senza parlare e raccontare di virus e di conseguenze collaterali. Non ho mai voluto narrare i fatti e non lo voglio fare neppure ora. Sono sempre esistite espressioni artistiche che traducono accadimenti contemporanei, la cronaca letta in modo politicamente corretto o a volte strategicamente scorretto, attraverso una sorta di rapporto diretto, di causa-effetto-concetto, in modo realistico o simbolico oppure dichiaratamente di denuncia. Personalmente mi interessa e coinvolge di più riconoscere in un opera l’umano non inserito in un racconto, coinvolto in uno stato di sospensione che contiene già tutto. Indagare sulla parte non narrativa e che quindi può sembrare assente. La tensione o l’intensità espressa senza l’urlo. Come dire che l’esplosione, il fatto avvenuto, sia già di per sé uno svuotamento di forza rispetto all’implosione o a una tensione non ancora scaricata. Ci sono elementi che non possono svilupparsi in un racconto. Ci sono frammenti di memoria che non hanno bisogno di diventare “ricordo”Sarebbe importante tornare a educarci all’indagine interiore, al ventre molle delle cose perché è lì che si annida la parte più personale e profonda, dove il personale può diventare universale.
Dobbiamo tornare a riappropriarci della capacità di essere non solo testimoni ma “filtri”, senza temere di essere considerati né troppo né troppo poco.
In questo periodo che lascerà un profondo solco inciso a livello personale e collettivo, storico, continuo la mia indagine nel solo modo per me possibile, dipingendo.

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Alessandra Iannotta
Piano infinito

Quando i bambini varcheranno la porta del ventitreesimo piano rimarranno tutti a bocca aperta.

All’interno del piano ci sarà infatti una scala infinita che andrà in tutte le direzioni.

Sarà una scala parlante capace di comprendere tutte le lingue del mondo.

A guardia del tesoro,che nasconderò ai piedi della scala,questa volta lascerò il primo romanzo della mia poetessa preferita.

Il romanzo s’intitola “Gli occhi di Asha”.

Si tratta di un romanzo originale e fantastico perché in esso trova spazio la favola,l’immaginazione e la poesia.

Il romanzo,tuttavia,privo di una precisa collocazione spazio -temporale, è anche  realistico perché fotografa la vita di molte donne che potranno così ritrovarsi negli intrecci narrativi dell’opera,

un inno alla Vita,che,fin dalle prime pagine,fornisce al lettore le chiavi per vivere con più leggerezza e gioia.

Caro Virus ,Ti lascio un  indizio per comprendere questo romanzo visionario:pensa al titolo!

Gli occhi sono ciò che vediamo sopra la mascherina, Asha dal sanscrito significa speranza, il romanzo parla di storie di rinascita …

Salvatore Rondello
MANTENERE LA DISTANZA (acrostico)

Mezza libertà

Arrivata, per grazia

Necessaria, dalle

Tempestose cime

Eruttanti decisioni

Normate dagli

Effetti letali

Resi alla vita

Esasperata dal virus,

Lascia speranzose

Attese future.

Desistiamo dagli

Incontri ravvicinati,

Stiamo guadando,

Turbati dagli

Aspetti esiziali

Nascosti nelle

Zone invisibili,

Anelando la libertà.

Roma, 4 giugno 2020

Gaetano Giuseppe Calabrese – Gesì Hornoff
Il Bignami del 2020

“La quarantena decisa dai virologi per l’emergenza coronavirus per questa pandemia ha evitato pericolosi assembramenti rimanendo dopo il lockdown nella fase II il divieto di creare assembramento, soprattutto durante la movida, con la sola possibilità di incontrare i congiunti, rimanendo alla distanza di sicurezza, per evitare che la curva dei contagi risalga. Ovviamente il tutto dopo le ore dedicate allo smart working da casa.”

“Houston, abbiamo un problema! Chiudete il libro di fantascienza! Che sono tutti questi vocaboli? Chi li conosceva!?”

Irreale!? Perché no?!

“Buon giorno, amore pronta per andare al mare? Quest’anno ‘stessa spiaggia, stesso mare!’, sorrido.

Borsa del mare dell’estate scorsa: crema solare, asciugamani, occhiali, spruzzino, pinne e occhialini!

Borsa del mare in allestimento per l’anno in corso: crema solare, asciugamani, senza spruzzino sostituito dal metro, 10 mascherine lavabili per il bagno, né pinne, né occhialini!

Il mondo cambia e la lingua si stratifica quasi in maniera impercettibile per regalare mutevoli condizioni e stati d’animo evoluti e maturati diversamente rispetto al passato.

Eppure, il cambiamento repentino è stato talmente scioccante da aver metabolizzato questi termini come conosciuti da sempre, quale primo vaccino sulla paura. Ma a farci caso sono le parole di uso comune a percepirci diversi.

“Butta la mascherina!”, mi viene raccomandato appena tornato a casa, senza neanche il buongiorno!”.

“Com’è frustrante la precisione chirurgica per un creativo come me”.

“Hai rispettato le distanze, incalza un’altra voce!”, “Sì, certo!”, tranquillizzo, ripercorrendo passo dopo passo, e ovviamente tacendo su tutte le eccezioni alle prescrizioni, mi è andata bene!

I piccoli pettegolezzi di routine, ormai rari, fuori casa, diventano in casa una simpatica querelle sulle distanze: distanze non rispettate, mascherine non indossate a dovere, mascherina su o giù dalla bocca e via per quasi altri costanti 30 minuti giornalieri.

“La prole è salva!”, taglio corto, ormai esanime, dopo l’interrogatorio.

Rimetto a posto tutto in frigo. Tutto ciò che mi capita sottomano è liturgicamente sterilizzato.

Sono soddisfatto.

Accendo il televisore di sottofondo, mentre chiamo al telefono e poi sul cellulare contatto con WhatsApp qualche amico per lavoro. Accendo la lavatrice con la roba “contaminata”.

Rifletto e sorrido.

Frigorifero, (familiarmente detto “frigo”), televisione (che altrettanto ridendo diremmo: “per gli amici tv”), cellulare, telefono sono altrettante parole entrate immediatamente nel nostro lessico, seppur lentamente nell’uso quotidiano, hanno di fatto arricchito la nostra vita dotandola di nuovi sorrisi e di strumenti di libertà essenziale, la parola, la comunicazione, l’immagine lasciando un paradigma di ricordi in celluloide verso una scatola digitale.

Meglio, peggio, chissà, tuttavia assolutamente innocui.

Lavori gravosi? Grazie al nome lavatrice hanno trovato essenziale riscatto.

Bisognerà riappropriarsi delle parole, opponendosi al silenzio che ci ha imposto questo virus, selezionando per noi quasi parole senza senso, senza patos.

Le parole dicono tutto, il silenzio uccide.

Rido, penso a come saremo buffi con le “nuove protesi” esistenziali, in luoghi vocati alla libertà: il mare, le gite, il campeggio.

Come intuiremo un sorriso, carpendolo dalle rughe della fronte? Affideremo agli occhi, specchio dell’anima, l’arduo compito di aprirci al mondo!?

Scappo, devo portare il cane a passeggio, prendo la mia mascherina, la mia corazza, e la sua museruola. Tale cane, tale padrone!

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Massimiliano Kornmuller, Dynamic, incausto su tavola

Angelo Zito
NONNO ALFREDO E UNGARETTI

lettera a mio nipote Matteo

Nonno Alfredo aveva una bottega da calzolaio a San Saba in Via Flaminio Ponzio. Una bottega semplice, modesta con un retrobottega che diventò la casa dove trascorse gli ultimi anni insieme a nonna Elvira.

La sua passione era la bicicletta, con l’orlo dei pantaloni fermati dalle mollette del bucato ogni giorno andava e tornava da Via Alessandria, dove abitava, fino a San Saba. Aveva il pallino per la matematica ed era un reduce della grande guerra.

Un giorno che ero andato a trovarlo mi presentò Giuseppe Ungaretti che andava a riparare le scarpe da lui e col quale aveva una certa familiarità e il grande poeta saputo che frequentavo con profitto la scuola mi disse di insistere nello studio e mi ricordo due parole che allora mi suonarono poco comprensibili. Tutto torna mi disse, tutto torna.

Sta piovendo.

Adesso viene giù ch’è una bellezza.

È un temporale estivo finalmente si porta via quel caldo soffocante. Qua intorno le piante respirano.

Continua a piovere.

L’aria adesso s’è fatta profumata, è fresca, sa di acqua di torrente, entra nei polmoni e nella testa come fossimo in montagna. Ti dà energia….

Capisco adesso perché preferisci al sole la pioggia. È qualcosa che si apprezza con l’età, da giovani si cerca sempre il sole ma tu hai già la testa di un adulto per questo ho piacere a scriverti, a raccontarti quello che un giorno potresti invano ricercare nei ricordi senza una traccia. Io di nonno Alfredo ricordo poche cose e mi dispiaccio.

Sto divagando.

Capita a noi vecchi.

Sono troppe le cose che vorresti raccontare ma si affollano tutte insieme nella penna e ritrovare il filo non è facile.

Tutto torna.

Tutto torna dicevo.

Anche la lingua di Roma, che all’improvviso scopro di riuscire a scriverla con piacere, a pensarla, parte da lontano.

Passavamo le sere d’estate al Bersagliere, al monumento a Porta Pia.

Sul marciapiede di via Ancona giocavamo al giro d’Italia con le “lattine” o a sotto muro e le ginocchia a terra e le cosce bruciate dal freddo erano il nostro modo di essere dentro la realtà di quegli anni del dopo guerra quando ragazzini ci entusiasmavamo alle imprese di Bartali che vinceva per la seconda volta il Giro di Francia, il mitico Tour. Le barriere della nostra inadeguatezza, della ignoranza che caratterizzava le nostre abitudini non ci impedivano di respirare inavvertitamente l’aria di Roma e i segnali di una lingua che ci apparteneva. Non ne conoscevamo la grammatica e la sintassi, la “sonavamo a orecchio”, assecondata dalle canzoni romane che mamma cantava con una voce appena velata di malinconia, ricordando la sua infanzia passata a Via delle Colonnette. “Di fronte allo Studio Canova” ripeteva con una punta di orgoglio rivendicando la sua romanità.

Poi passa il tempo e passa pure il ricordo di come si viveva lì a via Ancona, anzi fai di tutto per superare quella barriera dentro la quale ti sentivi inappagato.

Le vicende della vita sono così complicate che provare a raccontarle seguendo un percorso logico non ha senso. Non si programma la vita, ti viene incontro così quasi per caso, cerchi le occasioni per riuscire e poi un intoppo ti fa cambiare strada. Ma ogni giorno è un tassello che metti insieme e che col tempo costruisce quel puzzle che ci rappresenta.

Ho perso un’altra volta il filo.

Sto sparlando.

Sono certo però che sei capace di entrare anche dentro la testa di tuo nonno. Mi ricordo che quando ti davo le prime lezioni di latino tu in silenzio accettavi le mie sfuriate se non sapevi interpretare la costruzione della frase. Non era accettazione, capivi e giudicavi. E io dopo qualche momento mi sentivo in colpa. Ti avevo trattato come non meritavi. Eri più bravo tu, non in latino ma nel capire che la testa di un anziano ha dei momenti di caduta libera. Eri più bravo tu.

Sei più bravo tu.

Perciò ti scrivo.

Tutto torna dicevo e infatti il latino studiato a scuola senza eccessivi meriti, rimasto nascosto da qualche parte per troppo tempo, riesce fuori quando tu cominci a studiarlo e scopro che mi ricordavo molto più di quanto potessi immaginare.

Il salto da lì a decidere di tradurre Sulpicia, Catullo, Orazio è una conseguenza quasi naturale e in quell’occasione scopro che l’endecasillabo esce dalla penna con una facilità inaspettata.

E un giorno la mia amica Gaudia Sciacca della Biblioteca Rispoli (ahimè purtroppo ormai chiusa) mi invita a preparare con lei una serata di rievocazione di Via Margutta, quella del cortile del civico 51A. In quella occasione mi ritrovo a rovistare nei ricordi di una Roma che non c’è più. Personaggi, storie, pittori, poeti. Ai grandi della letteratura di Roma, Trilussa, Belli, Pascarella, che già conoscevo e che avevo recitato diverse volte, se ne aggiungono altri e scopro Augusto Jandolo così legato alla sua Margutta.

Peccato che quella volta non sei venuto a quella serata che ha avuto dei momenti di autentico pathos romano.

Ti mando le foto e quello che ho conservato.

E veniamo alle Statue Parlanti. Marianna Mariotti della Bottega d’Arte di Morlupo sta preparando una delle sue straordinarie iniziative. Un giro a Roma tra le statue parlanti. Mi chiede di recitare alcuni dei motti che nel tempo sono stati lasciati sotto la statua di Pasquino. Faccio un po’ di ricerche e scopro che molte di quelle pasquinate sono state dette ridette tramandate e scritte e che delle altre 5 statue non risultano documenti particolari. È uno stimolo al quale sento di non dovermi sottrarre.

Tutto torna.

Mi sembra così facile mettermi a tavolino e buttare giù quegli endecasillabi, già sperimentati, e far parlare lo spirito di una Roma che avevo poco frequentato ma che stava appollaiato da qualche parte e che tornava a manifestarsi.

Sento di aver parlato anche troppo, non vorrei che il tuo senso critico mi richiamasse all’ordine. Ti invito solamente a far tesoro di quelle parole che Ungaretti mi disse quel lontano giorno nella bottega di nonno Alfredo.

Scoprirai col tempo che quello che stai vivendo oggi potrà essere il sale di domani.

Nonno Angelo.

Quando un amico commenta con un “divertenti” le parole che hai faticato a mettere sulla carta

PAROLE

Péseno le parole

péseno e cianno un senso

nun so’ cascate pe’ sbajo su la carta.

Nun so’ ruffiane e manco fanno ride’

cianno ‘na storia antica

cianno un sapore

che si nun te lo trovi su la lingua

ciai er doremifà che fa cilecca.

So’ sentenze scritte ner fero,

forgiate una per una a foco lento

nun so’ lustrini porvere fregnacce

sentite ar cinema o dentro l’osterie.

La lingua dell’urbe vie’ da lontano

e nun fa le fermate su richiesta

tira dritto come tutte l’artre lingue

e te fa piagne ride pensà, si ciai la testa.

Péseno le parole come er piombo

ma so’ leggere come ‘na carezza

ce vôle er bilancino co’ li grammi

e no la stadera der grossista.

Carmelo Cedrone
TRE VISIONI …. da CORONA VIRUS

LA FINE

Una visione afferra il cuore e mi blocca. Una visione che corre veloce all’anno “0” e, come un grande arco, si collega all’oggi, al 2020. Un arco che unisce due uomini, soli. Uno all’inizio, l’inizio di una nuova era. Un’era grande. Lunga. L’altro alla fine. Di questi giorni. Il Papa appare solo, perso nello spazio infinito di San Pietro. Unico celebrante. Sperduto. Faccia triste, voce flebile, lenta, tono basso, sguardo vago. Cerca il suo “gregge”, che non c’è. La folla è scomparsa. E’

Pasqua. Cosa celebra? La morte. Di chi? Di Uno, di tutti?

Come una umanità scomparsa. Fine dell’Umanità? Fine della Chiesa? Servirebbe un inno alla vita. Assistiamo ad un inno alla morte. Impossibile dimenticare, cancellare l’immagine papale sotto un crocifisso imponente, che piange e sanguina. Il simbolo cristiano della morte. Mentre la gente piange.

Il pensiero torna all’inizio dell’arco, alla fortuna avuta, 2020 anni fa, da un Predicatore intelligente, un dio per i seguaci, che trova davanti a sé un impero. Un impero grande. Una sola lingua per parlare e predicare. Un impero facile da conquistare. Con la parola. Sembra impossibile, ma alla fine ci riesce. Pone il suo erede a capo dell’impero, che da Romano, diventa Cristiano, poi Cattolico. Roma finisce. Tutto finisce. O sembra finire? In realtà assistiamo ad una sostituzione, imperiale, che riprende una tradizione, finita da tempo. Quella preesistente ad Atene e a Roma. Un ritorno al passato. Il Faraone egiziano, e non solo, era già re e dio allo stesso tempo. I Greci ed i Romani avevano interrotto questa identificazione. Pietro ed i suoi seguaci la reintroducono. Rappresentanti di dio e re allo stesso tempo, sovrani di un territorio. Di Roma. Una unione perfetta tra cielo e terra.

Oggi il sovrano vaga sperduto. È sofferente, triste, addolorato. Sembra aver perso il suo regno, i suoi sudditi, i suoi fedeli. I membri della sua chiesa. È SOLO!

Non sa cosa guardare, a chi rivolgere la sua predica, la sua omelia. Lo sguardo vaga intorno, lentamente. Non incontra nessuno. Si perde all’infinito, come ad evocare, a “cercare” la morte, unica consolatrice. Che aspetta all’esterno.

Forse servirebbe un nuovo “predicatore”, capace di cogliere e interpretare le paure del nostro tempo. Le paure dell’uomo solo, che emergono in questi giorni terribili. Mille interrogativi a cui nessuno sa rispondere. Quello attuale, il papa sovrano, e gli “altri re” che si aggirano per il mondo, non cambierà in così breve tempo. Ormai è solo, come tutti i re. Non sa più a chi rivolgersi. Ha perso i sudditi, da tempo. Non per colpa della pandemia. Sembra arrivato all’epilogo. Gli occhi tristi continuano a vagare, ma non incrocia nessuno sguardo. Si perdono nel vuoto. Infinito. È commovente. Sembra la fine. La fine di un Impero, come avvenuto per quello romano. E per tanti altri, che pensavano e/o pensano di essere eterni. Come l’uomo? Una dimensione misteriosa, ingannevole, incomprensibile, che induce a giustificare ogni cosa.

Mentre la fine arriva sempre. Per tutto. Per tutti.

Meglio evocare la vita. La sua dimensione. Terrena. La sua difesa.

All’improvviso un grido, che cerco di trattenere, fuoriesce dalla gola. La chiamo. La sento. Sento la vita. Il cuore pulsa forte. Lei sopravviverà. Sempre. Anche se San Pietro cadrà. Ma Pietro-Francesco uscirà in tempo.

Aprile 2020

LA FILA

Sono allineate. Una fila. Tante file. Sembra un disegno perfetto. Ma strano, raro, mai visto. Un doppio trapezio che si moltiplica in continuazione. Aumenta il suo volume. Lineare. A terra. Come una macchia d’olio che si espande lentamente. Moltiplica le forme perfette. Inavvertitamente occupa tutto lo spazio che trova. Con tempo. Con calma. Non si ferma.

Una nuova fila compare. Questa volta è più veloce. Autocarri grigio-verde. Si muove dagli spazi, unti, di Bergamo. Conducono le bare, sole, in luoghi sconosciuti. Vogliono nascondere ciò che sta accadendo, fermare la paura. Interrompere la fila precedente. Che invece continua. Alimenta quella che corre veloce. Verso l’ignoto. Nel silenzio e nell’abbandono più totale. Scorre a fasi alterne, ma continua. Inesorabile. Sembra non volersi arrestare mai. Il Corona Virus ha tutto il tempo per alimentarla. Non ha fretta. Come la Cina. Come la fila dei “pipistrelli” del suo regime, che, lentamente, volano verso di noi, verso l’Europa. Verso il mondo. Da tempo. Hanno aspettato millenni per muoversi. Bisogna fermarli. Fermare la fila.

Aprile 2020

LA VITA

Una pagina intera d’alfabeto. Le vite. Un alfabeto lungo. Che disorienta. Blocca il fiato. Non capisco. Sembra una pagina bianca. Con delle striature lineari. Nessuna figura. Nessun disegno. Nessuna foto. Nessuna immagine. Nessun colore. Non sembra la prima pagina di un giornale. Del NY Times. Solo lettere. Lettere che compongono nomi. Nomi che raccontano vite. Vite eliminate. Dal Virus. Virus invisibile. Si aggira tra i viali di N.Y. Deserti. Senza sabbia. Senza vita. Le vite sono partite. Sono andate via. In silenzio. Vite raccontate, cantate con le note dell’alfabeto. Per tutti noi. Per non dimenticare. Per vivere con loro. Per loro. Per le altre vite. Nelle strade di New York.

Maggio 2020

Lorena Fiorini
Cara Fidapa,

ti amo, per tutto quello che mi hai regalato, venticinque anni di eventi, di momenti condivisi, ritrovarsi e qualche volta, poche, e non le ricordo più, perdersi per poi riconoscersi intorno a un tavolo, con un tè e i pasticcini, oppure in viaggi, incontri eleganti in alberghi, ristoranti, luoghi prestigiosi. Una vita di belle cose. Oggi mi fanno sentire più ricca, completa.

Sono entrata in Fidapa nel 1995, era presidente Patrizia Cardone e il mio ingresso al Grand Hotel Excelsior avvenne in una serata memorabile. Ricordo ancora le parole di Patrizia, presidente Fidapa Sezione Roma in quel momento: “Vi voglio tutte in lungo”. E così fu. Acquistai un abito di Max Mara, elegante, nero, sbracciato, di morbido chiffon, che ancora conservo, nonostante i chili in più. Non sono mai riuscita a liberarmene. Patrizia e io eravamo colleghe, lavoravamo alla Comunicazione e Immagine Rai, lei come scenografa, io come responsabile del coordinamento e pianificazione mezzi, prestavo all’epoca la mia opera in qualità di produttore esecutivo della trasmissione, in onda sulle tre reti Rai, La Rai che vedrai, un’anticipazione sui programmi in via di trasmissione. Era attratta da Patrizia, donna fuori dal comune, elegante, attenta e pronta a esprimersi con proprietà di linguaggio, a porsi sempre elegante e sempre propositiva. Facemmo amicizia, unimmo lavoro e tempo libero. Con Anna Musto, giudice di pace, arrivò il primo impegno, la prima tavola rotonda, sulla comunicazione nell’area del Mediterraneo, il Magreb. Coinvolsi nell’occasione, Massimo Fichera, Direttore di Raidue, con il quale ho avuto l’onore di lavorare come segretaria.

Il mio rapporto con Fidapa è riassunto in un brano tratto dal mio romanzo Smarrimento d’amore. Nomi diversi appaiono, in realtà si trattava di un evento a Villa Miani, l’amica Cristina era Anna Musto, cara amica ancora oggi, il tempo non ha scalfito la nostra amicizia.

Scendevo le scale di Villa Scarlatti. Roma era ai miei piedi, ricca di luci in un ovattato silenzio. Ho provato un benessere profondo. Mi sentivo felice per essermi appena riconciliata con l’infanzia, per una serata giusta nei tempi e nei ritmi, per essermi sentita, finalmente, in ordine.

Su tutto. Il vestito di alta sartoria adatto all’occasione, le scarpe e la borsa abbinate, i pochi gioielli scelti con cura, il cappotto perfetto a chiudere. Ecco cosa sono diventata. Non più disperatamente sola in mezzo alla gente. Ma un tutto armonico, nei toni scuri, morbidi, adatti a scivolare addosso, di buon gusto, ma nello stesso tempo pronto a dare il senso di una femminilità spontanea.

Felice come donna sola, non timorosa, ma inserita in un contesto elegante, senza un uomo accanto da sostegno, ma in compagnia di qualcosa di prezioso: l’equilibrio con me stessa e il mondo attorno a cornice per una serata in compagnia delle amiche di una federazione di cui faccio parte e che si occupa di arte, professioni, affari. Niente male, vero? L’occasione è giunta quando sono stata chiamata a mettere in piedi e coordinare, insieme a una cara amica, Cristina, una tavola rotonda con ospiti illustri. Questo evento l’ho considerato il battesimo del superamento di ogni timidezza. Mi sono sentita al riparo da ogni imbarazzo precedente per luogo, tempo, ritmi e battute. Fino ad allora era stato quasi sempre un mezzo disastro. Da adesso un’apertura forte per inserirmi nel mondo dei grandi è stata raggiunta. Villa Scarlatti ha rappresentato nella mia infanzia il mondo dei ricchi, un mondo che mi teneva relegata ai margini, spettatrice ed esclusa dalla recita; la contessa Mafalda Scarlatti ha rappresentato una dea irraggiungibile circondata di servitù, di cose belle, ma anche di debiti. È stata la vita condotta al di sopra delle possibilità a farle perdere la villa e a relegarla in un appartamento. Ho sempre guardato alla villa con timore e con un senso di impotenza.

Per anni l’ho considerata un miraggio da raggiungere, attratta da un mondo che non mi apparteneva, ma che sapevo con certezza sarebbe stato un giorno mio e nel quale mi sarei trovata come un topolino nel formaggio. Il topolino è uscito dallo scantinato, si è lustrato il pelo, ha messo l’abito lungo, le scarpe a punta con il fiocco, la bombetta, ha arricciato i baffi, e così trasformato ha fatto il suo ingresso trionfante nel mondo dei grandi.

Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti. Appena in pensione è giunto il riconoscimento più prezioso, “tirata per la giacca” ho raggiunto la vetta: la presidenza della Sezione Roma, due anni non facili, oggi tutto si è acquietato. Il bagaglio è cresciuto con me fino al Coronavirus, dove è cresciuto ancora di più partendo dalla mia nuova vita, che si è arricchita di esperienze importanti, in testa la scrittura e i corsi di scrittura creativa tenuti da me, una volta promossa sul campo anni fa. Un’esperienza straordinaria nata con Stanislao Nievo, scrittore famoso e docente di scrittura creativa. Un corso collettivo e un corso singolo durato due anni e mezzo. Con umiltà ho ricominciato daccapo, a studiare la grammatica e i ferri del mestiere. Sono nati i libri, libri di cucina, con case editrici importanti, un libro ricordo con un papà amato, due romanzi, l’ultimo, appena uscito e dal titolo che è tutto un romanzo, Inventarsi nuovi. Qui aggiungo due libri con i racconti degli studenti dei corsi di scrittura da me tenuti come docente.

E vengo al dunque. Il Coronavirus o Covid 19 si abbatte su di noi. Sento intorno a me paura e sgomento. Le mie amiche Fidapa mi consegnano il timore, la preoccupazione per il futuro, incerto e inquieto, ricco di incognite. Ci vuole qualcosa che allontani l’apprensione e ridoni un po’ di serenità fra tanta confusione. Si fa strada su di me il desiderio di mettere in piedi un corso di scrittura. Ci penso su due giorni prima di propormi. La decisione è: riposarsi un po’ oppure dare il via a un corso di scrittura on line per dettare il suggerimento di occuparsi della propria storia, e in particolare ritrovarsi a disquisire sulla parola scrivere. Il senso di appartenenza vince la partita e il dado è tratto. Pochi giorni di promozione del Corso di scrittura creativa e venerdì 17 marzo il corso prende il via. La programmazione ha previsto 12 lezioni così distribuite:

Una stanza tutta per te: la scrittura, un luogo dove ritrovarsi

Logo Scrivi la tua storia

Corsi di scrittura creativa, individuali o collettivi 

  •  Raccontare, raccontarsi
  • I ferri del mestiere
  • Scrivere
  • La pagina bianca, l’organizzazione del lavoro
  • Quali storie da raccontare, la trama
  • Dalla storia all’intreccio
  • Narrazione, il ritmo
  • Il colpo di scena, il punto di vista
  • Il dialogo, la sceneggiatura e il suo stile
  • I personaggi
  • Visione d’insieme della storia
  • Lettura delle storie, Editoria

La parola scrivere è stata rispolverata per donarci storie, per non vederle cadere nell’oblio, per rendere omaggio alle generazioni che abbiamo alle spalle, per ritornare al passato, collegarci al presente e andare avanti con il passo spedito e il cuore fiero.

I racconti, selezionati e arricchiti di immagini e fotografie, alla fine del corso diventeranno un volume, pubblicato dalla Casa Editrice che accoglierà l’iniziativa e curato da una scrittrice consapevole e sensibile al mondo circostante, alla natura, all’arte, alla società.

La scrittura vista come terapia di sé, da studiare, approfondire, amare giorno dopo giorno, cogliendone i segnali, prima timidi poi sempre più forti, per salvare l’anima, che da tormentata, diventa più leggera, più attenta, più partecipativa, un’anima in cammino da incoraggiare e sospingere a proseguire nel racconto di sé, a comprendere che l’autobiografia può diventare il mezzo per raccogliere le forze e depositare su un foglio bianco emozioni, stress, oppure le conseguenze di una violenza fisica e/o psicologica, della quale si preferisce non parlare perché non è facile da comprendere, ma entrambe mettono in dubbio la propria forza, il proprio valore, destabilizzano e finiscono per togliere la gioia di vivere. La scrittura può aiutare a comprendere come da questa esperienza sia possibile dare una spallata al passato per cominciare a camminare in modo diverso, per non limitarsi a guardare, ma osservare, partire dagli errori per correggere il tiro e scrivere per allontanare la solitudine e le paure.

Le dodici lezioni, svolte fino al 28 aprile 2020 hanno, in qualche modo, scompaginato le giornate, non più attaccati al televisore o alle vicende che appaiono sui giornali, non ad arrovellarsi intorno al problema inaspettato ed enorme che ha finito per attaccare il mondo intero: il virus. Abbiamo trovato un altro mondo, quello del ricordo, della memoria, di qualcosa che ci ha allontanato dal presente per lanciarci in un mondo tutto da scoprire. La scrittura è entrata prepotentemente nelle vite di chi ha voluto essere con me. Oggi, chiusa la prima fase, le “scrittrici Fidapa”sono 12, e sono già nate le prime “firme” encomiabili. Alcuni libri hanno preso il via della pubblicazione, tutta da costruire, da seguire. Un libro è già atteso da un editore, altri si aggiungeranno.

L’Associazione culturale Scrivi la tua storia, nata per i corsi di scrittura e per il Premio letterario Donne tra ricordi e futuro, che oggi gode del patrocinio FIDAPA BPW Italy, ha ricevuto la richiesta di proseguire i corsi e io non me lo sono fatto ripetere più volte. Con l’attuale lungimirante Presidente della Sezione Roma, Grazia Marino, anche lei coinvolta dal corso, e le mie “compagne di viaggio” proseguiremo il cammino scrivendo le proprie storie. La mia esperienza si è unita a doppio filo con le scrittrici Fidapa.
Felice di esserci e di donare il mio tempo e la mia esperienza di anni alla Federazione della quale faccio parte. Continua l’impegno, che ci condurrà alla pubblicazione di testi. Un lavoro a tutto campo per prendere e tenere la penna in mano dimenticandoci, per un po’, del mondo che ci circonda, abbandonando problemi e incombenze, che altrimenti non ci permetterebbero di viaggiare sicuri verso il domani che ci aspetta.

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LORENA FIORINI

Laureata in psicologia, ha lavorato alla Rai, è presidente dell’Associazione culturale Scrivi la tua storia e del Premio Letterario Donne tra ricordi e futuro. Allieva di Stanislao Nievo, insegna scrittura creativa. E’ capo redattore del Notiziario della Fondazione W Ale. Fa parte della FIDAPA BPW Italy fin dal 1995, è stata Presidente della Sezione Roma nel biennio 2013-2015. Tra i libri pubblicati: Vita in campagna, Smarrimento d’amore, Betty, sono Bruno e i ricettari Il Peperoncino, Il grande libro del pane, Mele e torte di mele, Le incredibili virtù degli agrumi, Anche l’olio canta, scritto a quattro mani con Laura De Luca, scrittrice, giornalista. Ha curato, per le scuole, i libri La scuola in cucina, Reconsato a quattro mani, e Piatti tradizionali casentinesi e per la Fidapa il libro La Fidapa in cucina, e, per ultimo, il romanzo Inventarsi nuovi, Terra d’olivi Edizioni di Lecce. E’ tra le ideatrici del Vademecum Capire per salvarsi, uno strumento dedicato alle donne vittime di violenza e distribuito dalla Fidapa sul territorio nazionale.

Eugenia Serafini
Il suono delle campane

E lasciamo che entri il suono delle
campane a mezzogiorno

sOle splendente carosello di rOndini

nel blu

la natura che risorge tra macerie COVID19

verdi le foglie di tutti gli alberi nelle ville romane

e fiori fiori fiori mentre si distendono i sensi

a raccogliere emozioni chiuse e regresse nei

mesi della quarantena

guerra vissuta nelle città vuote senza

vita senza uomini senza donne e bambini

nella quiete sorda delle vite chiuse e tremanti fra

i muri delle case.

