Diario in coronavirus

Diario in coronavirus con grani di scrittura – 7°

Indice

7° Domenica di Lettura – 26 aprile 2020

Federazione Unitaria Italiana Scrittori
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Diario in
coronavirus
con grani di scrittura

7°
Domenica di Lettura –
26 aprile 2020

Proponente FUIS – Natale Antonio Rossi
7° testo proponente FUIS
La democrazia degli scrittori e il valore dell’opera letteraria e d’arte

La sudditanza degli autori e degli artisti dall’autorità e dal potere è stato sempre documentato indiscutibilmente dai tentativi che i produttori dell’ingegno letterario e artistico, cioè gli autori, hanno compiuto per dare valore artistico e letterario non soltanto economico alla loro opera.  Ed è un valutare a parte, con significanze d’ordine estetico (ed etico) quasi mai coincidenti con le modalità sociali od economiche di valutazione del lavoro dello scrittore e dell’artista.
Quanti scrittori, quanti artisti sono morti senza che i contemporanei riconoscessero il valore delle loro opere!
Quanti scrittori, quanti artisti hanno trascorso gli ultimi anni della loro vita, e sono morti, in povertà, nonostante il valore – post mortem – anche economico riconosciuto alle loro opere!
Lo status sociale degli autori e degli artisti è quello tipico dei soggetti deboli. Non solo: la loro caratteristica è quella di non appartenere alla “fede” comune, per cui sono ritenuti sempre “in malafede”, esseri umani fuori dal coro, pur sempre pronti a propugnare l’autonomia dell’arte o delle lettere, spesso vantata come professionalità della purezza.

Il possesso della capacità umana di fare arte, di produrre opere dell’ingegno in tempi di pestilenze o in questi giorni di coronavirus, di clausura* li pone in una condizione di giudizio particolare: sono quelli che per primi riescono a comprendere ciò che sta succedendo, ma anche ciò che non andava bene, ciò che non è da farsi. Cioè vedono di più, più lontano e meglio. Per esempio; sanno che in caso di eventi particolari inusitati, anche in occasione di pestilenze o simili, acconto all’epidemia sanitaria se ne divulga un’altra, si diffonde l’

  • epidemia degli imbecilli, alla cui classificazione appartengono coloro che credono di saperne di
    più degli altri, (“scientologi e specialisti, la cui percentuale ha ormai superato di gran lunga quella dei
    contagiati
    ” scrive in merito Laura Massacra) , coloro che lo sapevano che sarebbe successo, quelli
    dell’io l’avevo detto, quelli che hanno le chiavi per la risoluzione, quelli non rispettano le comuni
    accortezze, quelli che sanno quando si risolve e fanno le previsioni, in breve gli imbecilli cioè,
    come da  vocabolario “esseri dal comportamento stolido, menomato nelle facoltà mentali e
    psichiche
    ”. Non pochi si rinvengono anche negli ambienti della politica.
    Per converso, e al contempo, gli scrittori e gli artisti sviluppano, in casi di emergenza sanitaria, delle facoltà di percezione e di intendimento speciali al punto da potersi domandare, per esempio, come scrive Luigi Mazzella (in questo DIARIO)
  • se l’Italia ha perso la sua “sovranità  sino al punto di non poter soccorrere, senza il consenso dell’Unione Europea,  i propri cittadini”; resta  proprio fuori possibilità concrete la proposta avanzata nell’antologia precedente di creare degli ITALIA BOND fortemente caratterizzati da qualità artistiche e letterarie, oltre che economiche?
  • i sindacati e i sindacalisti dichiarano le loro migliori attenzioni alla tutela del lavoro, e non hanno capito che devono preoccuparsi di tutelare i lavoratori, a cominciare da coloro che si sono stufati di fare domande per ottenere invano un lavoro, dai non occupati,  dai senza lavoro,  dai disoccupati, dai giovani, dai licenziati anzitempo, dai prepensionati, dai cassintegrati, dagli esodati,, e poi gli extracomunitari, i sottoccupati, i sottosalariati, gli intermittenti, i cottimisti, i sottocottimisti, gli occupati in nero, senza contare la gran quantità di coloro in possesso di partite IVA. Coloro che sono inseriti nel mondo del lavoro possono essere ritenuti, se inseriti nel quadro appena enunciato,  perfino dei privilegiati.

Gli scrittori, gli artisti che potrebbero continuare con un elenco di situazioni e istituti da considerare con occhio speciale, preferiscono farsi riconoscere per le qualità che la cultura, l’arte  e la storia affidano loro: produrre opere dell’ingegno artistico e letterario di risonanza universale (oggi ancora di più di ieri come insegna l’epidemia globale del coronavirus).
Per questo nell’antologia della DOMENICA DI LETTURA dopo Pasqua, questa settima del 26 aprile, gli scrittori italiani ed europei auspicano – come scrive Francesco Gui in apertura di antologia –  di vedere  “i due grandi gruppi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, uno di fronte all’altro, porgersi la mano attraverso i mari”.
Perché questo avvenga, non solo  c’è bisogno di rispettare – come scrive Antonio Filippetti –  la “carta europea dei diritti dell’uomo”,  perché “contravvenendo a questo precetto si corre il rischio di vedersi “manipolati” in un bene fondamentale,  come quello della libertà, con la scusante dello “stato d’eccezione”, ma c’è  anche  la necessità di proporre idee e  novità.
A ciò risponde  l’inserimento delle bandiere – graficamente realizzate dall’artista Mino La Franca – in questa 7° antologia del DIARIO IN CORONAVIRUS CON GRANI DI SCRITTURA.
Si tratta, infatti, di un’ipotesi letterario-artistica onde corredare le bandiere dei Paesi europei di dodici stelle, simboliche, al fine di dare un segno della volontà degli scrittori per un’EUROPA UNITA con la costruzione degli STATI UNITI D’EUROPA. Una volontà che si inserisce nelle qualità degli scrittori italini di propore valori e contenuti universali.

* a cui sono ben usi perché la produzione dell’opera letteraria o d’arte si origina in solitudine (anche quando il prodotto è d’équipe)

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera dell’Italia

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Francesco Gui
Lettera al Direttore del Corriere della Sera
IL TRICOLORE CERTO, MA LE 12 STELLE?

Caro Direttore Fontana,
anche questa settimana il Suo giornale ha inalberato con passione la bandiera italiana, nel numero di venerdì 24 aprile.

La volta scorsa, come segnalato in questa pubblicazione della Fuis, si era trattato di un ampio cartoncino tricolore, tutto punteggiato su un lato di faccette sorridenti come fossero state disegnate a matita, mentre sull’altro vi compariva un arcobaleno anch’esso bianco, rosso e verde, con accanto una colomba su sfondo azzurro e una bella scritta “ce la faremo” nel mezzo.

Questa settimana invece, al costo di una moneta da due euro, i Suoi lettori hanno potuto acquisire una bandiera italiana vera e propria, allegata all’inserto Sette. Inoltre si è visto il tricolore campeggiare alto sulla prima pagina del giornale. Non solo, perché il tricolore è tornato presto ad spuntar fuori, sia pure con maggior discrezione, lì dove avete annunciato il Progetto del “Diario italiano. Storie di resistenza quotidiana al tempo del coronavirus”, che ha comportato la pubblicazione di un libro intero in argomento, messo a disposizione dei lettori il giorno dopo. Per non dire che nella pagina successiva, l’acqua minerale San Bernardo si è proposta anch’essa al consumatore-lettore con tre strisce verticali a tutto campo, più un bottiglione con tappo verde al centro, tutto all’insegna di “ogni goccia conta” e dei tre colori patriottici, ovviamente.

Dopodiché, come già nei giorni precedenti, a giungere in soccorso del Corriere patriota è intervenuta generosamente l’UniCredit. A riprova, un’intera pagina pubblicitaria del foglio da Lei diretto ha sciorinato, “in collaborazione con UniCredit”, le foto di ben dodici balconi, assemblati su tre colonne per quattro, ognuno con un tricolore sulla ringhiera. Inoltre, nella parte più in basso, è stata annunciato l’arrivo della bandiera vera, concreta e soffice, di cui sopra, acquistabile appunto al valore di “soli 2 Euro”.

Fortuna insomma che, grazie all’Euro, un qualche riferimento all’Unione europea anche sul Corriere doveva pure uscir fuori, se non altro per rammentare che accanto alla bandiera, peccato, non era più possibile esporre le insegne della lira. E però, gentile Direttore, non pare anche a Lei che quelle tre strisce monocolori verticali, alquanto uniformi, risultino piuttosto solitarie, un po’ piatte, non proprio capaci di farci pulsare il cuore, come accade invece quando prorompono le prime note dell’Inno di Mameli, o anche dell’Inno alla Gioia? Una percezione cioè di una qualche assenza, quella indotta dai tre colori lasciati soli, che per la verità è prodotta anche dallo stendardo francese, benché il blu risulti più vivace. E lo stesso dicasi, forse anche di più, per il nero, il rosso e il giallo in orizzontale riconducibili al patriottismo teutonico.

Molto più gioioso sarebbe, come abbiamo già scritto in precedenza, veder spuntare su quei drappi almeno un po’ di stelle, le stelle dell’Unione europea, che in aggiunta rimandano anche a quelle americane, nel nome della coesistenza fra gli stati, del patto di fedeltà tra le patrie e in forza, diciamolo pure, della “fede federale”. E difatti personalmente restiamo convinti che le 12 stelle dovranno spuntare prima o poi, a seguito di campagne di stampa e di opinione, proprio lì, fra quelle tre strisce colorate che onorano sì, certo, la nascita delle nazioni, ma lo fanno in maniera assertiva un pochino rigida, rivelando implicitamente un senso di vuoto. Perché poi, in fondo, come già da noi ricordato, i valori con cui quelle nazioni sono nate portavano con sé fin dalle origini la prospettiva dell’abbraccio sovranazionale. “Un jour viendra”, avrebbe detto già nel 1849, al Congresso della Pace di Parigi, un tale Victor Hugo, precisando come segue: “Verrà un giorno in cui vedremo i due grandi gruppi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, uno di fronte all’altro, porgersi la mano attraverso i mari, scambiarsi i prodotti, il loro commercio, le loro industrie, le loro arti, i loro geni, collaborare insieme per trarne il benessere di tutti”.

E del resto, lo abbiamo già scritto, non solo Carlo Cattaneo, ma anche Giuseppe l’Eroe, Giuseppe Garibaldi stesso avrebbe vaticinato il percorso generoso, seppur destinato ad avviarsi realmente solo dopo due carneficine mondiali. E che non è ancora completato…

Ed è proprio per questo, caro Direttore, tornando a Lei, al Corriere e ai contributi a stampa della vostra campagna patriottica, che per lo meno lo stimatissimo Aldo Cazzullo doveva pensarci, e scriverci sopra, addì giovedì 23 aprile, almeno un attimo. E invece non ha evocato proprio la dimensione a 12 stelle del nostro Risorgimento in bianco, rosso e verde. Giustamente è intervenuto con un ampio contributo a rimarcare l’importanza della rinascita nazionale ottocentesca, spesso “denigrata da molti”. Inoltre ha rilevato con giusta ammonizione che in questi giorni vengono celebrati soprattutto i caduti della Resistenza e della Liberazione, dimenticando invece quelli del Risorgimento a “tre colori”. E bene ha fatto l’autore di Le donne erediteranno la terra a sottolineare anche quanto il popolo italiano si riconosca, benché spesso non se ne renda conto, nella stagione risorgimentale e nell’identità nazionale allora raggiunta.

Tuttavia risulta un po’ riduttiva la citazione evocata sempre da lui, da Aldo, in base alla quale Garibaldi – parole di Cavour, che poi troppo non lo amava – aveva reso “agli italiani il più grande dei servigi che un uomo potesse rendergli: ha dato agli italiani fiducia in se stessi, ha provato all’Europa che gli italiani sapevano battersi e morire sui campi di battaglia per riconquistarsi una patria”. E noi dunque non dovremmo essere orgogliosi di uomini così, si è chiesto per sopraggiunta il rinomato giornalista-pubblicista del Corriere? E però, poco da fare, noantri italiani saremmo e siamo ancora più orgogliosi di noi stessi ogni volta che ricordiamo Garibaldi esser stato l’eroe che voleva gli Stati Uniti d’Europa, ottenendo l’ammirazione di tutto il continente.

Anche perché, caro Direttore e caro Cazzullo, a forza di riconoscerci nel tricolore puro e semplice, a forza di lodare il Risorgimento o la Liberazione come fosse tutto merito nostro, corriamo il rischio di sentir alitare un po’ troppo vicino a noi il respiro (dalla loquacità romanesco-fluviale-paradossalmente-filo-papale) proprio di lei, la signora Meloni. Vale a dire, cioè, che il patriottismo tricolore non ha prodotto solo stima, tanto in Europa che in America, per gli italiani che sono andati in battaglia per il proprio paese. A forza di agitare il tricolore, insomma, abbiamo anche compiuto parecchi errori ed orrori, proprio perché l’europeismo di Garibaldi o di Mazzini l’abbiamo messo nel cassetto. Nel cassetto non solo all’epoca di colui con la mascella quadrata che fa ancora tanta nostalgia ai Fratelli d’Italia, ma anche purtroppo in questi tempi, se è vero come è vero che stiamo rispolverando gli odi al limite dell’inconciliabilità etnica, se non razziale, fra longobardi di qua delle Alpi e longobardi di là, fra galli cisalpini e galli trans. Il che ovviamente non assolve gli ultra Alpes dai propri non meno cruciali egoismi ed orrori. Però appunto, precisamente per questo è un dovere etico far ricorso, nello spirito e nei fatti, alle 12 stelle.

Le 12 stelle. Attenzione. Quella cifra di 12 non intende corrispondere a un numero preciso di stati riuniti insieme. Rappresenta invece un simbolo di perfezione e di unità che va dalle fatiche di Ercole alle 12 tribù di Israele, ai mesi dell’anno, alle tavole della legge di Roma, alla corona della Madonna, fino all’Unione europea, la quale assicura di essere “un’unione sempre più stretta”. E dunque va bene così, come messaggio e come obiettivo in primo luogo etico. E dunque merita di esser sempre presente nelle nostre simbologie collettive. Fino a vederle spuntare un giorno, le stelline, con quel giallo-azzurro vivace ma non esorbitante, anche fra le strisce delle nostre bandiere.

A questo punto però il dubbio, sempre rivolto agli autorevoli comunicatori del Corriere. Per caso, stimato Direttore, il fatto di aver cercato di rianimare gli spiriti italici provati dal Virus con la forza del tricolore, ma senza accenni alle 12 stelle, è stato forse dovuto al timore di alienarsi quella parte dei lettori che diffida profondamente (Giorgia e Matteo alitandoci forte) della dimensione euro-unitaria a vocazione federale? Avete temuto forse di dividere gli italiani invece di unirli? In effetti, non Le si può dar del tutto torto. In questi ultimi mesi, con l’aiuto di Mino La Franca, artista noto, abbiamo inserito sul web tante immagini di bandiere nazionali europee impreziosite con le dodici stelle. E non Le diciamo che reazioni rabbiose sono uscite fuori dalle tastiere di quei nostri, tanti connazionali che ritenevano in tal modo violata la verginità del tricolore. Qualcuno ha addirittura mandato il disegno multicolore, anche non male, di uno che con la bandiera a 12 stelle ci si asciugava il posteriore.

Caro Direttore, stanti così le cose, soprattutto in questi giorni difficili possiamo anche comprendere le reticenze di voi del Corriere. Però, appunto, proprio perché dopo il glorioso Risorgimento è dovuta giungere nel Bel Paese anche la Liberazione – cosa che evidentemente a qualcuno ancora lo/gli rode – un po’ di coraggio, almeno da parte di chi ci crede, risulta necessario più che mai per contribuire a riprendere tutti insieme la strada più giusta. E allora, Direttore, perché non metterci almeno insieme prossimamente a ragionare se non sia il caso di dare dello slancio, un’innovazione, a questo tricolore? Forse il gesto generoso, lungimirante, emotivamente stimolante, da formalizzare prima o poi anche in Costituzione, e da arricchire con un empito di serietà collettiva di fatto conseguente, potrebbe attirare nuove ondate di ammirazione sugli italiani, come ai tempi di Garibaldi e Cavour. E chissà se qualche altro dei paesi dell’Unione non finirà per porsi sulla stessa lunghezza d’onda? Magari! Nel frattempo, come qui si vede d’intorno, Mino La Franca le sue doti di preveggenza le ha esercitate egregiamente.

Perché poi, dagli scrittori della Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS), vengono fuori spesso delle cose buone da tenere a mente.

Verrà un giorno in cui vedremo i due grandi gruppi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, uno di fronte all’altro, porgersi la mano attraverso i mari, scambiarsi i prodotti, il loro commercio, le loro industrie, le loro arti, i loro geni, collaborare insieme per trarne il benessere di tutti.
*Il testo scritto dal prof. Francesco Gui è condiviso dalla Federazione Unitaria Italiana Scrittori e dagli scrittori italiani.
*La proposta è corredata in questa antologia dalle bandiere dei Paesi dell’Europa corredate da dodici simboliche stelle.
*L’elaborazione grafica delle bandiere è opera di Mino La Franca

 

Antonio Filippetti
Libertà e uso del tempo nell’era del coronavirus

La libertà, diceva Montesquieu “è quel bene che ci permette di godere di tutti gli altri beni”. Si deduce allora che l’epidemia del Covid 19, riducendo drasticamente la libertà dei cittadini, abbia tolto a tutti la possibilità di usufruire degli altri benefici che sono nella dotazione naturale (o negli auspici) degli esseri umani. Ciò si è reso necessario per ragioni di salute pubblica ovvero per impedire l’espansione deleteria del terribile coronavirus. Tuttavia questo ha comportato anche uno stravolgimento delle abitudini alle quali eravamo abituati. Innanzi tutto la possibilità di poter disporre del proprio tempo di vita in maniera libera, senza costrizioni e impedimenti, facendo unicamente capo al nostro “libero arbitrio” e ai nostri desideri.  Ora questo ci viene impedito, sia pure (si spera) soltanto temporaneamente e a salvaguardia di un “bene” superiore.  Ma qualche problema sorge lo stesso anche in funzione di quello che potrà accadere in avvenire.  Non si può, infatti, essere sottoposti a misure limitative della libertà sulla base di automatismi normativi. Lo prescrive la “carta europea dei diritti dell’uomo”.  E contravvenendo a questo precetto si corre anche il rischio di vedersi “manipolati” in un bene fondamentale con la scusante dello “stato d’eccezione”. E’ accettabile tutto questo? E per quanto tempo? E con quali deroghe e pregiudiziali?  Non sono domande di secondo piano.

A questa problematica si collega poi l’uso del tempo. Bloccati in casa, impossibilitati a uscire per un periodo che non sappiamo quanto lungo, è giocoforza “inventarsi” altre occasioni di impegno e lavoro. Il cosiddetto lavoro a distanza (lo “smart working”, è più fine dirlo in inglese) supplisce a molte necessità, lavorative e di svago.  Se il tempo trascorso attaccati ai computer e agli smartphone era già tanto, con la clausura forzata si è allungato considerevolmente,  coinvolgendo, per amore o per forza, grandi e piccoli, giovani e vecchi.  Molti sostengono pure che grazie alla “connessione” molti problemi sono stati risolti ma più ancora che il dato in sé è da valutarsi in termini positivi per l’apprendimento e la conoscenza. Lo “screen time” (sempre in inglese) ha risolto apparentemente i problemi perché non si può vivere senza la rete, anzi è la rete che ci ha salvato e ci salva in questi giorni di forzata solitudine.  Si dice pure che la polemica dei cosiddetti “apocalittici” contro la rete sia come quella che venti anni fa fu inventata per sostenere che a furia di stare sempre davanti alla tv avremmo finito per diventare dei teledipendenti stupidi. Ora non si può ignorare che il punto è proprio questo, che siamo diventati se non più stupidi molto meno autonomi e facilmente “suggestionabili” (vedi l’effetto della pubblicità). Ma le future generazioni  dovranno allora adattarsi a relazioni esclusivamente virtuali? E perfino la riproduzione degli esseri umani avverrà come preconizzato da Aldous Huxley in Brave new Word attraverso pratiche esclusivamente extrauterine? In verità con l’avvento di questi nuovi robot si può correre il rischio di un altro contagio, non meno grave e dannoso, quello di vedersi inconsciamente soggiogati e proiettati verso un’ ulteriore, sedicente  fase di sviluppo, quella di una società post-post industriale che prefigura  un buio e dannoso medioevo. E la libertà per la quale da sempre l’umanità ha sacrificato i suoi figli migliori resterà un sogno o un’utopia, e allora sì “libertà vo cercando ch’è sì cara….”

 

Qi CHEN (Beihang University, Pechino, Cina)
La primavera arriverà sempre

Sto scrivendo un rapporto annuale sulla letteratura italiana del 2019 per l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali. Ho ricevuto un’e-mail dal Prof. Rossi della FUIS (Federazione Unitaria Italiana Scrittori) che mi invita a unirmi nella scrittura del DIARIO IN CORONAVIRUS CON GRANI DI SCRITTURA. Ha detto che questo è “per lasciare il segno di questo tempo di epidemia, che è unico nella storia dell’uomo” e “poiché il problema del virus è globale”.

In questo momento, sono a Cambridge, Massachusetts. Secondo le e-mail ricevute ogni giorno, fino alle 17:00 del 23 aprile, Cambridge ha avuto 650 casi confermati, 35 decessi e 76 guarigioni.

Oltre a spedire un biglietto d’augurio al mio caro amico in Canada il 19 aprile, a poche decine di metri dalla mia porta, sono stata chiusa in casa per un mese e 8 giorni. Ogni anno invio un biglietto d’auguri per il suo compleanno. Questa è sia un augurio per lui, che una specie di nota nella mia vita, che segna dove sono stata in quel momento, e in quale stato. Quest’anno è ovviamente molto diverso. A causa dell’epidemia, per prudenza, mi sono auto-isolata. Non ho ritenuto saggio correre il rischio di esposizione al virus per andare all’ufficio postale, quindi ho trovato, tra la mia roba, alcuni francobolli a casa, e cartoline che ho comprato quando sono andata a New York a gennaio di quest’anno. Sì, esattamente, ho inviato una cartolina di New York da Cambridge, Massachusetts, e l’ho inviata al mio amico in Canada come biglietto d’auguri. Quando, e se lo riceverà, dovrebbe essere sorpreso?

In questo momento, New York sembra essere quasi un purgatorio nelle notizie. Quando sono andata a New York a gennaio, la situazione mi parve molto normale, ho trascorso il capodanno cinese là, e sono andata all’ultimo piano del New World Trade Center per godermi la vista notturna di New York. Risplendeva magnesicamente nel cielo notturno. Sentivo che il mondo era così pacifico e prospero, e il futuro sembrava che si diffonderà come una lampada sotto i piedi, a grande distanza. Questo era vero per me, come per il mondo.

New York è ancora illuminata di notte? O quando potrò rivedere una situazione del genere? Spero al più presto.

A febbraio ero ancora preoccupata per la situazione in Cina: quando l’epidemia in Cina fu efficacemente controllata, pensai di poter tirare un sospiro di sollievo, ma scoprii che la situazione negli Stati Uniti era diventata seria. Ora, i miei parenti e amici in Cina si preoccupano per me. I genitori non vedono l’ora di parlare con me su WeChat ogni giorno, per assicurarsi che stia bene, anche se ho ripetutamente detto loro che ero assolutamente sicura di non uscire. Ho ricevuto delle maschere dalla mia famiglia e dai miei amici dalla Cina. Si dice che siano alquanto scarse ora. Inizialmente, gli Stati Uniti avevano dichiarato al pubblico che non è necessario indossare maschere, è meglio mantenere una distanza sociale, ma ora hanno cambiato tono e si consiglia di portare le maschere. Ho chiesto ai miei amici cinesi negli Stati Uniti. Tutti seguono rigorosamente la politica di isolamento, e sono molto cauti. Questo sembra funzionare, e la percentuale di asiatici colpiti dall’infezione negli Stati Uniti è di gran lunga la più bassa.

Qualche giorno fa ho visto la trasmissione in diretta del concerto di Andrea Bocelli su YouTube, e la sua performance nel Duomo di Milano mi ha fatto scoppiare in lacrime. In questo mondo. L’amore ancora connette noi tutti. Abbiamo bisogno della scienza e della ragione più che mai, e ancora più dell’amore e della comprensione.

Stare a casa ogni giorno, se blocchi tutte le notizie, sentirai che il mondo è così pacifico, non c’è morte, né confronto, né confusione, e non si vede la cosiddetta globalizzazione che sta scomparendo. Dopo lo shock, la rabbia e l’ansia del periodo precedente, ora sono calma. Insegnanti e amici italiani mi hanno mandato delle e-mail e mi hanno detto che erano in uno stato di isolamento, ma perché c’era un cortile a casa e potevano ancora godersi i fiori ogni giorno, crogiolarsi al sole e vedere le montagne in lontananza. Mi hanno detto di prendersi cura di me, e poi dammi un grande abbraccio. Ho detto che non c’era bisogno di preoccuparsi, posso farlo anch’io! Ha nevicato qualche giorno fa nella zona di Boston, ma dopo che la neve si è fermata, sembrava ancora primavera. Fuori dalla finestra, ci sono due alberi pieni di fiori di magnolia, e un albero di cui non conosco il nome ha anche iniziato a germinare, e un ciliegio ha fatto crescere le basi dei fiori. Ogni pomeriggio, il sole risplende nella mia stanza attraverso la grande finestra. Gli scoiattoli saltano sui rami alti, forse erano loro i più liberi. La primavera arriverà sempre.

La mia unica aspettativa, è di tornare a casa presto.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera della Spagna

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

 Franco Ferrini
“LA FINESTRA SUL CORTILE”AI TEMPI (BUI) NOSTRI

La locandina: James Stewart osserva i vicini col teleobiettivo della macchina fotografica e una mascherina bianca sul volto. Sopra di lui, in una nuvoletta da fumetto c’è scritto:
“IO RESTO A CASA”.

Frase di lancio: “COVID-19 FOR MURDER!”.

New York, oggi. Jeff, professione fotoreporter, non resta a casa qui perché ha una gamba ingessata, ma perché c’è il coronavirus. Niente sedia a rotelle, quindi; può muoversi, camminare, ma stando chiuso in casa da giorni, abituato com’era a girare il mondo per il suo lavoro, si rompe le palle e si mette a osservare dalla finestra, a occhio nudo o col teleobiettivo della Nikon professionale, i suoi dirimpettai, dalla parte opposta del cortile, e i vicini che abitano sulle facciate laterali: una coppia di mezza età con un cagnolino, una aspirante pittrice, una zitella che soprannomina Signorina Cuore Solitario, un cantautore in crisi, una procace ballerina in calzamaglia che si mantiene in esercizio ballando tutto il dì, e un’altra coppia sposata: i Thorwald. La moglie è a letto malata di covid-19 e il marito la cura in casa dandole i farmaci. Ma lei è insofferente, lo tratta male, gli sbraita contro. Già in crisi matrimoniale in precedenza, il covid-19 e il lockdown non fanno che esasperare la situazione.