Deserto il tempo delle nostre gioie.

Lasciamo che entri il suono delle

Campane a mezzogiorno!!!


Eugenia Serafini, I 4 elementi,
acquarello 2016

IL SEGRETO È NELL’ACQUA?!

la forma mutevole che incerta

l’OndA forma e si increspa nel

ricciolo bianca spuma

sugli scogli infranto indietreggia e

torna in forma di OndA a varcare l’infinito

limite dell’orizzonte?

È NELL’ARIA IL SEGRETO che

senza tregua soffia e stormisce e

chiome d’alberi e donne sconvolge ristora

rabbrividisce e nell’occhio del ciclOne tutto

in sé furioso vuole e prende selvaggio?

È NELLA LUCE IL TIMORE

che abbandona

la notte e sale nell’AlbA lentamente sale e

prendono forma le cose e le foreste il verde e

l’azzurro gli oceani

materia i corpi rinati alla vita dal sonno

!!!?

Dove il segreto

Dove è

nel bacio di chi ama nell’abbraccio

della madre

in quella carezza che ultima tratteneva

il respiro l’occhio il sorriso che tornava

alla luce all’aria all’acqua

al segreto!?

Valeriu DG Barbu
Il gabbiano di Valeriu Barbu

Quasi ogni mattina i miei passi lasciano un suono discreto sul basolato qua e là rovinato dopo che si scende le ripide scale da via 4 settembre a Piazza Venezia. Qui, ero sempre accolto dagli stessi gabbiani che rompevano i sacchi della spazzatura appoggiati al cassonetto o raccoglievano pezzi di pane o pizza lasciati dai turisti. Dovevo subire l’isolamento in questo inverno per arrivare a sapere quanto ci amano i gabbiani e quanto siamo importanti per loro.

Durante questa pandemia, stavo facendo stesso percorso solo di mercoledì, i gabbiani non erano tutti lì, solo uno che l’ho seguito a lungo, ritardando al lavoro.

Questo gabbiano faceva risuonare forte i suoi lamenti, molto diversi dal solito, e vagava da una porta all’altra, dove di solito arrivava il suo cibo. Come faceva a sapere chi gli aveva lasciato il pane o la pizza vicino al cassonetto?

Il gabbiano ad un certo punto si è trovato faccia a faccia con me e mi ha guardato negli occhi.

Il suo sguardo disse: dove sono le persone, dove sono fuggiti tutti? Perché le strade sono deserte? Dove posso volare per incontrarle di nuovo?

Ho risposto pazientemente una ad una, alle sue domande, per cominciare bene, ho fatto prima uscire dalla tasca un pezzo di pane portato appositamente per lui:

Oh, caro gabbiano, le persone sono ancora qui, sono chiuse su sé stesse, nella comune paura e allo stesso tempo inusuale. Ti prego di pazientare, tutto ciò passerà e ci rivedremo presto. Anche i turisti torneranno. Avrai di nuovo l’abbondanza con cui questa strada ti ha viziato.

Il gabbiano mi guardò con calore, in modo molto strano perché i gabbiani di solito evitano di guardare le persone negli occhi.

Amico, disse il suo sguardo, ero così spaventato, ti rendi conto? abituato al trambusto della strada e ora deserto, non è facile, il mare è lontano e non sono abituato a pescare lì, io sono nato, cresciuto qui, sono romano … capii una certa fierezza…

Poi continuò:

Ma dimmi, perché mi hai portato del pane? Posso ancora arrangiarmi, molto difficile ma posso.

Perché ho chiesto a mio nonno allo stesso modo come te ora, lui non usciva di casa senza un pezzo di polenta o pane in tasca. Mi disse allora che gli uccelli e i cani randagi sono anime E poi, mio ​​padre ha fatto lo stesso, ed io non potevo infrangere la loro tradizione … Lo so, disse lo sguardo del gabbiano.

“Menti, non hai modo di saperlo, prima di tutto vengo da un paese lontano e dove sono cresciuto non c’erano gabbiani”.

Lo so, senti, i miei nonni ne parlavano, lo sapevano da altri uccelli che viaggiavano ovunque, cosa ne pensi, che noi uccelli non testimoniamo di voi?

Stamattina sono stato di nuovo lì, il gabbiano non c’era e l’ho cercato una mezzoretta, niente. Pensando che si è trovato qualcosa d’affare, davo per entrare nel palazzo dove lavoro quando udii il suo lamento proprio al di sopra, lo guardai, era lui… le ho lasciato il pezzo di pane e sono entrato.

Ora, nella sera, a casa mia, risuona il suo lamento e mi chiedo quanto capiamo noi da loro, dagli uccelli e altre creature? Ci consideriamo padroni del mondo, anche loro forse ci considerano così ma… lo siamo veramente?

L’isolamento è quasi finito, ma rimangono lunghi echi nelle anime, le paure spariranno più difficilmente o c’è bisogno come al solito di cambiarle con delle paure nuove, fresche..

Stefania Severi*
Lettera aperta agli amici della FUIS

Carissimi

Volevo ringraziare tutti per la bella compagnia che mi avete fatto con i vostri scritti in questo periodo ed ovviamente i ringraziamenti più calorosi vanno al Professor Rossi.

All’inizio ho scritto qualcosa poi ho smesso. Mandare testi già scritti e non pubblicati solo per il piacere di vederli finalmente “stampati” non mi sembrava il caso.

Idee “originali” sulla situazione non mi venivano.

Comunque il periodo sta passando ed anche se il fisico ne ha un po’ risentito lo spirito è rimasto saldo. La cosa che mi ha aiutata veramente voglio dirvela: il lavoro. Ho lavorato moltissimo!

Intanto sono la curatrice di una mostra che sarà aperta dall’11 giugno 2020 alla Casina delle Civette di Villa Torlonia: “Alchimie di terra e di luce. I mille volti della ceramica di Guerrino Tramonti (Faenza 1915-1992)”. Spero andrete a vederla, dura fino al 27 settembre e per chi ha la MIC può andare gratuitamente prenotando allo 060608, chi non ha la MIC può pagare il biglietto on line. Al proposito ricordo a tutti i residenti a Roma cosa è la MIC. È una tessera che costa € 5,00 ed è valida per un anno per libero accesso a tutti gli spazi comunali (Campidoglio, Mercati di Traiano, Palazzo Braschi, Ara Pacis, Musei di Villa Torlonia…. ). Per qualche mostra si paga, ma solo per la mostra non per l’ingresso alla struttura. È un’ottima iniziativa del Comune di Roma!

In altre circostanze avrei scritto: il giorno 10 alle ore 18 si inaugura … La Signoria Vostra è invitata (ed infatti così era scritto sulla bozza dell’invito) ma l’inaugurazione non potrà avvenire perché sarebbe causa di assembramenti. Avevamo in programma concerti, visite guidante, conferenze… c’era già pronto anche il volantino. Non si potrà fare nulla. Ma sono ugualmente felice perché sarà l’unica mostra “nuova” in uno spazio del Comune di Roma. In tutte le altre strutture sono state prolungate le mostre iniziate prima del Coronavirus.

Prepararla è stato anche un modo per lavorare con tante altre persone. Le e-mail giravano tra me, il grafico, la casa editrice, il Comune, la Dott.ssa Maria Grazia Massafra Direttrice della Casina, la Coordinatrice delle Scuole d’Arte del Comune “Arti Ornamentali” e “Nicola Zabaglia” (ho coinvolto tante persone!)… e, giorno dopo giorno, si presentava un problema nuovo da risolvere. In quei momenti si lavorava, ci si confrontava ed era bello.

Questa mostra è per me fonte di gioia e di speranza.

Poi un altro progetto mi ha tenuto compagnia, il progetto per il quale ho ricevuto l’incarico proprio dal professor Rossi: Libri d’artista dedicati a Dante, alla sua vita e/o alle sue opere. Con la FUIS sono stati individuati trenta artisti, attivi nell’ambito del Libro d’Artista, che stanno ancora lavorando. Alcuni hanno già terminato! È stata una splendida occasione per riprendere Dante proprio per poter suggerire le varie tematiche. Non volevo che mi si presentassero tutti libri sull’Inferno, anche se indubbiamente è il più gettonato. Ma parlando e confrontandomi con gli artisti, che da sempre sono per me fonte di energie positive, perché vedono le cose in modo “eccentrico”, sta venendo fuori una bella mostra in cui ci saranno certamente Inferno, Purgatorio e Paradiso ma anche le Rime, Vita Nova, De vulgari eloquentia, De Monarchia, Quaestio de aqua et terra …ed i luoghi di Dante e le sue donne…

Ed infine un terzo progetto sta procedendo, la mostra “La Biblioteca” che si terrà a Los Angeles. Sarà alla Huntley Gallery, nella Cal Poly Pomona University’s Library. Cal Poly Pomona è la sigla di California State Polytechnic University Pomona, una delle più prestigiose università della contea di Los Angeles nello Stato della California. È un progetto di Libri d’Artista con un risvolto anche didattico per cui ci saranno incontri con gli studenti. Dovrebbe tenersi in autunno; aspetto conferma, forse slitterà, ma è certo che si terrà. Sto lavorando al catalogo, ovviamente bilingue. Perché quel titolo? Perché i Libri d’Artista sono di otto artisti italiani e le tematiche sono o di carattere universale o specificatamente Italiane e perché gli otto artisti americani nella loro opera hanno un riferimento all’Italia.

Anche in questo caso scambiarmi le e-mail con il mio amico artista e co-curatore John David O’ Brien (che parla e scrive perfettamente in Italiano, mentre sul mio inglese meglio stendere un velo pietoso!) è stato un modo per tastare la situazione oltre i nostri confini in modo non mediato.

E poi…ma basta raccontarvi quello che ho fatto, adesso voglio pensare a quello che farò.

Con questo vi abbraccio con affetto nella speranza di vedervi… perché, parliamoci chiaro, il rapporto diretto mi manca, mi mancate…

*E’ la curatrice della mostra “Alchimie di terra e di luce. I mille volti della ceramica di Guerrino Tramonti (Faenza 1915-1992)”. che si aprirù l’11 giugno alla Casina delle Civette a Villa Torlonia a Roma

Antonio Scatamacchia
Gioco di luci

Screzia come gioco sul viso

tra il fitto fogliame il sole,

accende dardi sulle palpebre socchiuse

libera magie di colori e luci

che alternano zampilli di fontane.

Fotogrammi di visi e forme rinascono

e scintillano tra memorie oscure,

alternano lo sguardo su di te

che m’apparivi soleggiato nell’anima

splendente nel linguaggio e nel sogno,

ora tra quei diaframmi di luci e ombre

tornano come onde che s’inseguono

in un soprassalto d’immagini

il viso il suono del tuo dire.

A.S. 5 giugno 2020

Italo Pignatelli
Il MANN DOPO IL COVID/
PARLA IL DIRETTORE PAOLO GIULIERINI

Il MANN, museo archeologico nazionale di Napoli riapre al pubblico italiano e straniero. Napoli torna a vivere. Il Museo non è solo uno scrigno di arte antica ma un luogo di incontri che rende attiva l’economia della città Regione dell’Italia. Chi viene al Museo va negli alberghi pizzerie ristoranti bar gelaterie artigiani a Pompei Ercolano Capri Ischia Procida in costiera amalfitana Paestum Salerno Benevento.

Il Direttore Paolo Giulierini afferma chiaramente: “Il Museo non si ferma, dal 12 giugno accogliamo la mostra sugli Etruschi” L’Archeologico ritrova il suo pubblico: sicurezza parola chiave della ripartenza.

E sul 2 giugno: “Oggi è un giorno straordinario, un giorno di rinascita e ripresa: questo momento coincide, in modo simbolico, con la Festa della Repubblica. Il messaggio che vogliamo lanciare è che siamo caduti, ma ci siamo rialzati. Adesso le attività continueranno numerose: sono confermate le mostre attuali, da -Thalassa- a -Lascaux 3.0-, da -Capire il cambiamento climatico-a -SuperWomen-, mentre, dal 12 giugno, sarà in programma la grande esposizione sugli Etruschi. Il MANN non si ferma, il mondo della Cultura sta progettando anni importanti, il Museo si sta ingrandendo: a luglio consegneremo i locali del Braccio Nuovo, nella primavera del prossimo anno avremo una nuova hall per un atrio aperto a cittadini e turisti, e, soprattutto, sarà riaperta l’ala della Statuaria campana. Siamo convinti che presto il pubblico ci premierà di nuovo”. Con queste parole il Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha accolto stamattina il pubblico, dopo oltre 80 giorni di chiusura dell’Istituto a causa dell’emergenza COVID- 19. Un giorno di festa. Vita e magia dell’Archeologico: nelle sale degli Affreschi, appena riallestite con un nuovo apparato grafico e con alcuni preziosi reperti provenienti dai depositi, anche l’occasione per ritrovarsi con i rappresentanti della rete Extramann, il circuito di siti culturali partenopei che promuove la valorizzazione del patrimonio storico-artistico cittadino. Una festa per ritrovarsi, dopo circa tre mesi di necessario distanziamento, con la danza, musica classica e moderna, letteratura, mostre di reperti d’arte antica, artisti contemporanei, opere esposte in altri musei italiani e stranieri.

il Mann è l’unico istituto del Sud Italia coinvolto nel progetto “Italy to the Hermitage”: con Ermitage Italia, Un tour virtuale delle proprie collezioni, con spiegazione in lingua russa e dedica simbolica al prestigioso Museo di San Pietroburgo. Peculiarità del cortometraggio del MANN sarà la traduzione e l’interpretazione dei testi, entrambe affidate al team di allievi del corso di laurea in Lingue e culture comparate dell’Università “L’Orientale di Napoli”: un messaggio di solidarietà che travalica non soltanto i confini nazionali, ma anche le barriere tra generazioni. Nel tour “Le Tre Grazie nella mostra “Canova e l’antico” al MANN e la mostra “Pompei. Dei, eroi, uomini” a San Pietroburgo. Vanno ricordate alcune attività nel 2019: “Fuoriclassico 3” ed omaggio a Leopardi con alcune opere del Museo a Palazzo Reale; al MANN le collezioni permanenti e le due mostre temporanee “Res rustica. Archeologia, botanica e cibo nel 79 d.C.” e “Nel Vulcano. Cai Guo-Qiang e Pompei”, risultato creativo dell’Explosion Studio che il famoso skyladder cinese ha realizzato nell’anfiteatro dell’antica città vesuviana; “Cultura Mannara” organizzata dall’Associazione “Pro Loco Capodimonte e III Municipalità” allestimento di un’area espositiva, nella Stazione Neapolis, dedicata alle eccellenze del territorio campano; fra tradizione e nuove tecnologie nella Sala Toro Farnese rito sonoro, intitolato “Cattura del soffio” la Poesia: “L’Infinito” del poeta di Recanati, e “Il corpo dell’idea. Immaginazione in Vico e Leopardi”, organizzata dalla Biblioteca Nazionale di Napoli con in mostra le statue di Cerere, Erato ed Eracle, insieme a due straordinarie opere della collezione Farnese, l’Erma bifronte di Tucidide-Erodoto (II sec. d.C.) ed il Busto di Omero tipo Apollonio di Tyana, risalente, con ogni probabilità, all’età traianea; “Canova e l’antico”, con oltre centodieci capolavori dello scultore di Possagno: tra i grandi prestiti, concessi da importanti istituzioni italiane e straniere; il festival MANN/Muse al Museo 2019, III edizione, nel mese di agosto con la celebre Venere in bikini versione pop. Sono state proposte per i napoletani in città e ai tanti turisti che scelgono Napoli per le loro vacanze. Lo scopo è la promozione del turismo in città. Il Museo Archeologico è una nave da crociera di arte e storia che invita adulti studenti italiani e stranieri a visitare Napoli Campania Italia. E’ motore che accelera la Rinascita della Città e della Regione. La Cultura è la via Maestra contro il razzismo, iniquo ritorno del fascismo, chiusura di porti per immigrati che scelgono di vivere tra noi. L’attività di Paolo Giulierini, il suo amore per Napoli, la sua geniale dedizione costante ricorda Carlo III, re a 18 anni, che a 21 anni fa costruire il San Carlo promuove gli scavi di Pompei rendendo la città capitale sede di ambasciate e meta ambita per artisti scrittori politici giornalisti internazionali protagonisti dello storico Grand Tour. Il Mann è custode delle antiche tradizioni e della antica cultura egiziana latina rinascimentale e di quella greca ancora viva nei napoletani. Dal passato ci perviene una lezione sempre attuale, che ci offre tanti spunti su come vivere il nostro status di cittadini moderni dediti all’accoglienza alla fraternità all’arte.

Nicla Vassallo
Intervista di Giuseppe Rapuano a Nicla Vassallo, la filosofa dell’Università di Genova: la maggior parte della gente di questa Italia ha trasformato “regole” di civiltà in tutt’altro

04 Giugno 2020

ROMA – «Ritengo che si stia attribuendo una rilevanza eccessiva al Coronavirus, e che in troppi parlino con fatuità di epoca, giocandoci sopra, di un pre-virus e dopo-virus, e che, tra questi troppi, non manchino neanche i politici dell’ultima ora. Non si comprende con quali competenze osino parlarne, asserire prontamente. Per esempio, la crisi economica toccherà quasi tutti noi, ma vi sono di già maniaci, per nulla esperti di finanza, che si lanciano, senza ragioni valide, in previsioni più che sgomentati.
Se, prima del Covid-19, la popolazione italiana, non coltivava di già i principali umani valori epistemici, ovvero, quei valori che presentano un’alta probabilità di condurci verso la verità, oggi questi valori paiono quasi del tutto assenti. Bizzarrie dai vari comportamenti umani che affermano un enunciato, senza possedere alcuna idea di dove esso ci conduca, verso la falsità, oppure verso la verità? Su tal punto, il fare filosofia, alla ricerca della verità, non “conviene”, poiché la filosofia, tra l’altro, si pone l’obiettivo di un ragionare, faticoso e con costanza mirato con persistenza al conseguimento della verità. I buoni propositi non mancano, ma risultano del tutto fallimentari per ignoranza».

È la prima risposta – Gli esseri umani di qualche mese addietro, gli esseri umani di oggi, e quelli di domani. Evoluzione non naturale di ogni essere umano… – che la professoressa Nicla Vassallo mi dà nel corso di una conversazione sui tempi e il tempo.
La filosofa di fama, specializzatasi al King’s College London, e docente di filosofia teoretica presso l’Università di Genova mi ha parlato di donne, giovani Governi e governanti.

Da professoressa universitaria, lei trascorre gran parte del suo tempo con ragazze e ragazzi. Cosa vede negli occhi dei giovani?

«Quegli occhi, comunque, non mi donano speranze, proiettate sul breve futuro. Giovani? Da qualche tempo, nel nostro Paese, si risulta giovani pure verso di trantacinque anni. Un’assurdità. A quell’età, si è piuttosto anziani e ci si dedica a quasi ogni attività sportiva e/o intellettuale. In alcuni casi, rari a parte, colgo un irreversibile appiattimento, alla volta di decrepita curiosità, di una sessualità compulsiva/impulsiva, priva di fantasia, nonché di una seria e instancabile vita di uso e consumo.
Oppure, quei tuoi occhi penetranti mi inducono a comprendere qualche desiderio e necessità giovanili, pur nutrendo perplessità posata su di loro, dato che il primo passo in avanti consiste nell’aderire consapevole a una democrazia, senza alcuno snobismo. Qualcosa che gli attuali giovani italiani, costoro di questi giovani populisti, del sistema italiano, dovrebbero recuperare sul terreno della democrazia, in altre parole, ora in piena Coronavirus,  giovani che dispongono di propri mezzi e strumenti per reagire alla “melma” nonché con piacere il discernimento tra competenti e i non docenti (pur di fatto docenti), per esempio, da coloro che praticano filosofia per narcisismo».

Come ci sta lei in questo periodo fatti di Fasi? E, a suo avviso, come lo stanno consumando gli italiani?

«Procedo a fasi alterne, senza una successione 1, 2, 3, 4, 5 eccetera. Con qualche ottimo eccentrico: le fasi influiscono ben poco sul lavoro riflessivo e analitico; toccano, nondimeno, col fare tenue, il mio corpo. Il che mi pone ogni giorno il compito di affrontare il problema mente/corpo di matrice cartesiana, un problema basilare del filosofare, il che interferisce non poco sulle specifiche problematiche su cui sto lavorando. Tornando specificatamente, su italiane e italiani. Mi spiace, sono una filosofa, ovvero mi occupo di normatività. La maggior parte delle italiane e degli italiani ha trasformato “regole” di civiltà in tutt’altro, in una accozzaglia di sgangherate opinioni, ove soggettivismi, a proprio uso e consumo, in cui affoga il concetto di bene comune. A che pro? Alla volta della totale follia».

Professoressa, un pensiero su Giuseppe Conte, Boris Johnson e Donald Trump…

«Tutti loro appaiono, più o meno simili; soprattutto, in quanto non sarebbe possibile giocare “armati”, senza una minima idea di cosa si intenda vincere. Viviamo in questi incasinati tempi “moderni”, in cui la maggior parte dei politicanti aspira a denaro e potere, quasi mai al bene comune, senza tuttavia disporre delle competenze minime per svolgere il proprio compito. Per di più, i tre e con le loro figuracce pubbliche non mostrano alcuna istruzione, anzi non capiscono neanche di fare figuracce. Ne abbiamo viste abbastanza. Eppure loro non debbono rendere conto. Pure agli assessori regionali, auto blu, segretare/i, stipendi stellari, non so quali e quanti benefit, nonostante abbiano magari letto un solo volume in vita. Il minuzioso spirito nazista, rimane diffuso tutt’ora, in ogni poro tedesco».

Che momento vivono le donne oggi? Siamo ancora in un mondo maschilista?

«Diverse valide, ragioni epistemiche, mi conducono a presupporre che il concetto di gender debba essere sulla via tramonto Pur limitandoci all’attuale Germania, alla propria tarconte Merkel, la dura, quasi inscalfibile, in virtù del proprio egocentrismo, da Re Sole, dalla sua “poltrona” da cancelliera, mi pare navigare in acque ben poco trasparenti. Sta mettendo in campo in atto ogni stratagemma per vincere ancora. Il maschilismo è in netto recupero. È sufficiente dare un’occhiata alle classifiche del gender gap per comprendere quanto il nostro Paese sia retrogrado. E, in un certo qual senso, le donne in Parlamento, o quelle in Regione, o quelle in Comune occupano spesso una sedia per la loro bellezza, non per la loro competenza».

Il nome di una donna (escludendo lei) che è già storia in questo momento e della quale noi ce ne accorgeremo solo in futuro…

«Preferirei passare alla domanda successiva».

Quali caratteristiche mentali, psicofisiche, occorre possedere per vivere bene nel Nuovo Mondo?

«Se il mondo è nuovo e mi è sconosciuto, non sono in grado, coscientemente di specificare quasi nulla in proposito; neppure le fattezze di tal mondo. Figuriamoci di chi siamo e come di chi saremo».

Carla Gagliardi Desaur (da Londra)
Leggevo giorni fa: Londra ha diverse


Leggevo giorni fa: Londra ha diverse carte da giocare per tenere Edimburgo nel Regno Unito anche nei prossimi anni. Le scelte economiche e di politica sociale che verranno implementate nel post-lockdown si riveleranno cruciali. […] La pandemia di Covid-19 ha profondamente alterato le dinamiche politiche del Regno Unito ed ha imposto un cambio di passo anche alle richieste provenienti da Edimburgo. Il governo scozzese, guidato dagli indipendentisti dello Scottish National Party, ha dovuto rinunciare alla possibilità di indire un secondo referendum sul futuro status del Paese. Il conflitto con Londra si è attenuato a causa dell’emergenza sanitaria ma non è scomparso.

Io aggiungerei che mentre la ministra scozzese e’ stata ripetutamente multata, invece i paladini del governo borioso si mantengono impuniti.

Per capire cosa e’ accaduto in questa prima settimana di giugno bisogna fare un piccolo passo indietro: nelle settimane di maggio precedenti il rallentamento, ancora in pieno lockdown. Passeggiando tra zona 1 e zona 2, nelle lussuose aree con codice postale SW8 e SW7, ho ripetutamente verificato che i parchi privati, ritagliati nelle immense piazze incorniciate dai bei palazzi, raccoglievano nei giardini gruppi di numero eccessivo, per quanto variabile, e certo non ricollocabili come stesso nucleo famigliare.

Vicini di casa che lasciavano giocare i loro figli: mentre la decina di bambini, giocando, rispettava la distanza di sicurezza, i genitori protetti dall’enclave della privacy del garden sedevano a pochi centimetri di distanza o chiacchieravano fianco a fianco accanto alle piante…!

Questa la base della realta’ quando vi parlavo dei parchi principali, aperti al pubblico e sovraffollati.

La settimana dal 22 al 30 maggio e’ stata tutt’altro che scorrevole, evidentemente traballante il consenso per il PM:

se all’inizio i giornali osavano accennare all’assoluzione di Boris per l’affare con la US perche’ decantava i 10 milioni di test ‘pronti’ per sconfiggere il virus, vi e’ stato un crescendo di dissenso attorno alla figura di Cummings che ha costretto il Premier ad una vistosa retromarcia [U-turn] sulle tariffe sanitarie [NHS charges] per i lavoratori sanitari stranieri [Foreign Health workers].

Scusate la ripetizione ma e’ inevitabile: quegli stessi medici ed infermieri extra-uk, che salvano vite mettendo in pericolo la loro, rischiavano in questi giorni, anziché ottenere una agevolazione, di essere, in un certo senso, super-tassati a causa del brexit….

In questo teatro dell’assurdo vi e’ stato un vero climax arrovellatosi attorno al nome di Cummings nelle testate giornalistiche:

25/5 The Observer: Nuove accuse: Cummings ha infranto le regole del lockdown;

Sunday Mirror: C ha infranto le regole del lockdown due volte ma Johnson continua a supportare il suo consulente;


26/5 The Guardian:
Non ho rimorsi per cio’ che ho fatto. C rifiuta di dimettersi;

The Times: Io non ho infranto le regole del lockdown;


27/5 The Guardian:
Il PM si rifiuta di dimettere il suo consulente;

28/5 Financial Times: Johnson esclude la necessita’ di una inchiesta sul consulente C.


29/5 Venerdi
– Il PM allenta la chiusura per famiglie ed amici: ordinati barbecue da 6 persone. Sarà’ un felice lunedi: potremo incontrarci!


30/5
Il capo scientifico: troppo presto per ‘to relax’ le regole del lockdown

La confusione regna sovrana poiche’ mentre le dichiarazioni per perdonare Cummings sono aumentate e si parla di ‘rilassamento’ e di riapertura delle scuole e dei negozi, in sordina il ministro della salute dichiara che la salute pubblica e’ in pericolo, minata [undermined] e ‘chiunque sia stato in contatto con persone infette dovra’ restare in isolamento per 15 giorni anche qualora non vi siano sintomi’. Drasticamente il 28 maggio si leggeva che test e tracciatura sono diventati un obbligo: ma ad oggi il test sierologico e’ un costoso optional…

Eppure qualcosa di anomalo sta avvenendo perche’ mentre a livello governativo si concentrano, inspiegabilmente, su un nuovo lockdown dalle modalita’ discutibili che intaccano la privacy, con l’inizio di giugno si registra l’onda anomala negli ospedali e la situazione è , di nuovo, fuori controllo.

Mentre si legge che la questione del controllo con la quarantena e’ una farsa [Border farce! Daily mail del 30 maggio] colpisce e sbaraglia la notizia del 1/6: “Sex at home with person from another household is illegal”.

Non ancora messo a tacere lo scandalo di Cummings che non ha, ripetutamente, rispettato la legge del lockdown spunta come un fungo velenoso qualcosa di mostruoso, un irreale desiderio di non rispettare l’individuo come tale. Il semplice cittadino puo’ essere perseguitato se decidesse di recarsi a cena dal patner semplicemente perche’ non vive sotto lo stesso tetto, o peggio ancora, semplicemente perche’ non risulta nel contratto di locazione.

Il PM e’ crollato nei sondaggi in maniera drastica, una ‘frustata nera’, perche’ e’ cresciuta l’indignazione per le azioni di Cummings. Quest’ultimo peraltro con fare poliziesco continua a dargli consigli scorretti, e soprattutto continua ad essere ascoltato da Johnson.

Il singolo, le famiglie…chiunque diventa titubante difronte ad una gestione  della res publica di questo genere.

Apertura dei business: costretti a recarsi al lavoro. Nello stesso giorno non si puo’ cenare a casa del proprio partner perche’ sconfineremmo nella illegalita’.

Ricordo che a Londra continuano ad esserci persone in metropolitana che non indossano la mascherina  e sono autorizzate a farlo perche’ non vi e’ alcuna legge in merito.

Apertura delle scuole: dovremmo essere  tutti testati e qualora vi fosse un solo caso infetto saremmo tutti costretti alla quarantena di 15 giorni. Quarantena che sara’ peraltro di legge qualora rientrando da un paese al di fuori della Gran Bretagna, pur essendo sanissimi, penseremo di recarci regolarmente in ufficio.

Leggevo nelle news che mi appaiono sul cellulare:

‘La grave crisi economica scatenata dal coronavirus, i cui effetti saranno evidenti anche nei prossimi mesi, potrebbe disincentivare le pulsioni autonomiste degli elettori scozzesi. L’indipendenza causerebbe un certo grado d’instabilità, uno scenario non auspicabile per chi dovrà far fronte ad altre gravi problematiche della vita quotidiana. Il Prodotto Interno Lordo dovrebbe contrarsi, secondo quanto stimato dall’agenzia di rating Fitch, del 7,8 per cento nel 2020 mentre il numero di chi ha richiesto l’indennità di disoccupazione ha già raggiunto il livello più alto dal 1996. Secondo alcune stime il Regno Unito sta affrontando la peggiore recessione degli ultimi trecento anni e l’anniversario temporale potrebbe avere un valore simbolico.

Tre secoli fa, infatti, la Regina Anna univa formalmente Inghilterra e Scozia in un unico regno.’

Sono arrivata in Italia e con il desiderio di distrarmi mi rilasso tra le pagine di Rampini, leggo “[…]ci ricorda come la storia non sia lineare, e ogni tanto ci fa lo scherzo d’innestare la retromarcia”: ho un fremito di rabbia mentre appunto sull’agenda il numero del laboratorio con il quale rifaro’ il test sierologico appena rientrata, durante la quarantena forzata.

Anna Maria Petrova – Ghiuselev
– GRACIAS A LA VIDA –

Oh, vita,

vita mia,

grazie degli attimi di gioia pieni!

Grazie dei sentimenti vitali che mi porgi

con i tuoi palmi generosi,

colmi di un amore spuntato

dalla gemma timida

come una rosa splendida inaspettata!

Oh, vita,

grazie della tua fedeltà,

grazie dei tuoi segnali premonitori!

Grazie di non avermi abbandonato

quando meno ci credevo,

grazie della forza con la quale mi hai temprato!

Grazie della beltà con la quale

le mie disperazioni hai premiato!

Grazie di me, che ancora mi sorprendi

e mi fai esistere!

Grazie a te,

mia vita!

Annabelle

VINO

Sorsi piccoli,

cristallini.

Sorsi pieni di quel sapore antico

della mia via Egnatia.

Quelli del mio passato ellenico – romano,

quelli del mio Balkan tra i due mari…

Sono sorsi vitali

come la natura,

come gli alberi eterni

impregnati di resina e di amore.

 

Sono sorsi quelli,

della mia ripresa,

della mia memoria,

del mio amore eterno.

Sono vita, speranza, eredità antica –

sono te e me!

Roma!

Annabelle

Wilma Cavana
È POCO PIÙ DI UN’ INFLUENZA

O almeno era ciò che ci dicevano. Le vittime inizialmente erano persone con in corso patologie, anziani già debilitati.

Non dovevamo avere paura, anche se le scuole, quelle le avevano chiuse subito.

Poi, d’improvviso, la situazione divenne surreale: sembrava di essere protagonisti di uno di quei film americani sulle catastrofi, noi tutti increduli e convinti che questo male venuto dall’Oriente potesse schivarci. Ma in realtà ormai era già tra di noi e nessuno ne era immune e così in un attimo eravamo diventati il focolaio d’Europa. Codogno e poi Alzano Lombardo e Nembro, la città di Bergamo e l’intera provincia, Milano, Pavia, Piacenza, tutta la Lombardia e il nord Italia registravano casi su casi.