Stella, un’infermiera energica e petulante, viene a fare il tampone a Jeff,  e vedendolo spiare i vicini lo rimbrotta perché così viola la privacy delle persone, “peggio di Facebook, di Zuckerberg, del governo e della CIA”. Lui le ribatte che si è sempre occupato di immagini, anche a scapito delle persone.
– Be’, adesso – che tutto è cambiato per il coronavirus – si interessa delle persone, a scapito delle immagini. Perciò stia zitta, per favore. Stella becca su, lo informa che non è positivo e se ne va.

Rimasto solo, Jeff riprende a spiare “le persone” come e più di prima (per es. la ballerina gli mostra il culo), ma deve interrompere perché arriva Lisa, la sua fidanzata, o quasi, dal momento che lui nicchia, essendo uno scapolone refrattario al matrimonio. Lisa è influencer o fashion blogger con trilioni di follower, appartiene all’aristocrazia newyorchese e, altezzosamente, se ne fotte delle restrizioni in vigore e di restare a casa. Non si mette neppure la mascherina per non celare il viso meraviglioso. Jeff invece li rispetta, i divieti, e la mantiene rigorosamente a distanza di almeno un metro. Per cui qui non c’è il famoso bacio rallentato con qualche fotogramma in meno rispetto alla ripresa normale. Peccato. E non c’è neppure la succulenta cena che Lisa nella versione canonica fa portare, per consumarla assieme a Jeff, dal rinomatissimo 21 Club. Il 21 è chiuso –come tutti gli altri ristoranti, bar, locali, eccetera.

Jeff ha un frigo “desolato, da vero single impenitente. Lisa perciò deve accontentarsi, con la puzza al naso, di una pizza surgelata riscaldata nel microonde. Dopo mangiato se ne va (meglio non dormire insieme, fosse anche a un metro di distanza) e Jeff quasi quasi è contento che vi sia il covid-19, così se l’è levata di torno e può dedicarsi al suo passatempo preferito, ormai un vizio, tornando a osservare i vicini dalla finestra col tele. Ma stavolta si addormenta e a svegliarlo, nel cuore della notte, è un urlo di donna. O forse se l’è sognato.

Il giorno dopo, ficcanasando di nuovo negli appartamenti dei vicini, si accorge che la moglie di Thorwald non c’è più. Lì per lì pensa che l’avranno ricoverata in ospedale, o forse è morta e l’hanno già portata via mentre lui non guardava. Poi, però, vede Thorwald avvolgere in un giornale un coltello da macellaio e una sega. Insospettito, gli scatta immediatamente una foto in digitale col superteleobiettivo ed estensione dello zoom in modalità macro. Reperto numero 1.

Dopo un po’ vede Thorwald uscire di casa e scendere in strada (deserta; non siamo a Napoli) con la valigia campionario (fa il rappresentante). Forse va al lavoro. Mah. Nell’incertezza, Jeff  vede il cagnolino della coppia di mezza età annusare la terra smossa di un’aiuola giù in cortile e i suoi sospetti su Thorwald si rafforzano, tanto che telefona a Doyle, un suo amico detective della polizia, per dirgli che sente puzza di uxoricidio (Covid-19 for Murder!) Doyle è scettico; butta acqua sul fuoco; tutt0avia, come contentino, gli promette di dare una controllata negli ospedali e nei decessi.

Lisa ritorna, in barba alla quarantena, e Jeff la mette al corrente dei suoi sospetti, ma è solo per sentirsi dare del matto e del visionario, anche perché stavolta lei è venuta con intenzioni serie, munita di una valigetta con tutto l’occorrente per la notte: spazzole, spazzolino, pantofole, lingerie di seta e un vaporoso e succinto négligé da urlo, una nuvola di pizzi e trine che strizzata sta nel cavo di una mano. Jeff, però, è tutto preso dalla finestra. Lisa allora, stizzita, gli impedisce di guardare chiudendo gli scuri. Quindi indossa il vaporoso e succinto négligé e vorrebbe farselo, ma sul più bello riecheggia un altro urlo di donna. Jeff si precipita a riaprire gli scuri. L’aspirante pittrice ha trovato il cagnolino con il collo spezzato giù in cortile. Richiamati dall’urlo, i vicini si affacciano tutti quanti.
L’unico che non si affaccia, restando a fumare sul divano nel buio di casa sua, è Thorwald. Jeff scorge la punta rossastra del sigaro che riluce nell’ombra. Perché non si affaccia anche lui come gli altri? Perché l’ha ammazzato lui quell’impiccione del cagnolino! A questo punto, Lisa si convince che i sospetti di Jeff sono fondati, eccome!

Intanto la Signorina Cuore Solitario aspetta un uomo, tutta in ghingheri, per una cenetta romantica a lume di candela. Lui, però, non si fa vedere. Le ha dato buca. All’ultimo momento ci ha ripensato ed è rimasto prudentemente a casa. Lei ci resta malissimo, tanto che prende le pillole per suicidarsi. Sta per trangugiarle, ma si blocca perché le arriva una canzone d’amore, “Lisa”: il cantautore in crisi finalmente è riuscito a comporre e ora se la suona (al piano) e se la canta. Cuore Solitario mette via le pillole. L’amore le ha inferto l’ennesima delusione; l’amore la salva.

Jeff e Lisa si concentrano in ascolto a loro volta e si lasciano incantare dalla music § lyrics di “Lisa”. Canzone galeotta? Preludio romantico? Potrebbe, se non adesso quando? Ma ecco che i due, affacciati alla finestra, vedono Thorwald uscire di casa e allontanarsi nella notte con una misteriosa cappelliera. Lisa allora, come a farsi perdonare di non aver creduto a Jeff fin dall’inizio, si riveste per andare a dare un’occhiata di persona, approfittando dell’assenza di Thorwald, ed esce.
Jeff non tenta nemmeno di fermarla (pur sapendo che potrebbe essere pericoloso), né tanto meno va con lei. Non ha una gamba ingessata. Allora perché non ci va? Si può immaginare che da una parte rispetta l’ordine di restare a casa e che dall’altra gli piace guardare. D’altronde, è un fotografo, e i fotografi non intervengono sulla realtà; la registrano e basta. Aveva ragione Stella: è un voyeur. E la sua autodifesa (“mi interesso delle persone, a scapito delle immagini”) non era che uno schermo, un pio desiderio. Vorrei, ma non posso.

Così, mentre lui non le toglie gli occhi di dosso un solo istante, eccitato da morire, Lisa attraversa il cortile, monta sulla scala antincendio e s’intrufola in casa di Thorwald dove ficcanasa dappertutto in cerca di prove o indizi. Cazzo! Thorwald sta tornando! Jeff lo vede e si sbraccia come un dannato (ora non si accontenta più di guardare) per avvertire Lisa, la quale, ahimé, voltata di spalle non se ne accorge. Così Thorwald rientra, la coglie con le mani nel sacco e chiama la polizia.

Arrivano due agenti in un lampo (dovevano stare proprio lì sotto), arrestano “la ladra”, la “sciacalla”, e la portano al distretto. Lisa non si scompone (neppure un capello): sarà presto tutto chiarito e la sua famiglia la tirerà fuori dai guai ricevendo tante umili scuse.

Jeff c’è rimasto di stucco, forse pentito per come si è messa. Peggio ancora, Thorwald, sentendosi fissato, guarda all’insù e  lo vede in finestra col teleobiettivo puntato su di lui e mangia non solo la foglia ma anche l’albero. Jeff, di pari passo,  capisce che Thorwald lo ha sgamato. A questo punto, se la fa sotto, tanto  che chiama Doyle e gli chiede di raggiungerlo al più presto. Quando riguarda casa Thorwald si accorge che questi è uscito.
E’ chiaro: sta venendo da lui per ucciderlo, come ha fatto col cagnolino! L’unica è prepararsi a riceverlo. Ma come? Idea! Jeff spegne tutte le luci, incluso l’interruttore centrale, e arma la Nikon con i flash. Dopo di che aspetta appostato nel buio. E quando Thorwald arriva per ucciderlo, come previsto, fa per accecarlo con i flash, ma –colpo di scena!!! geniale!!!!- si è dimenticato di cambiare la memory card della macchina digitale e così non funziona. Sono cazzi. C’è una lotta selvaggia, senza esclusione di colpi. Thorwald, grande e grosso, sta per avere il sopravvento, ma arrivano i nostri: Doyle e un nugolo di poliziotti che immobilizzano l’energumeno femminicida.

Sei giorni dopo. Stella rifà il tampone a Jeff che stavolta risulta positivo: nella lotta Thorwald gli ha respirato in faccia e gli ha trasmesso il virus contratto dalla moglie infetta assassinata e tagliata a pezzi! Jeff va in terapia intensiva: intubato.
Ironia della sorte, l’unica volta che ha agito è stato punito per questo. E Lisa si mette con Doyle e ci va a letto, col vaporoso e succinto négligé. La produzione era contraria, e difatti sarà un flop pazzesco. La critica francese invece gradirà très beaucoup. Titoli di coda.

 

Enrico Bernard
Allarmi siam fascisti
(pasquinata)

Mo’ ch’er baccano de guera s’avvicina

er fascistone aritira lesto la manina:

ma come?  inneggiava ar Duce prima

adesso core a nasconnese ‘n cantina?

 

Ahò, nun vedeva l’ora ‘sto gueriero

de riportà in auge er romano impero,

ma se c’è da mette a rischio er pelo

ce manna l’artri a sparà sul serio.

 

Io li vojo vedè partì tutti quanti ‘n fila,

buttasse a mare dalla cima de la Sila

e raggiunge la costa dove in centomila

li stanno ad aspettà  pe’ gridà gl’evviva.

 

Daje camerati,  armiamoci e partite!

Stavolta ve lo dichi prima che sparite,

e annamo, che tra chi c’ha l’artrite

e chi se caca sotto, le scuse so’ finite.

 

Cantavate er coretto de “Faccetta nera”,

mo’ annate a dijelo ‘n faccia ar barbanera

dell’islamista che nella vostra mitragliera

ce sta er piombo preso da ‘na sputacchiera.

 

Luciana Vasile
ELOGIO ALLA BREVITA’

Quando ricevemmo la visita inaspettata del Covid-19 con l’obbligo di restare a casa con o senza di LUI, il  Presidente della Fuis, N. A. Rossi, ebbe un’idea illuminata proponendo di creare, con il contributo degli scrittori, un “Diario in coronavirus con grani di scrittura”. Una raccolta di racconti brevi e poesie da far uscire ogni domenica. Accettai subito con entusiasmo.

Mi piacque la coralità dell’iniziativa – protratta nel tempo di settimane… chissà quante, ahinoi! -.

Raccogliere le intuizioni man mano che si presentavano nella loro immediatezza e spontaneità. Un pensiero flash, espresso in una cartella di non più di trenta righe, da lanciare al mondo di coloro ai quali piace scrivere fissando le proprie emozioni, che contribuisse a colmare la solitudine dell’isolamento, condividendo. Da convinto architetto minimalista (concisione spaziale), quale sono, mi allettò quel grano, quel piccolo seme,  sintesi creativa che poteva diventare moltiplicatore di riflessioni. Lo interpretai come una sfida, un interessante esercizio di scrittura-aritmetica: trenta righe. Mi venne subito alla mente la frase con la quale iniziava la nota dell’editore del mio primo libro di narrativa: “Tutto ciò che l’individuo pensa può essere scritto su un mezzo foglio di carta. Il resto è nient’altro che applicazioni, divagazioni all’intorno”(T. E. Hulme, fra i fondatori dell’imagismo). Mi si adatta anche l’imagismo.

I disegni di un architetto hanno il compito di comunicare in un attimo  l’idea del progetto, senza bisogno di aggiungere parole, solo in quel caso possono dirsi riusciti. Se comunicare è un’arte, farlo con poche parole o semplici immagini, è Virtù di pochi. Infatti un’altra mia piccola passione sono aforismi e proverbi: “Il proverbio è un avanzo dell’antica filosofia, conservatosi fra molte rovine per la sua brevità ed opportunità” (Aristotele).

Ho tempo, continuo a cercare compagni di grani di brevità: “Inutile la chiarezza, se il giudice, vinto dalla prolissità, si addormenta. Più accetta la brevità, anche se oscura: quando un avvocato parla poco il giudice, anche se non capisce quello che dice, capisce che ha ragione”(Piero Calamandrei); “Noi vediamo il nostro io migliore negli occhi di coloro che ci amano. E c’è una bellezza che solo la brevità procura” (Cassandra Clare).

Ricco il mio mondo onirico. Mi ricordo e mi interpreto i sogni, pure qui trovo alleati:

Il contenuto manifesto del sogno racchiude sempre abbreviazioni rispetto a quello latente” (Principio di Condensazione di Ernst Mach applicato alla psicanalisi).

Sono alla trentesima riga del mio 7° diario. Mi taccio: Meno è meglio dice Beppe Severgnini.

Scrivere breve, per concludere prima di annoiare (Nicolas Gomez Davila).

Roma 19 aprile 2020

 

Cetta Petrollo
Diario  di una quarantena

For ever young  – 20 aprile 2020

Oggi ho ripristinato la mia scrivania da zitella. Quella fatta costruire nella stanza d’angolo per tentare di avere un po’ di tranquillità e di spazio in una casa sempre piena di incombenze e di cura altrui, casa in cui poco mi rifugiavo risucchiata com’ero dal tunnel nero del lavoro, magnifico sì ma anche maledetto, tunnel dal quale tentavo di scappare per brevi escursioni di libertà e solitudine (la casa d’api diceva Orazio, non dimenticarti della casa d’api perché se finisce la ressa delle api poi finisce tutto).

Questo spazio, una ribaltina appoggiata alla libreria di lato alla finestra, nella stanza più calda e più ampia di tutte, molto assomiglia ai miei  precedenti precari spazi di scrittrice (ah, le api, le api): la scrivaniola marinara appoggiata alla finestra dell’ingresso a via Margutta, luogo umidissimo ma fascinoso per il rumore della fontanina e per il calore di una pericolante libreria alle spalle, porta sbarrata a tutto il resto della casa dalla quale nemmeno arrivavano le parole della bambina e il ticchettio della macchina da scrivere di Elio, il ripiano della cucina dove fu scritta un’intera tesi di specializzazione, il soppalco della casetta campestre dove, sempre contro un muro fasciato dal lume giallo, furono scritte storie, storielle e comunicati sindacali, i due angoli dell’appartamento di  Viserba dove furono scritte due narrazioni.

Ancora una volta questa stanza fa le giravolte e si trasforma, da luogo della famiglia, della single e poi della nonna (la scrivania usata come fasciatoio, eliminato lo spazio per la sedia per far luogo ad una cassettiera piena di creme, vestiti e pannolini), a luogo di scrittura e di concentrazione con cui riprendo amicizia e confidenza (di me, soprattutto) dopo quasi due mesi di sbalordito isolamento.

Non so cosa sia successo né perché sia successo ma, di colpo come se fosse stata raggiunta una misura non più dilatabile, ho smesso di interessarmi alle sorti della pandemia, mi sono svincolata senza nessuno sforzo dai lavori domestici che hanno occupato, direi invaso, la mente e sono scesa agevolmente dentro  ad una dimensione simile, ma non identica, a quella di prima.

Cosa davvero è importante per me? Cosa si fa largo adesso fra la confusione di ogni tipo che ha accompagnato queste giornate? Cosa mi riconcilia con la morte e mi rende ora, nuovamente, fiduciosa e serena?

Il fare di nuovo centro su me stessa in esercizio di equilibrio e farlo guardando questo schermo di computer mentre cerco le parole.

E potremmo essere in campagna, a Viserba, ovunque, perché il valore del silenzio e di me con me mentre mi spiego a me stessa e cerco di spiegarmi il mondo, è lo stesso e non hanno importanza gli spazi che lo contengono e gli ruotano intorno.

E balzo fuori dal nido degli over 65, dove pretendono di avermi rinchiusa  fino a data da destinarsi, perché, come qualcuno mi ripeteva, gli intellettuali non hanno ceto e non hanno età.

Dunque ogni velo, mascherina, distanziamento, prudenza e diradamento di incontri, slalom fra obblighi di legge e coercizioni sociali, si sgretola e frana di fronte a questa ritrovata saldezza, e calore, morale.

22 aprile 2020: Capelli rossi

Ci sentiamo a sbalzelloni, quando, suppongo, va la chat a lei, quando è libera dalle sue faccende che non so più nemmeno dove si svolgano, se nell’eremo campestre in una casa costruita come una torre in un bosco con un pollaio a fornire uova quotidiane (ah le uova, le uova, sapessi quanto fanno bene le uova), vicino alla figlia emigrata da Torino o a Roma in mezzo ai suoi libri in un appartamento cittadino vicino all’altra figlia, al gatto, al cane.

La chat è distesa come il percorso di un treno direttissimo che si ferma ad ogni paese, frazione, borgo e procede lento con pause di ore per cui , alla mattina trovo la risposta della sera che prosegue nel dialogo nel pomeriggio avanzato e poi può anche proseguire con vaghi accenni anche nei post su facebook.

Sì Rosanna appartiene all’altra vita, la vita di due o tre montagne fa, quando i percorsi erano caldi e allegri, il sole scottava, il sangue pulsava (stai prendendo Dong quai? Ho ricominciato a prenderlo e di nuovo ho le caldane e la pressione si è abbassata ), il raffreddore non era una costante che si prolungava tutto l’anno (prendi arsenicum album! E il raffreddore da due mesi è sparito), la casa e il lavoro densi di accadimenti (sono angosciatissima, e lei è venuta con un barattolone di aswaganda, ha cominciato a darmela e la pressione è scesa).

Questo passato è ancora presente come la nervatura di un cotone spesso e resistente, il cotone dietro al quale lei si rifugia confezionando scatole (ma nelle scatole cosa si conserva?), scomparendo dietro siparietti in un mondo che si è fatto sempre più aggressivo e minaccioso. Fa capolino il passato nel mio casuale presente come le nostre conversazioni, spie di un malessere che cerco di dominare  e che lei allontana in punta d’ago.

Finché una sera esplode in una intuizione precisa come un lancio ben assestato sui birilli della mia vita: ma è Lachesis!

E io so che Rosanna  si tinge ancora i capelli di rosso.

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera dell’Austria

Realizzazione grafica di Mino La Franca

Laura Massacra
25 aprile, l’ora della liberazione. Dei corpi

Il giorno della liberazione cade, quest’anno, alla vigilia della conferenza di Conte, che delineerà le nuove regole della convivenza civile nella Fase 2.  E’ già stato preannunciato che gli spostamenti saranno ristretti solo all’interno delle medesime regioni di residenza, che la maggior parte delle persone, ora in smart working, dovrà protrarre la propria condizione casalinga e che, in buona sostanza, saranno lecite solo le attività concesse per produrre e consumare, affinché il PIL non si abbassi ulteriormente, oltre la soglia già di per sé disastrosa, dell’otto per cento.

Scientologi e specialisti, la cui percentuale ha ormai superato di gran lunga quella dei contagiati, si affannano a sbandierare, con un certo sottile e allegro sadismo, che non si tornerà più alla vita di prima, e che le condizioni di isolamento si protrarranno fino all’epifania profetica del vaccino, lasciando serpeggiare, non troppo sommessamente, l’idea che la nostra esistenza in terra sia esclusivamente legata ad una funzione di produzione e consumo di beni.

Mai nessun sociologo, in questi 60 giorni di clausura e mestizia collettiva, si è azzardato a esprimere  l’idea, peraltro largamente nota e condivisa, che la salute non sia solo il frutto di un abbattimento del rischio di contagio e che, in forma più generale, il benessere collettivo non coincida affatto con la dimensione strettamente reddituale o produttiva dei rapporti sociali.

La nozione di FIL,  felicità interna lorda, ci costringe a valutare la nostra qualità della vita considerando un insieme ampio di indicatori, tra cui la serenità psicologica, il rapporto con la natura, gli scambi sociali a fini ludici, la libertà.

Ecco, appunto, emergere il tema della libertà. Nel mirabolante saggio “Sorvegliare e punire” (1975), Foucault ci apre gli occhi su quelle biopolitiche del corpo, sorte al tempo dell’industrializzazione, che sono regolate da una disciplina atta a plasmare “corpi docili”, ideali per le esigenze moderne in fatto di economia, politica, guerra – fabbriche, industrie, produttività e consumo. Ma, per costruire corpi docili, le istituzioni che promuovono la disciplina devono riuscire a: osservare e registrare i corpi che controllano; garantire l’interiorizzazione dell’individualità disciplinare nei corpi che vengono controllati.

I cosiddetti esperti: immunologi, epidemiologi, virologi, che vengono massicciamente invitati a parlare in televisione, boriosamente si slanciano a esprimere la propria personale visione del mondo e, come mosche cocchiere di un sistema di regolamentazione dei corpi, cercano di condizionare le coscienze nella direzione di una psicosi, affinché le persone interiorizzino questa disciplina del distanziamento, ben prima che la legge o il controllo sul territorio possa elevare la punizione della multa. E così, dopo il 4 maggio, governo e comitato scientifico sperano di pervenire a una riorganizzazione sociale in cui il distanziamento dei corpi sia garantito in tutti i casi in cui questi corpi vogliano svagarsi, interagire, prendere aria, fare sport. La promiscuità sarà consentita solo nei luoghi di lavoro, al mercato, nelle industrie, in tutte le aree dove il PIL la fa da padrone.

Ma voi credete davvero a questa prospettiva? Nella recente dittatura franchista, durata fino al 1975, nonostante le ramblas vuote, la paura di far capannello nelle strade e nei bar, le persone si incontravano nelle case, ballavano, amoreggiavano, bevevano, e quando seppero della morte di Franco, stapparono spumante, come a capodanno, tutte insieme, stipate segretamente in appartamenti fin troppo affollati.

La Storia insegna che, nonostante le psicosi indotte, le morti, la prospettiva apocalittica di un vaccino molto al di là da venire, “sorvegliare e punire” non sopprimerà mai quella straordinaria voglia di vivere che ci appartiene e che, se inibita sulla pubblica piazza, esploderà comunque e ovunque. Nelle case, nei parchi, nelle spiagge libere, nelle campagne, nelle montagne e nel cielo dei nostri cari, che ci osservano divertiti e beffardi, in attesa della liberazione dei nostri corpi.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.

La bandiera della Francia

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Maggie Gee (scrittrice londinese)
For Hanna and Robbie

None of us know where we are any more, or

where we are going. Old friend and dear,

we share

children, and understand fear of fathers.

 

Hanna, you planned

to return from here to your first home, Ghana,

long before this:

‘the boy needs his space’ –

for photography, his profession,

and also to be.

Your son Robbie, the gifted and teasing London boy

who makes moonscapes of smoke and glass

from shadows and light in small urban rooms,

who catches our lips, and the gaps

in the things we say, who holds us

in time, black and white and deep-

ly, entirely, ourselves, who strips

with his camera what’s not of our essence away, but still safekeeps us.

 

None of us knows where we’re going, or where

we are. Old friend and dear,

no-one foresaw

the new law of fear which has made us all strangers.

 

When you left here

with your life in enormous cases

you didn’t know

that London

Per Hanna e Robbie                                                    

 

Nessuno di noi sa più dove siamo, o

dove stiamo andando. Vecchio amico e caro,

condividiamo

figli, e capire la paura dei padri.

 

Hanna, hai pianificato

per tornare da qui alla tua prima casa, il Ghana,

molto prima di questo:

“il ragazzo ha bisogno del suo spazio” –

per la fotografia, la sua professione,

e anche di esserlo.

Suo figlio Robbie, il ragazzo londinese dotato e provocante

che fa paesaggi lunari di fumo e vetro

dalle ombre e dalla luce nelle piccole stanze urbane,

che cattura le nostre labbra, e gli spazi vuoti

nelle cose che diciamo, chi ci tiene

nel tempo, in bianco e nero e in profondità…

ly, interamente, noi stessi, che ci spogliamo

con la sua macchina fotografica ciò che non è della nostra essenza lontano, ma ci tiene comunque al sicuro.

 

Nessuno di noi sa dove stiamo andando, o dove

noi lo siamo. Vecchia amica e cara,

nessuno l’aveva previsto

la nuova legge della paura che ci ha reso tutti estranei.

 

Quando te ne sei andato da qui

con la tua vita in casi enormi

non sapevi

che Londra

was crowding downstairs

headlong through dark noisy tube tunnels towards

silence, your son, our godson

would soon rush out to buy sacks of rice

to store in his new independent space,

nor that you would be using the masks

you imported to Ghana (to help you make soap)

to protect your life, nor that chickens

and elegant long-necked black guinea-fowl who

rootle through small red flowers in your yard would seem so precious.

 

None of us see, so far, where we are

in this strange new story. Old friend and dear,

how can we know

where our longing for safety will take us?

 

Hanna, when you arrived

at Heathrow, aged 10, from grandma in Ghana

we kept you a week in detention –

You thought ‘This is Britain’,

loved sweets and the airport lights.

I know as little of Ghana as you did, then,

of London, but here we are, linked by the phone

this morning, and both of us dancing,

(while Robbie, probably, sleeps)

you to Soca and Afrobeat to keep fit, and I to Motown.

Now, in this handheld movie you send, I can stroll down

your neighbourhood walk in Accra

by your side and see wide open streets

that could lead to our nearby seaside estates

 

and we would be there, dancing and laughing,

kept safe by love, and by distance.

si stava affollando al piano di sotto

a capofitto attraverso tunnel tubolari scuri e rumorosi verso

il silenzio, tuo figlio, il nostro figlioccio

si precipiterebbe presto a comprare sacchi di riso

da conservare nel suo nuovo spazio indipendente,

né che avreste usato le maschere

hai importato in Ghana (per aiutarti a fare il sapone)

per proteggere la tua vita, né che i polli

ed elegante cavia nera dal collo lungo che

radicare attraverso piccoli fiori rossi nel vostro cortile

sembrerebbe così prezioso.

 

Nessuno di noi vede, finora, dove siamo

in questa strana nuova storia. Vecchia amica e cara,

come possiamo sapere

dove ci porterà il nostro desiderio di sicurezza?

 

Hanna, quando sei arrivata

a Heathrow, a 10 anni, dalla nonna in Ghana

ti abbiamo tenuto una settimana in punizione –

Hai pensato: “Questa è la Gran Bretagna”,

amava i dolci e le luci dell’aeroporto.