I primi a essere colpiti erano stati davvero gli anziani e le persone affette da patologie gravi, ma più il tempo passava, più l’età diminuiva, venivano contagiati e morivano anche persone più giovani. Il nostro governo era intervenuto isolando paesi interi e diffondendo il totale divieto di assembramento, mentre noi come greggi ci accalcavamo in file lunghissime fuori dai supermercati a fare scorta di generi alimentari di ogni tipo soprattutto farina e lievito, alcol e guanti monouso, divenuti introvabili. A casa si sfornavano pane, pizza, biscotti e torte, ma non era una festa. La gente non capiva. Individui incoscienti scappavano di notte sugli ultimi treni in partenza verso il sud della penisola, per evitare la quarantena, correndo e disseminando il virus in ogni dove, rischiando di contagiare i propri cari, ignari e inconsapevoli della gravità della situazione. Covid-19, un virus nuovo, fino ad ora sconosciuto. Contro di lui nessun vaccino, nessuna terapia, nessuna profilassi. I reparti di terapia intensiva si riempivano, non c’era più posto, le strutture erano al collasso, i dispositivi non erano mai abbastanza per tutti. Questa emergenza costrinse il personale medico a prendere decisioni impossibili su chi dovesse essere curato e chi no, tutto dipendeva dalle prospettive di vita della persona. Il Paese era completamente isolato, chiuse le frontiere e i voli da e per l’Italia, nessun aiuto concreto se non tante belle parole da parte dei Grandi del Mondo. Ma il vero male era stato celare in modo subdolo ai cittadini la presenza sul territorio di quel virus, forse ancor prima di Natale. Gli scambi commerciali e i voli con il nuovo potere economico non potevano essere interrotti e si sa il business vero, quello che muove milioni di euro, viene dalla Cina come molte altre cose, mascherine chirurgiche comprese.

Il 2020: l’anno in cui i cinesi sarebbero dovuti arrivare in gran numero nella nostra bella Italia, secondo gli accordi e l’ufficialità della “via della seta”. E in un certo senso così e stato. Il Covid-19, il coronavirus è atterrato con un passeggero e in poco tempo si è diffuso come la peste.

La sensazione in alcuni momenti creava il panico in chi, chiuso nelle proprie mura domestiche, s’immaginava la gente lasciata in fin di vita, a morire sola, in quarantena nella propria stanza da letto.

Intanto negli ospedali i turni erano massacranti, medici e infermieri con mascherine, occhiali, guanti, tute protettive quasi incollate addosso e persino pannoloni, così da non ripetere tutta la vestizione durante i turni, solo per andare in bagno. Eroi e guerrieri, che non potevano rientrare nelle proprie case, da figli e genitori, per non rischiare di diffondere il virus. Uomini e donne a loro volta contagiati e uccisi. Così sono iniziati gli appelli della Croce Rossa per la ricerca di altri medici e infermieri di ogni età e nazione, l’emergenza però era ormai troppo estesa, i morti raddoppiavano ogni giorno, non c’era più posto nemmeno per loro, soli e ammassati in sacchi neri, nelle camere mortuarie. Finché un giorno, anzi una notte, si realizzò la scena più straziante e sconvolgente: i camion dell’esercito, tutti in fila, diretti, entrati e poi usciti dal cimitero di Bergamo, per portare le salme fuori regione. Per loro non c’era più posto. Le foto di questa scena divennero virali sui social. Soldati trasformati in becchini che portavano via i nostri morti come merce che non ci sta più. Le nostre città e le nostre vite blindate, messe in quarantena, negozi, bar, attività con le serrande abbassate, fermi e incerti sul futuro e ancora senza nessun aiuto. Orgogliosi e fieri stringevamo i denti e andavamo avanti soli, chiusi in casa e gli individui più deboli stavano ad aspettare i volontari della Protezione Civile che portava loro, a domicilio, ma a debita distanza, i beni di prima necessità, come cibo e medicine.

I giornali locali pubblicavano aggiornamenti sui vari DPCM, le opinioni di virologi, infettivologi, astrologhi, podologi, interpretazioni su chi siano i veri congiunti e tante storie, ma quando ci si trovava nelle mani quel pezzo di carta stampato, l’attenzione andava sulla sezione dei necrologi, tante, troppe foto e i nomi delle vittime destinati a salire come i piani di un grattacielo, dieci pagine piene, in un solo giorno.

L’isolamento era in atto, non si poteva uscire dal proprio comune, l’unica bottega di alimentari del quartiere veniva assaltata e con la gente in fila fuori per strada ad aspettare la voce della commessa nascosta dalla mascherina per entrare uno alla volta. Il nostro piccolo paese era deserto, nell’aria c’era un silenzio assordante, interrotto dalle sirene delle ambulanze, una forza invisibile ci univa, la sera qualcuno metteva per qualche minuto la musica a tutto volume spargendo note di speranza nell’aria.

Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo all’attentato delle torri gemelle di New York. Quel giorno mentre tornavo dal lavoro, in autostrada le auto avevano una velocità simile, tutti ascoltavano la radio con le ultime notizie, sembrava ci fosse una calamita capace di tenere uniti i nostri pensieri.

Gli appelli alla popolazione di starsene chiusi in casa, erano ignorati da molti, ma soprattutto dai giovani che aspettavano solo il momento per trasgredire forse all’unica vera regola a loro imposta.

Tutti a fare aperitivi e feste private in taverna, adunati in parchi pubblici a postare sui social, foto con con grandi sorrisi, mentre i sindaci diventati star del web facevano appelli tragicomici, i personaggi dello spettacolo pubblicavano video con l’hashtag #IORESTOACASA, divenuto popolare.

Il picco epidemico non era ancora arrivato, ora non era più il momento dei vecchi ma di quei delinquenti in giro in montagna a sciare in fila, troppo vicini, causando così un’evitabile diffusione e mutazione del ceppo virale. Perché questo virus è differente! Quel demone è più intelligente di noi.

Nessuno era immune. I primi a esserne colpiti, nelle piccole comunità, venivano additati e accusati di essere untori, i parenti del deceduto o del malato venivano emarginati e portati in piazza con un tam tam sui gruppi social del paese, con mille commenti crudeli e cattivi, solamente perché un padre, una nonna o una madre venivano soccorsi dai propri cari, poiché rimandati a casa dalle strutture affollate del Pronto Soccorso.

Eppure, neanche due mesi prima, proprio nella bergamasca, si erano verificati dei focolai di meningite, con la gente ammassata per farsi vaccinare a tutte le ore del giorno e della notte. Ora saremo bravissimi a fare le file per il vaccino!

I giorni passavano nella fermezza più assoluta, dentro di noi lentamente crescevano il senso di angoscia e la paura, le campane la mattina non suonavano più la prima messa del giorno, ma quella della morte. Erano talmente tante le persone che non ce l’avevano fatta, che il parroco del paese decise di far suonare solo un rintocco della campana grande, quella della festa. Uno solo, forte, seguito dal nulla!

La primavera stava per arrivare, i fiori sbocciavano più belli che mai, le farfalle colorate danzavano tra i petali nell’aria pulita.

Sui cartelli pubblicitari ogni giorno 3/ 4/ 5 affissioni funebri, Mattia, Battista, Rosa, Francesco, sorelle, fratelli, figli, genitori, nonni arrivati dai nosocomi, chiusi in quattro pezzi di legno, morti da soli e sepolti senza un funerale come ultimo gesto di addio. Cimiteri affollati di bare messe in fila, con operai delle onoranze funebri distanziati con fredde mascherine e mazzi di fiori abbandonati, in attesa delle ceneri di qualcuno. Erano talmente tanti da cremare che i forni crematori bruciavano quelle povere vittime 24 ore su 24.

I parenti chiusi in casa nel loro dolore, con una fotografia e un ricordo, destinato a svanire lentamente col passare del tempo. La TV teneva tutti troppo informati, con i talk show e gli ospiti in videochiamata, invece che seduti nello studio, con alle spalle, mobili, librerie, quadri, i capelli scompigliati, troppo lunghi o grigi. Giravano fake news che fornivano speranze su cure di ogni genere, come guardare nell’olio per far passare la congiuntivite, il popolo confuso e in balia dell’incerto. L’unica soluzione era STARE A CASA!

Intanto che la Lombardia e la nostra Bergamo erano messe in ginocchio e abbandonate a loro stesse, il mondo o almeno una gran parte di esso, impastava teorie del tutto impossibili e improbabili. Premier travestiti da buonisti con la cresta alta, somiglianti a galletti da combattimento esponevano fieri la loro terapia dell’immunità di gregge, ma ancora per poco.

Loro credevano di poter essere intoccabili e superiori!

L’OMS, intanto dichiarava lo stato di pandemia, quel demone maledetto si era diffuso, le borse erano crollate tutto era stato messo in crisi, tranne le aziende farmaceutiche e i loro benefattori, in gara per aggiudicarsi il futuro vaccino.

Il mondo intero si era fermato!

Non si era fermata però la speranza degli uomini di buona volontà: medici, infermieri, i volontari della Protezione Civile e i nostri ALPINI, pronti a costruire un ospedale da campo in pochi giorni, grazie agli imprenditori locali che donavano milioni di euro per acquistare le attrezzature mediche e la gente chiusa in casa, la sera accendeva la candela della speranza, colorava con i propri figli arcobaleni da appendere alle pareti, alle finestre, sui cancelli e fuori sui balconi si cantava la vita, ci si univa in un abbraccio virtuale. Eravamo separati ma uniti e unici.

Ora il demone toccava tutta l’Europa, non si poteva scappare da nessuna parte né a nord neé a sud.

La natura con un microrganismo invisibile, ha dimostrato di poter piegare l’uomo, l’unico essere che la sta distruggendo e soffocando con i suoi rifiuti.

Tutto andrà bene, prima o poi finirà questo male, le impronte del suo passaggio avranno effetti politici, economici e sociali, di una guerra combattuta e persa senza armi.

Paola Sanna
Torneranno i tuoi occhi a dirmi: Ti amo

Torneranno i tuoi occhi a dirmi: Ti amo
Torneranno i baci e gli abbracci stretti
Tornerà il mio Autunno rosso
Tornerà la pioggia d’estate
Tornerò amore
Tornerò ancora
Tornerai gioia infinita
Tornerai da me, vita

Annamaria Grippa Bianchi
7-6-1976   7-6-2020

Sto rimuginando su questa data : l’anniversario del mio matrimonio che non posso festeggiare oggi così come non ho potuto fare in questi 14 anni di solitudine,di vedovanza.

Suona strano in questa contemporaneità in cui tante persone vivono storie mordi e fuggi o,semplicemente,hanno avuto la forza di ricostruirsi una vita di coppia.

Nel lockdwon dovuto al coronavirus,da cui siamo appena

sopravvissuti, parlare di solitudine è obbligatorio per persone che ,come me,sono state chiuse tra le mura domestiche con 4 pesciolini ,uniche presenze  viventi oltre me.

Certamente per molti è stato un banco di prova circa l’autenticità degli amori , degli affetti.Molti matrimoni sono entrati in crisi  perché finalmente, hanno avuto il tempo di sviscerare problematiche incancrenite e  mettere un punto sulla vicenda,un punto di chiusura,il finale di un rapporto che si trascinava da tempo,per apatia,per pigrizia,per vigliaccheria o chissà per cos’altro.

Penso anche alle coppie ed alle famiglie che hanno ritrovato il tempo prezioso per conoscersi meglio,  per non sfuggirsi uno all’altro ricostruendo rapporti perduti inconsapevolmente .Voglio avere la speranza che il “fermo attivita’ sia stata positiva per tanti , che abbia avuto  il merito di riportare le persone ad una sorta di ripensamento circa la propria vita perché come diceva Seneca,non è sufficiente essere bravi naviganti se non si conosce la rotta o qualcosa di analogo.

Io ho fatto il bilancio della mia vita,ho chiarito con il mio interiore,quello che desidero per il futuro,ho compreso qual’e la mia rotta e spero che il vento mi sia favorevole per la navigazione.

Erminia Gerini Tricarico
Settantotto

Non è uno dei numeri che ogni sera la Protezione civile ci comunica come un bollettino di guerra: nuovi contagiati, morti, guariti. Sono i miei anni compiuti, scritti in lettere, perché mi sembra un modo più dolce di salutarli e il ritmo sillabico della parola mi ricorda il rumore delle rotaie nei viaggi in treno di bambina. Il mio settantottesimo anno di vita è scivolato via in una specie di dormiveglia cullato dalla rassegnazione, ascoltando la nenia cantata da malinconica e nostalgia mentre spegnevano a una a una le mie emozioni e il chiarore della notte. Che al risveglio mi faceva sembrare normale affacciarmi alla finestra a contemplare il nulla e poi smettere di fare anche quello. Accettare il messaggio che arrivava forte e chiaro dal Mondo: “Non toccarmi, potresti morire”. Ho chinato anche io la testa davanti a questo dio sterminatore e vanesio, dalla fulgida corona, padrone del gioco. Ma in questi ultimi mesi di attesa angosciosa di un nuovo anno Mille, abbiamo scoperto una nuova formidabile arma: la cultura. I musei hanno aperto i battenti, le mostre più esclusive si sono offerte agli amanti dell’arte. Lo streaming è stato la risposta al vuoto e al silenzio, e ha unito i popoli come una religione. Concerti e musica operistica hanno semplicemente chiesto di entrare nelle nostre case. Ed io ho accolto questi doni inaspettati. Ho guardato documentari, che mi hanno mostrato tante meraviglie da vedere. E mi sono fatta un regalo: la voglia di rinascere e di guardare con attenzione tutto, senza trascurare niente, senza rimandare a una prossima volta. Oggi non c’è stato il mio gemello a spegnere trentanove candeline per uno. Io sono a Roma e lui a Perugia, ma questa separazione non sarà per sempre. Ho ascoltato Il mattino di Grieg ed ho sentito il sole sorgere in me e con esso una passione di vivere, più forte di sempre. Non voglio guardare avanti, ma oltre. Sarà un anno di rinascita, di curiosità, non di paura. Ho tanto da vedere, da ascoltare, da sentire e non sarà certo ”lui“ a impedirmelo. Voglio vedere la sua corona rotolare nella polvere ed esserci quando la Scienza griderà: Il virus è nudo!

La Covid-19 ha coperto tutto il bello con un telo. E adesso, come in una caccia al tesoro, ci prepariamo a sollevarlo, con delicatezza, per vedere con altri occhi e con i sensi svegli tutto ciò che abbiamo corso il rischio di perdere e che ormai sappiamo precario. Ho passato il primo giorno del mio nuovo anno con una voglia di esplorare, di viaggiare dentro di me. Di riscoprire cose che mi davano emozione. Come, questa sera, l’abbraccio ritrovato di un amico.

Forse soltanto sognato.

Santino Spartà
LASCIA AI PIOPPI

Lascia ai pioppi.

incantevole donna del Sud,

rosario di ricordi,

vuoi che il COVID 19

tenti di scolorire

le viole trovate in germoglio?

Lo solo che l’epidemia

ti ha ucciso la vita,

quando l’orizzonte era un singhiozzo di luce,

ma tu stessa non mi hai detto

di un garofano in pena,

che piantato in un altro vaso,

ha annunciato primavera al balcone?

Vieni per quella strada,

senza incappare nel sars-cover 2

per farti ritrovare

il pianto in una corolla di rosa.

Se stanca, ci siederemo, non contagiati,

sui colori dell’iride.

E mentre i cherubini

disperderanno il coranavirus,

riprenderemo il cammino per casa

e al cancello, senza la pandemia.

bocche di fiori

daranno azzurro al tuo cuore.

Roberta Filippi
VIRUS e GALASSIE

Nell’opera Virus e Galassie analizzo profondamente i rapporti tra Arte e Scienza, in una nuova olistica visione dell’essere nella creazione; il percorso è quello di un intenso viaggio dell’anima che, attraverso le Galassie del suo firmamento interiore, può percorrere le tappe del suo cammino evolutivo verso l’infinito della Conoscenza. Ecco che, come in alto così in basso, l’opera esplora il mondo meraviglioso delle forme e trova analogie tra il microcosmo delle sub-particelle e il macrocosmo degli universi stellati; ecco che la forma appare SPIRALE:il DNA, la Galassia NGC2997, la Radiogalassia. oppure STELLARE: i Protozoi Radiolari, le Pleiadi, le Stelle di Galla Placidia; o ancora RADIALE: ed ecco i Virus, il Sole e il Sole interiore; infine ORBITALE: i Sistemi Solari, gli Anelli di Saturno, l’Atomo. In queste “Cosmogonie”, interviene e si matura un’urgenza di luce e un cromatismo di lirica visionarie, in un’arte che è tensione verso un ideale di Armonia tra l’Uomo e la Natura Cosmica:

Roberta Filippi, Cosmogonia, olio su tela

Madre Natura-Iside Svelata

Nell’opera pittorica “Madre Natura-Iside svelata” metto in campo gli archetipi di un Eros Cosmogonico che da sempre attraversa come un fil rouge il mio lavoro. Il manto stellato si disvela e discende a noi diventando acque di vita, il sangue mestruale ha tutto il pathos e la forza dirompente e generatrice del Sacro Femminino.

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Roberta Filippi, Madre Natura-Iside svelata, acrilico su tela, cm100x120

Vincenzo RUGGERO
Camminata veloce

– Signore, devo dirle che le sue analisi non sono proprio ottime, – mi disse il medico, con amara ironia e scurendosi in viso, – colesterolo e trigliceridi sono altini: è pericoloso, c’è bisogno di una terapia. E poi lei così smilzo e regolato, non capisco… – continuò, – ma è bene che lei prenda questa pillola, costantemente, – e segnò su una ricetta il nome del farmaco.

– Per sempre, dottore!? No! non è possibile… – lo interruppi.
– Per sempre, purtroppo, – rimarcò il dottore, – a meno che…
– A meno che? – mi ripresi con ansia.
– A meno che lei non faccia ginnastica regolarmente; dico tutti i giorni, con una discreta passeggiata: una camminata veloce per tre-quattro chilometri, – concluse il medico.
– Affare fatto! Glielo giuro dottore, pure a me stesso! – dissi solennemente, alzandomi in piedi.

Il giorno di questo dialogo ero poco più che cinquantenne – aspetto giovanile e pieno di vitalità – e in pochi minuti passai dalla disperazione – la schiavitù di una medicina, per stare bene – alla gioia di poter riacquistare la salute in modo naturale, e in fondo pure ludico, secondo il mio punto di vista.

°°°°°

Ho ripreso in questi giorni la solita passeggiata nel parco, come consuetudine da circa quindici anni, alle sette del tardo pomeriggio. Il clima di maggio è dolce, l’entusiasmo della gente con bambini e cani a spasso è palpabile, una folla oltre la media riempie i vialoni principali e le viuzze laterali, qualcuno azzarda discussioni sportive o pseudo-accademiche con il compagno di viaggio. Eppure qualcosa non mi torna…

Dicevo che l’atmosfera la trovo frizzante, però in poco più di mezz’ora ho fatto zig-zag decine di volte fra i marciapiedi della strada onde evitare di stare pericolosamente prossimo a qualcuno da incrociare o sorpassare – e lo stesso ovviamente è stato fatto verso di me. Molti indossavano la mascherina camminando: cosa errata, poiché così respirano la propria anidride carbonica, espirata dai polmoni. Gli sguardi fra gli sconosciuti erano di un sospetto palese ed ingenuo: non si sa mai…

La prima impressione della prima vera camminata veloce – dopo le iniziali e stringenti disposizioni della quarantena – è stata di aver visto e vissuto dentro una buffa, ma triste, allegoria della vita moderna, di ieri (senza virus) e del futuro prossimo (con virus), e i cui imperativi sono, e lo saranno per molto:

– evita e stai lontano dall’altro, perché non è un amico, fino a prova contraria: ci pensa la distanza sociale

-proteggiti dalla contaminazione e non toccare imprudentemente qualsiasi cosa: i guanti usa e getta sono lo strumento indispensabile

– nascondi finché puoi il tuo essere e le vere intenzioni: basta la mascherina

– attenzione, perché davanti hai spesso un antagonista o peggio un nemico potente e invisibile: senza dubbio è il virus

– vivi in un clima di guerra, le regole vanno rispettate, il rischio è perdere la vita: lo Stato nemico è la pandemia Coronavirus

In questo modo, rimanendo nell’astrazione della Retorica, il mondo continuerebbe, come prima, ad essere sempre lo stesso, ovvero con la prevalenza degli istinti di asocialità, egoismo, bellicismo, eccetera; in realtà forse andremmo peggio, perché a tali problemi, fra gli altri, si sta unendo quello di un’economia mondiale in recessione, che creerà milioni di nuovi poveri e, Dio non voglia, sconvolgimenti geopolitici di portata planetaria.

Lungi dal volere interpretare i fatti pandemici attuali in chiave di nemesi storica, la tentazione però c’è di vederci una sorta di vendetta superiore contro i guasti della moderna civiltà. L’Economia globalizzata, troppo basata sul consumismo e la speculazione finanziaria, si è dimostrata ora in tutte le sue fragilità, come un gigante dai piedi d’argilla. Le disparità sociali vanno tragicamente aumentando, con la povertà diffusa già pronta a trasformarsi in bomba sul punto di esplodere. Le crisi climatiche, terroristiche e belliche alimentano migrazioni bibliche e incontrollate verso il nord del mondo. È inoltre possibile immaginare chi vede il tutto in chiave religiosa – un distorto e nuovo Millenarismo alle soglie dell’atteso rinnovamento sociale – che può fomentare un fanatismo manicheo.

Ciò non deve ovviamente escludere che dalla Storia, poi, tutti si debba prendere i giusti insegnamenti, traendo delle opportunità dal dramma, e affinché qualche volta, davvero, “necessità fa virtù”, dando all’Uomo gli avvisi giusti prima di una catastrofe senza ritorno.

°°°°°

Non so quanto durerà questo stato di cose legato al Coronavirus – dai tempi della terapia fino al vaccino – ed io, finché vivrò e potrò, continuerò a farmi la camminata pomeridiana nel parco, con zig-zag fra gente impaurita e sospettosa, munita di mascherina, indossata o appesa all’orecchio.

C’è infine da augurarsi che dal triste spettacolo che ci circonda esca un mondo un pochino migliore, più rispettoso della Natura e dell’Uomo – due parole che scrivo con lettera maiuscola, proprio a significarne l’intrinseca importanza.

casa mia, oggi 25 maggio 2020

Giuseppina Del Signore

Prossima alla morte, domina la vita.

Quella carnale.

Ogni occasione d’amplesso viene còlta.

Sentirsi ebbri di passione e di potere sulla morte.

Per riaffermare la vita,

perché tutto abbia un senso.

La reazione ancestrale piega la ragione,

e ci sentiamo rassicurati.

Come una pianta, che nelle avversità

fiorisce e sparge il suo seme.

Carlo Bernardi
Conseguenze dopo George Floyd
Piazza Navona

30/05/2020 sabato – Oggi, per la prima volta, sono uscito a piedi e sono andato dalla Stazione di Trastevere fino a Piazza Navona. Ho ripreso i contatti con la Città dove sono nato, insieme alla mia compagna nata e vissuta davanti al Colosseo.

Seduto su una panchina di Piazza Navona, di fronte alla fontana del Moro, ho osservato a lungo una gabbianella che sembrava fondersi con le sculture dei tritoni. Ho visto che beveva a lungo dell’acqua della fontana per poi volare e raggiungere il nido per distribuirla ai suoi piccoli. Subito dopo tornava per bere a lungo di nuovo e raggiungere ogni volta i piccoli assetati. Le persone, poche, si aggiravano spaesate mentre qualche turista chiedeva informazioni.

Quando ci siamo allontanati, per tornare a casa abbiamo preso il tram che, oltre a essere pieno, non aveva posti liberi compresi quelli con su esposto il divieto di vicinanza. Inoltre non tutti portavano la mascherina, perciò speriamo bene.

Mi ha colpito il seguito e la tolleranza verso i gilet arancione dove un militare inquisito che pensa non tanto di contestare ma di agire furi ogni norma costituzionale nei confronti del Presidente della Repubblica e anche del Papa perché non obbediscono al suo modo di vedere. Sono un nutrito numero di persone che affermano che il virus on esiste ma è un tentativo di spaventare la gente per sottometterla a forme di immobilità, che sono contro i vaccini e vorrebbero stampare la vecchia lira. Il primo risultato se dovesse diffondersi comporterebbe la morte di milioni di persone, cosa che si è evitata proprio con le restrizioni. Consentendo il diffondersi di posizioni contro i vaccini i danni che subirebbero riguarderanno anche chi non vuole il diffondersi della pandemia. Libertà e democrazia esistono se non si danneggiano gli altri che non sono d’accordo con loro. Così il ritorno alla lira azzererebbe il valore dei risparmi di tutti gli italiani e a guadagnare sarebbero solo quelli che hanno capitali nei paradisi fiscali già trasformati in valori monetari diversi dall’Euro. In Italia, forse solo per il primo anno, porterebbe al rialzo i guadagni di finanzieri e commercianti e non di chi lavora e produce che si ritroverebbe impoverito fin da subito. Perciò i gilet arancione, con dietro CasaPound, sono estremamente pericolosi per tutti gli italiani. Queste cose vanno dette e vanno fermate.


Di nuovo al mare nonostante i virologi lombardi

31/05/2020 domenica – Oggi, siamo tornati al mare perché domani, con un mese di ritardo, inizia la stagione estiva negli stabilimenti. Ci è stata assegnata una cabina arretrata di cinque posti rispetto alla precedente. Il danno è stato serio e ha riguardato tutte le cabine fronte mare.

La notizia di rilievo del giorno riguarda le dichiarazioni di alcuni virologi lombardi che negano la presenza del coronavirus oppure ne dichiarano la scomparsa di letalità. Uno che lavora al San Raffaele di Milano riferisce che in terapia intensiva non arriva più nessuno da giorni. Forse perché molti non si fidano più del San Raffaele visto che è stata favorita la sanità privata rispetto a quella pubblica e la riduzione dei deceduti non è equivalente a zero, specialmente in Lombardia. Ora sentir dire che pochi decessi non destano più preoccupazione non tranquillizza nessuno. Io conosco persone e amici che hanno avuto parenti e conoscenti morti per il COVID-19 e, sostenere che la pandemia è tutta una montatura terroristica, mi preoccupa molto per le conseguenze che può provocare. Quello che mi aspetterei da medici e scienziati seri non è affermare le loro teorie in TV e con quei toni, ma che si chieda una riunione dove portare le proprie tesi e uscire con una posizione comune perché, chi sta ascoltando, vuole sapere come deve comportarsi. Una scelta come quella di questi medici lombardi e il modo di sostenerla, non è più informazione ma diventa una scelta politica in difesa del governatore Fontana e degli errori commessi da quel gruppo dirigente che non vuole e non ha mai fatto ammenda dei ritardi commessi ma ha cercato ogni volta di dare la colpa al governo. Sono tutti in difficoltà i dirigenti del nord Italia che pensano solo a salvare la sanità privata cha ha subito un arresto da questa pandemia e, nello stesso tempo, cercano di salvare i partiti del centrodestra dalle difficoltà a dal calo dei consensi di questa fase.

Sembra loro che alcune decine di decessi siano poco importanti rispetto ai presunti 150 mila previsti all’inizio della quarantena. Non si tiene conto però che, come affermato in tutto il pianeta, se un contagiato ne avrebbe contagiati due e così via in proporzione geometrica saremmo in poco tempo arrivati a diversi milioni di ricoveri in assenza di disponibilità di strutture sanitarie efficienti. Se il virus rimane ma i contagiati e i deceduti sono scesi di molto è dipeso solo dalle scelte del governo e dai comportamenti degli italiani e non da chi ha sempre contestato senza proporre nulla di convincente.

La morte di George Floyd è stata dichiarata priva di responsabilità da parte della polizia perché dovuta a cause naturali. Questo è emerso dall’autopsia ufficiale mentre un’altra autopsia fatta eseguire dalla famiglia è giunta ad altre pesanti conclusioni. Quello che sta succedendo in Lombardia somiglia al raffronto fra le due autopsie dove, nel nostro caso, ci sono medici e scienziati pronti a schierarsi contro altri scienziati pur di far cadere il governo sminuendone le scelte fatte in una situazione unica, difficile e irripetibile. Chi vuole far cadere il governo accusandolo di terrorismo e di limitazioni alle libertà costituzionali ha intenzione di sostituirsi per portare nel Paese un vero autoritarismo senza scadenze. Terminata la pandemia virale si tornerà a una piena democrazia mentre chi vorrebbe approfittarne non occuperebbe il governo per ridarci le libertà ma per praticare un vero dispotismo.Vedremo domani.

Ancora al mare

01/06/2020 lunedì – Ancora il mare, perché il tempo è buono e la nuova cabina ci aspetta. Oggi ne abbiamo preso possesso e anche se arretrata rispetto alla precedente ci ha permesso di iniziare la stagione balneare. Anche la vita al mare è tornata come prima ma avverto con certezza che anche in questo caso non sarà proprio come prima.

Festa della Repubblica democratica

02/06/2020 martedì – Oggi, in occasione della Festa della Repubblica sono uscito con la mascherina tricolore. Il mio motto, dopo aver visto Salvini e Meloni che la indossavano, è: Io non mi faccio rubare il tricolore e la mia italianità da chi vuole usarla strumentalmente e non fa nulla per unire ma, per un pugno di voti, vuole dividere questo Paese.

Mattarella oggi ha dichiarato che non si devono brandire le sofferenze del Covid per usarle gli uni contro gli altri. Il suo messaggio agli italiani è stato ancora più pregnante: «Superiamo le divisioni come nel 1946. L’unità morale viene prima della politica. Inaccettabile disperdere il sacrificio della nostra gente».

È molto grave che si sia sentito gridare che la mafia ha ucciso il fratello sbagliato. Chi ha gridato è un mafioso e sicuramente un antidemocratico. La manifestazione delle destre, tra l’altro il giorno prima degli spostamenti autorizzati fra Regioni, ha causato a Roma l’assembramento di molte persone, anche se in misura inferiore alle previsioni degli organizzatori. Questo mi ha fatto pensare che chi è venuto a Roma, o gli organizzatori stessi, siamo intenzionati a contaminarci o forse, senza saperlo, per contaminarsi reciprocamente. In ogni caso, senza precauzioni, è stata una scelta grave e irresponsabile. Quello che è evidente è che forse la legge non è uguale per tutti perché chiunque avesse agito in questo modo sarebbe stato arrestato e quella manifestazione sarebbe stata impedita.

Trump continua ad assumere toni da sceriffo ma si contraddice e dopo ripetute minacce deve fare marcia indietro. In ogni caso anche chi protesta usando la violenza non fa che dare strumenti di ritorsione che danneggiano la causa e non portano da nessuna parte senza ottenere alcun risultato. Durante la mia vita ho pensato sempre così fino a considerarmi gandhiano.

Con la mascherina tricolore sono stato al mare dove ho cominciato a incontrare alcune persone che non vedevo da nove mesi ma ci sono anche molti che non verranno perché qualcosa è cambiato. Il tempo è stato bello e soleggiato anche se nel tardo pomeriggio comincia a fare freddo. Ho però letto un’altra novella di Pirandello.


Dopo la visione di un film, la sera, sono andato a dormire
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03/06/2020 mercoledì – Oggi sono due i temi della giornata. Il primo riguarda l’episodio dell’uccisione di Floyd da parte della polizia la cui autopsia ha fatto emergere la verità. Il poliziotto è stato arrestato per omicidio volontario e gli altri due per essere coinvolti nel fatto. Qualche giorno prima della morte di Floyd avevo visto il film del 2018, Il coraggio della verità di George Tillman Jr. dove la polizia uccide un ragazzo nero che stava per passare la spazzola per capelli. I film americani sono pieni di episodi simili a quello che ha visto morire Floyd.

Trump, che ha perso un altro ministro, ha dovuto rinunciare all’intervento della guardia nazionale. Anche il Papa è intervenuto dichiarando grave ogni forma di razzismo anche se ha condannato nelle manifestazioni l’uso della violenza perché no porta nessun vantaggio ma è solo autodistruttivo.

L’altro episodio riguarda le ripercussioni della manifestazione delle destre in Italia che ha costretto anche Berlusconi a condannare l’assenza di ogni misura precauzionale.

Nl frattempo, sembra che sia quasi pronto un farmaco che si sta testando positivamente su esseri umani e che potrebbe anche sostituire il vaccino. Il risultato definitivo si conoscerà verso la fine di giugno. In ogni caso le prese di posizione contro il governo e l’invito a contestare le attenzioni sembra venga da chi, per fini commerciali e di lucro, non ha a cuore la salute dei cittadini ma il rafforzamento della propria attività a scapito della collettività.

Questa sera il Premier Conte ha convocato una conferenza stampa dove segnalando il risultato dei comportamenti collettivi nei confronti del virus, dichiara che il COVID-19 non è morto e può fare ancora danni. Nello stesso tempo ha invitato le opposizioni a cercare un dialogo per realizzare quell’unità di fronte al pericolo e le misure economiche auspicata anche da Mattarella.

La sera ho rivisto con piacere, per la carica poetica che lo pervade, il film Il mondo nuovo.
Forse qualcosa cambierà

04/06/2020 giovedì – Oggi la BCE ha stanziato altri 600 miliardi per evitare una pericolosa recessione generale. Il Governo ha deciso di utilizzare il fondo di 36 miliardi del MES con tasso negativo per finanziare la ripresa economica e aiutare il commercio, le piccole imprese, le scuole e le strutture ospedaliere garantendo un aumento dell’occupazione. Tutto dovrà passare assieme alla riforma della burocrazia per accelerare i tempi di erogazione degli aiuti. È strano che l’opposizione continui a sostenere che il governo non fa niente e che sbaglia a intervenire in questo modo perché i fondi europei non saranno disponibili prima della fine di quest’anno.

Ma davvero si pensa che abbiamo, da soli, le risorse necessarie per una ripresa? Davvero si pensa che i fondi si trovano stampando carta moneta? Noi, al contrario delle superpotenze, non abbiamo riserve auree sufficienti per agire e inoltre abbiamo il debito più alto del pianeta. A salvarsi sarebbero solo i redditi e le imprese con depositi nei paradisi fiscali che sono già stati cambiati in valute forti perciò a rimetterci sarebbe soltanto il popolo italiano. È altro dall’affermare Prima gli italiani! Tra l’altro il MES significa che prendi 100 e restituisci 98; è un’occasione da non perdere.

Oggi ci sono stati i funerali per George Floyd ed è la prima giornata delle tre dedicate al ragazzo ucciso dalla polizia, Questa è anche la giornata che ha dato una nuova ripresa alle manifestazioni contro il razzismo che saranno tanto più continue e numerose se viene bandito l’uso della violenza. Il fratello di George ha dichiarato: Che stiamo facendo? La violenza non ci ridà George.”

La sera ho visto il film Opera senza autore di Florian Henckel von Donnersmarck dove è ben rappresentata la viltà e la malvagità di un medico nazista compiuta anche nei confronti della figlia oltre che verso tanti tedeschi su cui si praticava la sterilizzazione.

Ancora si parla di nazismo? Non si pensa al male che ha lasciato nell’animo di tanta gente? Se il Governo agirà per il meglio forse qualcosa cambierà. Speriamo.

Otto minuti di silenzio per non morire più

05/06/2020 venerdì – Oggi si è svolta la seconda giornata dei funerali di George Floyd dove tutti hanno partecipato agli 8 minuti di silenzio. Sono stati gli ultimi attimi di vita di Floyd e in questo sono stati molti che l’hanno trascorso piangendo. La cosa sorprendente è stata l’aver visto moltitudini di bianchi insieme ai neri. Li chiamerei tutti americani. Anche il New York Times prende le distanze da Trump e scrive: Loro erano noi.

Dopo l’appello di Mattarella all’unità del Paese in un momento difficile, l’opposizione si scatena contro i finanziamenti dell’Europa e si appresta di passare tutta la notte per bocciare il decreto sulla scuola. La realtà è che si sta cercando di far cadere il Governo senza nessuna vera proposta alternativa credibile e andare così al voto facendo spendere danaro, non per una ripresa ma per imporre una visione semplicistica piena di urla e falsità. Ma a loro basta andare al governo e peggio per chi gli ha creduto. Ma loro sono anche quelli che hanno già governato rovinando l’Italia a favore dei più abbienti.

Razzismo, sanità, scuola, tasse e clima

06/06/2020 sabato – Oggi si allarga la protesta per la morte di George Floyd e è stata indetta una manifestazione a Washington e in altre città. A Londra le manifestazioni hanno visto l’intervento della polizia.

L’opposizione, dopo una notte di interventi per bocciare il decreto sulla scuola, ha visto la maggioranza votare a favore del decreto e ora si potrà tornare a scuola a settembre in totale sicurezza per i nostri figli, ma non era questo che interessava all’opposizione.

Mi sembra che dopo i finanziamenti della BCE, che la destra non avrebbe mai ottenuto, lo scopo, che definirei interesse, è quello di gestire quelle somme per farne un utilizzo diverso rispetto agli interessi del Paese come per esempio abbassare le tasse, in misura ridotta a tutti e molto più a pochi già ricchi o evasori. Per rilanciare l’economia e la produzione ritengo che le imprese sane, che rinnovano e assumono lavoratori, debbano avere una riduzione importante delle imposte mentre i redditi individuali dovrebbero pagare proporzionalmente secondo il reddito perché, chi guadagna milioni al mese può pagare anche l’ottanta per cento di tasse. Se si vuole evitarlo, deve investire questi redditi per aprire aziende e creare occupazione. Non si può chiamare con pochi Euro chi fatica e lavora per fare scudo a protezione dei redditi dei ricchi.

Oggi ho scoperto che un’altra mareggiata a danneggiato il litorale romano e per domani notte ne è prevista un’altra. Insomma stiamo assistendo a una mareggiata ogni due giorni. Non è normale ma è colpa del coronavirus o del cambiamento climatico? Al mare ho letto un’altra novella di Pirandello. Ho anche incontrato un amico medico, primario al Policlinico, che mi ha detto di aver visto molta gente morire e che le notizie da Bergamo erano così drammatiche che, mancando posti in rianimazione, hanno dovuto trascurare i più anziani per non far morire i giovani. Mi ha detto che, in tempo di guerra, se si disponeva di una fetta di prosciutto, il nonno che aveva bisogno di mangiare se ne privava per darla al nipote affamato. Questo è successo nelle zone rosse del Nord e stava per accadere anche a Roma.

Questa sera abbiamo visto il film Ricordi del 2018 di Valerio Mieli con Luca Marinelli. Un film svolto prevalentemente con immagini dove Luca Marinelli si presenta come attore sempre più bravo e eclettico e con prospettive sempre più rilevanti.

Questa volta bisogna iniziare daccapo

07/06/2020 domenica – Molte volte nella vita ho dovuto ricominciare daccapo e ora il coronavirus pone fine alle esperienze precedenti e segna l’inizio di una fase completamente nuova. L’unica differenza è che non sono più giovane perché questo avviene a 75 anni compiuti già da otto mesi.

Il coronavirus non ha solo costretto a una pausa, che è stata anche di riflessione, ma ci ha fatto sentire impreparati, dentro una forzata quarantena, senza poter progettare il futuro.

Ma quale futuro?

Ho sentito spesso, condividendo, che niente sarà più come prima e questo è vero perché o si cambia facendo tesoro di quanto è accaduto, oppure se si riuscisse a vivere come prima daremo un colpo di acceleratore al peggioramento del nostro pianeta e alle condizioni che ancora garantiscono la nostra vita sulla Terra.

Cambiare significa smetterla di produrre solo perché conviene economicamente a qualcuno. Ancora in questi giorni un danno ecologico di grandi dimensioni a visto lo sversamento di enormi quantità di petrolio al Nord della Russia, Oggi sappiamo che non esiste solo il petrolio a garantire produzioni, riscaldamento, mobilità. Perciò dobbiamo lottare e pretendere, anche con scelte mirate, che si produca energia da nuove fonti e ridurre totalmente ogni scelta inquinante. Dopo le mareggiate di questi giorni, non avevo mai visto, in queste dimensioni, la quantità di plastica portata dal mare. Quando vedo plastica sulle strade e i marciapiedi delle nostre città mi chiedo se c’è chi non è a conoscenza che il pesce e il cibo che troviamo nei nostri piatti, anche nei ristoranti, finisce nel nostro stomaco rovinando la nostra salute, non solo quella delle specie animali e vegetali. Se non si comprende in tempo che il pianeta si comporta come un organismo vivente ci considererà come dei virus pericolosi da eliminare. Occorre perciò dotarsi di un nuovo sistema di regolazione globale per impedire che questo accada evitando di continuare con regole selvagge di mercato. Ci sarà chi lo negherà ma non si avvede che sta già accadendo. Perciò, attenti al seguito, se vogliamo che ci sia un seguito.

Domenico Mazzullo
AL TEMPO DEL CORONAVIRUS 12

Darwin al tempo del Coronavirus
Ora che la pandemia da Coronavirus, sembra regredita, almeno in Italia, perché in altri Paesi lontani è tutt’altro che ridotta, a giudicare dai numeri che distrattamente ascoltiamo, in quanto provenienti da terre lontane, ora che il peggio sembra passato e dietro le spalle, gli ospedali si svuotano dei malati che li avevano affollati e i morti, sono sepolti e già pianti abbastanza, ora che piano piano e con circospezione si cerca di tornare alla cosiddetta normalità, c’è tutto un pullulare e un proliferare di sociologi, psicologi, economisti, politici, scrittori e altre persone qualificate, che dai mezzi di comunicazione di ogni tipo, ci illustrano il loro pensiero, la loro previsione, la loro profezia, su come sarà il mondo “dopo”, su come saremo quando ci risveglieremo da quest’incubo, su come cambieranno, o non cambieranno le nostre vite, le nostre esistenze, la nostra società, dopo e a causa del Coronavirus.
Le loro osservazioni e conseguenti deduzioni, si basano come è giusto e doveroso, sui grandi numeri di campioni osservati e ne vengono tratte le opportune conclusioni, che devo dire, come tutte le previsioni sul futuro, sono le più disparate e variegate possibile, basandosi, come è evidente, sulla soggettività dell’osservatore che interpreta i dati e ne trae le proprie letture sul futuro che ci attende a breve termine.
Saremo migliori di prima? Saremo peggiori di prima? La drammatica, inaspettata, imprevedibile, universale esperienza della pandemia, lascerà delle tracce, oltre la desolazione che ha provocato, sul nostro stile di vita, sulle nostre abitudini, modificherà l’aspetto delle nostre società?
A giudicare dalle sentenze, dalle opinioni che ascolto, nulla sarà più come prima della pandemia. In meglio? In peggio? Questo è da valutarsi, ma come prima certamente nulla.
Da parte mia, io che sono uno psichiatra terra terra, che non posso certo basarmi sui grandi numeri di osservazione e campionatura, né su elaborate teorie sociologiche, ma solo sulla osservazione dei piccoli numeri di Pazienti che, negli anni, ho cercato e cerco di curare, delle Loro problematiche, delle Loro condizioni di vita, delle Loro confidenze, delle Loro situazioni familiari, personali, individuali, delle Loro preoccupazioni e angosce, tormenti interiori e speranze, ma anche e oltre, sulla osservazione del mondo che mi circonda, delle Persone, non Pazienti, con cui mi relaziono nella giornata, dei Loro comportamenti, dei Loro discorsi occasionali, ma anche e oltre, sulla osservazione delle Persone che non conosco, ma che per qualche motivo, attraggono la mia curiosità e attenzione, anche io mi permetto di formulare le mie personalissime e modestissime deduzioni e conclusioni, su come sarà il mondo in cui vivremo, dopo la pandemia.
Forse, influenzato dal mio pessimismo cosmico e dalla convinzione che la natura umana non cambia nella sua più profonda essenza, in funzione e in conseguenza delle vicende che si trova a vivere, altro che in superficiali e inconsistenti variabili temporanee, ininfluenti sulla più profonda struttura umana, convinto ormai, purtroppo, che la Storia non insegni, ma anzi, meglio detto, come ho riportato in uno scritto precedente “ La Storia è una maestra che insegna in un’aula vuota”, in quanto, per sua natura, l’essere umano è restio ad imparare dalla esperienza, ma ripercorre pedissequamente lo stesso cammino tracciato, convinto come sono e purtroppo di ciò, con mio grande dolore azzardo le mie personalissime conclusioni sul dopo, immaginando che ben poco cambierà, in funzione di questa sconvolgente esperienza mondiale, unica nel suo genere e che molto avrebbe potuto insegnarci e modificarci, chissà forse in meglio, come sarebbe potuto avvenire, ma non è avvenuto per altri eventi tragici attraverso cui l’Umanità è passata.
Ma la natura umana, caparbiamente e ostinatamente è e rimane la stessa, coesistendo in essa misteriosamente e inspiegabilmente estremi opposti, di grandissima sublime, bontà, generosità, abnegazione, amore e rispetto verso gli Altri, accanto a esempi contrastanti e opposti di crudeltà, di violenza, di sopraffazione, di sprezzante negazione dei più profondi valori umani.
Noi ci riteniamo e proclamiamo, a torto, la Specie più evoluta sulla faccia della Terra, ma purtroppo penso proprio che non sia così, anzi penso e temo, che rappresentiamo il primo anello della involuzione.
Ricordo molto bene quando, giovane e inesperto studente quindicenne, lessi per la prima volta, un libro che molto affascinò la mia mente ingenua e inesperta: “L’Origine delle Specie” di un certo Charles Darwin.
In esso si sostiene che l’Uomo non è stato sempre presente sulla Terra, ma che è stato l’ultimo ad averla popolata, essendo stato preceduto da altre specie che si sono via via evolute e trasformate, secondo casuali cambiamenti, che lentamente e faticosamente hanno portato, per successive evoluzioni, alla comparsa della Specie umana, certamente l’ultima e la più complessa sulla scala evolutiva.
Ricordo di essermi commosso, guardando l’immagine disegnata, del pesce, che esce dall’acqua e comincia a strisciare con fatica sulla terra, trasformandosi in anfibio, poi in rettile e in fine in mammifero, mentre ha invidiato agli uccelli la capacità di volare. Mi sono emozionato, immaginando, vedendo l’antenato dell’uomo attuale, assumere via via una posizione sempre più eretta e imparare a sorreggersi saldamente su due sole gambe, accendere il fuoco e fabbricare per sé utensili sempre più complessi.
Ho sentito parlare e ho compreso bene il significato di termini quali “lavoro e fatica della evoluzione” di “lento e complesso cammino evolutivo”, che ha portato, in fine, alla comparsa dell’essere umano sulla Terra, ultimo e più complesso prodotto di questa, ma considerando tutto ciò che ho visto, più tardi sugli esseri umani, quali sono ora, tutto ciò che su di loro ho scoperto e conosciuto, mi vien fatto di chiedermi, con sgomento e paura: ”Ma ne valeva proprio la pena?”

Roma, 31 maggio 2020

Il 2 di Giugno al Tempo del Coronavirus
Il Coronavirus ci ha tolto tante tante cose, troppe, persone, affetti cari, libertà, gesti di affetto come la stretta di mano e gli abbracci, abitudini che allietavano la nostra vita e della cui preziosità non ci rendevamo conto, essendo scontate e acquisite come un diritto; Ci ha tolto il teatro, il cinema, i concerti, la possibilità di andare con gli amici al bar, o al ristorante, di fare liberamente assembramenti, di fare sport, ognuno come gradisce.
Ci ha dato qualcosa in cambio? Forse, ma è ancora da verificare e credo che dipenda da noi e solo da noi farne un buon uso. Ma comunque sempre troppo poco in rapporto a ciò che ci ha tolto.
A me personalmente, e ciò mi fa particolarmente soffrire, ha tolto i gesti di affetto, la stretta di mano e gli abbracci, di cui sento acutamente la mancanza e ho paura che non ritorneranno, perché le cattive abitudini, a differenza delle buone, si radicano fortemente ed è difficile liberarsene.
Ci stiamo abituando rapidamente al distanziamento sociale, termine orribile, che temo si stabilirà per molto tempo, e andrà ad associarsi a quel “sano egoismo”, termine che è divenuto di uso comune e che mi fa inorridire ogni volta che lo sento, quasi che l’aggettivo “sano”, aggiunto a posteriori, possa attribuire una patente di legittimità ad una caratteristica di personalità ritenuta sempre negativa e deprecabile.
Ma oltre a quelle summenzionate, il Coronavirus, con particolare crudeltà e perfidia, certamente studiata ad arte, mi ha tolto una cosa a cui tenevo moltissimo, a cui ero particolarmente affezionato e legato, che fin da bambino sognavo e attendevo con ansia e febbrile aspettativa, molto di più che i, comunque apprezzatissimi, doni recati dalla Befana, nella notte tra il 5 e il 6 di Gennaio.
Mi ha tolto, il 2 di Giugno, la Festa della Repubblica, con la classica e fascinosa Parata Militare in via dei Fori Imperiali in Roma.
Ricordo come se fosse ora, la prima volta che mio padre mi recò ad assistervi.
Avevo i pantaloni corti con le bretelle e una camicia bianca e sul capo, per ripararmi dal sole, un cappello bianco con la visiera blu da Marina.
In mano una bandierina italiana che mi venne consegnata e che sventolai per tutta la durata della Parata, come un forsennato.
Mio padre, in giacca e cravatta, come era in uso a quel tempo, appassionato di fotografia, fotografava tutto, lasciandomi, per fortuna, un patrimonio di ricordi, che ancora guardo e rivisito con nostalgia e malcelata commozione, ritrovando le emozioni di quei momenti fantastici e indimenticabili.
Ricordo l’emozione che provai al passaggio, così da vicino come non mai, dei drappelli dei soldati delle varie Armi con in testa la Banda: Carabinieri, Fanti, Alpini dal passo lento e cadenzato, La Marina con le bianche divise e subito a seguire le divise blu della Aviazione, i Paracadutisti e i Sommozzatori, le Crocerossine con le divise bianche e blu e, distanziati dagli altri, i Bersaglieri con in testa la Fanfara, Che suscitarono l’entusiasmo e gli applausi della folla.
Mio padre, ricordo, mi spiegava tutto e mi illustrava le varie Armi che sfilavano.
Avrei voluto che non finisse mai…e invece come tutte le cose belle finì. Ma non definitivamente, perché l’anno successivo si ripeté eguale, con puntualità e con la stessa emozione e commozione e così tutti gli anni a venire, senza perderne una, mai.
Poi è venuta la televisione, prima in bianco e nero e poi a colori e allora divenne più comodo, più facile e altrettanto entusiasmante, assistervi da casa, ma l’emozione, la commozione e il pathos erano esattamente gli stessi.
Gli anni sono trascorsi rapidamente, sono diventato adulto e ora mi avvio verso la terza età, ma la Parata militare del 2 di Giugno, è sempre rimasta per me un appuntamento imperdibile, inalienabile dalla mia vita, suscitando entro di me la stessa emozione e commozione, lo stesso sentimento di orgoglio, forse infantile e patetico, di essere Italiano.
Almeno una volta l’anno può essere concesso.
Ma questo anno 2020, sarà da me ricordato, con un tratto nero, in segno di lutto, per la mancanza della Parata Militare, sottrattami, strappatami, rubatami dalla crudele perfidia del Coronavirus, verso il quale sto studiando la mia personale vendetta.

Roma, 2 giugno 2020

Marijuana al Tempo del Coronavirus
Siamo così preoccupati, spaventati, terrorizzati, dalla epidemia, o meglio pandemia da Coronavirus, che non ci rendiamo conto, trascuriamo, dimentichiamo, che da molto tempo ormai siamo vittime di un’altra pandemia, altrettanto, se non più grave e pericolosa, che ci ha invaso, colpito, contagiato, molto tempo addietro senza quasi che ce ne rendessimo conto e ancora oggi stentiamo, facciamo fatica a rendercene conto appieno, quasi che rifiutassimo l’idea stessa del contagio.
Mentre quella da Coronavirus, ci ha invaso all’improvviso e rapidissimamente si è diffusa, espandendosi per ogni dove, quest’altra, con una tecnica tutta diversa, si è insinuata a poco a poco, subdolamente, lentamente, silenziosamente, senza dare nell’occhio, senza fare rumore, per cui all’inizio e non solo all’inizio è passata inosservata, e si espansa a macchia d’olio senza che ne divenissimo consapevoli, se non quando era ormai troppo tardi per fermarla, per arrestarla, per combatterla.
Dobbiamo anche riconoscere che questa epidemia, così subdola e pericolosa, ha avuto dalla sua due alleati che ne hanno favorito la diffusione e l’infiltrazione in profondità: da una parte la collaborazione, non so se per ignoranza o malafede, di alcuni , molti, che la negavano come epidemia e soprattutto ne negavano e continuano a negare la pericolosità, suscitando un grande credito attorno a questa idea fallace e autodistruttiva, ma anzi ne propagandavano la validità e l’utilità per la nostra esistenza; Dall’altra parte, e ciò è stato drammaticamente pericoloso e favorente la diffusione della epidemia, mentre normalmente da un possibile contagio ci si difende in qualche modo, in questo caso, invece, erano proprio i futuri contagiati, a ricercare attivamente, allegramente il contagio stesso, felici di riceverlo e naturalmente, a loro volta di poterlo trasmettere ad altri.
Si evince facilmente quindi che, lungi dall’essere frenata da una difesa instauratasi prontamente, l’epidemia si è diffusa molto più facilmente di tante altre che sono state invece contrastate e represse.
Altro elemento discriminante tra le due epidemie, o pandemie che dir si voglia, è che mentre per il Coronavirus è ormai appurato e universalmente riconosciuto che i soggetti più a rischio e più vulnerabili, siamo noi anziani, come per tante altre patologie, nel caso della seconda sono invece i giovani ad essere a maggior rischio, anzi quanto più si è giovani, tanto più il rischio è incombente e suadente, perché la gioventù porta con sé l’inesperienza, la non consapevolezza del pericolo, la curiosità spasmodica, la voglia di sperimentare e di sentirsi parte di una comunità, la comunità appunto dei contagiati, felici di esserlo e desiderosi di comunicare agli altri e mettere a comune questa felicità.
Chi mi legge avrà certamente compreso, intuito, che questa seconda “epidemia” fuor di metafora è rappresentata dalla enorme, capillare diffusione della marijuana, presso soprattutto la nostra popolazione giovanile e non solo.
Perché ritengo la marijuana così pericolosa e così deleteria, mentre da molte parti viene considerata innocua, al punto tale da liberalizzarla, da sostenere che non c’è pericolo di dipendenza, che, ed è vero, viene usata in alcune patologie dalla Medicina ufficiale, come mezzo terapeutico?
Per quanto riguarda l’ultima considerazione essa viene usata, mi sembra evidente, nelle patologie e non nelle persone sane, così come la morfina e altre sostanze, mentre il pericolo, anzi la certezza di dipendenza è accertata, come per tutte le altre droghe, seppure in maniera minore.
Ma ciò che mi preoccupa maggiormente e che me la fa ritenere così temibile e pericolosa, è proprio l’aspetto accattivante, subdolamente suadente, coinvolgente, il senso di benessere che induce in chi ne fa uso, di rilassatezza, di distacco da ciò che ci circonda e può essere fastidioso o semplicemente noioso e leggermente sgradevole, la maggior facilità nei contatti umani, non sempre facilissimi, la socievolezza e l’apertura verso gli altri, una certa euforia, a volte.
Questi aspetti indubbiamente piacevoli e gratificanti, inducono a perpetuarne l’uso, nella pia illusione che non sia dannosa, da sporadico a progressivamente quotidiano e sempre in maggiore quantità.
A questo punto insorgono, visibili agli altri, molto prima che a noi quelle variazioni caratteriali, in senso negativo, che sono purtroppo subdole e non immediatamente cogliibili e decifrabili nel loro significato negativo, quali una sempre maggiore apatia, abulia, disinteresse, distacco emotivo, indifferenza per tutto ciò che ci circonda, difficoltà di concentrazione, difficoltà a memorizzare semplici concetti, irritabilità se si è contrastati o contrariati, anaffettività.
Si viene, riassumendo, a verificare un appiattimento negativo della personalità, per cui chi era brillante, diviene opaco, chi aveva delle prerogative che lo distinguevano, diviene uniforme, chi aveva delle aspirazioni, dei sogni, dei desideri, facilmente ci rinuncia, senza rimpianti.
In poche parole ci si appiattisce su un livello mediocre ed inferiore di vita. E questo colpisce di più ed è tanto più inquietante in quanto avviene non negli anziani, ove potrebbe essere considerato quasi fisiologico, ma nei giovani, ove è drammaticamente patologico.
A chi passeremo il testimone, quando il nostro turno sarà finito e altri dovranno subentrare al posto nostro?
Questo pensiero questo interrogativo inquieta i miei sonni e mi fa temere questa epidemia molto, molto di più del Coronavirus.
Ai giovani, e soprattutto ai loro genitori che giovani sono stati e hanno conosciuto le stesse sostanze che hanno allietato un Loro periodo romantico, vorrei ricordare che la marijuana di oggi non è quella di allora, ma molto, molto più potente e quindi pericolosa. Un atteggiamento quindi, da parte loro, di paternalistica comprensione, in virtù del ricordo di tempi passati, può essere molto pericoloso.

Roma, 05 giugno 2020

Marina Santaniello
Il TEMPO DEL’ATTESA

C’ è un tempo per nascere e un tempo per morire, si legge nella Bibbia. Oggi è il tempo del COVID 19. E’ arrivato così, senza preavviso. E’ arrivato nel tempo del tutto e subito. E’ arrivato nel tempo della fretta. Ci ha travolto. Ci ha stravolto. Presi da mille affanni, abbiamo perso il senso del tempo, proprio perché si è perso il senso della storia e il significato stesso della vita. Questo è il tempo dell’attesa. E’ il fluire di una dimensione che richiama ognuno di noi ad una assunzione di responsabilità, per cercare di risolvere un problema dell’umanità. In questo tempo, in cui un solo attimo può corrispondere all’eternità e viceversa, ho ritrovato emozioni e sentimenti: Ho provato orgoglio, a lungo dimenticato, di essere italiana. Ho ringraziato chi ha sofferto e pianto nello svolgere il proprio lavoro. Ho pensato all’importanza delle carezze, al bisogno di carezze. Si nasce con una carezza e si muore con una carezza. Oggi no, al tempo del coronavirus, non è così. Tanti, troppi dei nostri cari, alla fine del loro viaggio, non hanno avuto carezze. Neanche una. Ho sofferto per i deboli, gli indifesi, per chi è disperato, per i bambini che hanno avuto uno stravolgimento della vita senza capire il perché. Ho riso delle vignette, dei video divertenti che hanno alleviato momenti di paura e di preoccupazione. Ho sofferto di non poter giocare, abbracciare e ridere con i miei nipoti. Ho goduto delle meraviglie di questa nostra terra. Incantata di fronte alla bellezza di Roma, ripresa dall’alto, senza brulichii di persone e di macchine sfreccianti. Una bellezza che mi ha lasciato senza fiato, così irreale, al limite del perturbante. Ho apprezzato la solidarietà e il cuore grande di tanti italiani verso i più fragili. Ho partecipato a un corso di scrittura creativa in digital meeting. Una esperienza che mi ha preso per mano e mi ha condotto nei meandri delle esperienze vissute e dei ricordi. E’ proprio nello scrivere che sono riemersi vivi e ne afferro il significato. Ci sono delle corrispondenze, come descrive Baudelaire in una nota poesia, tra profumi, colori e suoni. Legami che svelano l’essenza delle cose visibili e la loro unione profonda. Bisogna avere tempo per immergersi nelle sensazioni, ed entrare in connessione con le cose che ci circondano. Mi sono riappropriata di questo tempo. Ho pensato ad un nuovo progetto di borse dedicato alle donne. Alle tante realtà femminili, costrette dalla quarantena, a vivere in situazioni difficili e violente.
Tutto questo ho fatto. Con il cuore in mano.
covid 19.jpg

Alessandra Cozzani
Diario

16/5/20 Un sogno

Lo sai che sogno ho fatto stanotte?

No.

Che c’era un virus che contagiava tutti e non potevamo più uscire di casa.

Lui prende i biscotti dalla credenza, spegne il fuoco sotto la caffettiera e versa il caffè nella sua tazza, poi si siede a fare colazione.

I tuoi soliti sogni.

Lei ride, apre lo yogurt e ci rovescia dentro i cereali.

Guarda è ancora vivido. Stavamo chiusi in casa per giorni e giorni.

Ma va là, che razza di sogni che fai, te c’hai bisogno di uno psicologo.

Forse. E tu no allora?

No.

Oh, bella e perché?

Ma perché io sogni così non ne faccio, no?

Bastasse questo per non essere matti. Comunque tutto era fermo, bloccato, capisci? Mia madre mi telefonava che non stava bene e io le dicevo che non potevo andarla a trovare, che non era permesso.

Un incubo, insomma.

Sì, e poi, quando uscivamo, avevamo tutti delle mascherine. Non potevamo parlare bene, non sentivamo cosa dicevano gli altri. Ma era obbligatorio uscire con le mascherine e c’era la polizia per le strade che controllava la gente, chi saliva e scendeva dai mezzi pubblici, ti provavano la febbre, ti facevano test medici per strada. E bisognava sempre stare a distanza di sicurezza dagli altri, niente abbracci neppure strette di mano.

Senti, una cosa simile non potrebbe mai accadere, quindi cerca di dimenticare il tuo incubo che io devo andare a scuola, sono già in ritardo.

Però, potrebbe anche succedere un giorno no?

Ma no.

Magari, sai, tipo quelle catastrofi naturali?

Tu leggi troppi romanzi distopici.

Sarà. Comunque era solo un sogno.

Per fortuna, ci mancherebbe anche questo. Sarebbe impossibile vivere.

Lui si alza, mette la giacca, un bacio veloce davanti alla porta.

Ci vediamo stasera.

Non dimenticare che dobbiamo andare a cena da Andrea.

No, non me lo dimentico.

Prendi tu una bottiglia di vino?

Sì, passo dopo il lavoro.

17/5/20 I nostri duecento metri

I nostri duecento metri quadrati

e, dentro, la nostra vita

che spazia come in un viale

di Versailles.

I nostri ottanta metri quadrati

dove apparecchiamo cibo,

figli, amori e ci sentiamo

abbastanza bene a fine giornata,

per aver fatto tutto il possibile

per tutti.

I nostri quaranta metri quadrati

di lana in cui ci accucciamo

alla meno peggio e come

feti inquieti cerchiamo spazio

e coi piedi cavalchiamo

il letto tutta la notte.

Solo al mattino sappiamo

che ci sarà un nuovo giorno

anche per noi.

Prendiamo un metro

e come agrimensori andiamo

a misurare il castello, le mura

murate del nostro giorno.

19/5/20 Siamo nella fase due e mezzo.

Questa è una fase con una metà

in allegato, da inviare con cura.

Restiamo in bilico tra cancellazione

e frenesia dei giorni antichi.

In questa zona sostiamo su

un mezzanino di fortuna

riprendiamo fiato,

prima della rampa finale

verso la cima della torre

e l’uscita a cielo aperto.

Tiriamo fuori le nostre

zampette di animali archeologici

e tastiamo il terreno.

Il mondo ci scivola a lato

con visioni blu cobalto e

grigio asfalto, una raffica

di colori su cartoline lanciate

in faccia dal passato e noi

– cautela- preghiamo.

Il mondo non si è mai mosso,

caldo e soporoso come un animale

ravvolto da mesi nella sua

tana-pianeta.

Da anni lo devastiamo con cura,

inoculiamo gocce di liquidi

antropomorfici e lo sollecitiamo

con pinzette da claustrobitorio,

commistiamo generi e specie.

Pensiamo che sia giusto farlo,

e dunque lo facciamo.

In fase due e mezzo siamo

a metà tra la paura e l’euforia,

facciamo quotidiani esercizi yoga

per contenerle in modo ragionevole.

Uno a uno, chiamato all’appello

ogni settore apre, il grande magazzino

di merci e operosità, scale mobili

che scorrono, auto che scivolano

su nastri di asfalto, luci intermittenti

come lucciole richiamano i clienti

ripetendo “vie-ni” “vie-ni”.