Conosco poco del Ghana come te, quindi,

di Londra, ma eccoci qui, collegati dal telefono

stamattina, e tutti e due a ballare,

(mentre Robbie, probabilmente, dorme)

tu a Soca e Afrobeat per tenerti in forma, e io a Motown.

Ora, in questo filmato che mi mandi, posso passeggiare

il tuo quartiere a piedi ad Accra

al vostro fianco e vedere le strade aperte

che potrebbe portare alle nostre vicine tenute al mare

e noi eravamo lì, a ballare e a ridere,

tenuto al sicuro dall’amore e dalla distanza.

 

Alessandra Iannotta
La fabbrica di Iolanda

Caro Virus,
in questa settimana mi hai fatto davvero arrabbiare.
Ho preso la mia decisione chiudo la fabbrica di Iole e aprirò la fabbrica di Iolanda.
Dopo tutti i pizzicotti che ti ho dato e tutti i ciuffi che ti ho tirato, non so se ti ricordi ancora chi sono, allora mi presento.

Mi chiamo Iolanda, ho nove anni, i capelli biondo cenere e gli occhi che ridono.
Ho una famiglia stupenda, una mamma fantastica che sa tutto e un papà che lavora tanto, ma che, comunque, riesce ogni giorno a giocare un po’con me.
Mia sorella Agnese ha quindici anni, studia tantissimo e mi ha fatto scoprire una poetessa contemporanea che mi ha regalato e mi regalerà tutte le sue poesie.
Metterò le poesie a guardia dei tesori che nasconderò nei vari piani della fabbrica.
Mio fratello Riccardo ha tredici anni e vive un po’ nel suo mondo virtuale, ogni tanto scende tra noi e ci sorprende sempre con le sue straordinarie invenzioni.
Ha i capelli ricci e la faccia tonda. Ti assomiglia un po’. 😂
Sono sicura che da grande diventerà uno scienziato bravissimo e che magari sarà proprio lui che scoprirà come farti diventare per sempre amico di tutti gli uomini!
Con noi vive nonno Enrico, il più fantastico nonno del mondo, che mi racconta sempre un sacco di storie interessanti.

Bene, adesso basta con le presentazioni, mettiamoci al lavoro.
La mia fabbrica avrà la forma di una gigantesca conchiglia e-se vorrai passare al piano superiore – dovrai capire il messaggio della poesia che metterò a guardia del tesoro.
Ora devo proprio andare.

Primavera 
Una mente che sa.
Geometrie perfette.
Ed io quaggiù so vedere?

21 aprile 2020 Il primo piano 

Ieri ho dimenticato di dirti che costruirò la fabbrica di cioccolato insieme alla mia zia preferita.
Lei è capace di sognare e mi capisce molto bene.
Al primo piano della fabbrica ci sarà un gigantesco orologio del tempo bianco e blu.
L’orologio diventerà tutto blu quando i bambini potranno entrare e, poi, tutto bianco quando bisognerà uscire.
Prima di cambiare colore, l’orologio inizierà ad avvertire tutti i bambini così nessuno si potrà sbagliare. Ad ogni piano ci sarà, infatti, un altoparlante che farà sentire la voce dell’orologio e uno schermo gigante che, invece, ne farà vedere il colore.
Ogni bambino che entra nella fabbrica, però, sentirà la voce dell’orologio e ne vedrà il colore in modo differente, così la fabbrica non sarà mai vuota e al suo interno ci saranno sempre tanti bambini.
Per colpa tua al primo piano dovrò mettere tre tavoli, uno con le mascherine, uno con i guanti e uno con il disinfettante.
Le mascherine saranno tutte diverse le une dalle altre e ogni bambino sceglierà quella che preferisce, i guanti e il disinfettante, invece, saranno uguali per tutti.

La poesia che metterò a guardia del tesoro è sempre della mia poetessa preferita.
Sono sicura che ti ho dato sufficienti indizi per indovinarne il messaggio… Continua a fare il bravo e ci vediamo domani al secondo piano

Maschere
Il treno corre veloce su binari dritti. 

Risate soffocate.

Pianti messi a tacere.

Pianti e risate dentro ruoli ingessati vorrebbero spaccare il mondo. 

Perché non provarci? 

Ridere e piangere senza inutili maschere ...”

22 aprile 2020 Secondo piano

Bravo hai capito il messaggio della poesia a guardia del tesoro al primo piano e, quindi, puoi salire al piano superiore.

Al secondo piano della mia fabbrica ci sarà una gigantesca cucina rotonda con le pentole magiche per fare il cioccolato e tantissime formine diverse.

Ad ogni bambino verrà consegnato un telefonino colorato su cui comparirà il mio numero e così tutti i bambini mi potranno chiamare per fare le loro ordinazioni.

Quando i cioccolatini saranno pronti, i bambini, con i loro telefonini, potranno vedere anche il numero di mia zia.

Sarà, infatti, lei che, alla guida della macchina volante, consegnerà i cioccolatini a tutti.

Agnese mi ha detto che la mia amica poetessa ha scritto la poesia “personecellulare” nella sala di attesa del suo dentista.

Lascerò questa buffa poesia a guardia del tesoro.

Personecellulare

Una stanza qualsiasi, in un posto qualsiasi ad un’ora qualsiasi

Siamo quattro, anzi cinque

Piccoli schermi magici basta poco per essere ovunque

Basta spingere tasti

Due colori bianchi e neri

Hai scelta Non trovi?

È fantastico essere connessi

Fermi in silenzio parliamo con il mondo

Poi si apre una porta è l’ora di andare

Ma chi va …?”

23 aprile 2020 Terzo piano 

Caro Virus penso che presto diventeremo grandi amici, bravo! Sei riuscito a capire anche il messaggio della poesia che ho messo a guardia del tesoro al secondo piano.

E allora benvenuto al terzo piano della mia fabbrica.

Questo piano sarà meraviglioso, ci saranno tantissimi aerei magici tutti fermi e pronti a partire.

I bambini, che alzeranno gli occhi al soffitto, riceveranno da un aeroplano di cioccolata-che sorvolerà il piano- i loro cioccolatini preferiti e riusciranno così ad esprimere i loro desideri.

A questo punto sapranno quale aereo scegliere.

Se vorranno andare al mare, l’aereo su cui saliranno si trasformerà in una grande nave che prenderà subito il largo.

Se, invece, vorranno andare nello spazio, il loro aereo diventerà una bellissima astronave che potrà raggiungere tutti i pianeti, anche quelli più lontani.

Per i bambini che vorranno fare solo una piccola gita, l’aereo si trasformerà in un comodo autobus tutto colorato.

I bambini potranno, così, fare tutti i viaggi che vorranno e saranno tutti felici!

Ora devo proprio andare, ma lascerò-come sempre- a guardia del tesoro la poesia della mia amica poetessa:

Universi paralleli

Lo stupore negli occhi di un bambino

La luce che brilla negli occhi dei ragazzi innamorati

La Meraviglia che abita in un’alba infuocata

La bellezza di chi ama senza condizione

La pienezza di chi non teme perché sa

I brividi che attraversano due corpi che si amano

La forza che vince

La magia della creazione artistica

La tenerezza di un vecchio che sorride in un corpo che vacilla

La liberazione di chi riesce a perdonare

Universi al di là di spazio e tempo

Il TUTTO che si concede a chi vede il miracolo della vita in ogni cosa che fa ...”

24 aprile 2020 Quarto piano

Ieri ho preso la mia astronave e sono andata a fare un giro tra le stelle, secondo me mi hanno ascoltata perché oggi fuori c’è un sole meraviglioso. So che tu non lo ami molto, ma sono certa che è così perché non lo conosci bene.

I bambini della mia fabbrica saranno felicissimi perché- dopo avere viaggiato con gli aerei del terzo piano-saranno tutti stanchi del rumore e quando arriveranno al piano superiore troveranno un silenzio stupendo.

Potranno così scegliere, in tutta tranquillità, in quale personaggio delle favole trasformarsi per un’intera giornata!

Io e mia zia abbiamo già scelto, ma non ti dirò nulla.

Per scoprirlo, a guardia del tesoro, ti lascerò però una poesia della mia fantastica poetessa

Ali 

Il mondo si veste di colore 

solo quando decidiamo 

di incominciare a volare ...”

25 aprile 2020 Quinto piano

Io e mia zia ci siamo talmente divertite al quarto piano che ieri ci siamo dimenticate di costruire il quinto piano della nostra fabbrica.
Oggi,allora, abbiamo deciso di lavorare un po’ di più e così -caro Virus- tu sarai talmente impegnato a risolvere i misteri delle poesie che la smetterai di dare fastidio in giro.
Al quinto piano della nostra fabbrica ci saranno tantissime culle.

Mille maghi e mille fatine volanti arriveranno con biberon e ciucci magici a regalare sogni d’oro a tutti i piccoli.

Le culle verranno sollevate da terra e diventeranno culle volanti così i bambini sospesi in aria potranno sognare beati.

Quando i genitori torneranno a prenderli, i piccolini potranno portarsi a casa il loro ciuccio magico su cui resterà impresso per sempre il loro sogno.
Lo sai che secondo me tu sei diventato così dispettoso perché non hai mai sognato?

Adesso ti devo salutare,ma ti lascio la poesia della mia poetessa preferita.Sono certa che riuscirai a salire al sesto piano.

“Attesa
Ponte tra sogno e realtà…”

26 aprile 2020 Sesto piano

La fabbrica di Iolanda non si ferma!

Al sesto piano ci saranno due grandissimi tavoli da disegno, uno per i bambini e uno per i ragazzi, su ogni tavolo ci sarà un gigantesco foglio.

I pennelli, le matite colorate, i pennarelli e  la vernice spray saranno ovunque.

Le fate e i maghi volanti saranno attentissimi a non farne mancare mai a nessuno e ne porteranno sempre di nuovi e di più belli.

I bambini e i ragazzi disegneranno tutti insieme.

Quando  avranno finito di disegnare  e di dipingere,il loro disegno si staccherà dal tavolo e così tutti avranno il loro lavoro  da portare a casa.

L’originale dell’opera però resterà sui tavoli della mia fabbrica.

Anche questa volta ti ho dato indizi importanti per trovare la chiave per salire al piano superiore.

Ecco la poesia che metterò a guardia del tesoro:

“Arte

Parole trasformate in musica.

Dipinti che fanno parlare silenzi.

Suoni come  ali dorate.

Sculture che plasmano forme invisibili.

Creazioni capaci di mettere a tacere eterne antinomie …”

 

Michele Firinu
venne che il cielo s’oscurò

venne che il cielo s’oscurò

giorni di malumore

dopo le canzoni arcobaleno

fiorite sui balconi

si chiusero le finestre il peace

and love friggeva

tuorlo scaduto nel tegamino

le ortiche dei dubbi

buttate fuori dai nidi

graditi cinguettii a distanza

da nidi amici purché garruli

accompagnati da festevoli

flabelli delle code

occhiuti falchi-droni volteggianti

su città-de-chirico il papa

predica agli uccelli

la sera pallottoliere dei morti

chiuso il lutto

mancava prevenzione e tutto

lavoro dignità maschere ospedali

via le sardine foglio di via

anche ai gretini

vivente più apprezzato lo struzzo

a proprie opre intento

faccia contratta nel sorriso

da paresi facciale lingua fiacca

sotto l’elmetto tutti

al fronte battere l’invasore

il buffone imbraccia lanciafiamme

guerra eroi-bandiera

lock down     smart working

task force     imbavagliare fake news 

ripartenza industriarsi alle maschere

social distancing

ricchi più ricchi

poveri più poveri

vecchi ammanettati smartphone

al confino-tarpea

obbedire poltrone e sofà

distribuire mangimi

tenerli buoni i polli

cassandra vede lacrime

convogli-bare legge tonfi

carestie cozzi di popoli incendi

poche idee folate

a medie altezze stramazzarono

al suolo zaffate dai potenti

getti di ddt avvelenare

aria acque suolo futuro

come di consueto estirpare

qualità coltivare gramigne

 

Silvana Cirillo
25 aprile: MI SONO SVEGLIATA COL BATTICUORE

Caro Tonino, stamattina mi sono risvegliata, dopo tanti giorni, nuovamente col batticuore…Sarà che questa prigione dorata sembrava isolarci da tutti i pericoli e mali del mondo e ora l’avvicinarsi della fase 2 ci preoccupa e disorienta. Sarà che ho consultato mia sorella, medico del lavoro, su eventuali tamponi o test ematologici e mi ha detto che ancora a Roma nulla è definito; sarà che ieri ho chiamato un’ amica, è caduta la linea: ”ti richiamo io dopo..!” mi dice e non l’ho più sentita, e così mio figlio (lui, però, carino, stamane mi ha svegliata chiedendomi scusa) e così pure tu…: tutto si è già scollato? penso – in così breve tempo? Sarà che questo dibattito sugli ultrasessantenni sotto protezione, confuso e senza costrutto ci smarrisce: chi dice restino a casa, chi non vadano a lavorare, chi si deciderà quando dargli il pomeriggio libero…(ma quanti di quelli che blaterano sono ultrasessantenni? Ci hanno pensato?). Sarà che io stessa, che ho firmato lettera a Conte, borbottato con mezzo mondo sull’argomento dicendo che tutti “grandi e vaccinati – per non dire anziani! – sapranno pur decidere da soli se rischiare fuori o galleggiare come morti viventi dentro” ( e pensare che, presuntuosa o meno, mi sono sentita giovane tra i giovani fino a un mese fa… finché non è iniziato il martellamento su tutti i social. E poi, il confine tra Giovane/anziano/vecchio non era stato sociologicamente spostato molto in avanti? Sentivo qualche sera fa Valeria Valeri  da M. Costanzo che dichiarava di essersi innamorata a 79 anni di un coetaneo, e di essere con lui felicissimamente fidanzata da tre anni !), sarà che io pure non so cosa pensare e come regolarmi: Vado all’Università o non ci vado? Vado a farmi con tre mesi di ritardo le analisi in un laboratorio aperto a tutti? Aprirò la terrazza agli amici ( distanziati tutti) per le solite cene estive o non saprò più condividere la gioia della mia casa e dei miei rampicanti con estranei?  Abbraccerò finalmente con passione le mie nipotine? Quanto mi mancano tutti!

Ricordi abbiamo parlato di Luciano Luisi questi giorni, ricordi? Il poeta , il giornalista, il critico d’arte, il conduttore “ storico” del premio Strega, il collezionista di conchiglie, vero gentiluomo del mondo della cultura, profondo, umile e consapevole insieme, innamorato della vita, uomo di fede sincera, generoso,  senza invidie e senza rancori… Ultranovantenne davvero senza età! Amico caro dei miei, lo divenne, mio, per affinità elettive  vissute appassionatamente da ambedue: quante belle cose fatte assieme!

Ieri ho provato a chiamarlo, stimolata dai nostri ricordi, ma il numero – mi dice una voce – non è più attivo… Questo pure il motivo del batticuore… E ora come lo ritrovo? L’ho letto fino a qualche mese fa su L’immaginazione. Sono andata a trovarlo un anno fa in quella sua caldissima casa piena di quadri sculture libri  e mi regalò il volume Tutta l’opera in versi appena uscito da Aragno ed  un quadretto di Zavattini e un disegno di Viani: “So che tu li ami, stanno bene da te, io ne ho altri e poi ho novanta…anni ormai!”. Ma niente malinconie quel giorno, bei ricordi  e momenti della vita vissuti assieme, tanti! Quanto abbiamo riso a ricordare me e lui che tutti compresi e acchitti, recitavamo al mare, Abelardo ed Eloisa nella sua riduzione poetica da Erasmo, perché l’arte – pensavamo – sta bene ovunque e sempre. Che attori ci rivelammo tutti e due!

Poi si è alzato ed è andato a prendere delle foto: Queste non le hai viste, mi sa, e mi passa le foto di quella serata, lontana ormai 14-15 anni , e un’ altra del 2003 che in questo momento ho qui davanti. Di nuovo questo Amarcord! mi dirai… E sì, è sempre più pressante, man mano che i giorni passano e l’insofferenza si mischia al senso di impotenza, il rifugio nei ricordi felici e rassicuranti del passato… Ma anche una buona ragione per fare qualche bilancio inaspettato, certo non programmato… E per scrivere questo Diario.

AMARCORD, II PUNTATA

E mi viene in mente – banale dirai ancora tu! – la madelaine che Proust inzuppava nel the e gli restituiva, immediata, sensazioni e pensieri del passato a Combray accantonati:  i sapori su di me decisamente  non hanno questo impatto,  ma neanche i profumi, che scatenavano echi e richiami alla poesia di  Baudelaire. Ricordi la splendida poesia, inno alla natura e  alla fusione di linguaggi e sensi (con cui apro sempre e illustro la strada verso la modernità ai miei studenti), che è Corrispondences, in cui mescola immagini e profumi “freschi come carni di bambino”, o caldi come spezie,” la mirra l’incenso, il benzoino…”? A me sono i suoni, certe arie classiche  o delle semplici canzoni, che mi riportano luoghi lontani, atmosfere vissute, sentimenti sopiti e volti che credevo dimenticati…: la giovinezza più romantica, i balli della mattonella  coi compagni di scuola del Mamiani, i primi approcci amorosi, le sensazioni che ti prendono allo stomaco,  felici o dolorose che siano, quello che eri e quello che sei stato! Ancora si studiano con attenzione gli effetti che la musica produce sulla psiche… Ma sono soprattutto  le immagini che certe foto ti consegnano, inconsapevoli di quello che esse possono scatenarti dentro, che mi risvegliano ricordi o desideri. Siamo in tema di Premio Strega. Ed ecco che mi trovo in mano e ora ce l’ho sotto gli occhi la foto a 4 del 2003: con me, Luciano, Claudia Terenzi, Maurizio Fagiolo Dell’Arco, mancava solo Franco Lefevre, e lo staff era al completo. Mi spiego. Era l’anno della famosa e bellissima mostra su Roma dal ‘48 alla Dolce vita, cui collaborai intensamente proprio grazie a Luciano e Maurizio. Il caro Maurizio, malato di cuore, che purtroppo morì pochi mesi dopo, davvero lasciando un vuoto incolmabile: era uno degli studiosi e critici d’arte più sensibili, intelligenti e intellettualmente generosi che io abbia mai conosciuto. Avevamo in comune la passione per Alberto Savinio scrittore e pittore e quando lo scoprimmo lavorammo spesso assieme. Claudia responsabile per il Palazzo delle esposizioni, Maurizio curatore della mostra, Luisi, che era stato chiamato a seguire la sezione Letteratura e Premio Strega, mi telefonò dicendo: ci staresti a lavorare con me, la narrativa a te, la poesia a me e il premio a tutti e due, con mansioni diverse? Ero piena di impegni allora, come sempre; stavo progettando la Scuola di giornalismo per la Sapienza (pronta, perfetta, ma non andò, peccato che era proposta dalla Facoltà di Lettere e non da Scienza delle comunicazioni…..!), lavoravo con Pedullà e altri alla Settimana da leggere per il Teatro Argentina, avevo due libri in cantiere, ma accettai subito e con entusiasmo.

L’AMICO FRANCO LEFEVRE

Maurizio mi chiamò subito, felice di avermi nello staff. Fu così che conobbi Franco Lefevre, che divenne un amico insostituibile, amato come persona e come intellettuale e ammirato da tutti noi anche per quello che aveva fatto durante la Resistenza a Roma, staffetta instancabile, e che spesso ci raccontava! Memoria di ferro! Quando era a cena a casa mia con amici, ci ammutolivamo tutti e  finivamo per ascoltare entusiasti gli eventi e le figure storiche che aveva conosciuto e che ci rappresentava come fosse ancora lì con loro, e gli aneddoti infiniti che aveva… Alcuni poi ne pubblicai pure. Franco,  coetaneo e amico storico di  Eugenio Scalfari, come ben sai, era stato il responsabile artistico dell’Espresso, curatore della fotografia del Venerdì di Repubblica e aveva un archivio fotografico di politica e cinema da far invidia. Una collezione di Manifesti e locandine di film credo unica.

Mi recai per la prima volta a Casa Bellonci, ai Parioli, la casa degli amici della domenica, che portavano avanti dal 1947 il Premio Strega. Suono alla porta e chi mi apre? Un ragazzone alto, garbato, timido. “E che ci fai qui Stefano?” gli chiesi, contenta di vederlo in quel contesto, lui che si era laureato proprio con me qualche anno prima, “ collaboro con Anna Maria Romoaldi…, “ fondatrice della Fondazione Bellonci e allora responsabile del Premio. Ora il Direttore e organizzatore del premio è lui, Stefano Petrocchi. Io cercavo documenti , lettere, inediti da esporre alla Mostra, Franco Lefevre era lì per selezionare foto da esporre anch’esse alla Mostra: le pareti sarebbero state coperte  giro in giro di immagini estratte da eventi romani del quindicennio prescelto, circa 600 . Scoccò subito la scintilla e il destino sicuramente volle mettermelo sulla strada. A parte la amicizia bellissima di cui gli sarò sempre grata, e tante iniziative fatte poi insieme come giornalisti, gli devo anche e soprattutto le scelte esistenziali di mio figlio. Molto creativo, gran viaggiatore, fantasioso e generosissimo con tutti (pensa Tonino che da ragazzo lavoricchiava e risparmiava: per i suoi viaggi inter-rail, anzitutto, ma anche per comprare il piumino alla romena che per decenni ha chiesto l’elemosina, estate e inverno, sotto casa, o contribuire al biglietto aereo per il filippino mendicante anche lui, che da anni non tornava a casa per mancanza di soldi…), amante dunque della gente – che in seguito avrebbe ritratto in tutte le fogge e paesi – Piergiorgio, non si sa come, andò a studiare e a prendersi la laurea a Giurisprudenza alla Sapienza (con una tesi naturalmente in Diritto Internazionale). Ma a un mese esatto dalla laurea mi disse: Io non andrò mai a difendere dei colpevoli! Girò il timone e virò verso la fotografia. Franco lo vide al lavoro e gli confermò che aveva talento da vendere e che quella era la sua strada; non solo, gli diede fiducia, non gli consentì di spostarsi a Milano- allora tappa obbligata per chi voleva intraprendere la professione – lo prese nella sua agenzia romana, lo mandò subito per le strade di Roma a fotografare: gli avrebbe fatto lui da maestro e mentore! Piergiorgio gli sarà eternamente grato. Franco ha un figlio, Stefano, musicista per hobby, ma talmente bravo a suonare il clarinetto, che addirittura ha suonato varie volte con Woody Allen quando questi venne a Roma e si esibì in alcuni locali.  Bene, ci venne un’idea: perché non fare una inaugurazione diversa e festosa, perché non accogliere gli ospiti del vernissage con la musica? Stefano, in cima alle scale del Palazzo, quando dentro e quando  fuori, instancabile quel pomeriggio suonò jazz col suo clarinetto per gli ospiti, strabiliati, che salivano; non sembrava più di essere a Roma!

INAUGURAZIONE CON NAPOLITANO

Ma prima, in tarda mattinata, ancora sudati per il trambusto dell’allestimento, che come sempre si protrae fino all’ultimo, ricevemmo la visita del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Ci credi che ho stagliata ancora davanti agli occhi lui che entra, il fascio di luce dietro e poco discosti i pochi accompagnatori che lo seguivano? Forse perché ci fu per me un’altra felicissima sorpresa. Avevo letto nel comunicato che il Presidente sarebbe  stato accompagnato, fra gli altri, dal quirinalista del Tg

1, Paolo Giuntella. Lo vedevo sempre in televisione, lui coi suoi papillons di tutti i tipi, con la barba scura,  un linguaggio sciolto e vivace e ogni volta mi chiedevo: ma sarà proprio lui, il compagno di studio con cui preparai Storia del Risorgimento (ancora me lo ricordo!) più di 30 anni fa? E mi dicevo: vedi, sembrava così timido e riservato e guarda che disinvoltura e prontezza oggi! Ma magari non sarà lui! E invece lo era.

Ci presentarono e Paolo mi riconobbe subito, in effetti ero cambiata poco; ma anche io vedendolo capii. Da allora ci siamo visti varie volte, le poche che era a Roma, e siamo diventati davvero grandi amici: andavamo alla ricerca del caffè Illy, perché lui ne era fanatico, ripercorremmo letteratura, musica e lui, da vero raffinatissimo melomane mi fece apprezzare tanti musicisti e opere x me inediti, parlammo tanto del senso della vita, io laica e lui profondamente cattolico, riscoprimmo la Garbatella, prima ancora di Nanni Moretti, e ci raccontammo la nostra vita e i nostri affetti familiari… Dopo tanto tempo capii che lui è sempre stato un leader appassionato nei vari gruppi e iniziative sociali in cui si trovava: solo con me allora era timido e riservato, ma non recitava , aveva soggezione e riservatezza perché  si era innamorato! Mi portò l’agenda di quell’anno ( mi pare fosse il 1969 ) che ancora conservava: pagine intere col mio nome che le attraversava da destra a sinistra. Io giovanissima  ero già fidanzata, e, comunque, presa dalla smania di studiare e laurearmi presto, neanche me ne accorsi.. E poi mi raccontò due  buffi episodi di cui 30 anni dopo ridemmo insieme. Il corteggiamento. Mi aveva incontrata ad un esame, mentre ambedue aspettavamo di essere esaminati; colpo di fulmine, andò dal bidello, che era una istituzione, un padre putativo per noi studenti (e lo rimase anche una volta diventati assistenti…), ma che non disdegnava le mance,  lo mise in croce e lusingò… finché non gli trovò il mio numero di telefono; con una scusa qualunque mi avrebbe telefonato… e così fece, e dopo un po’ mi propose di preparare quell’esame insieme.  A parte i moti del ‘68, e l’agitazione che coinvolse tutti, nel privato invece si era ancora di modi garbati e tradizionalisti. Bene, un giorno Paolo pensò bene che la dichiarazione andava fatta in grande stile e dunque doveva venire a casa mia a omaggiarmi… Non mi chiedere particolari, che non li ricordo. So solo che comprò un gran mazzo di fiori e bussò alla porta di via Alfani, convinto di trovarmi: invece di Silvana, però, gli aprì padre, Generale dell’Esercito, in divisa .Non ebbe il coraggio di spiccicar parola, si tenne i fiori e se ne andò di gran carriera. Io non ne seppi mai niente fino a quell’anno, né da Paolo (certo per l’imbarazzo della débacle), né da mio padre (che difese così, secondo lui, l’incolumità del mio fidanzamento) . Eravamo ragazzi, Tonino! Paolo purtroppo se ne andò nel 2009, dopo aver combattuto a lungo, ma serenamente contro un tumore che non riuscì a vincere, come sperava.  Lo vidi solo una volta quell’ anno, ma mi raccontava che andava al Gemelli tutto vestito di bianco, con giacca e papillon e un grande cappello di paglia, chiaro anche esso, solare e spiritoso a un tempo, per incutere ottimismo negli altri malati, e incoraggiarli generosamente a resistere…! Oggi, se ci fosse ancora, farebbe con gli amici lastessa cosa…

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera della Grecia

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Guido Barlozzetti
Solo nello spazio

Il messaggio arrivò dalla voce del Centro di Controllo. Gordon Skyscraper in quel momento stava rannicchiato nell’amaca, di più su quell’accrocco di scatole non era permesso. Gordon, è scattata un’emergenza, il nuovo equipaggio non arriverà e tu non puoi venire giù. Non sappiamo quando questa situazione cambierà e per ora noi dobbiamo abbandonare il Centro. Ok. Bip. Solo il tempo di pronunciare uno stordito ok di conferma, bip, replicato dall’altra parte e poi, bip, fine delle trasmissioni.