Spingiamo porte d’emergenza, poggiamo

fiduciosi il nostro peso sopra

manubri salva panico, scivoliamo

dentro negozi di cristallo attraverso

magiche aperture di porte scorrevoli.

Con mascherine chirurgiche sul viso

disposti nelle giuste file fingiamo che

sia finita, ospedalizzazione cortocircuitale

della vita, cartoline disperse rinviate

al mittente. Noi siamo quelli

del mezzanino, aspettiamo una tregua,

una misura non più da penitenti.

Nella fase due e mezzo scegliamo

la metà meno confortevole,

il cielo interrotto da un muro

la cartolina stracciata a metà.

Tra un po’ viene il ragazzo

che vende colla e vecchi bottoni,

spago da crocifisso e bomboloni

freschi. Qui al mercato c’è Cristo

con Yves Saint Laurent, non è uno

scherzo è una fase a metà.

22/5/20 Questa vita

Questa vita non naturale

questa vita non normale

questa vita

e la sognata

e la cantata.

E la vita che abbiamo messo

tra parentesi

raccolta sotto il braccio

come un rotolo

del Mar Morto.

Ed ecco la vita!

(applaudite),

ve la presento.

Un po’ consunta, un po’

presunta, per niente a suo agio

come credevi che fosse?

Ma adesso non la vedi al suo meglio

coi capelli arruffati, i segni

evidenti del suo disagio

le pustole dell’epidemia.

Dal macellaio: vorrei un po’ di vita.

Quanta signora?

Non so, faccia lei.

Per una persona sola.

E che è vita, quella?

E ride.

La vita anche a studiarla

non la si comprende mai

e a viverla ci si perde la testa.

Ti resta sempre un retrogusto

da dire:

ma è poi vita, questa?

È questa la vita che volevo?

Domande così.

Intanto io mi lego

quattro libri sotto il braccio

e passeggio,

per scaramanzia.

Al peggio tiro fuori

un libro e leggo.

Poi se passa la vita

le chiedo un passaggio.

Non credo rifiuti.

E comunque sia le vado

dietro, le faccio coraggio

le tengo lo strascico.

23/5/20 Terra di mezzo

Oggi è un giorno rapace

pieno di artigli di cose

che non abbiamo ancora

immaginato, di voglie

istintive, di cosa

saresti capace?

Conta le voci sulle dita

sappi che la mente

ne conta di più.

Vado in questo

alveare di desideri

vedo che gli altri

hanno ingegni più

accostumati dei miei.

Oggi mi vedi per

la prima volta

avanzo in questa terra

di mezzo, incerta,

con chi sa accettare

la non interezza.

25/5/20 Un caffè e due chiacchiere.

La vede in casa tutta truccata, coi tacchi alti, la gonna col volant che svolazza sulle cosce, va qui e là con un candore, una grazia che lo meraviglia, come se non l’avesse mai osservata.

-Perché cammini sui tacchi, qui in casa?

Lei si volta sorpresa.

-Ma io so solo camminare sui tacchi.

-Non mi dire che per tutto questo tempo ti sei vestita bene e ti sei messa pure i tacchi.

-Ma sì, certo. Ti sembra strano?

-Un po’.

-È per non sentirsi soli, credo, o buttati via in un angolo. Con la crisi che c’è ora poi.

-Il negozio come va?

-Mah, vedremo. Sono due giorni che ho riaperto, la crisi c’è non è che non c’è. La senti in giro, la vedi sulle facce della gente, negli sguardi. Non c’è mica l’atmosfera di tre mesi fa. Sembra che tutti abbiano paura di tutti, sono sul chi va là, capisci?

-Io non me la prendo.

-Certo col lavoro che fai. Te lo puoi permettere.

-Beh, l’arte è la prima ad andare in crisi, però ho già clienti che mi telefonano per i miei quadri.

-Lo vedi? Sei famoso e poi tieni i soldi, chi ti tocca a te?

-Insomma devo sentirmi in colpa.

-Ma va’, lo sai che io queste cose neanche le guardo.

Lui si siede in cucina, lo fa con una prontezza, una dimestichezza che viene dall’abitudine. Lei intanto prende la scatola del caffè, la apre e a lui sembra già di sentire l’aroma. Sarà che come lo fanno a Napoli non lo fanno da nessuna parte. È l’acqua, dice sempre Nina, e ride, ma stavolta non ride. È seria, prende la scatola, mette il caffè nella caffettiera e accende il gas. Ha fatto cadere un po’ di caffè sul tavolo e lo tira via veloce con la mano. Gli sembra di vederla per la prima volta, fare quei gesti, offrirgli il caffè, come se lo avesse invitato adesso. Venga a prendere il caffè su da me, abito qui, è presto fatto. E sorride come Sofia Loren con quella finta ingenuità. Bella è bella, ma tra loro è sempre rimasta una cosa così. Come dire … Michele non sa dire perché.

-E allora? – fa lei, si siede vicino, vicino e ride, e intanto mescola il caffè, lui no, lo prende amaro.

-Come ti va?

-Sempre lo stesso.

-E quella che ti piaceva?

-Ma chi? Margherita?

-Lo vedi che la ricordi?

-Ma no, figurati dopo tutto questo casino poi.

Prende un sorso di caffè.

-Sai che tu sei la prima che vedo dopo tutto questo tempo?

-Eh! Figurati! Ma a me lo racconti?

-Non ci credi.

-Nemmeno se me lo giuri.

-Su san Gennaro te lo giuro.

Lei ride col sorriso splendente che ha, muove la testa, i bei capelli neri.

-Bella forza, sei ateo tu.

-Ma no, lo sai che mi piace.

-Ma ti piace cosa?

-San Gennaro, la Madonna.

-Sì, sì san Gennaro, la Madonna … ma stai zitto, che bestemmi ancora un po’.

-Tu invece sempre devota alla Madonna di Pompei … ce l’hai sempre l’immagine col lumino acceso in camera?

-Sempre. Perché, mi dovrei vergognare?

-No, figurati.

Poi lei lo guarda,

-Ti faccio pena, vero?

Lui sorride dolce.

-No, tenerezza.

Lei quasi si offende.

-Vabbè va’. Si è fatto tardi Michele, devo sbrigare un sacco di cose e portare le scatole giù al negozio.

-Ti aiuto.

-Ma no, che queste non sono cose per un signore come te.

-Ma che dici? Mi offendi.

-Allora siamo in due, – fa lei e poi ride. Lui la guarda interdetto.

-Lo vedi che non capisci? Ma vieni, dai, scendiamo insieme, che mi dai uno strappo fino al negozio.

-La prossima volta te lo offro io il caffè in piazza, davanti al tuo negozio.

-Sì, la prossima volta.

Lei prende due scatole e lui la vuole aiutare, quasi gliele strappa di mano. Lei tira fuori le chiavi di casa dalla borsetta, lo fa uscire e poi chiude la porta.

28/5/20 Riti collettivi

Li ho visti, hanno paura

non li tiri fuori

nemmeno a forza.

Osservano il mondo

che comincia ad agitarsi

intorno, con un vago sospetto

un mezzo sorriso.

Sanno che presto anche

loro si uniranno al fiume

là fuori, che brilla e si irradia,

che rifrange aloni di luce.

Ma non sarà oggi

né domani.

Altri scalpitano

vogliono andare

parlare incontrarsi

si danno un gran daffare

con balli sorrisi cellulare

in mano.

Ora la vita è solo

andare.

Per le strade con le

città ancora socchiuse

spaesati, senza bussola

sfiorano i grigi muri

sfolgoranti nella luce

troppo accesa di questi giorni.

Camminare, andare in bici,

è uno sport della pelle, irradia

vita, rende felici in modo rotondo.

Per le strade li incontri che

parlano al telefono la mascherina

calata a scaldacollo,

vanno in giro, fumano,

trovano un posto dove

bere un caffè, un aperitivo.

Hanno bisogno di

stringersi, afferrare il braccio

dell’amica nel passo sbieco

di tutto quell’andare, quel

farsi e disfarsi di onde secche

di vento e parole.

Riti carnali, baccanali

collettivi, piccole sapienze

o insipienze infantili

le risa a scroscio

che chiudono con fragore

la porta in faccia alla morte.

Costeggiano bare, le siepi

nere della morte.

Un sole troppo acceso

un’allucinazione

da endovena.

Un giorno sapremo

camminare

sui muri di casa e sfondare

i cieli dipinti sui soffitti,

con le dita cercare lo spazio

dentro le nostre prigioni,

le nostre impossibilità

di vita,

ordinate come perle

di un rosario ancora

tutto da pregare.

31/5/20: Passeggiate pomeridiane

Dentro tubi di garza cammino,

le braccia legate, le gambe

in filamenti collosi,

affondo nell’asfalto come

in un incubo e gli altri mi

sorpassano leggeri e usi

ormai alla schiavitù dell’aria.

Se mi dite dove andare

andrò,

se mi dite come fare

proverò.

Non dite bugie, non dite

che è bello, non pensate

al mare alla vita agli amici

qui tutto è scaldato appena

come una cena tenuta

da parte dal giorno prima.

Continuo a camminare

in questa surrealtà

incespicando nei miei

disguidi, mancando una

retta visione negli ambiti

addetti alla supervisione.

E ogni volta che cerco

di scappare mi ritrovo

il lenzuolo in bocca.

2/6/20 Quello che posso e non posso fare

Posso anche non uscire,

grazie.

Per andare in giro sigillata

in mascherine, mani chiuse

in manette, per bere caffè in

bar deserti o consumare cene

sotto campane di vetro, posso

anche non uscire, grazie.

Per sentirmi in questa felicità

fragile di garza e lattice

dove tutto cinguetta

‘virus virus’ posso anche

non uscire, grazie.

Il rimando è a domani,

lunghe liane di vento

allacciate a piante tropicali

verdi sequoie, maestosi

tronchi amazzonici.

Se dovrò uscire lo farò

dopo, senza cortesie.

Per ora lasciatemi qui,

prigioniera dei vezzi,

le ultime scarpe consumate

ieri, le mie piantine in vaso

educate, le mie voglie

equilibrate di azzurro.

Quando non dovrò più

uscire col pallottoliere

in tasca per sottrarre e

sommare i doveri e i desideri

uscirò nuda senza ulteriori

lacci e bavagli nella sconcezza

ardente della vita,

ora resterò qui nel mio dormiveglia

di sonnambula e le cose che

farò non contatele, sono

fatte in sogno, non addebitate

a me questa follia. Io resto

ferma dentro il quadrilatero

della mia vita.

Maria Teresa Serafini (Civitavecchia)
Ruit hora

27 Maggio 2020

Improvvisamente mi sono resa conto che anche il mese di Maggio è arrivato alla fine: il tempo è trascorso davvero velocemente e quasi senza che me ne accorgessi, sì perché in questa situazione di incertezza, di paura e di sbandamento anche il TEMPO ha assunto un valore diverso, estraneo, all’inizio si è dilatato e sembrava far udire una voce profonda, una voce che proveniva da lontano simile a quella di un drago che si para innanzi lanciando grida e lunghe lingue di fumo e fuoco contro il quale si combatte senza sapere se se ne uscirà vincitori… mi è spesso sembrato di veder comparire il drago della Saga dei Nibelunghi, il drago di Sigfrido, quello di Fritz Lang, quello dalla corazza squamosa che lentamente dondola il suo collo nella fonte per abbeverarsi mentre l’eroe biondo agita la sua spada innanzi a LUI che spalancava fauci dentate per afferrarlo COME fa il virus che essendo nuovo, ha trovato “nuovi pascoli, senza trovare opposizioni” come dice la virologa prof.ssa Capua dalla Florida.

E poi il SiLenziO, il silenzio urlante nel suo VUOTO che frastorna ancor più di mille e mille tamburi. Io resto nel mio letto la notte, alla piccola luce di un abat-jour che tutte le sere accendo nello studio a fianco alla mia stanza. Il più delle volte resto immobile ferma ferma, per non svegliare mio marito quando però non ce la faccio proprio, allora mi alzo in punta di piedi vado in sala da pranzo mi affaccio alla finestra e guardo il mare sul quale le lampare delle paranze brillano e gli regalano uno scintillio dorato che mi affascina e cattura il mio sguardo producendo una vera e propria fascinazione. Resto lì fin quando verso le quattro del mattino, l’allodola col suo canto mi risveglia e torno a letto.

Dopo un paio di ore inizia la giornata con le sue incombenze.

28 Maggio 2020

Quarantena

Moda influencer, futuro guardalo ora, ascoltiamo il parere dell’ esperto oggi il nostro guru farà vedere come sanificare frutta verdura oggetti vetro legno plastica. Dove resta più a lungo? Sul vetro 4 giorni, sulla carta 2 giorni sulle mascherine all’esterno 7 giorni sul legno… sugli abiti … non ce l’ho fatta a segnare tutto. Piano vintage, ma costruttivo, dovevano ascoltarci prima, uno shock piano anticovid per la scuola esami in presenza. Salvaguardare gli anziani. Ormai ho acceso la tv e la giornata riprende prepotentemente il suo spazio. Di nuovo la città si anima però non si ode più la sua voce fatta di clacson, di frenate e di rombo di motorini provenire dalle strade invase dal traffico ogni tanto il suono prolungato della sirena rompe l’atmosfera rarefatta di un’ambulanza e a quel punto mi piace pensare che sia occupata da una mamma che sta per dare alla luce un bambino, una nuova vita. L’unico rumore certo è quello che ascolto poco dopo la mezzanotte: il ritiro della raccolta differenziata! Ecco di questo sono sicura: è preceduta da una sorta di breve scampanellio, poi l’ingresso un po’ ansimante del mezzo che entra a retromarcia nel vicolo in cui abito seguito dal trascinamento dei bidoni sull’asfalto e botta finale rumorosa il coperchio che ricade pesantemente. Dopo segue il silenzio nerO. Il palazzo tace, l’ascensore si sente di rado di giorno figurarsi nella nOtte. Durante questo lasso temporale indeterminato mi sono chiesta cosa ho fatto in questi tre mesi di clausura forzata? Ho provato a rispondere all’inizio , ossia poco dopo metà febbraio è iniziata una fase di paura che si è un po’ attenuata dopo il 4 marzo. Sono stati giorni davvero terribili, perché le scuole erano ancora aperte e (io principalmente conosco l’ambiente che ruota attorno alla scuola avendo insegnanti in casa) si susseguivano le voci più disparate: alunni che vengono col treno, col pullman, a piedi a cavallo etc. Sono stati XXXX ma sarà pericoloso? Avanti, indietro chiudi, apri, hanno chiamato i carabinieri perché dei ragazzi venivano da XXXX e si sono fermati a XXX AAAAhhhh!

CHIUSO TiraTO SOSPIRO DI SOLLIEVO. Ma in casa quali sono state le occupazioni? Uscire una volta ogni dieci giorni, fare un elenco di quanto poteva occorrere: cibi, detersivi, guanti (spariti), alcol (sparito), mascherine introvabili. Arriva la spesa c’è tutto da trattare col sapone, con l’alcol, con il gel, con la varechina. Attività quotidiane: fare il pane (ho imparato bene), cucinare (come sempre), dolcetti ma non troppi più che per dieta, per una razionalizzazione degli alimenti (io) c’è chi fa ginnastica, chi fa lezione on line, chi scrive (tutti), chi fa presine con l’uncinetto (io), chi dipinge (io), chi fa il decoupage pittorico (io), chi non esce (io), chi non dorme (io). DUBBIO sono un po’ egocentrica? Dimenticavo un compagno h 24: il computer.

I nuovi mezzi: bicicletta e monopattino con BONUS.

29 maggio 2020

Mala tempora

SCUOLA servono nuove regole Famosi esperti lunch box pasti nelle aule invece che nelle mense? A settembre si riuscirà a rientrare? tutti manterranno le promesse beh comunque buona estate si spera vada tutto a buon fine. La voce della sofferenza sarà ascoltata?

Giorni durissimi di pr0testa troviamo soluzioni 3 mesi senza 1 euro e altri 3 se ne profilano critici futuro della medicina oscuro i medici chiedono percorsi di formazione diversi nel momento più critico, senza protezione e mezzi idonei sono entrati in azione ripeto, senza dovute tutele bisogna modificare il percorso borse di studio si deve cambiare, 2 mesi fa medici paramedici eroi, turni massacranti ora ce lo siamo già scordato? 165 medici morti molti erano medici di base, futuro incerto, non sono eroi ma di sicuro coraggiosi tante grazie ora andate fuori, sono detti i camici grigi hanno avuto una esperienza, ora hanno professionalità non si deve farli di nuovo entrare in una zona d’ombra …………………………………………………………………

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Professore

Che lascia il Covid sul corpo? Ragazzo di 18 anni trapiantato dei polmoni a Milano. Sì intervento eccezionale polmoni divenuti pietra, è stato difficoltoso espiantarli ora nuova vita per il giovane.

Ogni minuto si susseguono moltissimi messaggi NON ABBASSARE LA GUARDIA IL VIRUS COLPIRA’ ancora, la movida sui Navigli, parchi pieni no distanza sociale, bisogna avere RESPONSABILITA’ responsabilità ma come è possibile vedere le scene che mostrano in tv, sui social la gente sembra impazzita ombrelloni a sette metri, sdraio, lettini MARE onde sabbia è ESTATE! Responsabilità.

Mala tempora currunt, sed peiora parantur

Speriamo di no!

“Chi vive sperando, disperato muore”. O Dio! Ma un rito scaramantico?

30 maggio 2020

E’ sabato

Oggi piove, del resto era previsto, seguo il meteo, almeno annaffia per bene le piante del mio terrazzo che resistono a oltranza e fioriscono: gerani, giacinti azzurri, una piccola ginestra, un oleandro bianco e in un angolo non troppo assolato una ciotola di viole del pensiero. Una mia amica ha scritto una favola per bambini per aiutarli a superare la paura del virus. La pioggia non c’è più, il sole torna a far timidamente capolino nel cielo velato di nubi quasi trasparenti che lo attraversano donandogli un aspetto fatato contro il quale si stagliano i rossi coppi dei tetti: c’è silenzio ma è bellissimo ascoltare le rondini che volano intrecciandosi libere le rondini rispetto agli anni precedenti sono tornate più numerose forse l’ambiente lasciato, sia pur forzatamente, libero dall’uomo ha favorito gli animali che se ne sono riappropriati FELICI e noi con loro. Usciremo più amici della Natura da questa esperienza? Sarebbe un ‘idea. C’è di nuovo il sole!

Territorio Ambiente Natura stessa. Il regalo più prezioso sarà forse dare maggiore attenzione a chi e a ciò che abbiamo intorno. Cittadinanza globale dove la cura di se stessi ricade anche sull’altro forse si deve creare una consolidata interazione un equilibrio psicologico che si forma man mano che l’individuo cresce bisogna approfondire la propria dimensione psicologica BLAXXXXXXXXXXXXXXXXXBLAXXXXXXXBLA BLAXXXXXXBLAXXXXXXXX penso che questo isolamento ha aumentato i toni dei discorsi delle polemiche anche del tono di voce perché URLIAMO TUTTI anche quando si è d’accordo, forse mi sono abituata a questa assenza di rumore a questo VUOTO ed ora le voci mi giungono ampliate.

La movida tutti fuori ad invadere la bella marina della nostra città, ricca di mare salso profumato di iodio che ben conoscevano gli imperatori romani cui si deve la costruzione del porto, i papi che fino al 1871 la tennero venivano volentieri a visitarla ci si fermavano e ordinavano menu specifici dei quali facevano parte pesci e frutti di mare, così pure il re Vittorio Emanuele III soggiornava va con la famiglia, presso l’Hotel delle Terme, cancellato dalla furia cieca della II Guerra Mondiale, periodi di cura con le acque delle Terme di Traiano (più note ai nativi col nome di Ficoncella), anche Garibaldi vi si era curato dei suoi acciacchi alle ossa.

La movida mi hanno riferito che domenica pomeriggio, al lungomare precisamente zona Pirgo dove si concentrano tutti, a dare uno sguardo ai passanti, quattro vigilasse. Assembramenti? Incontri? Chiacchiere? GELATO? L’ho preso anch’io avevamo ordinato per telefono e pagato on line così appena giunti alla gelateria ci è stato consegnato pronto e già impacchettato. Beh dopo tanto tempo … in effetti quando la signorina dall’altra parte del telefono mi chiedeva “Quali gusti vuole?” Sono rimasta sorpresa quali gusti? Per fortuna è intervenuta mia figlia a sistemare tutto. Mi sono appartata, estraniata messa all’angolo forse sto soltanto in una condizione di standby di attesa “Ha da passà a’ nuttata”.

La movida oggi è sabato arrivano già telefonate, sms: Vedessi cosa sta accadendo al bar… per il Corso e sono appena le 10…… Dica, professore, ma Lei, quando dice NON ABBASSARE LA GUARDIA, ci crede o non ci crede? Grazie anche se non mi aspetto risposta.

Ora il cielo è di nuovo grigio: pioverà?

mare azzurro

calma piatta in barca

mi culla l’onda

sabbia bibula

orme sassi conchiglie

mare di sole

notte stellata

profumano i lillà

siamo a maggio

lucente mare

abbagliante visione

gioia estiva

Grazie mille per avermi letto!

2. Il fungo arcobaleno

In un bosco di mezza collina, la vita scorreva tranquilla per i suoi abitanti. Un giorno però il cielo divenne grigio, nuvoloni neri neri andavano e venivano portati da un forte vento che trascinava le foglie secche, sui sentieri formando mulinelli. Madama Coniglietta spalancò la persiana della sua piccola casa ma subito una ventata la richiuse facendola sbattere “Accipicchia, ma oggi c’è il finimondo!” Esclamò mentre i suoi piccoli Robin, Rocco e la dolce Streaming, balzavano a sedere sul letto contemporaneamente ad occhi spalancati: “Che “ — “succede” — “Vola tutto!” Chiesero alla mamma pronunciando come al solito ciascuno un pezzetto di frase. “Al solito — esclamò la mamma con fare rassegnato — ma quando imparerete? Va bene, purché si capisca quello che dite, va bene anche così. Che succede? Non lo so oggi il tempo è particolarmente brutto, del resto siamo ancora a metà febbraio e anche se nei giorni precedenti il sole tiepido aveva fatto sentire la Primavera, non possiamo illuderci, siamo ancora in Inverno. Ora fermo la persiana perché se batte forte può rompere i vetri. Anzi bambini, restate ancora un po’ a letto al calduccio delle coperte finché io non abbia acceso il camino perché anche in casa si sente freddo! Io intanto sistemo le bottiglie del liquore di crognolelle che ha fatto vostro padre, ci tiene tanto e se se ne rompesse qualcuna chi lo sentirebbe!” “Sììììì” — “Grazie” — “Mammina!” Risposero i coniglietti tornando sotto le coperte. La mattinata trascorse mentre la mamma sbrigava le faccende e il papà era andato nell’orto a cogliere le verdure per i pasti. “Quando” — “Viene” — “Papà?” “Tra —poco — arriverà” rispose Madama Coniglietta sillabando “Ma che mi fate dire! A forza di ascoltarvi finirò per parlare come VOI!” Le ore passavano e di Peppo Puppo, il papà, non si avevano notizie, l’acqua nella pentola sul fuoco del camino bolliva, ma non c’era nulla da metterci. “Se tarda ancora dovrete accontentarvi delle polpette di fieno anche oggi. Avrei voluto preparare una zuppa di cicoria, carote e verza, ma se papà non torna …” Sospirò la mamma mentre si sedeva accanto alla tavola, “Su, bambini, prepariamo, datevi da fare, il tempo passerà prima.” Tutti si mossero e iniziarono ad apparecchiare. Improvvisamente la porta di casa si spalancò e spinto dal vento Peppo Puppo entrò. “Finalmente” Esclamarono tutti ad un’ unica voce “Ora si mangia!” “Mi dispiace ma non ho potuto prendere nulla, il nostro orto è distrutto!!!” E pianse. “Non te la prendere, ma che cosa è accaduto? Fino a ieri avevamo tante belle piante!?”

“Non lo so, forse questo vento insolito, anche gli altri orti non stavano meglio del nostro, però sono riuscito a cogliere questa piantina di mentuccia, guarda un po’…” così dicendo porse i pochi rametti alla moglie “Eh, pensavo che non saremmo dovuti ricorrere a questo, sono trascorsi tanti tanti anni da quando mia nonna mi raccontava che per un intEro Inverno avevano dovuto sfamarsi con la zuppa di acqua, fieno secco e mentuccia, però meglio di niente…” Poco dopo tutti erano a tavola e mangiavano. La giornata volgeva al termine quando qualcuno bussò alla porta: TOC TOC TOC “Chi può essere?” “Guarda dallo spioncino prima di aprire”. Peppo Puppo si alzò e giunto alla porta guardò fuori, “Ma è il maestro Gilberto, il gufo!” Esclamò aprendo. “Buonasera, scusate avete qualcosa da darmi da mangiare?” “Certo, semi di granturco e di girasole, vieni, vieni “ Il maestro Gilberto entrò “Avete visto che disastro?” Gli animali del bosco sono tutti malati e le piante rovinate e secche, Dina la faina che gira sempre e va a caccia, mi ha riferito che in mezzo agli orti e in tutto il bosco, sono spuntati funghi alti e stranissimi hanno una forma di palla sulla quale spuntano un mare di ventose, colorate pure loro.” “Davvero? Ma è terribile!”

Poco dopo, ringraziando, Gilberto se ne andò. La famigliola stupita rimase ancora alzata a porsi molte domande: Cosa era accaduto? Non avevano risposte. Alla fine stanchi andarono a dormire. Il mattino dopo e per altri mattini le cose non cambiarono: il cielo era sempre grigio e nero ed il vento soffiava gelido. Il canale di Wood Tv XXX invitò tutti a restare in casa perché le attività, scuola compresa, erano sospese. Gli abitanti del boscopotevano uscire soltanto uno a famiglia e per la sola spesa alimentare, “Il Bosco è in lockdown” continuava a ripetere la TV proseguendo con gli appelli a non uscire di casa, a mantenere le distanze sociali, indossare la mascherina di protezione e così via. Poco a poco molti animaletti abbandonarono le loro case in cerca di un altro luogo dove vivere. Peppo Puppo e la sua famiglia insieme ad altri amici rimasero lì, Raiza la gazzetta bianca e nera, qualche volta volteggiava nel cielo “Non uscite— gracchiava— restate in casa il fungo malefico potrebbe attaccarvi e distruggervi: è mortale le sue ventose micidiali si attaccano agli occhi, o alle mucose di naso e bocca e chissà a quanto altro ancora.” I coniglietti spaventati si affacciavano alla finestra della cucina e vedevano il loro orticello ormai divenuto un tappeto di pallette gialle e nere con tante tante ventose colorate che a volte sembravano invitanti delicate quasi fossero fatte di velluto serico, altre invece, erano irte di spuntoni terribili affilati e minacciosi. Anche il sentiero che conduceva alla casa dei coniglietti, un tempo tutto coperto di bianca rena e ai cui bordi crescevano ciuffi di violette e margherite, era ormai ricoperto di questi “funghi” e per non calpestarli rimanendone preda, Peppo Puppo su suggerimento della moglie aveva costruito alti trampoli sui quali si muoveva goffamente quelle poche volte in cui era costretto ad uscire di casa. Spesso gli abitanti della casetta si sentivano tristi dovevano restare lì, al chiuso senza poter andare all’aperto, incontrare i loro compagni di scuola, i parenti, i nonni: Che tristezza! ma il tempo sembrava essersi dilatato non passava mai e poi a far rumore c’era sempre quella domanda: ”QUANDO POTREMO USCIRE?” Nessuno lo sapeva. A Telewood Tv canale XXX, la tv del bosco, le notizie erano sconfortanti e sopratutto non si diceva come si sarebbe potuto sconfiggere il Virus. Esperti, studiosi e luminari si interrogavano studiavano ci sarebbe voluto un vaccino, un antidoto ma la soluzione sembrava lontana. Un pomeriggio, Robin , il maggiore dei coniglietti, mentre rovistava tra i vecchi giocattoli, trovò una scatola di velluto blu a stelle dorate chiusa da un bel fiocco azzurro, sulla quale campeggiava la scritta in oro “I miei ricordi”. ”Uh, la scatola della nonna! Non me la ricordavo più! Guardate – disse ai fratellini vogliamo aprirla?I fratellini si avvicinarono e la aprirono. Quante foto! Così iniziarono a guardarle “Uh, guarda, le poesie della nonna, ricordi quanto scriveva?” “Sì e dipingeva anche” “Ora non ci vede più molto bene e allora ha rallentato questi suoi hobby”. “Guardate qui c’è anche il mio primo bavaglino“ disse Robin “E il mio dov’è?” Piagnucolò Rocco che si lamentava sempre “E dai lo sai che questo bavaglino è stato il primo per tutti noi” e Streaming, la sorellina scoppiò a ridere. Intanto i giorni trascorrevano lunghi ed incerti. Robin spesso apriva la scatola blu a stelle dorate ed ogni volta trovava qualcosa di nuovo da vedere “Beh, dopo tutto almeno passo il tempo! — si diceva—Toh, guarda, c’è anche un libro Glossario mamma mia, che vuol dire? Ah, è come un vocabolario, le parole sono messe in ordine alfabetico, vediamo forse alla lettera V come virus potrebbe esserci una spiegazione dunque A, B, T, ta… tat… patata no, …. ecco V virgola, virtù, virtuale, virtuoso, virus — ma che accade? Si sta cancellando, la parola è scomparsa!!! Come faremo?” In quel momento la mamma vedendolo tanto indaffarato, chiese: “Che succede?” “Mamma, la parola virus si è cancellata dal vocabolario!!! Guarda” disse porgendole il libro. Madama Coniglietta lo prese e subito fu attorniata dagli altri coniglietti incuriositi “Che è ? che è?” E si misero a saltellare intorno a loro. “Chiederemo a vostro padre, chissà se lui sa qualcosa?” Poco dopo infatti chiesero a Peppo Puppo se ci fosse una spiegazione: “E’ davvero strano, ma in questo momento è tutto tanto diverso che nulla mi meraviglia più!” Rispose tristemente “proviamo a chiedere a Gilberto il maestro, del resto lo chiamano Gufo esperto, ora gli telefono” Sul ramo di quercia dove abitava, il maestro Gilberto sonnecchiava sotto i suoi occhialetti stringi naso che si reggevano propria sopra il becco. Al suono del telefono sobbalzò e i suoi occhialetti, i famosi pince neze essendo senza stanghette, precipitarono sul suo petto perché per fortuna, erano appesi attorno alla sua testa, da un laccetto di cuoio. “Sì, chi parla?” “Buona sera, maestro, sono pasted-image.tiff Peppo Puppo, abbiamo visto, cercando sul vocabolario la parola VIRUS, che il vocabolo, non c’è più, si è cancellato sotto i nostri occhi!”

“Non c’è più?”

“E’ spa – ri – to. Sarà colpa della situazione? Del resto l’altro ieri, dopo la pioggia, nel cielo grigio è apparso un arcobaleno nero e giallo!!! E poi anche le stelle non si vedono più nel cielo che ora è soltanto nero”

“Vediamo … Beh, sì, no, forse ??? Credo che soltanto una persona speciale potrà aiutarci ci sono: Gurosky, il grande sapiente che anche i nostri padri consultavano, avrà la soluzione.”

“Davvero? Allora…”

“Sì dovremo andare da LUI, ma nessuno sa dove sia ORA.”
“Se chiedessimo a madama Rossetta, la volpe? Lei è sempre in giro e potrebbe …”

“Aver” — “Saputo” — “Qualcosa” continuarono i tre fratellini; Madama Coniglietta stava per sgridarli poi ci ripensò e non disse nulla.

Si salutarono dandosi appuntamento al mattino seguente ed infatti, di buonora, si incamminarono verso la tana della Volpe: Peppo Puppo camminava sui trampoli e Gilberto svolazzava piano per tenere il passo a fianco a lui. Arrivati chiamarono e chiamarono poi decisero di cercarla la cercarono per ore senza risultato mentre stavano pasted-image.tiff per tornare indietro, sentirono una folata d’aria accanto a loro, qualcuno si era posato su uno dei trampoli di papà coniglio. “Salve, squit—squit— sono Aurus lo scoiattolo volante, il cugino canadese di Dino lo scoiattolo che abita proprio qui, sulla quercia a destra dell’olmo, ho visto che state camminando da molto tempo, squit —posso squit— esservi utile?”