Pur intorpidito, Gordon si rese conto che il messaggio cambiava un poco le cose, di fatto mandava a quel paese il programma stabilito e non ne definiva un altro, no, semplicemente gli diceva: resti solo e se sei capace sbrigatela, perché quaggiù per il momento non ti vogliamo.

Era in orbita da sei mesi e mediamente ogni giorno gli toccava di fare il giro attorno alla Palla per sedici volte, per cui era plausibile che avesse cominciato ad avvertire  una vaga insofferenza per quella ripetizione.

Non è che su una stazione spaziale hai lo sterzo e giri a destra o a sinistra o, magari, fai anche marcia indietro, le cose non funzionano così. L’annuncio dalla base lo lasciava per aria, con quello che vuol dire aria lassù, a qualche centinaio di chilometri dal pianeta di casa e senza la forza di gravità, vale a dire fluttuante e leggero come nemmeno nei sogni di un étoile della Scala o del Bolshoi.

Un conto era avere davanti a sé un termine – e lui ce l’aveva fino a un istante prima di quel maledetto messaggio – i giorni sarebbero cosi via nell’attesa, con la certezza do tornare a casa e di poter cucinare un risotto senza che i chicchi gli volassero via in ogni direzione o di fare quello che si fa nella bathroom senza spiacevoli back. Un altro era veder sparire di botto il traguardo ed entrare in un limbo senza data di scadenza, con il fantasma dell’ergastolano che gli si materializzava, fine pena mai.

Nessuno sarebbe venuto nella stazione e lui che era stato lasciato per ultimo per fare gli onori di casa adesso restava tutto solo a bordo. E dire che tutti gli esperimenti previsti erano stati svolti, che tutte le misurazioni richieste erano state misurate, che i semi portati su per vedere cosa succedesse erano diventati piante che crescevano senza problemi, che tutte le passeggiate in programma erano state effettuate, che.. Insomma, non era rimasto niente da fare e proprio adesso che di tempo a disposizione ce n’era quanto si voleva.

E poi la solitudine. D’accordo, lo avevano allenato, non potevano mica lanciare un pivello su un razzo sparato verso lo spazio, però con tutti gli esercizi e le simulazioni che hai fatto, una qualche agitazione potrebbe anche prenderti se appena pensi in quale trappola ti hanno cacciato.

Fino ad allora non ci aveva nemmeno fatto caso, stava nella zona che gli era riservata, solo qualche spostamento necessario tra un modulo e l’altro per un controllo del riciclo dell’acqua o per dare un’occhiata alle piante, un’azalea in particolare alla quale si era assai affezionato, ora però la stazione gli diventava un labirinto di scatole vuote di umanità, un involucro gelido e accidentato con passaggi impervi, botole, salti che se prima potevano anche propiziare al rallentatore le evoluzioni che un contorsionista fa nel Circo Barnum, nella nuova situazione diventavano celle siderali che gli si popolavano di fantasmi.

Già, i fantasmi. Gordon era un tipo che non se la faceva sotto, però quel tempo sempre uguale che si allungava, senza una variazione di luce, la mancanza di un qualsivoglia contatto, che so una telefonata a casa, quei bastardi del Centro di controllo che si rifacessero vivi, alla fine  l’impressione di qualche strana presenza l’avevano  generata.

Nella stazione era naturale che da tutte quelle scatole e scatole assemblate fra di loro, le chiamavano moduli, ma erano dei box come in certi alberghi giapponesi dove entra a malapena un micromaterasso, si levasse un concerto di stridii, attriti, scriocchilii, cling clang, che in quella solitudine gli diventavano lamentazioni, gemiti, strepiti minacciosi che lo facevano sobbalzare fino al panico.

E pure il cibo cominciava ad andargli di traverso. Gordon non aveva pretese particolari, era cresciuto a hot dog, hamburger e Coca Cola, lo sapeva dall’inizio dell’avventura che in una stazione spaziale non avrebbe trovato uno chef stellato pronto a servirgli  spremuta di sedano e rapa al bergamotto con olio di oliva nera infornata, risotto al mandarino e radice di wasabi con crudo di pesce e granita di brodo e  un croccantino di foie gras in crosta di mandorle di Noto e nocciole del Piemonte con aceto balsamico tradizionale di Modena Villa Manodori.

Lo sapeva, se non fosse stato per quella roba sempre surgelata, sempre refrigerata, sempre inscatolata.

Di lì alla condizione di un visionario sul bordo dell’anoressia il passo fu breve. Skyscraper nella confusione totale tra la veglia e il sogno cominciò a vedere i colleghi che lo avevano preceduto, fece una discussione sui retrorazzi e sulle V2 con Werner Von Braun e chiese a Armstrong come poter arrivare sulla Luna e si mise a conversare con Yuri Gagarin. Il quale molto lo rincuorò. Lo avevano mandato nello spazio dentro una capsula che un fabbro l’avrebbe fatta meglio, quasi sicuri che non sarebbe tornato e invece lui si era fatto il suo bel giro intorno alla Palla ed era ridisceso giù e tutti si erano stupiti di rivederlo.

Yuri molto lo confortò e, prima di lasciarlo, gli disse che non era solo. Non era solo?  Gordon pensò che anche il pioniere degli astronauti stesse dando i numeri. No, non era solo, su un orbita parallela alla sua si trovava una navicella, e qui tradiva un segreto inconfessabile perché ne andava della sicurezza di tutte le Russie, l’avevano lanciata i servizi segreti per controllare proprio la sua stazione. E a bordo c’era Ljudmilla, bionda gentile che aveva già fatto girare la testa ai marinai e ai giovanotti di San Pietroburgo dove era nata. Ebbene, si trovava nella sua stessa condizione, non poteva rientrare e nessuno sarebbe venuto a dargli il cambio. Bastava solo una leggera variazione di rotta e l’avrebbe raggiunta!

Fine della rivelazione. Gagarin sparì.

Gordon rimase a mezz’aria e non solo perché non c’era la forza di gravità. Un sogno a occhi aperti? Il delirio di un naufrago senza approdo? Un effetto di quelle cremine dal colore triste che riscaldate all’infrarosso gli toccava di mandare giù?

Fluttuava nella sua scatola, perplesso e incredulo. Ma dai, Gagarin!? E perché no  Charles Lindbergh, Abramo Lincoln, Kennedy o Groucho Marx con il sigaro? Glielo avevano detto che la permanenza prolungata a respirare quell’aria artificiosa avrebbe potuto scatenare i neuroni! E pure la storia di Ljudmilla che gli viaggiava accanto! Va bene che i russi sono i russi e che fra loro e la Cia non smettono di giocare a fare le spie, però le favole per piacere no.. soprattutto quando – se ne stava convincendo – era lui che se le raccontava per il tramite di uno spirito.

Un istante. Fu proprio allora che qualcosa colpì l’occhio che, anche nello sbandamento di un’allucinazione, un astronauta deve tenere sempre vigile.

Arrivava dall’oblò, Gordon guardò meglio, una luce rossa che si accendeva e si spegneva.

Con gli strumenti che aveva, telecamere, obiettivi che avrebbero fatto una radiografia anche a un tafano appena nato, mise a fuoco quel bagliore intermittente e si può immaginare la sorpresa e il tuffo carpiato al cuore quando si accorse che era una navicella russa.

Viva Gagarin! Cominciò a gridare con tutta la voce che aveva e cantò pure l’inno russo che se lo avessero sentito dalla base lo avrebbero subito denunciato alla Commissione d’indagine sulle attività anti-americane. Sporco comunista!

Il tempo per riaversi dallo shock, corresse la rotta quanto bastava per affiancarsi poco a poco al marchingegno dei russi, fino a che fu a vista con l’oblò.

E lì gli apparve il sorriso luminoso di Ljudmilla  che gli strizzava un occhio.

Un amaro al carciofo

Era un costume antico. Quando si avvicinava una tempesta, era il caso di abbandonare la città. Che fosse una guerra, con i lanzichenecchi di turno che facevano terra bruciata, o una di quelle pesti nere, nerissime,  magari portata proprio dai sopradetti lanzichenecchi, il consiglio più conveniente era di chiudere il palazzo, per chi ce l’aveva, e ritirarsi fra le tenui colline che guardavano la città nella villa, la residenza di campagna.

Nel passato era sempre andata bene e non si vedeva perché questa volta non dovesse accadere lo stesso. La villa era isolata al punto giusto, protetta da una cinta muraria e, dove non arrivava, da reticolati di filo spinato che nemmeno sulla Somme durante la prima guerra mondiale.

All’interno del recinto veniva coltivato tutto quello che serviva per mangiare e bere, un’Arcadia generosa, gli alberi davano frutti, le viti uva, l’orto le zucchine, l’insalata, il cavolfiore, la bieta, le melanzane e i carciofi di cui Pio Alberizzi era particolarmente goloso, e così il pollaio, la gabbia dei conigli, l’arello con i maiali, la piccionaia e pure l’alveare. Nessuno parlava di chilometro zero, era semplicemente nell’ordine naturale delle cose.

Ad aggiungere un’altra motivazione per cui Pio nella villa ci andava molto volentieri, provvedeva la figlia di un contadino, Clelia, che al solo pensiero gli alzava subito la dose, in verità sempre abbastanza alta, del testosterone in circolazione.

Arrivò nella villa e diede ordine che tutto si sprangasse e si chiudesse.

Lui si ritirò nello studiolo con annessi servizi in una torricella che s’era fatto costruire accanto al corpo della villa da un architetto che non si era curato molto dell’armonia del risultato. Una cellula di sopravvivenza, protetta da un’intercapedine nella quale veniva lasciato tutto quello che gli serviva, in modo da evitare qualunque contatto.

Un piano indubbiamente ben congegnato, in apparenza senza punti deboli, fessure o crepe che potessero comprometterlo come era accaduto, sempre durante la prima guerra mondiale, con la Linea Maginot che sembrava una barriera insusperabile.

Come passare il tempo? Pio non era quello che si direbbe un ccompulsivo della connessione, anzi rifuggiva dalle tecnologie e da quegli attrezzi per i quali non aveva nessuna manualità. Era fermo alla penna e all’inchiostro e anche il telefono, quello con la cornetta, aveva dovuto sgomitare non poco per penetrare nel suo munito fortilizio.

La penna aveva un posto importante nella sua vita. Da anni e anni infatti si applicava a scrivere Le memorie di Pio, un libro in tempo reale, nel senso che Pio trascriveva vita e pensieri, pensieri di vita e vita dei pensieri, in un intreccio che lui stesso faticava a sciogliere, vale a dire che annotava tutto quello che gli passava per la testa, che gli capitava di vedere o ascoltare, e anche il poco che faceva durante la giornata, perché  stava sempre seduto a rincorrere sulla pagina le divenienti sue memorie. A parte gli incastri con Clelia e i carciofi che gli venivano cucinati esaltandone tutte le qualità: fritti, al vapore con olio d’oliva, in una frittata, alla romana, alla giudìa, con le fettuccine, insalata a crudo, ripieni, trifolati, in umido.. lo eccitavano a tal punto che gli succedeva anche di mangiarli a morsi, così come erano.

Per dare un minimo di respiro al soliloquio nella torricella, decise che ogni giorno uno dei contadini e dei servitori della villa si sarebbero presentati alla base della torricella e gli avrebbero raccontato una storia, tema libero, con l’unica condizione che lo facesse ridere.  E i racconti li avrebbe inseriti nel flusso di un’opera che aveva l’ambizione di coincidere con la sua vita e che dunque si sarebbe conclusa, necessariamente, soltanto con il suo trapasso. Il che rende conto del sottovalutato eroismo letterario letterario di Pio Alberizzi.

Dunque, questo era il quadretto della sua vita in villa, mentre la città di cui poteva ammirare il panorama era in preda al morbo devastante e mortifero.

Le giornate scorrevano variamente componendo scrittura, la figlia del contadino, i carciofi e le storie che gli venivano raccontate.

In effetti, la fantasia degli occasionali narratori sorprendeva.  Amanti felici alla faccia di un marito, disastri che si trasformavano in ricchezza, scherzi e inganni senza pietà per i creduloni.. e via via fino alle barzellette sui carabinieri, quelle sull’italiano, il francese e il tedesco, su Totti,  Pierino, la gru e l’elitropia.

Pio tutto trascriveva nelle Memorie di Pio, lo specchio diventato l’ossessione della sua vita. Allo stesso modo di Dale Cooper, l’investigatore che l’FBI manda a Twin Peaks per scoprire chi ha ucciso Laura Palmer (e non solo). Dale, con un registratore, si rivolge a una misteriosa Diane e le racconta quello che ha fatto e e sta per fare, i suoi pensieri e desideri, sul Dougals Fir , l’abete delle foreste nello stato di Washington, le torte alle ciliegie e i conigli snowshoe.