“Grazie, piccolo amico, cercavamo madama Volpe.”

“Sììì”

“ Ma lei è andata via da tempo. Non se l’ è sentita di affrontare quel virus.”
“OOH, come faremo?”
“Che cosa volevate da lei?”

“Sapere come raggiungere Gurosky, il grande sapiente.”

“Io mi sposto facilmente perché come vedete posso volare e spesso ho incontrato il grande saggio, credo che sia sulla sua nuvola d’oro come sempre.”

“NUVOLA d’Oro!!!”

“Sì, nuvola d’oro, vive lì”
“E dove è?”
A questo punto il piccolo roditore fece un vago cenno con la zampetta anteriore destra gridando: “Laggiùùùùù dove si perde l’orizzonteeeeeee” e sparì velocemente come era arrivato.

Dopo un primo momento di incertezza e meraviglia i due amici si misero in cammino verso quella vaga linea lontana lontana. Camminarono, quanto camminarono non avrebbero saputo dirlo, però guardando i trampoli di Peppo Puppo, più che dimezzati, sapevano di aver camminato TANTO.

Si era fatto tardi e mentre la notte stava ormai avvolgendo tutto e tutti, all’improvviso apparve loro un bagliore splendente era …. la nuvola d’oro del SAGGIO Gurosky che stava seduto a gambe incrociate le mani giunte, gli occhi socchiusi, una mascherina bianca sul viso. La nuvola era lì immobile sospesa davanti a loro: i due amici si scambiarono un’occhiata poi :”Finalmente grande, potente Saggio, noi vi imploriamo AIUTATECI, la nostra vita è sconvolta il Virus Covid 19, ha attaccato il nostro mondo, molti sono scomparsi e molti se ne sono andati senza dire dove, COME sconfiggerlo? Noi eravamo tranquilli, insieme vivevamo lavorando e anche divertendoci, ORA tutto è mutato siamo costretti a vivere in isolamento se vogliamo restare vivi. Pietà aiutateci!” pasted-image.tiff

La nuvola era lì, il saggio era lì ma non si udiva risposta i suoi occhi restarono chiusi a lungo poi alzò la mano destra “Devo riflettere, disse, non è una situazione semplice anzi, questi “Funghivirus” di cui mi parlate può averli creati soltanto il perfido Magdominus il terribile essere che è sempre alla ricerca di qualcosa di invincibile aiutato dal suo braccio destro Pteropus .

“Cosa dobbiamo fare?”

“Andate, raccogliete quante più bacche di Prunus niger selvaticus, estraetene il succo vitale, procuratevi un rametto di Clinopodium nepeta e, a mezzanotte, immergetelo nel liquido alcolico pronunciando queste parole:

TRattula Grattula rimesta, pesta gira rigira batti ribatti. Udite, ubbidite pezzettoni pezzettini ricomponetevi ritornate come e meglio di prima.Succo niger oro del ramo torni TUTTO come VOGLIAMO e TU Stella stellina, brilla per prima! QUELLO, solo QUELLO è lANTIDOTO e mi raccomando non dimenticate la formula magica.” Porse loro una pergamena con le istruzioni e

scomparve mentre la nuvola lasciava una scia di piccoli cirri dietro di sé.

“Hai capito tutto?

“No, con tutto quel latino e quelle parole strane: cosa ha detto?”

“Non lo so, per fortuna abbiamo la pergamena.”

Gilberto volò via dai trampoli di Peppo Puppo dove era rimasto appollaiato fino a quel momento e tornarono a casa.

Le cose erano come prima, i brutti funghi dalle ventose che si attaccavano inesorabilmente, erano sempre lì. Il gufo ed il coniglio raccontarono tutto a Madama Coniglietta ma erano sconsolati perché non sapevano come fare, purtroppo nel viaggio di ritorno avevano smarrito la pergamena ed ora si domandavano dove avrebbero trovato le prugne selvatiche e poi il clinopodium … passi per le prugne ma quel clinosodium o podium o blodium come si chiamava era impossibile trovarlo inoltre c’era la formula da pronunciare. Erano tristi, nessuno di loro parlava più, la mamma restava IN SILENZIO seduta in un angolo, il maestro consultava una pila infinita di libri e i piccoli giocavano tra loro “State attenti alle bottiglie del liquore di vostro padre e mettete a posto le piantine che aveva portato qualche giorno fa, non fate danni!” Disse loro la mamma un po’ spazientita. Intanto i coniglietti cantavano e facevano il girotondo, si sa i bambini trovano sempre un motivo per essere felici: “Ora ti nominerò cavaliere del re delle Nubi: inginocchiati Rocco: ti dono questo liquore di crognolelle e incorono Streaming, la tua dama con una corona di fiorita mentuccia!” Così dicendo pose sulla testa diella sorellina la coroncina profumata e saltellando cantavano :“Rattula — brattula — rimesta, pesta gira rigira, batti ribatti. Udite, ubbidite pezzettoni — pezzettini ricomponetevi ritornate come e meglio di prima. Succo niger, oro del ramo, torni TUTTO come VOGLIAMO e TU Stella stellina brilla per prima!” ridevano mentre gli adulti preoccupati non sapevano dove trovare gli ingredienti per per realizzare l’antidoto.

“Basta con questo chiasso e tu poi pure la corona ma non vi rendete conto di quello che stiamo vivendo eh?” Piangendo i piccoli misero corona e liquore sul tavolo. Il maestro brontolava malus perus prunus niger selvaticus….prunus Clinopodium nepeta …….

Come le chiamano da queste parti le prugne selvatiche?” Chiese tirandosi sul naso gli occhialetti.

“Crognolelle! — gridarono in coro i bambini e nepitella la men…”

“Aspetta ma la mentuccia, potrebbe essere quel nome sì, il Clinopodium nepeta?”

“Allora abbiamo l’antidoto e NON lo sapevamo!?” Corsero verso il tavolo dove c’erano il liquore e la profumata mentuccia si voltarono ad abbracciare i bambini, “Grazie, grazie se non fosse stato per voi” e subito andarono in cantina a prendere altro liquore poi felici ed anche un po’ increduli dopo avervi immerso la mentuccia posero il liquido in uno spruzzino e dalla finestra iniziarono a spruzzarlo sul sentiero e sull’orto di sotto……………………………………………………………………………………………………………………….………..

Non accadde nulla.

Intanto il piccolo Rocco cantava: “TRattula Grattula rimesta, pesta gira rigira batti ribatti. Udite, ubbidite pezzettoni pezzettini ricomponetevi ritornate come e meglio di prima. Succo NigEr OrO del ramo torni TUTTO come VOGLIAMO e TU Stella stellina brilla per prima!

Saltavano e gridavano tutti e tre insieme agitando la corona di rametti di mentuccia. “ Il maestro Gilberto udendoli cantare gridò:” Un momento bambIni quelle parole … chi ve le ha dette? Dove le avete lette?” XXX “Erano scritte sulla pergamena” “Pergamena?! “Sì quella che abbiamo preso nella scatola della nonna!”. In quel momento

il pendolo che era in cucina batté lentamente 12 rintocchi ed ecco, improvviso, un lampo seguito da un tuono e il cielo fu di nuovo blu e pieno di stelle luminosissime lampeggianti ed accecanti, gli abitanti della piccola casa del bosco si coprirono gli occhi non sopportando tanta luce, poi li riaprirono e videro scendere piano piano un grande fungo arcobaleno dal quale cadevano una miriade di spore colorate e quando toccò dolcemente terra ricoprendola col suo cappello TUTTO TORNO’ come prima: i funghivirus dalle tante ventose erano scomparsi, mamma, papà ed il maestro erano come impietriti, non credevano ai loro occhi: l’orto tornò a fiorire, il vialetto riebbe i suoi fiori e gli adulti, felici della scoperta regalarono a tutti il prezioso antidoto e quando gli abitanti tornarono nel bosco, si accorsero che la sera le stelle brillavano di nuovo nel cielo blu. Ci fu gran festa e da allora in poi tutti capirono che Chi e ciò di cui si ha bisogno spesso è vicino, basta saperlo vedere e aiutarsi l’un l’altro.

Il maestro Gilberto il primo giorno in cui fu riaperta la Scuola, tra gli applausi degli scolari, pose sulla porta una bella targa sulla quale era scritto:

“TRattula Grattula rimesta, pesta, gira rigira, batti ribatti. Udite, ubbidite pezzettoni pezzettini ricomponetevi ritornate come e meglio di prima. Succo NigEr OrO del ramo torni TUTTO come VOGLIAMO e TU Stella, stellina, brilla per prima!

E da quel momento vissero tutti vicini e contenti coltivando alberelli di prugne selvatiche e piantine di odorosa mentuccia, perchééééé non si poteva mai sapere!

Fabrizio Labarile
LA FASE TRE -La fine del Coronavirus-

Grande apprezzamento è stato evidenziato da parte della maggior parte degli Italiani , per l’invito rivolto dal Presidente del Consiglio Conte a tutte le forze politiche, affinché insieme intorno ad un tavolo maggioranza e opposizioni lavorino per fare ripartire la nostra economia. L’attuale situazione socio economica europea è molto simile a quella dopo il secondo conflitto mondiale. All’epoca furono gli Stati Uniti, che per fare risorgere i Paesi europei dal flagello della guerra, intervennero con massicci aiuti finanziari definiti il “ piano Marshall”. Il programma aiutò l’Europa a rialzarsi e a progredire e, per riflesso , incrementò la ricchezza americana. Con il piano di rilancio, in questi giorni anche la UE ha deciso d’intervenire con aiuti massicci a favore di tutti gli Stati europei ,affinché possano fare ripartire le loro economie ,dopo il disastro del Coronavirus. Sarà opportuno che alcuni nostri politici, a prescindere dal colore politico, vadano a leggere la nostra storia degli anni 1946 -48 ; così potranno capire come devono comportarsi . All’epoca per salvare l’Italia dissestata e in piena povertà, alcuni uomini saggi di tutto l’arco Istituzionale democratico, insieme adottarono le regole per la nuova Carta Costituzionale. Perno indispensabile su cui,con l’aiuto del piano Marshall, si è sviluppata l’Italia moderna. L’attuale situazione oggi,forse, è altrettanto grave ,perché mancano gli uomini determinati che, mettendo da parte le beghe di partito, si adoperino per il bene comune di tutta la nostra Nazione. E’ auspicabile che tutti gli attori: il Governo, i partiti, le aziende , gli economisti, i sindacati e i cittadini comuni c’impegniamo per centrare l’obiettivo: riportare l’Italia al suo benessere come i migliori anni del suo benessere. Uno dei problemi più difficili da superare per le aziende, specialmente per le piccole e medie ,è quello della liquidità. La chiusura forzata per tre mesi ha prosciugato quasi tutte le loro risorse. E’ indubbio che il Governo abbia agito con tempestività per dare a tutti un aiuto ,ma sta trovando nella burocrazia un’acerrima nemica. In queste settimane ,diversi imprenditori incontrano un’infinità d’impedimenti burocratici per ricevere il prestito agevolato di 25.000 euro, indispensabile per aiutarli a riattivare le loro aziende. Come spesso accade la colpa è della burocrazia ,questa mostruosa e astratta figura che nessuno può toccare ,ma di cui tutti ne subiamo le conseguenze. E’ giunto,pertanto, il momento che anche le banche inizino a collaborare con più slancio, eliminando lacci e laccioli che con i loro enormi ritardi nuocono,spesso in modo irreversibile ,ad imprese e famiglie. In questa fase della crisi ,è utile che anche i CAF , quasi sempre rappresentati da Sindacati, s’impegnino ad informare i cittadini quali sono le premesse per accedere ai vari ammortizzatori sociali, emanati dal Governo o dalla Regione. E’ opportuno sottolineare il buon lavoro che sta svolgendo l’INPS. Tutti gli autonomi e Cassaintegrati, che ne hanno i requisiti, stanno ricevendo puntualmente il loro avere. Insomma, il momento è molto difficile; in giro si respira un’aria di grande difficoltà e, spesso, si tocca per mano la povertà che accumula molte persone. Tutti dobbiamo impegnarci ,anche nel nostro piccolo per dare il proprio contributo; in attesa che la consistente somma di 150 miliardi stanziata dalla Comunità europea arrivi e dia l’accelerata per la ripartenza della nostra economia. L’auspicio di ogni italiano ,dopo questa lunga crisi del Coronavirus ,deve essere rivolto al nostro Governo e a tutte le forze politiche ed incitarle a programmare un piano d’urto per ridare slancio alle nostre aziende. Se tutti faremo la nostra parte, fra qualche anno il ricordo della pandemia, pur doloroso soprattutto per la dipartita di tante persone, in particolare medici e personale sanitario,sarà attenuato. E inizieremo a vedere un nuovo orizzonte meno affannoso e ,auspico, più giusto, più equo.
Santeramo 4 Giugno 2020


IL RITORNO DEL CALCIO – Una riflessione dal Coronavirus –

Non era mai successo, dal periodo bellico ,che le partite di calcio e,forse, anche altre discipline, fossero assenti per oltre tre mesi. La maggior parte delle persone, preoccupata per il pericolo del Coronavirus, non ha sentito la sua mancanza. Sicuramente ,questo periodo senza il gioco del calcio sarà un buon viatico per tutti: le Società, i media, lo Stato,le città e anche tantissimi cittadini. In molti strati della nostra società (quella povera), sembra che l’unico interesse di dialogo e d’interesse sociale, sia il calcio. In Italia, da sempre, si è voluta creare una cultura del calcio,forse, per evitare che la gente si potesse interessare a problemi ben più importanti. E’ doveroso constatare che in quasi tutte le scuole edificate da 50 anni, esclusa qualche eccezione, non si sono costruite le strutture sportive delle principali discipline per permettere agli studenti di fare sport. L’attenzione dello Stato ,e principalmente del Coni, ha sempre privilegiato il calcio,a cui si sono concessi finanziamenti ingenti, quasi sempre a carico del contribuente virtuoso. Finanziare ben tre quotidiani sportivi, anzi calcistici; versare da parte della Rai notevoli somme alle società di calcio; impiegare decina di migliaia di uomini delle forze dell’ordine fine settimana, per permettere lo svolgimento regolare delle partite; è il conto che tutta la popolazione nostrana ,suo malgrado, è costretta a pagare. Sentire gli ingaggi milionari che la maggior parte dei calciatori, e non soltanto i più famosi, percepiscono, è un’offesa al buon senso comune. Attenzione , chi scrive è a favore del mercato libero per ogni tipo di attività, ma con tutti i precisi doveri e diritti. Pertanto se le Società di calcio, senza nessun tipo di agevolazione e pagando ogni servizio compreso l’ordine pubblico, e versando le dovute tasse, fossero in grado di offrire ingaggi da nababbo , nessuno avrebbe da obiettare. L’altro dilemma che manda in bestia molte persone ,non certo filo calcistiche, è la preferenza di giovani calciatori stranieri, a discapito degli italiani. La giustificazione di questa pecca sta nel fatto che lo straniero avrebbe un valore inferiore a quello nostrano; tuttavia, il ragazzo cresciuto nella società di appartenenza costa molto meno ,eppure viene discriminato. Naturalmente quando si tratta di giocatori extra comunitari per i tanti sportivi ,e non solo calcistici, non esiste discriminazione, a differenza di quando parliamo dei migranti che scappano dalla guerra ! Durante questo periodo del coronavirus ho avuto modo di dialogare sull’argomento calcio e le sue conseguenze con diversi amici, via mediatica. La maggior parte di loro, presa dalla passione non soltanto non s’interessa dei tanti problemi socio economici, ma neppure vuole sentirne parlare ; agiscono come Ponzio Pilato e si giustificano con la fatidica frase: i politici e le varie autorità istituzionali sono tutti uguali. Naturalmente questo tipo di atteggiamento è ninfa per il malcostume di certe sfere della vita pubblica italiana. Ho sempre sostenuto che il mondo del pallone, come ogni altra disciplina sportiva, deve avere la giusta rinomanza e non se ne deve fare un abuso. Ripeto chi di dovere deve vigilare affinché le tante risorse sprecate per il calcio non continuano ad alimentare la cultura, ormai diventata calcistica, della maggior parte degli italiani. Noto, infatti ,in molti ambiti che non si dialoga con l’avversario o chi la pensa diversamente da noi con pacatezza e rispetto, ma come se fosse un nemico e appartenesse ad una squadra avversaria. Insomma il gioco del calcio è bello e divertente ,ma dovrebbe creare amicizia e svago e non rancori e vendette. Auspico che il Governo, al termine di questa pandemia e dopo aver risolto il problema primario della nostra economia,abbia il tempo di occuparsi anche dello sport. Ripeto va bene l’attenzione per il calcio ,ma è più necessario creare le strutture in tutte le scuole ed attivare e incrementare le attrezzature di tutte le discipline sportive; fare in modo che ogni persona possa svolgere il suo sport preferito , anche se non ha la possibilità economica, come, spesso, avviene oggi.

Santeramo 5 Giugno 2020

Patrizia Galeffi
Dr. Jekyll e il mio Mr. Hyde

In questo periodo di lockdown dovuto alla pandemia da covid 19, io mi vedo dall’esterno come se fossi un po’ bipolare…..un po’ Dr. Jekill e un po’ Mr. Hyde. Normalmente, nella vita come scorreva prima, sono sempre stata una persona molto tranquilla, paziente con tutti, razionale, positiva e proattiva, ho sempre un atteggiamento problem solving e, per questo motivo, sono punto di riferimento per tutta la mia famiglia: figli, marito, sorelle, fratello, nipoti, nonché spesso di colleghi

ed amici. Cerco di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Il mio motto è: calma e sangue freddo!

Con questo atteggiamento riesco ad affrontare tutti i problemi che si presentano, ho sempre provato a risolverli, a volte anche al di sopra delle mie forze. Spesso mi sentivo un po’ sopraffatta

dalle responsabilità, soffrivo a tenere il peso del (mio) mondo sulle spalle! Desideravo un momento per me, non avevo mai un momento in cui potevo essere io a dire: “Sono stanca, ho questo problema…chi mi può aiutare??”. Durante questi mesi, per proteggere gli altri dalla paura del coronavirus, ho messo a disposizione le mie competenze professionali: ho preparato una proposta di ricerca per combattere il COVID19 e ho dato suggerimenti e consigli a tutti coloro che mi chiedevano spiegazioni su mascherine, contagi, ecc. Mi sono sentita allegra e felice di stare a casa con la mia famiglia, con mio marito e Matteo, uno dei miei figli (25 anni) che vive ancora con noi…. erano anni che non passavamo tanto tempo insieme, ma ho sofferto la mancanza e lontananza dall’altro figlio, Marco (29 anni) che vive da oltre un anno in modo indipendente. In questi mesi mi sono sentita felice perché stiamo tutti bene, sani e contenti, qui a casa lavoriamo ognuno con il proprio computer in una stanza diversa, ma facciamo colazione, pranzo e cena insieme…. e ridiamo anche…..io faccio “la buffona” per farli ridere (a loro piace vedermi buffa!)…ho cantato, ballato….e l’ho fatto per allontanare dalle loro menti le loro preoccupazioni, quelle più nascoste nel profondo.

Ho realizzato diversi tutorial insieme a Matteo, indirizzati a mio figlio Marco, alle mie sorelle e amiche, per es. “come preparare la soluzione di alcol 70% per sanificare gli ambienti e le superfici” (file tutorial in allegato: https://youtu.be/OtTC7pW5voU ) e devo dire che ho raggiunto il mio scopo: li ho fatti divertire e al tempo stesso ho dato delle informazioni utili!

D’altro canto, a volte mi sento addosso molta rabbia, nervosismo, odio verso la stupidità delle persone, dei politici, dei saccenti che sputano sentenze senza aver mai studiato nulla, tantomeno biologia, virologia o medicina, quindi ogni tanto, diversamente da prima, mi permetto di litigare via social, su facebook, nelle riunioni online, skype, al telefono…e mi sfogo: Non tollero più ignoranza, supponenza, superficialità, qualunquismo, prevaricazione di qualunque genere e tipo, soprattutto

quello da parte di persone che dicono “sciocchezze” e che inquinano la realtà con ipotesi assurde, dal complottismo della Cina, al dibattito “non scientifico” sul virus e la pandemia tra persone senza competenze, fino alle leggende metropolitane…..NON LE TOLLERO Più….e qui esce fuori il mio Dr.

Jekyll che reagisce con grande forza….e il mio Mr. Hyde per un momento si silenzia timidamente ed aspetta pazientemente che la bufera sollevata dal Dr. Jekyll si dissolva….

TESTO ESPLICATIVO DEL VIDEO

Nel video ho spiegato e mostrato praticamente come si prepara una soluzione idroalcolica disinfettante al 70% che ha la proprietà di essere un sanitizzante, utilizzabile sia per sanitizzare le diverse superfici che le mani.

La soluzione si prepara diluendo alcol etilico assoluto (generalmente 90-93%) con acqua portandolo ad una concentrazione 70% finale. Si può preparare anche in casa utilizzando un contenitore da cucina con indicati le misure dei volumi, un imbuto e un contenitore, possibilmente con spruzzino, in cui versare la soluzione finale.

Appendice – Le parole del coronavirus

Antonio Filippetti

1. Scheda presentazione almanacco
E’ opinione correntemente diffusa che l’epidemia da coronavirus ha cambiato, ma più ancora cambierà d’ora in avanti, la vita dei cittadini. Utilizzando il registro dell’almanacco che per lungo tempo ha rappresentato uno strumento essenziale di diffusione del sapere, l’autore intende riflettere su come il virus abbia più che altro avuto il compito di accelerare un complesso di attitudini e obiettivi già insiti nella società contemporanea facendo deflagrare semmai un focolaio socio-politico e culturale da tempo latente e pronto a scoppiare. Grazie all’esplosione incontrollata del Covid 19 si sono evidenziate, infatti, prerogative e contraddizioni che la società aveva in serbo da tempo. L’epidemia ha messo a nudo alcune realtà ed altrettante finalità che saranno tutte funzionali al futuro che ci attende: il tentativo nemmeno tanto nascosto di una limitazione della libertà individuale con conseguente controllo egemonico da parte del potere grazie anche al concorso determinante di un capillare apparato comunicativo sempre più servile e bugiardo; la scarsa considerazione del valore delle relazioni interpersonali ridotte drasticamente ad una funzione mediatica e virtuale; l’eclissi di ogni forma di reale competenza evidenziata in maniera esponenziale nelle performance offerte da scienza e politica affidate ormai in maniera pressoché esclusiva a ciarlatani e marionette; il predominio della filosofia del profitto che non tiene conto del “capitale umano” avallando un insano rapporto tra le fasce sociali e le diverse generazioni.
Pur in un siffatto panorama tutt’altro che roseo, emerge tuttavia uno spiraglio prezioso per un autentico riscatto, vale a dire la riaffermazione di quello spirito di solidarietà e fratellanza già rivelatosi determinante e salvifico in molte circostanze e sul quale occorrerà far leva per il tempo avvenire poiché, ricollegandosi proprio ad una grande tradizione di cultura e pensiero, esso può finalmente alimentare la rinascita di un umanesimo solidale, capace di unire generazioni e popoli e arginare il dilagare di ogni forma di virus.

2. Almanacco del tempo del coronavirus
A noi spetta gravarci del peso di questo tempo triste
William Shakespeare, Re Lear,V,III
Premessa
Nel progettare quest’opuscolo il pensiero è corso a un’operetta di Giacomo Leopardi, quella del Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere che è un altissimo esempio di prosa civile. Il colloquio tra i due personaggi è una riflessione su come abbiamo vissuto e cosa ci riserva il futuro. E naturalmente il ruolo dell’immaginazione è predominante. Anche nel tempo presente, nell’ansia e la preoccupazione che genera l’epidemia da coronavirus, la domanda più ricorrente è su cosa dobbiamo aspettarci per l’avvenire. Ecco allora che si ripropone l’eterno dilemma sull’esistenza e il destino e soprattutto la constatazione che la “felicità” risiede probabilmente in ciò che abbiamo smarrito ma più ancora nell’attesa di qualcosa che non si conosce.

3. Indice Almanacco
Premessa

1° settimana – Libertà e uso del tempo

2° settimana – Vieni avanti infettivo!

3°settimana – Coronavirus e comunicazione

4° settimana – Coronavirus e linguaggio

5° settimana – I vecchi e i giovani del coronavirus

6° settimana – Il coronavirus dei volontari

7° settimana – Il coronavirus dei generali e dei soldati

8° settimana – Il coronavirus della discordia

9° settimana – I primi della classe retrocessi all’ultimo banco

10° settimana – Il coronavirus e l’era dell’incompetenza

11° settimana – Il coronavirus e la cultura

12° settimana – Il coronavirus in maschera

13° settimana – Il festival del coronavirus

!4° settimana – La vita sospesa al tempo del coronavirus

15° settimana – Stato d’eccezione e stato d’ignoranza

16°settimana – Quando sarà tutto finito

17°settimana – Il sogno per il dopo coronavirus

18° settimana – Se il virus sconfigge capitalismo e socialismo

19° settimana – Il coronavirus e la lezione di Leopardi

Fabrizio Labarile
CULTURA FEUDATARIA

Pur essendo iniziato il secondo decennio del terzo millennio , con grande rammarico,constato che la cultura della maggior parte degli italiani resta ingessata al periodo del medioevo. Il paradosso più scabroso è che non si tratta di un destino sancito da forze misteriose nascoste nei meandri più oscuri della terra,che sono quasi impossibilI da scardinare. Si tratta semplicemente di una volontà masochista collettiva decisa a conservare un metodo egoista che si ritorce contro tutti. La nostra società, nonostante le opportunità della tecnologia, gli scambi culturali internazionali e i soggiorni all’estero di tanti cittadini che apprendono un cambiamento culturale più moderno, che è diventato necessario e non più procrastinabile, persiste nell’atteggiamento ancestrale e arcaico. Questo egoismo sproporzionato permette a chi ha il comando ,come la finanza , le lobby e i gruppi industriali di poter decidere a proprio piacimento. Anzi, per evitare che il loro sistema , ormai collaudato, possa rischiare d’integrarsi, si serve di una certa la politica ,che evita d’intraprendere misure adeguate per cambiare l’atteggiamento arcaico che contraddistingue il Belpaese. Anche i Media e la carta stampata che dovrebbero essere una guida per un ammodernamento della nostra mentalità, e più consone alle esigenze del nostro mondo, continuano ad usare metodi vecchi ,in modo che nulla cambi. Gli articoli sono preferibilmente notizie eclatanti di cronaca,mentre gli argomenti di economia , finanza e bancari sono piuttosto blandi. Il loro campo d’azione agisce in funzione della quantità di risorse che riescono a rastrellare dai vari finanziatori che, per riconoscenza, portano sugli altari, trascurando il nesso della professionalità che comprende la massima trasparenza. Spesso, però, quando un cronista riesce ad appurare misfatti e nefandezze , specialmente nel settore della pubblica amministrazione ,in cui sono coinvolte persone influenti, il giornale non li pubblica. Si tratta di un sistema omertoso per nascondere gli scandali che, come i cicli delle stagioni, si susseguono ogni settimana in tutte le sfere della Pubblica Amministrazione . Scrivo nel periodo del Coronavirus in cui ,ogni giorno,ho l’occasione di appurare il modo gestionale della sanità di alcune regioni ,maggiormente colpite come La Lombardia e il Piemonte. Noto, purtroppo, che l’epidemia ha falcidiato tante vittime comprese molti medici e personale ospedaliere. In questa emergenza stanno venendo a galla tutte le nefandezze della sanità di queste regioni ,comuni comunque a tutte le altre regioni italiane, che nei tempi normali hanno preferito elargire le relative risorse a favore delle cliniche private ,appartenenti agli amici particolari. Per meglio spiegare la cattiva gestione ,ormai diventato il dogma, del sistema corruttivo italico,è opportuno riassumere il pensiero del magistrato Dott. Piercamillo Davigo. Nella società italiana,dove il reato è diventato “Sistema seriale”, liberarla dalla corruzione è compito prioritario della politica, diverso da quello della magistratura che, spesso erroneamente viene additata come responsabile primaria delle mancate sentenze severe. Il giudice ha il dovere di stroncare i reati accertando le responsabilità individuali. Il compito primario della politica per combattere la corruzione è di elaborare leggi chiare e trasparenti ma, soprattutto farle rispettare. Spesso , alcuni politici non soltanto non s’impegnano a fare eseguire le normative, ma incolpano la Magistratura per non sapere svolgere il proprio compito,senza tener presente le difficoltà reali che incontra nel contrastare il fenomeno, sempre più vasto della corruzione,che spesso si trasforma in collusione,più estesa di quanto si pensi , e ciò avviene quando l’accordo fraudolento di due persone danneggia la terza. Ormai si sono create, in tanti settori dell’economia delle tacite regole malavitose, per cui un’azienda o un esercizio commerciale anche di piccole dimensioni si adegua e paga,oppure viene perseguitato rischiando non soltanto la bancarotta, ma anche di perdere proprietà e beni personali. Molte volte, la politica invece di facilitare il compito della Magistratura per generare una società più giusta, elabora nuove normative sempre più ingarbugliate, per ostacolarne il cammino .Spesso anche persone di sani principi onesti si trovano davanti al bivio: o entrare nel meccanismo perverso della corruzione o rimanere al margine della società. I cittadini nascono e crescono , almeno fino al termine della maturità , con onestà e sono determinati a non tradire questa virtù. Ma , quando si approcciano nel mondo del lavoro si rendono conto di essere succubi di una cultura di sottomissione e, loro malgrado, sono costretti ad affidarsi al padrone che, contrariamente al passato quando era un ricco, si tratta di un politico, un funzionario dell’impiego pubblico , propenso a risolvere il nostro caso personale,quasi sempre con una congrua ricompensa. L’aspetto peggiore avviene con il trascorrere del tempo. La maggior parte dei beneficiari che nel momento di “pagare” la tangente si sono sentiti umiliati e dentro di loro avevano promesso di vendicarsi o comunque mai più scendere a tale umiliazione. Dopo un certo periodo ,osservando i diversi vantaggi del raccomandato, spesso senza rendersi del tutto conto condividono tale sistema e, non soltanto si adeguano ma, spesso, lo fanno proprio e lo difendono con gli artigli.

Ormai la peste che ha contagiato la vita degli italiani è entrata in tutti i meandri della società , e sembra impossibile, malgrado l’impegno di tante ottime persone operanti in tutte le branche comprese la politica e la magistratura, che senza un nuovo galateo di provvedimenti rivoluzionari possa cambiare l’attuale sistema . Uno dei metodi più efficaci per un cambiamento totale della mentalità di un popolo si può ottenere con tempi e metodi d’insegnamento scolastico appropriato. Pertanto, quasi tutti i settori della vita pubblica saranno evidenziati in questo racconto, partendo dal primo punto che é l’aggiornamento dei programmi scolastici ed avvicinarli al reale mondo del lavoro. Il panorama scuola in Italia viene trattato come pezzente e i docenti peggio degli scaricatori del porto, con il rispetto dovuto a questi lavoratori. Queste deficienze non permettono di fare funzionare l’ascensore per portare su chi è indietro ,e sono la causa dei nuovi emigranti laureati. Non permettono di fare crescere l’economia,specialmente al sud, considerato un fastidio e sempre ignorato da tutti. E, quando un Ministro ,stanco di non essere ascoltato, si dimette per protestare contro tutto ciò, invece di essergli solidale,lo si mette sotto processo. Molti edifici sono , spesso, decrepiti e insicuri. Le risorse che l’Italia spende per l’istruzione arriva appena ad un misero 3,6%,lontano dalla media degli altri Paesi europei che si attesta al 5%. Tutto ciò mentre si ha il coraggio di asserire che il capitale umano e le conoscenze sono di vitale importanza. Si tratta invece di un fallimento testimoniato dal 3 maggior numero di giovani ,sempre nel pianeta Europa, che non studiano e ne seguono un semplice corso di formazione. Abbiamo il minor numero di diplomati e laureati. Un Paese nasce e si forma a scuola. E lì che si capisce cosa vuol essere,e lì che una bandiera e un inno nazionale non restano soltanto simboli. E lì che i giovani s’imbattono non solo nella frustrazione dei mille problemi quotidiani, ma in un senso dell’abbandono che li induce al dovere dello studio e non al piacere di appurare. Ora è affidata ala dedizione e allo spirito di sacrificio di docenti a cui danno poco credito da averne mortificato il ruolo sociale e la considerazione di un tempo; mancano i mezzi per una formazione continua in particolare quella tecnologica. Al sud, ovviamente, va peggio che al nord. Istituti in regola per abitabilità,sicurezza igienica,barriere architettoniche, risparmi energetici nel meridione solo il 15% contro il 63% del settentrione. Il rapporto docenti studenti di uno a 13,5 contro uno a dieci . Con aule pollaio di 27 in media per classe contro i 18 del Nord; con il tempo pieno che è meno della metà al sud 28,6 % contro il 39% del Nord. Senza mai che un poco di dignità impedisca di puntare il dito sui ragazzi del sud che hanno una preparazione inferiore, senza preoccuparsi di capirne le ragioni. Le Università del sud che a causa di iniqui e impari criteri di finanziamento penalizza i ragazzi meridionali, senza, tuttavia fermare la fuga dei migliori che scappano da tutta l’Italia. I risultati di una tale programmazione sono disastrosi poiché il numero dei ricercatori che escono dalle università sono un terzo di quelli della Germania. La maggior parte di loro vanno all’estero e quelli che restano sono costretti ad accettare un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio simile ad un impiegato statale di concetto. L’Italia, se continua a spendere per il pianeta scuola meno degli altri Paesi europei , con la conseguenza di avere meno laureati che ,per mancanza di opportunità lavorative , sono costretti ad emigrare,un giorno ,forse non lontano, sarà un Paese di vecchi.
L’anomalia più vistosa della scuola è la mancanza di organizzazione ,oltre che di programmazione. La conseguenza più evidente si verifica anche nelle classi dello stesso istituto per accaparrarsi la quantità necessaria per formare la classe per l’anno successivo. Spesso ,non raggiungendo il numero minimo per formare una classe, gli alunni vengono trasferiti e alcuni docenti sono costretti a cambiare sede e, spesso, anche città. Inoltre, a casa della crisi demografica e, in parte , riempita dai ragazzi stranieri; la corsa di molti docenti a scegliersi le classi con meno stranieri non conosce ostacoli: tutti i mezzi ,specialmente i meno ortodossi, sono permessi per raggiungere il proprio scopo. Se l’atteggiamento degli insegnanti può essere in parte giustificata dal rischi di perdere il posto di lavoro o trovarne un altro lontano dalla propria residenza, è alquanto difficile comprendere il comportamento sia dell’attuale Ministero della pubblica istruzione,che da quello dei Governi degli ultimi lustri. E’ stato un grave errore non aver trovato la soluzione idonea per salvaguardare il grande problema scolastico sia per i ragazzi che per i docenti , che ogni anno si ripresenta come il ciclo delle stagioni. Il danno più consistente che si ottiene da questa perenne paralisi è l’abbassamento dell’istruzione ,poiché ,molto spesso, i docenti sono obbligati a promuovere anche chi non merita. Per conseguenza , molti giovani sapendo di non dover ripetere l’anno, ne approfittano ed invece di studiare ,infastidiscono gli stessi docenti con scherzi ,spesso, di pessimo gusto; distogliendo così anche gli studenti capaci e volenterosi. Un tale clima confidenziale ha ringalluzziti diversi genitori per i quali i propri rampolli essendo quasi perfetti per natura , intervengono presso i professori anche in modo aggressivo, poiché non è contemplato che i loro ragazzi possano sbagliare. Purtroppo, l’autorevolezza dei professori è stata sepolta da diversi anni a causa di una crescente arroganza di cui la maggior parte dei genitori è diventata carnefice e, purtroppo, anche vittima. Fino a quando certi genitori non impareranno, specialmente per amore dei propri figli, che è opportuno dare loro prima una buona educazione, e poi, un’ottima istruzione con l’insegnamento mirato degli insegnanti, difficilmente usciranno dalla scuola persone deontologicamente preparate . Difendere ad oltranza i propri rampolli serve soltanto a viziarli e non ad indirizzarli verso una formazione completa , atta ad affrontare le insidie della vita. Pertanto, i genitori devono vedere negli insegnanti degli alleati per fare maturare i propri ragazzi e dare loro la giusta formazione professionale ,utile prima a se stessi e poi alla società. Nonostante il trascorrere dei decenni, dei secoli, di tanti Governi, di una società civile sempre più apparentemente partecipativa, gli stessi partiti in continua evoluzione; in Italia, a parte l’apparire o insignificanti cambiamenti, tutto continua a restare invariato. Se fino all’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso si attribuiva la colpa di questa cultura ingessata degli italiani alla mancanza d’istruzione poiché , esclusa una significativa percentuale in possesso della scuola elementare, erano poche le persone che potevano raggiungere la maturità e, ancora meno ,la laurea. Soltanto nell’ultimo mezzo secolo è stata offerta a tutti i giovani l’opportunità di studiare fino al raggiungimento del diploma. Eppure questa istruzione collettiva di cui una percentuale considerevole ha raggiunto la laurea, non ha apportato i frutti sperati. Anzi, per certi versi è stato più uno svantaggio culturale che un progresso di cambiamento di mentalità che, come una parte della società auspicava avrebbe dato una svolta propositiva alla nostra nazione. Con il trascorrere dei decenni, la scuola anche per la mancanza di programmazione di certe facoltà, è piombata in un burrone, da dove, se il Ministero della pubblica istruzione non interviene con un cambiamento radicale dei programmi a trecento sessanta gradi, difficilmente ne verremo a capo. In primis, è opportuno creare le condizioni ideali per offrire ai giovani pari opportunità di studio tramite la sicurezza degli edifici scolastici. Secondo le statistiche sembra che siano state investite sin dal 2014 dal provvedimento di messa in sicurezza (MIUR) governativo, soltanto la metà delle scuole italiane. Resta da constatare quante potranno disporre concretamente dei relativi finanziamenti, considerato che spesso i soldi si perdono nei meandri della burocrazia. E’ opportuno rammentare che il Governo Renzi aveva promesso, con solenne proclama,che c’erano a disposizione ben 10 miliardi , tra nuove risorse e quelle dei precedenti governi per il reale fabbisogno dei territori. A fronte di una necessità di un tale importo quel governo, con un decreto legislativo , assegna ulteriore 40 milioni che sommati ai 300 milioni stanziati nel 2013, riferito al decreto del fare , per la messa in sicurezza delle scuole. Non è dato sapere a che punto sta quel piano del MIUR . Tuttavia, rendere sicure le scuole e tutte le persone che vi gravitano deve essere la priorità della priorità. Poter operare in strutture idonee consente agli insegnanti e agli studenti di rendere il loro compito più agevole e raggiungere più facilmente i propri obiettivi. Sarà opportuno cambiare totalmente i programmi di scuola che devono mirare ad offrire ad ogni giove ,a prescindere dal ciclo di studi intrapreso, l’opportunità di apprendere una vera professione. In Italia l’istituto dell’apprendistato, vero laboratorio dove si formano le professionalità, ha una lunga storia. Essendo stato introdotto come speciale rapporto di lavoro con il quale l’imprenditore doveva impartire all’apprendista assunto gli insegnamenti utile per acquisire la necessaria professionalità,necessaria a produrre prodotti sempre più all’avanguardia. Con la progressiva crisi industriale,nonché con la selvaggia delocalizzazione delle produzioni, l’obiettivo iniziale dell’apprendistato ha conosciuto un inesorabile declino. Nella seconda metà degli anni novanta,gli alti tassi di disoccupazione giovanile e la necessità delle aziende artigiane e medie imprese, ha indotto le autorità governative a modificarne gli obiettivi di assunzione, trascurando, però, quelli di professionalità. L’età dell’apprendistato fu elevato a ben 29 anni abolendo i vincoli settoriali al suo indirizzo,favorendo le fasce più qualificate,i laureati. La conseguenza di tale provvedimento fece emergere l’esigenza di regolamentare differenti percorsi per gruppi di potenziali utenti, tra cui i minori di età. Ma si è trattata in pratica di una forma conveniente soprattutto per le grandi aziende. La riforma dell’apprendistato deve essere parte di un ampio intervento sulle transizioni tra educazione e formazione,da un lato; e mercato del lavoro dall’altro, finalizzato ad innalzare l’inclusione del mondo del lavoro rispetto ai nuovi entranti facilitandone l’inserimento. In quest’ottica ,l’apprendistato viene considerato uno strumento cruciale in quanto principale contratto di formazione e lavoro,atto al raggiungimento di un titolo di studio e di una qualifica professionale al contempo. Invece che strumento marcatamente aziendale del lavoratore nella specifica impresa. L’obiettivo sarebbe dovuto essere, almeno in teoria di principio, di assegnare all’apprendistato un respiro più ampio,come strumento di formazione finalizzato nel mercato del lavoro nel suo complesso, Occore rimarcare,tuttavia, come la differenzazione introdotta dalla legge Biagi convivevano tipologie contrattuali strutturate in modo differente dal punto di vista dell’integrazione tra componente formativa ed esperienza lavorativa l’apprendistato di secondo livello finalizzato ad una qualifica contrattuale e maggiormente distaccato dal sistema di istruzione e formazione e perciò con caratteristiche più tradizionale e, sicuramente,più vicino alla realtà. La diffusione dell’apprendistato,visto soprattutto come un vantaggio di mano d’opera conveniente, ha inizio il 1997 e con altri interventi legislativi vantaggiosi, tocca il suo acme nel 2008,con un numero record di settecentomila contratti. Tuttavia, in considerazione del tempo limitato,dopo alcuni anni è iniziato il declino di tale tipologia contrattuale e si è protratta fini ad oggi. Questa situazione fotografa i limiti complessivi di un apprendistato, che con tanti decreti e normative aggiuntivi, hanno creato confusione,senza peraltro incidere nell’occupazione. Pertanto lo stock medio dei lavoratori occupati in apprendistato,che dopo il tempo previsto, spesso non viene tramutato in assunzione in tempo indeterminato,risulta sempre in contrazione,seguendo un trend iniziato sin dal 2009. Nonostante le forti differenzazioni regionali,questa quota accumuna sia il Centro-Nord,dove l’apprendistato è maggiormente diffuso,sia le Regioni del Meridione. Il peso dell’apprendistato sul totale dei rapporti di lavoro avviati continua ad essere molto basso, il 2,3% e il tasso della copertura della formazione pubblica resta fermo al 32% dei giovani occupati. Anche in questo caso,i dati complessivi a livello nazionale nascondono tuttavia una forte segmentazione su base territoriale, dal momento che il tasso delle attività formativa si attesta intorno al 40% al Nord Italia, mentre cala nel Centro e soprattutto nelle regioni meridionali. Inoltre, un aspetto molto negativo , i dati relativi alla durata effettiva dei contratti di apprendistato evidenziano la volatilità che contraddistingue questo strumento contrattuale: solo il 16,5% a delle cessazioni avviene al termine del periodo formativo,una quota rilevante si verifica già entro il terzo mese con 8,5% nella media dei trimestri,generalmente coincidenti con il periodo di prova,ma soprattutto solo il 49% dei contratti supera l’anno di durata. Guardano alle tipologie contrattuali e alle caratteristiche degli apprendisti è possibile trarre ulteriori indicazioni rispetto alla configurazione dell’apprendistato nostrano. Nel 2014 si è chiuso il lungo processo di recepimento e adeguamento delle normative regionali anche dell’apprendistato del 1 e 2 livello. Ciò è avvenuto tuttavia con importanti differenzazioni territoriali sia nei tempi sia nei contenuti, mentre una quota rilevante di amministrazioni regionali non ha comunque dato attuazione alle proprie discipline attraverso l’emanazione di avvisi, bandi linee guida volti alla definizione di un’offerta formativa pubblica per gli apprendisti e all’individuazione dei soggetti attuatori. Tutto ciò riflette il quadro di forte frammentazione territoriale dell’utilizzo dell’apprendistato, la cui diffusione si concentra nell’Italia settentrionale, e in misura minore al centro, mente molto limitato al sud .L’apprendistato italiano, e in particolare quello degli antichi mestieri, invece d’ispirarsi ai modelli dei Paesi nordeuropei e in particolare a quello tedesco,ha voluto percorrere una legge diversa, e comunque piena di regole e decreti, sempre in continua trasformazione senza raggiungere gli obiettivi programmati. E’ opportuno adeguare alcuni percorsi di studio alla realtà del mondo del lavoro. Il ciclo di studi italiano, che pure ha la stessa durata media di quello europeo,deve offrire a tutti i giovani una professionalità concreta. Vi è bisogno d’indagare e comprendere su quali vie nuove incamminarsi,ritenendo che la strada maestra sia quella sulla consapevolezza e della condivisione: abbiamo tutti la necessità di comprendere come il nostro lavoro , i nostri prodotti possono essere valorizzati e veicolati direttamente al cliente, come i nostri processi produttivi possono divenire meglio compatibili con l’ambiente ed accrescere il valore intrinseco del prodotto , come l’artigianato vessato e soffocato dalla produzione industriale massiva globalizzata e dagli ipermercati, possa ritrovare spazi e nicchie di riscatto e orgoglio. E, in particolare, come i nostri mestieri ed arti possono essere ripresi e rivalutati in chiave contemporanea, attraverso l’applicazione pratica presso botteghe e officine, E’ doveroso accogliere le richieste mirate di tante aziende artigiane e medi imprenditori, che in più occasioni hanno asserito che la loro crescita è anche frenata dalla mancanza di giovani operai qualificati,e ripristinare un vero apprendistato per formare i giovani. Ispirandoci al sistema dell’apprendistato tedesco, uno dei più consolidati dell’Europa, in cui è raffigurata la filiera formativa, possiamo attivare la qualificazione professionale della forza lavoro applicando il metodo misto. L’obiettivo è fornire una formazione professionale di base,conoscenze e competenze tecniche necessarie per svolgere un’attività lavorativa qualificata. Caratteristica dominante del sistema misto è il percorso in alternanza che prevede due luoghi distinti predisposti al trasferimento delle competenze: la scuola professionale e l’azienda. L’apprendimento e l’acquisizione delle competenze tecniche avvengono in larga parte sul luogo di produzione; ossia in azienda,in uno studio professionale,nelle banche,negli uffici pubblici, nei laboratori artigianali o nei centri di formazione debitamente organizzati. I contenuti teorici si studiano nelle scuole professionali. Nella logica formativa del sistema misto si sviluppano le caratteristiche di un apolitica attiva per il lavoro:il sistema è indirizzato aula formazione in azienda, che ha lo scopo specifico d’insegnare al giovane la parte tecnica manuale necessaria per l’acquisizione di una qualifica professionale riconosciuta e valida su tutto il territorio nazionale. La formazione del sistema misto è praticamente aperta a tutti i giovani, a prescindere dal ciclo di studi espletato: è necessario aver frequentate la scuola d’obbligo. Al termine dell’apprendistato un esame finale sancisce la relativa qualifica acquisita. Il percorso formativo si svolge sulla base di un contratto di apprendistato stipulato, che in rapporto alla professione prescelta, cambia per la durata e le ore , tra l’azienda e il giovane. Inoltre viene evidenziato la remunerazione plasmata negli anni, e il periodo di prova che oscilla da uno a tre mesi. Questo sistema è una buona opportunità per imparare un mestiere, indispensabile per la vita lavorativa. Le aziende accolgono gli studenti in possesso della maturità, pur immaginando che molti, dopo aver conseguito la qualifica che per loro dura soltanto due anni, decidono di frequentare l’Università. Nel contratto tra impresa e apprendista sono elaborati doveri e diritti di ambo le parti. Inoltre nella legge dell’apprendistato è contemplata una commissione del lavoro appartenente ai centri dell’impiego,che controlla che le normative siano rispettate da tutti gli attori. La legge dell’apprendistato elabora i programmi e gli aggiornamenti di tutti i profili professionali . Simile ad un qualsiasi rapporto di lavoro, l’apprendistato è soggetto alla stipula di un accordo tra l’azienda e il giovane secondo le normative vigenti dei contratti di lavoro nazionali. La durata dei diversi percorsi degli apprendistato può variare dai due ai tre anni,secondo quando previsto dal relativo contratto nazionale in riferimento al tipo di professione. Al termine del percorso della formazione ai giovani viene rilasciato il relativo diploma. L’azienda è il luogo designato dove avviene il trasferimento delle competenze specifiche della professionalità,specialmente nelle realtà produttive di piccole o medie dimensioni dove il rapporto tra il maestro, il più delle volte anche il titolare,e l’apprendista riesce a raffigurare in maniera più significativa. La contiguità tra produzione e formazione è la caratteristica prevalente dell’organizzazione formativa soprattutto dei settori dell’artigianato,del commercio,dell’agricoltura e delle libere professioni, ma anche nelle piccole e medie imprese del comparto industriale. L’affiancamento sul lavoro consente all’apprendista di prendere parte ad un processo produttivo reale e gli fornisce quelle conoscenze e competenze utili allo svolgimento dell’attività produttiva. In azienda gli apprendisti alternano alcune ore di lavoro pratico ad alcune in cui viene spiegato i processo di una determinata operazione tecnica. Le officine e le botteghe di addestramento sono luoghi appositamente predisposti all’interno delle aziende per effettuare la formazione ai giovani,spesso sono anche autonomi dalla produzione abituale. Nelle grandi imprese dove,dato il livello e la quantità della produzione, è più difficile creare una stretta relazione maestro- apprendista per la formazione, è preferibile avere il luogo della formazione in un luogo diverso. Il centro di formazione sono delle scuole,istituite e gestite dall’azienda, con programmi, corsi ed insegnanti ,all’interno delle quali sono presenti le stesse strutture utilizzati in azienda. Per imprese piccole o medie, a volte, è impossibile offrire al loro interno un percorso di formazione completo; anche in questo caso gli apprendisti si recheranno presso il Centro di formazione. Per fronteggiare eventuali carenze di macchinari,apparecchiature,metodologie e formatori, ma soprattutto per aumentare l’offerta di posti di apprendistato,le aziende hanno la possibilità di associarsi, dando così vita a forme diverse di luoghi di formazione extra aziendale. L’avvento dell’informatica ,della robotica e dei sensori e della programmazione di memoria,nonché la mobilità nell’organizzazione del lavoro,per ragioni di competitività, hanno portato a nuovi modelli di formazione. Le cosidette forme d’insegnamento “orientate all’azione” non conoscono più alcuna divisione tra teoria e pratica e stimolano la ricerca di nuove modalità organizzative per il sistema misto. Con i dovuti cambiamenti sarà possibile applicare un tale sistema d’apprendistato ,che poi non è altro che una buona opportunità di lavoro da offrire ai giovani tramite la professionalità acquisita a contatto con il reale mondo del lavoro. Ciò sarà molto vantaggioso per fronteggiare l’attuale situazione economica che ha visto dapprima una caduta verticale delle nostre aziende,con conseguente impennata della disoccupazione, soltanto in parte attutita dai diversi ammortizzatori sociali, specialmente nel settore tessile e del mobile imbottito. Le attività enoagroalimentari, pur essendo in grado di produrre articoli di grande qualità, sono troppo piccole e individuali per affrontare le insidie del mercato globale. L’economia di una gran parte dell’Italia ,quella del meridione in particolare, non ha potuto beneficiare dei vantaggi della globalizzazione perché non è stata in grado di associarsi e creare un marchio ,anche territoriale, per crescere e allargare il proprio mercato. La necessità di avere una scuola professionale che inculchi nelle menti dei giovani le competenze e la cultura del lavoro è diventata imprescindibile. Per rimediare a questa grande lacuna alcuni imprenditori , in modo autonomo , e in diverse parti del Belpaese stanno rimediando con iniziative personali. Un esempio che merita una citazione è la formazione di un artigiano denomina nata “Scuola Bottega”. Questa iniziativa nasce da un’analisi attenta della necessità di avere personale qualificato e favorire processi di crescita integrata e promuovere nuove attività ad elevata specializzazione che, a rischio del posto di lavoro che tanti lo hanno già perso, hanno bisogno di una riqualificazione. Questa azione prevede un’estensione delle possibilità occupazionali attraverso la gestione del servizio che s’intende attivare. L’intervento è finalizzato sul processo di esclusione sociale dei giovani, dei disoccupati e di chi è a rischio di estromissione dal posto di lavoro, attivare circuiti culturali innovativi che consentono a tutta la popolazione di individuare nella Scuola Bottega un luogo di attività socio culturali di diverso tipo e soprattutto al passo con le esigenze territoriali e produttive. Questa forma di scuola intende fornire servizi di supporto e deve essere in grado di costruire risorse e offerte di opportunità, ponendosi anche come interlocutore per l progettazione integrata. Questa formazione contempla ,oltre alle competenze tecniche , inculcare nelle menti degli apprendisti la cultura dell’associazionismo tra le imprese. Il risultato di questa forma di apprendistato permetterà ai giovani di acquisire due grandi peculiarità. 1) Avere fiducia in se stessi; e credere che insieme si possono creare le basi per un’economia forte ed autonoma.2)Avere fiducia nel territorio. Saper inventare, professionalizzarsi e poi privilegiare e difendere i nostri prodotti significa dare impulso ed aiutare la nostra economia. Una scuola con programmi così cambiati saranno da apripista ad una nuova cultura che metta al centro i saperi e i meriti dell’individuo. E sarà da sprono per eliminare , purtroppo gradualmente ,il consolidato metodo corruttivo e clientelare che tanti danni ha inflitto e infligge al nostro Belpaese. Sarà certamente un percorso lungo , ma necessario per cambiare una società, che tutti abbiamo edificata, sempre incline all’edonismo, al vizio e ai privilegi per pochi , e al sacrificio e alle sofferenze per la maggior parte del popolo. L’attuale situazione è talmente radicata e atavica per cui anche i tanti giovani cervelli,dopo esperienze estere positive, rinunciano , anche a parità di salario, a ritornare in patria, poiché si sentono vittime di un trattamento feudatario in un ambiente medioevale. D’altronde la prova più eloquente della nostra scuola carente è testimoniata dall’esperienza che tanti nostri giovani acquisiscono all’estero,che poi non riescono più ad adattarsi alla cultura atavica italiana. La storia di Paolo, un ingegnere informatico, è sintomatica e merita di essere raccontata. Egli, dopo ben cinque anni di vita londinese, ritenendo che con la sua professionalità avrebbe trovato facilmente lavoro , decide di rientrare in Italia, con due obiettivi: tentare di avviare un’attività autonoma ,o cercare un’occupazione nella branca digitale. Era alquanto stanco della vita inglese, dove , è vero tutto funziona bene come un orologio; ma , lui per motivi professionali e nostalgici , decide di rientrare nella sua città , Milano. Pur entusiasta dall’idea di ritornare a casa ,nelle ultime settimane di lavoro a Londra, la sua testa era stata assalita da un nugoli di pensieri che lo martellavano con il perenne dubbio : faccio bene a rientrare nella mia città? Era ancora in tempo a rimanere in Inghilterra ,se lo avesse voluto . I suoi superiori , dapprima con discrezione e poi sempre più con concrete proposte, come un aumento di stipendio e un avanzamento di carriera, lo invitavano a restare al proprio posto. Paolo era un ingegnere molto apprezzato che ,oltre a svolgere molto bene il suo lavoro, aveva un rapporto collaborativo privilegiato con tutti i colleghi. Ma, come spesso é accaduto a tanti emigranti, era anche lui succube di quella struggente malattia : la nostalgia,che quando ti assale : ti colpisce e ti sciorina davanti agli occhi , come un film, la sequenza dei tuoi avvenimenti passati,specialmente i più gioiosi, che t’invitano a ritornare in quei posti con la speranza di riviverli. I giorni trascorrevano e l’ora del rimpatrio si avvicinava, ma un’inquietudine sempre più spavalda attaccava non soltanto il cervello ,ma anche l’animo di Paolo, e pur fingendo di non sapere a cosa attribuirla, il suo convincimento di lasciare Londra vacillava come una nave quando viene assalita da raffiche di vento violenti. Diverse sere ,prima di addormentarsi questo enigma simile a quello di una donzella: m’ama non m’ama, lo assaliva e gli impediva di addormentarsi. Pur sapendo che tutto dipendeva da lui,anzi proprio per questo, era molto combattuto se restare o meno a Londra.Non poteva accettare di abbandonare tutto: un buon posto di lavoro, gli amici e , soprattutto, la fidanzata con la quale aveva un rapporto eccezionale. Anzi con Rosy, questo il nome della ragazza, aveva pianificato la possibilità di una convivenza ,a cui doveva seguire, dopo circa un anno, il matrimonio. La giovane ,originaria del Sussex , anche lei impiegata nel settore informatico, pur rammaricandosi molto della decisione del fidanzato fece buon viso e si fece promettere da Paolo che lei, dopo qualche tempo l’avrebbe raggiunto in Italia. L’ingegnere ebbe un segno premonitore che la sua decisione del rientro in patria fosse avventata, quando una sera bollozzolando per il quartiere entrò in un pub. Mentre beveva una birra , si avvicinò un uomo anziano con cui iniziò una conversazione sui fatti futili del momento . Dopo qualche minuto ,in cui l’anziano gli offrì un cognac perché il giovane italiano gli era simpatico e si presentò: “ Mi chiamo mi piace frequentare i pub più diversificati in più quartieri ,perché s’incontrano persone provenienti dalle parti più disparate del mondo. Da giovane ho girato il mondo e ho vissuto tre anni in Brasile e quattro negli USA esattamente in Pennsilvania , nella città di . Ma tu da dove viene ,poiché pur parlando bene l’inglese,hai una lieve cadenza straniera.” Paolo ,che grazie alla conversazione con lo sconosciuto e ad alcuni boccali di birra aveva almeno in parte, dimenticato il suo problema, senza esitazione rispose:” Sono italiano di Milano , ma sarò qui a Londra ancora per poco tempo; ho deciso di rientrare nella mia città.” X ,dopo qualche istante di riflessione chiese all’occasionale amico: “ Ma tu che lavoro fai ? e non ti trovi bene qui. Certo, spesso la nostalgia gioca brutti scherzi ,ed io ho una certa esperienza. Tuttavia se qui hai tutto ciò che un uomo può desiderare , compreso ,magari, una bella donna, perché lasciare tutto. Perché abbandonare il certo per l’incerto. Al posto tuo, mi comporterei in questo modo. Chiederei un paio di mesi di permesso alla mia azienda , andrei nella mia città e vedere se mi trovo bene. In questo periodo, pur breve, mi renderei conto di tante cose , e poi deciderei. Questo lasso di tempo , ti permetterà di conoscere tutte le normative occorrenti per iniziare un’attività autonoma e, soprattutto,conoscere la realtà concreta di una tale iniziativa.” Paolo, nonostante una piccola nebbia dovuta agli effetti dell’alcool che gli impediva di guardare con limpidezza la realtà, riconobbe che i consigli dell’anziano erano ottimi. Si affrettò a pagare il conto, ringraziò l’occasionale compagno, guadagnò il suo appartamento ,dove in solitudine poter approfondire il suggerimento di X . Non fu semplice ammettere neppure a se stesso che , forse, lui era stato precipitoso nel volere lasciare l’Inghilterra senza aver sufficienti garanzie di lavoro al rientro nella sua città. Alcuni giorni dopo si recò dal Direttore e chiese due mesi di permesso per poter rientrare in Italia e rendersi conto se la sua decisone sarebbe stata positiva. La azienda gli concesse 45 giorni , parte di permessi e altri di ferie. La settimana successiva , dopo essersi accomiatato dai colleghi, aver salutato e abbracciato la sua fidanzata, Paolo rientro a Milano. L’ingegnere non aveva tutto il denaro per avviare l’attività autonoma programmata; era convinto, tuttavia, che la bontà del suo progetto avrebbe incuriosito qualche banca e facilitargli il prestito ,se non una conpartecipazione. Purtroppo, la realtà era più complicata di quanto avesse potuto prevedere. Certo respirare l’aria di casa propria fu molto salutare e gli permise riappropriarsi del suo antico entusiasmo familiare. Rivide alcuni vecchi amici del liceo e dell’Università con cui trascorse alcune ore a rammentare i bei tempi andati. Tuttavia, ognuno aveva il suo impiego ed erano presi tanto dall’amor proprio che non conveniva neppur informarli che volendo rientrare a Milano, intendeva aprire un’attività in proprio . Soltanto con due dei suoi migliori amici ,impiegati presso multinazionali, confessò la sua ambizione di avviare la sua attività. S’informò sulle normative di eventuali prestiti attraverso una finanziaria, ma dovette subito lasciar perdere poiché ,oltre ad avere dei costi elevati, esigevano garanzie milionarie. Dopo una diecina di giorni, accantonata l’idea di avviare , almeno per il momento , l’attività in proprio, cercò un posto di lavoro presso un’azienda d’informatica . Non fu molto complicato, soprattutto perché le sue esperienze estere gli furono da garante. Quando iniziò a lavorare , gli sembrò di essere approdato in un’isola deserta dove non trovi neppure una goccia d’acqua per dissetarsi. Il rapporto con i colleghi era abbastanza accettabile, ma l’atteggiamento dei superiori era alquanto freddo ,se non arrogante. Paolo ritenne che ,forse, era dovuto al fatto di essere nuovo e quindi credeva fosse normale essere trattato con distacco. Dopo i primi compiti svolti da solo ebbe la certezza che quei superiori erano persone molto superbe. Esisteva una competizione con trucchi e malvagità ,che non si potevano accettare. La goccia che fece traboccare il vaso avvenne la terza settimana ,quando lui affido al suo diretto superiore l’analisi di un sistema abbastanza sofisticato fornendogli tutte le relative spiegazioni. Il giorno successivo , come un temporale a ciel aperto, fu chiamato con urgenza dal direttore e, non appena ebbe messo piede nel suo ufficio, fu aggredito con modi abbastanza scorbutici . Terminata la sfuriata , Paolo ,con la dovuta calma chiese quale fosse il problema. Il direttore ,un poco calmato, disse:” Ho fatto la figura dell’imbecille davanti ad un cliente importante poiché il tuo lavoro era incompiuto. “ L’ingegnere con calma asserì:” Quando ho consegnato il mio lavoro al Dott. Ho aggiunto che per essere operativo sono necessari alcuni cambiamenti. E se mi dava qualche ora di tempo l’avrei completato. Lui, però, mi ha prese il lavoro senza dirmi nulla e mi ha pregato di ritornare al mio posto.” Il direttore ,ormai calmo, anzi quasi un poco vergognoso di quanto accaduto,tira fuori il progetto e me lo da per completarlo, e aggiunge:” Appena finito me lo porti ,per favore.” Nel pomeriggio ,una volta apportate le modifiche , consegnai il mio progetto al direttore. Due giorni dopo, la segretaria mi prega di recarmi nell’ufficio del direttore. Quando arrivo lui è attorniato da tutti i suoi colleghi ,tra cui il mio diretto, superiore e, senza ghirigori annuncia solennemente: “ Grazie ingegnere Paolo, grazie a lei abbiamo acquisito un’azienda mondiale tra i nostri clienti.” Tutti si congratulano con me. Ringrazio , saluto e quando sto per andarmene il direttore mi chiede di sedermi e festeggiare l’evento. Io ,con grande educazione gli rispondo: “ Mi scusi ho da sbrigare una cosa importante.” Pensando di fare pesare la sua autorità aggiunge:” Qualsiasi cosa può attendere.” Ma io deciso, gli rispondo:” No Signor direttore. La mia lettera delle dimissioni non può attendere.” Dopo sei settimane ritorno a Londra , riprendo il mio posto e mi riapproprio della vita londinese: mi sembra di aver vissuto un brutto sogno , ed ora , finalmente tutto è finito. Il breve soggiorno di Paolo nella sua città natale gli fece rammentare che l’atmosfera e il comportamento professionali ,purtroppo, è ancora molto padronale e gli rammentano alcune regole del Medioevo di cui ,durante le conversazioni con gli amici italiani trapiantati da diversi anni in Inghilterra , discuteva evidenziandone gli svantaggi per tutti,specialmente per i cittadini meno abbienti. E..nonostante il trascorrere dei secoli la cultura comportamentale nel Belpaese non ha fatto significativi passi avanti. In fondo ora come allora l’inizio del Medioevo si sviluppò a causa della debolezza dello Stato e che ,come una pianta è cresciuta a dismisura. Il suo principale obiettivo era ed è l’allargamento di clientele attorno ad un capo, che decide autonomamente sulla vita dei suoi concittadini. Il terreno fertile già dai tempi dei barbari su cui si radicava il potere del Signore aveva le sue radici nella precarietà dell’economia, nelle violenze che rendevano drammatici i rapporti tra persone, il sentirsi isolati,abbandonati dal potere pubblico tradizionale sviluppava le forme di organizzazione sociale,che di fatto persistevano da tempo. Per certi versi l’inizio del Medioevo aveva una giustificazione sociale, poiché robuste comunità di Villaggio, associazioni contadine e larghe organizzazioni di consanguinei affrontavano validamente l’affermarsi dei vincoli personali fra uomini di diverse famiglie. Queste realtà associative contavano sul raggruppamento etnico , potente fattore di aggregazione specialmente durante le spedizioni armate. Quella società facendo parte del Medioevo ,aveva constatato il riemergere di solidarietà tra uomini, e si formarono modelli organizzativi astratti . Inoltre le diverse popolazioni che irruppero nell’impero romano contribuirono all’irrobustimento di quelle forme di associazioni,parentele ed etniche , modalità essenziale del raggruppamento sociale. Tale sistema fu da esempio ad altri schemi organizzativi , dove eccellevano i legami familiari che influenzarono anche i conventi e congregazioni di monaci. Il peso della coesione familiare e parentale generò il rapporto feudale tra vecchi e giovani con una spiccata familiare delle due definizioni, insieme ad altri appellativi , il Signor e il suo vassallo. Del resto il rapporto interno della famiglia si allargava sulla sfera spirituale delle relazioni: quella di Dio e dei suoi figli. Il legame di sangue dunque era realtà e modello nello stesso tempo. E come tale declinò per lasciare emergere il carattere astratto delle altre forme organizzative che tanto influenzava.

-La Globalizzazione – L’inizio della globalizzazione,contrariamente a quanto si crede ,ha avuto luogo sin dai primi decenni del 19 secolo. Cominciò timidamente verso il 1820 -30 per poi svilupparsi,grazie all’invenzione e alla funzionalità su larga scala del telegrafo. Fu un grande progresso per i notiziari di stampa, che in seguito si trasformarono in giornali,e poterono pubblicare notizie da tutto il mondo in tempi reali, informando così i popoli. Il più grande contributo a quel tipo di globalizzazione che tuttavia non contemplava ,a differenza di quella odierna, ad impoverire le persone meno abbienti locali; ma permetteva a tutti uno sviluppo omogeneo e un benessere generale. Dalla fine dell’ottocento a metà degli anni sessanta del novecento in diverse Nazioni , ma specialmente in Belgio ci fu una massiccia emigrazione di uomini proveniente da diversi Paesi europei,molti anche dall’Italia, per poter lavorare nelle miniere. Quel fiume di lavoratori, spesso raggiunti dalle proprie famiglie, permise al Belgio d’incrementare la propria economia al rialzo. Ossia la necessità di costruire abitazioni,scuole , asili ,strade ed altre strutture permise anche agli stessi proprietari delle miniere di diversificare i propri investimenti e a tuta la popolazione di avere un’occupazione fissa ed un maggior benessere. I figli degli emigranti e i loro discendenti ,con il trascorrere degli anni, sono diventati artefici di un’economia sempre più forte e sicura. La rivoluzione economica del decennio 1840 – 50 condotta principalmente dalla medio e alta borghesia nelle Nazioni del Nord Europa, dove , nonostante esistevano alcuni stati divisi politicamente , riuscivano ad integrarsi culturalmente con l’avvento degli scambi commerciali e con la crescita della produzione degli articoli, prodotti in forma industriale. Gli artefici di questo sistema, che ben presto si espanderà nel mondo intero,furono i liberali moderati dell’Europa occidentale che fecero due importanti scoperte: che la rivoluzione era pericolosa, e che,per ottenere soddisfazione ad alcune loro richieste, specialmente in campo economico, se ne poteva fare a meno. A sua volta il nerbo della piccola borghesia radicale, gli artigiani,i piccoli bottegai e perfino gli agricoltori, insoddisfatti, i cui portavoce erano degli intellettuali, pur rappresentando una forza considerevole , non era una vera alternativa politica. Loro appartenevano in genere alla sinistra democratica. Per esempi in Germania , la sinistra chiedeva nuove elezioni,anche se il suo radicalismo godeva di un buon seguito in numerose regioni, tuttavia ormai aveva già perduto il fulcro delle grandi città riconquistate dalla reazione dei moderati. Analoghe iniziative avvennero sia in Francia che in Austria dove, però si misero in evidenza gli studenti universitari della Legioni Accademica che rappresentavano delle vere truppe d’assalto. Tuttavia credere che il 1848 sia stato la “rivoluzione degli intellettuali. Essi non ne occuparono il proscenio più che nelle altre rivoluzioni scoppiate,in paesi relativamente retrogradi,in cui il grosso dei ceti medi consisteva e consiste di uomini con un certo grado di cultura e di esperienza nel maneggio della parola scritta: laureati in genere, giornalisti, insegnati , funzionari. Uomini di un certo spessore intellettuale come Freiligrath ,membro del giornale di Carlo Max, in Germania Victor Hugo e il moderato Lamartine in Francia . Tuttavia , questi uomini potevano recitare una parte decisiva ; come appartenenti a un ceto sociale specifico, ma non come portavoce della piccola borghesia radicale. Il radicalismo generico che si esprimeva nella richiesta di una costituzione democratica dello Stato , sia repubblicana, che costituzionale che desse agli artigiani e ai contadini un controllo diretto sulla proprietà comunale e mettesse in loro mano una serie di funzioni esercitate oggi dalla burocrazia, era abbastanza genuino, anche se la depressione economica , gli conferivano un taglio di particolare asprezza.
Un aspetto molto rilevante sin da quel decennio fu il connubio tra scienza ed economia ,per penetrare nel settore della produzione. Una conseguenza di questo provvedimento fu lo sviluppo dell’industria. I pionieri della prima fase industriale ,Gran Bretagna e Belgio, non erano stati fra i Paesi più colti, e i loro sistemi di istruzione tecnica e superiore erano scarsi. Da quel momento risultò quasi impossibile , per un paese che non godesse di un’istruzione di massa e di istituti superiori adeguati,divenire un’economia moderna: inversamente paesi poveri e retrogradi con un buon sistema scolastico come , per es. la Svezia trovavano più facile l’accesso alla via dello sviluppo. Il valore pratico di una buona istruzione elementare per una tecnologia su basi scientifiche, sia economica che militare,è ovvio. Un valido motivo della facilità con cui i prussiani batterono i francesi fu il gradi d’istruzione molto superiore dei loro soldati. D’altra parte, la necessità per ottenere un livello più alto di progresso economico, non era tanto l’originalità e la raffinatezza in campo scientifico, che potevano comunque prese in prestito, quanto la capacità di padroneggiare la scienza: lo sviluppo più che la ricerca. Le università e gli istituti superiori pur modesto in confronto di Cabridge e dell’Ecole Polytéchnique erano superiori economicamente ai loro equivalenti inglesi. Sotto questo aspetto i tedeschi potevano contare sulle loro ottime scuole secondarie più che sulle loro universitarie, e già negli anni 1850 lanciarono per primi un tipo di scuola secondaria non classica di orientamento tecnico: La Realschule. Comunque allora la tecnica si basava sulla scienza, ed è notevole la rapidità con cui le innovazioni di numero relativamente esiguo di pionieri scientifici, purché ragionassero in termini traducibili in macchine, vennero adottate in larga scala. Mentre nel periodo fino al 1850 Le Nazioni del Nord Europa ,pur fra tante lotte di potere interne, riuscivano a sviluppare la loro economia con il formidabile apporto delle scuole tecniche; in Italia , a causa dell’esistenza di tanti piccoli Stati avevamo situazioni differenti ma con il medesimo comun denominatore: La propria economia era ancora basata principalmente sull’agricoltura. Il Piemonte sotto l’egida del regno dei Savoia e, sia pure in collaborazione con la Francia, era più impegnato a combattere contro l’impero austriaco che a sviluppare la propria economia. Il Veneto e la Lombardia , preoccupati come uscire dalle grinfie dell’occupazione austriaca, dopo l’insurrezione di Milano, pur guardando con sospetto i repubblicani e con ostilità la rivoluzione sociale, non avevano la forza per ribellarsi. In seguito , sfruttando la debolezza degli stati italiani e l’esitazione dei piemontesi e , ancor di più , il rifiuto di chiedere l’aiuto della Francia, ebbe una cocente sconfitta dagli austriaci. Quella sconfitta screditò i moderati, e il comando di liberazione passò ai radicali,che nel corso dell’autunno presero il potere di diverse regioni e, all’inizio del 1849,instaurarono la repubblica. Tuttavia, per l’Austria, dal punto di vista militare i radicali non erano un pericolo serio e quando, dopo alcuni mesi, spinsero il Piemonte ad aprire le ostilità, i suoi eserciti ebbero la meglio. Inoltre, benché più decisi a cacciare l’Austria ed unificare l’Italia, i radicali condividevano con i moderati i timori di una repubblica sociale. Queste continue battaglie impedivano a queste due regioni di programmare un futuro ,dove accanto all’agricoltura con l’ausilio di artigiani e programmi mirati potessero avviare il processo di riconversione industriale. Anche in Toscana ed In Emilia Romagna l’economia era basata sull’agricoltura e sull’artigianato, ma come stava succedendo nel resto della Penisola, per mancanza di conoscenze e materie prime la febbre dell’industrializzazione non era ancora arrivata. Firenze e, in parte la Toscana, erano più interessate ad avere il primato della cultura italiana, certamente molto importante,ma ancorata soltanto all’arte e, in particolare, alla letteratura e pittura , non avevano i presupposti e la lungimiranza per aspirare ad uno sviluppo industriale. Le tante botteghe ,capaci di sfornare articoli pregiati , in particolare quelli tessili, erano molto piccole e guidati dai titolari o con l’ausilio di pochi dipendenti. La situazione del sud era molto più difficile, perché dominata dai diversi invasori che facendo combutta con l’aristocrazia e i proprietari terreni obbligavano il popolo ad una vista da schiavi. Tra l’altro, il problema demografico affliggeva quelle popolazione e, a causa della mancanza di opportunità di occupazione,dovuta sia alla inesistenza industria che al commercio molto limitato, oltre alla mancanza di terreni da coltivare, che i feudi preferivano tenere abbandonati, e ne favoriva l’esilio. Spesso i contadini, che dovevano sottostare a paghe di fame che non erano sufficienti neppure per sfamarsi,preferivano arruolarsi come mercenari e, spesso morivano, sui campi di battaglia dell’Europa centrale. Con l’avvento degli spagnoli la situazione non migliorò, anzi si ridusse alla mera miseria. I nuovi conquistatori, invece di apportare idee lungimiranti o proposte concrete per aiutare la popolazione a migliorare la propria condizione socio-economica, si limitò a sfruttare quel poco di economia che restava, a proprio piacimento, sommergendo la popolazione sotto un diluvio di tasse. In questo massacro, la nobiltà locale , non soltanto non mosse un dito per arginare l’arroganza spagnola, ma abbassò la testa e divenne complice degli invasori. I nobili meridionali erano sovrani assoluto nel loro feudo, i cui abitanti si consideravano più sudditi suoi che degli occasionali re invasori. S’instaura , pertanto, un’alleanza tra il Governo spagnolo e il feudalismo italiano che comportava anche l’aristocrazia. Costoro con la complicità della Chiesa tenevano sotto scacco la povera gente. Il Clero addolciva la pillola facendo apparire quella situazione di povertà come la volontà di Dio ,mentre gli invasori più con il bastone che con la carota obbligavano i contadini e gli artigiani a vivere come schiavi. I figli dei ricchi potendo studiare , divennero dei professionisti e furono impiegati nei ruoli più prestigiosi dell’amministrazione pubblica . Tuttavia, invece di dare una svolta epocale per un cambiamento radicale a quella miseria , formarono una sorta di confraternita chiusa all’interno di un’ alcova. Il loro comportamento saccente , ma molto arrogante, non apportò nessun beneficio neppure a loro stessi, poiché continuarono a ripetere le loro poesie abbellite da versi o citare Catone ,senza che nessuno potesse ascoltare. L’atteggiamento di questi intellettuali, dette un timbro particolare alla cultura meridionale. Insomma i liberali meridionali rappresentati ,in larga parte, da persone laureate ,invece di dare il proprio contributo alla società di appartenenza , si rifugiavano in diatribe di pura dottrina, di cui erano molto preparati. Loro conoscevano anche meglio dei loro colleghi settentrionali specialmente quella di scuola tedesca ,come Kant ed Hegel. E così mentre nel centro- nord la cultura riusciva, sia pure faticosamente a rompere le sue ancestrali paratie e a diffondere il pensiero moderato in strati sempre più larghi della popolazione, al sud continuava, e anzi si rafforzava l’isolamento degli intellettuali e la loro tendenza a chiudersi in circoli d’iniziati. Costoro non esercitavano nessuna influenza sulla società e nemmeno su quella massa popolare che il privilegio,la corruzione e l’inefficienza dell’amministrazione borbonica caricavano di potenziale rivoluzionario, ma che seguitava a manifestarlo alla vecchia maniera : con le cospirazioni, le rivolte il brigantaggio. Pertanto, a causa di questa cultura ancestrale e , forse, anche per invidia, chiusa alle classi meno abbienti, l’obbligo scolastico, a differenza dei Paesi nordeuropei avvenuto nei primi lustri dell’ottocento , ebbe luogo soltanto dopo quindici anni dopo l’unificazione dell’Italia. Anzi l’avvio del corso superiore biennale , previsto soltanto nei centri maggiori , avvenne nel 1877, che permetteva di accedere alle scuole superiori per agronomi, geometri, ragionieri , periti industriali. Questo ritardo di oltre mezzo secolo fu determinante per lo sviluppo industriale dell’Italia settentrionale ,che comunque ,grazie all’iniziativa di tanti pionieri,formatisi presso scuole e università del Nord Europa, raggiunse quello medio europeo. Pertanto, soltanto all’inizio del novecento , l’Italia del nord , esclusi per alcuni articoli , riuscì ad aggregarsi alla locomotiva dei Paesi europei. Il centro e il meridione, restarono fuori e, ancora oggi, oltre agli articoli dell’agricoltura, esistono poche industrie che hanno conquistato il mercato globale. Ciò é dovuto alla trascuratezza della politica che finge di non capire che per inculcare una cultura moderna occorre un cambiamento radicale degli attuali programmi di scuola,che attualmente sono refrattari a fare apprendere una professione sul campo ai giovani . D’altronde se i nostri laureati e non, trovano impiego nei Paesi nord europei e, dopo un tirocinio diventano dei validi professionisti, è la dimostrazione della carenza della nostra scuola. Per oltre un secolo quel tipo di globalizzazione era stato proficuo per i Paesi nord europei e con l’aiuto dei migranti avevano ampliate attività e benessere per tutta la popolazione. Mentre in Italia, specialmente nel settentrione, il grande sviluppo industriale è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale che ,però, è stata brava ad inserirsi tra le prime nazioni manifatturiere dell’Europa. Verso l’ultimo decennio del novecento ,imitando i colleghi esteri, i nostri gruppi industriali hanno delocalizzato le grandi produzioni di articoli manifatturieri più comuni nei Paesi del terzo mondo ,dove il costo della mano d’opera era molto più basso. Ma, ancora una volta, invece di seguire gli esempi degli imprenditori esteri: investire nei settori di alta tecnologia e prodotti di alta qualità, eccetto poche eccezioni, hanno tagliato la mano d’opera ,lasciando in Italia soltanto la sede legale. La conseguenza si un tale suicidio ha costretto molti giovani laureati e non , ad emigrare nei Paesi del nord Europa , Stati Uniti e Canadà. Per spiegare meglio il concetto è sufficiente descrivere la storia di un nostro giovane che, nonostante la sua volontà di lavorare nel suo paese, è stato costretto a recarsi a Berlino, dove ha trovato un buon impiego. Cito questo esempio ,perché mi rammenta una frase ascoltata da un professore di economia tanti anni fa: i migliori Italiani vivono all’estero. E, quando due anni fa ,mi recai a Berlino mi rammentai di quella frase mentre conversavo con il mio amico Onofrio che mi ospitava; un giovane medico che, avendo trovato difficoltà nel trovare una struttura dove esercitare la specialistica di cardiologia, fu costretto ad accettare un contratto dall’ ospedale Dopo alcuni anni dal nostro ultimo incontro , accettai il suo invito ,considerato che mi recavo nella capitale tedesca per una settimana,dopo averla visitata negli anni novanta. Uno dei tanti dialoghi più gettonati che gli Italiani, ma forse anche le persone di altre nazionalità residenti all’estero, parlare con nostalgia della propria patria. Onofrio sembrava, almeno inizialmente, essere un’eccezione a quella regola; ma , dopo qualche attimo , la lingua batte dove il dente duole. Amava descrivere con un velato orgoglio i progressi che stava compiendo da quando era approdato a Berlino. E , nonostante il suo carattere appariva refrattario a qualsiasi tipo di nostalgia , alla mia ennesima provocazione , espresse il suo parere:” A me interessa relativamente la carriera o un lauto stipendio , ma semplicemente poter lavorare in un ambiente sereno. Certo ,neppure qui tutto è perfetto , ma un punto è fermo:il tuo merito viene sempre considerato. Tu puoi essere anche il figlio per Primario,ma ,se le tue competenze sono scarse, occuperai un ruolo secondario. D’altronde in ogni branca viene catalogato al primo posto esclusivamente il merito.” Pur condividendo il suo punto di vista, ero curioso di appurare se in fondo al suo cuore ci fosse un briciolo di nostalgia,che lui. Forse, per orgoglio personale cercava di nascondere. E , senza menar il can per l’aia, asserii:” Ma tu , se avessi l’opportunità di buon posto di lavoro in un ospedale o clinica nella tua Regione, o comunque in Italia accetteresti ? E’ opportuno che tu consideri l’allegria e il carattere gioviale degli italiani con quello dei tedeschi?” Onofrio, pur capendo che era una provocazione, senza scomporsi , rispose:” Sono sempre in contatto con degli amici,con cui ho frequentato l’Università prima e, il primo tirocinio dopo; dai loro ragionamenti sono ogni giorno più convinto che io ho fatto la scelta giusta. Loro mi raccontano il clima servile da parte del personale non soltanto verso i medici più esperti, ma soprattutto verso i Managers, con la speranza di poter avere una mansione più prestigiosa. Purtroppo,dai loro discorsi mi rendo conto di essere stato fortunato di operare e vivere In questa città moderna e piena di opportunità. A me non piace fare il moralista ma è opportuno precisare che la nostra Italia difficilmente cambierà mentalità, perché nel suo DNA vuole continuare a mantenere privilegi e corruzione, invece di optare per la giustizia e l’equità.” Come non dare ragione ad Onofrio che dal suo discorso, pur uscendo una certa rabbia per essere costretto ad emigrare, si è rassegnato e vive abbastanza felice. Il suo atteggiamento è , tuttavia, è simile a quell’innamorato che, quando scopre che la sua beneamata lo tradisce e, pur continuandola ad amare, esprime parole di rabbia e di disprezzo. Egli però è stato molto perspicace , perché non ha voluto barattare la sua dignità di uomo con l’aderenza alla cultura medioevale ancora esistente in tante branche e regioni, del Belpaese. Avendo mancato l’aggancio ai Paesi Europei non soltanto come sviluppo economico ,ma come organizzazione amministrativa, il cammino della nostra Nazione è stato sempre tortuoso, insicuro e in perenne pericolo. E, quando , verso l’ultimo decennio del ventesimo secolo si pensava che un certo benessere potesse offrire a tutti cittadini l’opportunità di poter lavorare a casa propria; allora è iniziata una decadenza che ci ha portato sulla soglia della povertà. I soliti Salomone hanno avuto l’abilità di mascherare questo arretramento con la magica parola: La globalizzazione. Questa parola che in passato, come abbiamo avuto modo di scrivere, permetteva specialmente ai Paesi pieni di materie prime di offrire ai propri cittadini e a tutti gli immigrati un certo benessere; ora è diventata l’agonia della povertà.

La globalizzazione ha principalmente due significati. Alcuni ritengono che sia un mezzo per toccare la felicità; per altri è la causa della nostra decadenza. Per tutti ,però, significa il fatale destino del mondo; un processo irreversibile che,nostro malgrado , coinvolge tutti alla stessa maniera; e ,nonostante la resistenza di alcuni,subiamo tutti gli effetti della globalizzazione. Spesso le parole hanno un destino comune: più intendono chiarire un concetto,più lo complicano. Più asseriscono delle negazioni, e più si trasformano in norme indiscutibili. Spariscono le pratiche umane che il significato tentava all’inizio di evidenziare, o il termine sembra descrivere alla perfezione i fatti e la qualità del mondo reale, con la sfacciataggine di estraniarsi da qualsiasi critica. Con –compressione—dello spazio e del tempo contempliamo le varie trasformazioni che stanno investendo la condizione dell’uomo odierno. Ciò che appare come conquista di globalizzazione per alcuni, rappresenta un arretramento alla dimensione di libertà locale per gli altri; dove per certi la globalizzazione segnala nuove libertà, per altri appare come un destino indesiderato e crudele. La globalizzazione divede e unisce nello stesso tempo; le cause della divisione sono òle medesime che dall’altro lato, promuovono l’uniformità del globo. In parallelo al processo emergente di una scala planetaria per l’economia, la finanza, il commercio e l’informazione, viene avviato un altro processo che impone dei vicoli spaziali, tutto ciò che viene definito delocalizzazione. Il complesso connubio dei due processi comporta che si vedono differenziando in maniera drastica le condizioni in cui vicvono intere popolazioni e vari segmenti all’interno delle singole popolazioni. La mobilità assurge a rango più elevato i valori che danno prestigio e la stessa libertà di movimento , da sempre una merce scarsa e distribuita in maniera ineguale, diventa rapidamente il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi, che possiamo definire tardo moderni. Alcuni di noi sono globali nel senso etimologico del termine; altri sono inchiodati alla propria località; una condizione per nulla piacevole sopportabile in un mondo in cui i globali comandano. Insomma voler essere attaccati al mondo locale significa essere inferiori e appartenere al degrado sociale. Il peso di un’esistenza attaccato allo stesso luogo è aggravato da una circostanza:oggi gli spazi d’interesse pubblico sfuggono all’ombra della vita globalizzata, gli stessi luoghi stanno perdendo la loro capacità di generare e d’imporre significati all’esistenza,e dipendono in misura crescente dai significati che vengono loro attribuiti e da interpretazioni che non possono controllare. Oggi, gli Stati Nazione non riescono più a fare quadrare i conti quando a prevalere nella sfera della propria sovranità sono gli esclusivi interessi della popolazione. In quasi tutto il mondo le economie nazionali sono dominate dai mercati finanziari globali che quali padroni esclusivi agiscono in modo autonomo, imponendo leggi e regole all’interno del pianeta. Gli Stati non hanno sufficienti risorse o la libertà di manovra per sopportarne la pressione per una semplice ragione: bastano pochi minuti per fare crollare qualsiasi impresa e gli stessi Stati. I nuovi Signori del mondo non si prendono il fastidio , spesso rognoso e pesante, di governare direttamente. I vari Governi hanno l’obbligo , simile ad un servo, di amministrare gli affari per conto dei loro Signori e Padroni. La globalizzazione ha dato coloro che erano già ricchi maggiori opportunità di fare soldi più rapidamente. Ricavano ingenti somme con la tecnologia che, purtroppo, non apporta nessun vantaggio sulla vita dei poveri. In realtà è un paradosso: fa arricchire pochissimi , e taglia fuori due terzi della popolazione mondiale. I movimenti globali delle risorse finanziarie viaggiano a forte velocità e con la collaborazione delle reti digitali che nei loro viaggi lasciano tracce tangibili e reali : spopolano e distruggono economie locali, che in passato aveva interesse a sostentare i propri abitanti con l’esclusione di milioni di persone che diventano incapaci di farsi assorbire dalla nuova economia globale. Il loro effetto di lungo periodo è che la peste sviluppata nel mondo si circonda di una cintura protettiva di disimpegni; lw informazioni che provengono da fuori sono rappresentazioni di guerre, delitti, droghe, saccheggi, malattie contagiose, rifugiati e fame; ossia ciò che ci minaccia. Solo raramente e in tono pacato, ci viene comunicato delle armi omicide usate in quelle zone. Spesso ci viene ricordato quanto già sappiamo che questee armi usate per trasformare Paesi lontani in campi di battaglia, sono state fornite dalle nostre fabbriche, invidiose dei loro ordini accumulati e orgogliose della loro produttività e competitività. La ninfa vitale della nostra prosperità. L’associazione tra località remote e omicidi, epidemie e saccheggi svolge anche un’altra funzione. Considerata la loro mostruosità, si deve essere contenti o rompi questo stato di fatto , perché si tratta di entità locali lontane e pregare che continuino ad esserle.Che gli affamati vogliano andare dove il cibo c’è ne in abbondanza è ci si potrebbe naturalmente aspettare da esseri umani razionali; lascialrli agire in base alla loro volontà è anche quanto la coscienza dovrebbe suggerire come comportamento corretto, moralmente preferibile. E’ a causa di quest’innegabile razionalità e correttezza etica che il mondo razionale e moralmente cosciente si sente così umiliato dalle prospettive di emigrazioni di massa dei poveri e degli affamati; è così difficile senza sentirsi colpevoli, negare alla povera gente affamata il diritto di andare dove l’abbondanza di cibo è maggiore. Ed è virtualmente impossibile avanzare argomenti razionalmente ragionevoli per provare che le l migrazioni sarebbero per loro irragionevoli. Si deve negare agli altri lo stesso diritto alla libertà di movimento di cui si fa il panegirico definendolo il massimo risultato della globalizzazione mondiale il segno della prosperità crescente. Il quadro disumano che regna nelle terre dove possibili emigranti risiedono è perciò molto utile,poiché rafforza decisioni prive di un fondamento razionale ed etico che possa sostenerle. Esso contribuisce alla volontà di fare locale i locali, permettendo allo stesso tempo ai globali di viaggiare con la coscienza pulita.

3. TRE VISIONI …. da CORONA VIRUS
LA FINE

Una visione afferra il cuore e mi blocca. Una visione che corre veloce all’anno “0” e, come un grande arco, si collega all’oggi, al 2020. Un arco che unisce due uomini, soli. Uno all’inizio, l’inizio di una nuova era. Un’era grande. Lunga. L’altro alla fine. Di questi giorni. Il Papa appare solo, perso nello spazio infinito di San Pietro. Unico celebrante. Sperduto. Faccia triste, voce flebile, lenta, tono basso, sguardo vago. Cerca il suo “gregge”, che non c’è. La folla è scomparsa. E’ Pasqua. Cosa celebra? La morte. Di chi? Di Uno, di tutti?
Come una umanità scomparsa. Fine dell’Umanità? Fine della Chiesa? Servirebbe un inno alla vita. Assistiamo ad un inno alla morte. Impossibile dimenticare, cancellare l’immagine papale sotto un crocifisso imponente, che piange e sanguina. Il simbolo cristiano della morte. Mentre la gente piange.
Il pensiero torna all’inizio dell’arco, alla fortuna avuta, 2020 anni fa, da un Predicatore intelligente, un dio per i seguaci, che trova davanti a sé un impero. Un impero grande. Una sola lingua per parlare e predicare. Un impero facile da conquistare. Con la parola. Sembra impossibile, ma alla fine ci riesce. Pone il suo erede a capo dell’impero, che da Romano, diventa Cristiano, poi Cattolico. Roma finisce. Tutto finisce. O sembra finire? In realtà assistiamo ad una sostituzione, imperiale, che riprende una tradizione, finita da tempo. Quella preesistente ad Atene e a Roma. Un ritorno al passato. Il Faraone egiziano, e non solo, era già re e dio allo stesso tempo. I Greci ed i Romani avevano interrotto questa identificazione. Pietro ed i suoi seguaci la reintroducono. Rappresentanti di dio e re allo stesso tempo, sovrani di un territorio. Di Roma. Una unione perfetta tra cielo e terra.
Oggi il sovrano vaga sperduto. È sofferente, triste, addolorato. Sembra aver perso il suo regno, i suoi sudditi, i suoi fedeli. I membri della sua chiesa. È SOLO!
Non sa cosa guardare, a chi rivolgere la sua predica, la sua omelia. Lo sguardo vaga intorno, lentamente. Non incontra nessuno. Si perde all’infinito, come ad evocare, a “cercare” la morte, unica consolatrice. Che aspetta all’esterno.
Forse servirebbe un nuovo “predicatore”, capace di cogliere e interpretare le paure del nostro tempo. Le paure dell’uomo solo, che emergono in questi giorni terribili. Mille interrogativi a cui nessuno sa rispondere. Quello attuale, il papa sovrano, e gli “altri re” che si aggirano per il mondo, non cambierà in così breve tempo. Ormai è solo, come tutti i re. Non sa più a chi rivolgersi. Ha perso i sudditi, da tempo. Non per colpa della pandemia. Sembra arrivato all’epilogo. Gli occhi tristi continuano a vagare, ma non incrocia nessuno sguardo. Si perdono nel vuoto. Infinito. È commovente. Sembra la fine. La fine di un Impero, come avvenuto per quello romano. E per tanti altri, che pensavano e/o pensano di essere eterni. Come l’uomo? Una dimensione misteriosa, ingannevole, incomprensibile, che induce a giustificare ogni cosa.

Mentre la fine arriva sempre. Per tutto. Per tutti.
Meglio evocare la vita. La sua dimensione. Terrena. La sua
difesa.
All’improvviso un grido, che cerco di trattenere, fuoriesce dalla gola. La chiamo. La sento. Sento la vita. Il cuore pulsa forte. Lei sopravviverà. Sempre. Anche se San Pietro cadrà. Ma Pietro-Francesco uscirà in tempo.
Aprile 2020

LA FILA
Sono allineate. Una fila. Tante file. Sembra un disegno perfetto. Ma strano, raro, mai visto. Un doppio trapezio che si moltiplica in continuazione. Aumenta il suo volume. Lineare. A terra. Come una macchia d’olio che si espande lentamente. Moltiplica le forme perfette. Inavvertitamente occupa tutto lo spazio che trova. Con tempo. Con calma. Non si ferma.
Una nuova fila compare. Questa volta è più veloce. Autocarri grigio-verde. Si muove dagli spazi, unti, di Bergamo. Conducono le bare, sole, in luoghi sconosciuti. Vogliono nascondere ciò che sta accadendo, fermare la paura. Interrompere la fila precedente. Che invece continua. Alimenta quella che corre veloce. Verso l’ignoto. Nel silenzio e nell’abbandono più totale. Scorre a fasi alterne, ma continua. Inesorabile. Sembra non volersi arrestare mai. Il Corona Virus ha tutto il tempo per alimentarla. Non ha fretta. Come la Cina. Come la fila dei “pipistrelli” del suo regime, che, lentamente, volano verso di noi, verso l’Europa. Verso il mondo. Da tempo. Hanno aspettato millenni per muoversi. Bisogna fermarli. Fermare la fila.

Aprile 2020

LA VITA

Una pagina intera d’alfabeto. Le vite. Un alfabeto lungo. Che disorienta. Blocca il fiato. Non capisco. Sembra una pagina bianca. Con delle striature lineari. Nessuna figura. Nessun disegno. Nessuna foto. Nessuna immagine. Nessun colore. Non sembra la prima pagina di un giornale. Del NY Times. Solo lettere. Lettere che compongono nomi. Nomi che raccontano vite. Vite eliminate. Dal Virus. Virus invisibile. Si aggira tra i viali di N.Y. Deserti. Senza sabbia. Senza vita. Le vite sono partite. Sono andate via. In silenzio. Vite raccontate, cantate con le note dell’alfabeto. Per tutti noi. Per non dimenticare. Per vivere con loro. Per loro. Per le altre vite. Nelle strade di New York.

Maggio 2020

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