Fatto sta che a un certo punto l’umore cominciò a cambiare. Una variazione lenta ma via via sempre più percepibile, si stava intristendo.

Tutti si domandarono che gli stesse succedendo e, in attesa di risposte che non avevano, si dettero da fare per riaccenderne le voglie e ridargli energia.

In cucina s’inventarono piatti meravigliosi con i carciofi e arrivarono a distillare la pianta facendone con una ricetta rimasta segreta un amaro gradevolissimo.

Clelia dette fondo a tutto il guardaroba, coulottes e microbikini, babydoll, tute da notte in ecopelle, temptation sleepwear, pigiama sexy.. ma il testosterone di Pio  continuava ad abbassarsi, inesorabile. E anche le storie che gli raccontavano pur esilaranti non riuscivano più a farlo ridere, al punto che capitava pure che non si affacciasse al balcone della torricella.

Ma l’inspiegabile mutazione non era finita. Come se avesse incubato nella tristezza, di lui s’impadronì una pulsione aggressiva e violenta, a fronte della quale si sentiva impotente. E sebbene, con l’ultimo barlume di coscienza, ne soffrisse tutte le pene, quella forza indomabile si scatenò.

Ne fece le spese Clelia che invece del dolce e carezzevole amante si trovò di fronte a un lupo mannaro, l’ignaro cameriere che gli portava una frittata di carciofi che in altri tempi l’avrebbe resuscitato e anche un temerario cantastorie cghe aveva pensato di rallegrarlo e, cos’, di placarne il furore.

Per fuggire da un virus sconosciuto, Pio Alberizzi si era rintanato in un bunker campestre e adesso era diventato lui il virus-killer della villa.

Il padre di Clelia, che era uomo dalle molte risorse, pratico ed astuto, capì che bisognava passare all’azione.

Fece in modo che, lasciando tracce qua e là e chiamandolo come le sirene facevano con Ulisse, Pio lo inseguisse per tutta la villa. Così gli fece perdere l’orientamento e poté sorprenderlo esausto accanto a un pozzo nel quale lo precipitò. Per sempre.

I carabinieri intervenuti a cose fatte, perquisirono lo studiolo.  Sul tavolo, la penna era nel calamaio dell’inchiostro e accanto  Le memorie di Pio.

Le sfogliarono e furono colpiti da una frase che per parecchie pagine si ripeteva ossessivamente. Il mattino ha l’oro in bocca, il mattino ha l’oro in bocca, il mattino ha l’oro in bocca..

Quanto al padre di Clelia, avviò un’impresa per la produzione dell’amaro al carciofo, che divenne noto in tutto il mondo con lo slogan “contro il logorìo della vita moderna”.

Consegna a domicilio

Nel tempo in cui non usciva più nessuno, recapitava nelle case tutto quello che se avessero potuto uscire avrebbero comprato da soli. Caricava nel cubo di plastica dietro il sellino e poi partiva con il motorino.

La città era tutta per lui e gli piaceva andare sulla corsia opposta e fare qua e là come se fosse stato in una pista.

Prendeva, viaggiava e consegnava. Alla partenza nessuno gli si avvicinava, anzi gli lasciavano il pacco sulla porta, che fosse una pizzeria, un fruttivendolo o un supermarket, roba di prima necessità perché gli orologiai, i profumieri e gli ombrellai non erano ritenuti essenziali e dunque erano chiusi. E quando arrivava a destinazione  la gente si comportava in modo parecchio strano, per un verso, lo aspettava, anzi nel casso avesse tardato, s’inferociva pure e inveiva con urla, per l’altro, non appena lo vedeva, che si fermasse, che non osasse salire la rampa delle scale e lasciasse lì il pacco, i soldi glieli tiravano e il resto non lo volevano, e non perché fossero diventati generosi, ma solo per la paura di avere un qualche contatto.

Insomma, la vita di Antonio Spidi detto Totò si svolgeva nel mezzo, rimbalzava come la palla di un vecchio flipper da un punto all’altro della città, accolto e respinto, chiamato e cacciato.

Non aveva deciso di fare quel lavoro per una qualche vocazione e tuttavia aveva scoperto di poter essere utile, il sorriso dei bambini che lo aspettavano, un grazie.. finivano per dare un senso a quel girovagare da un capo all’altro della città. Ma adesso tutto era cambiato. Paura e diffidenza, ovunque.
Ne ritraeva un’impressione di solitudine frustrata, le porte sbattute in faccia lo facevano sentire escluso dalla vita che là dietro doveva svolgersi, dalla continuità degli affetti e dal calore di un qualche rapporto che lo togliesse al freddo che sentiva salire dentro di lui e lo raggelava nel corpo e nello spirto. Mentre tutti stavano in casa, lui era condannato al fuori, un nomade in motorino nel deserto che era diventa una metropoli in cui, prima, l’ingorgo era la regola.

Va detto che ogni tanto si fermava, un po’ per interrompere l’andirivieni che un sociologo con letture classiche aveva paragonato al mito di Sisifo, con la differenza che il protagonista non era un re e la pietra che rotolava giù e doveva essere riportata su era una pizza. E poi una cosa era il mito, un’altra quelle giornate a schizzare via per strade e piazze dalla mattina alla sera su cui il sociologo pontificava con le sue teorie, dopo aver mandato giù una bufala-e-pomodorini che gli aveva consegnato un anonimo postino come Totò,

Staccava il telefonino quanto bastava per sostare sotto la torre di un grattacielo a guardare su e a perdersi nel cielo, davanti a una fontana a vedersi riflesso sull’acqua, sulla panchina di un giardino, il sole, il cinguettìo e pure la cornacchia che gracchia da uccellaccio del malaugurio.
Quel giorno, sotto una verzura nella quale si infilavano i raggi del sole, cominciò a pensare alla sua condizione e, nell’ordine, gli vennero in mente il brutto anatroccolo, Calimero piccolo e nero e Cenerentola. Inutile, i pensieri si incupivano e soprattutto minacciavano di piazzarsi stabilmente nella testa, lui che come il motorino era abituato a saltare come una scheggia dall’uno all’altro, perché Totò era sempre stato vispo e vivace, uno che le cose le capiva prima ancora che gliele dicessero e che era sempre andato a velocità supersonica. Gas a manetta e vai!

Fu solo il lamento di una sirena che lo riscosse. Guai se lo avessero trovato seduto lì. Non solo non stava lavorando, ma si divagava sulla panchina di un giardino..

Allora riaccese il telefonino, prese il motorino e ripartì verso il centro della città, mentre lo chiamavano di qua e di là, come il barbiere Figaro che tutti lo vogliono.

Correva cercando di allontanarsi dal nero dei pensieri, e a un certo punto si accorse che un altro come lui, un povero diavolo delle consegne a domicilio, si era messo nella sua scia e lo seguiva. E poi eccone un altro con il cubo bene in vista da una strada sulla destra e altri ancora che venivano in senso contrario, facevano inversione si mettevano dietro di lui.

Non credeva ai suoi occhi, un flusso di motorini cresceva come un onda sotto la spinta del vento, tutti i Totò della città e chissà di dove stavano convergendo lì, da tutte le parti e gli si accodavano. E lui si ritrovava alla testa di un esercito, rumoroso, compatto e sorridente. Già, sarà stato perché finalmente stavano insieme e il petto che gli si gonfiava in quella moltitudine orgogliosa di sé, tutti sorridevano e gridavano il suoi nome.
Lo riconoscevano come una guida  e dunque aspettavano da lui un segnale che dicesse cosa fare e dove andare, allo stesso modo che la lunga fila del Settimo Cavalleggeri  attende che John Wayne alzi  il braccio e dica della direzione.

Totò, non sapeva bene nemmeno lui perché, si sentiva rinfrancato, quel corteo era una trasfusione di vitalità e energia che liberava la testa da ogni oscurità. Si votò quanto serviva per catturare con l’occhio la schiera che si andava ingrossando. Lo seguivano, non era una visione, un’armata di rider che non volevano più essere la palla impazzita fra le sponde di un biliardo urbano.

Il viale su cui avanzavano era largo e lungo.

Totò, dato un ultimo sguardo su una compagnia di cui ormai non intravedeva la fine, cominciò ad accelerare e dietro fecero altrettanto.

Sempre più forte, tirando fuori dal motorino tutto quello che aveva, lui come tutti gli altri.

Il rombo era possente e i prodi cavalieri della consegna a domicilio si riunivano un solo corpo, come la nuvola di uno stormo che al tramonto  evoluisce all’unisono in forme stupefacenti, e insieme esprimevano una potenza che avrebbe lasciato di stucco anche la sala di controllo di Houston, pure abituata alla partenza del missile Saturno.

Sempre più forte, Totò era portato da quella forza, ne era la punta che bucava l’aria e, a un certo punto, sentì che poteva farlo, che  sì poteva e doveva tirare verso l’alto il manubrio.

Lo fece e il motorino subito si staccò da terra. Volava! Sempre più in alto. E volavano anche quelli che lo seguivano e la città si allontanava sotto di loro.

Scendevano verso il cielo dei rider dell’home delivery.

Un carabiniere attirato dall’insolito frastuono dice di averli visti diventare sempre più piccoli, fino a un puntino che poi sparì.

Giura di avere anche sentito un coro che più o meno faceva così:
Ci basta una capanna
Per vivere e morir
Ci basta un po’ di terra
Per vivere e morir
Chiediamo un par di scarpe
E anche un po’ di pan
A queste condizioni
Crederemo nel doman.

 

Lucianna Argentino
24 aprile 2020

Non sono riuscita a tenere un diario di questi giorni. Non ci sono riuscita perché le azioni del quotidiano si sono ridotte al minimo pur essendosi fatte più complicate. Anche alzarsi al mattino ha un sapore diverso. C’è una certa pesantezza.  E poi fila al supermercato, fila in farmacia, fila all’ufficio postale. Mascherina, guanti. Qualche giorno fa distrattamente sono uscita senza mascherina, un desiderio inconscio (ma neanche tanto) di riprendere la vita di prima, comunque sono tornata a casa e l’ho messa se non altro per evitare gli sguardi allarmati delle altre persone. Una cosa carina è accaduta un paio di giorni prima di Pasqua quando Alessandro, un bimbo di sei anni mio dirimpettaio, dal balcone (abitiamo al secondo piano)   ha recitato una poesia ai nonni che erano giù con due grosse uova di cioccolato (una per lui e una per il fratellino di tre anni) che dopo hanno lasciato nell’androne. Poi, appena dopo Pasqua, ci sono state un po’ di contestazioni perché nell’albergo qui vicino hanno portato alcune persone per la quarantena e qualcuno qui nel quartiere non l’ha presa bene, così ora ci sono i militari a presidiare la struttura.  Le giornate hanno un ritmo diverso, gli amici si incontrano via Skype o su Zoom che ho scoperto partecipando a una video conferenza in cui ho parlato di poesia e di rinascita.  Non so se ci sarà una rinascita anche perché per rinascere occorre prima morire e io credo che certe cose negli esseri umani non moriranno mai. Nel bene e nel male. Diciamo che essendo momentaneamente sospese le relazioni abbiamo trovato un nuovo modo per parlarci e forse abbiamo capito quanto siamo importanti gli uni per gli altri e che forse è arrivato il momento di ripensare un po’ alla nostra vita, al senso e alla direzione che vogliamo darle. Io lo so da tempo e la poesia in questo mi è stata compagna e complice.  Non sono riuscita a tenere un diario perché la mia vita si svolge per lo più interiormente. L’allentarsi degli impegni quotidiani, il silenzio che in realtà qui dove abito non mancava neanche prima, anche se ora è certamente un silenzio diverso e continuato, mi hanno spinta ancor più a un intimo dialogo con me stessa che si svolge anche attraverso la poesia. Ho ricominciato a scrivere poesie. Non che avessi smesso, ma mi ero dedicata a dei progetti ben determinati. Lo scorso anno sono usciti due miei libri. Uno raccoglie tre racconti in versi dedicati a tre personaggi biblici, l’altro delle poesie d’amore scaturite da una mia personale esperienza e in cui racconto lo stupore della vita e della forza dirompente dell’amore. Ecco i poeti partono dal personale, dal particolare per raggiungere l’universale.  Tutti partiamo da ciò che conosciamo, anche se i poeti e forse gli artisti in genere, riescono a immedesimarsi negli altri e a raccontarne la vita e i sentimenti con precisione anche se non hanno vissuto direttamente quelle stesse esperienze. Per questo leggiamo poesie o guardiamo un film, un quadro, ascoltiamo la musica, per ritrovare noi stessi, non noi stessi così come siamo ma noi stessi più vicini alla verità, al nostro vero volto. Lo ripeto spesso. Quando leggo una poesia mi sento chiamata per nome. E’ a me è a te che si rivolge e va ad illuminare zone talmente intime in noi che neanche immaginavamo e ci fa sentire più pienamente la vita. Ci ridona la nitidezza dello sguardo, quella che avevamo da bambini. Tempo fa avevo scritto una poesia che parla di questi tempi in modo esplicito per questo non volevo divulgarla. Ogni volta che accade qualcosa, terremoti, migranti, naufragi, si parla di sciacallaggio se un poeta, uno scrittore (ai pittori mi sembra che questo non lo si rimproveri – devo approfondire) ne scrive, mentre è soltanto una partecipazione al dolore altrui, che è pure il nostro, perché vedere morire uomini, donne e bambini fa male, fa tanto male e dovrebbe scuoterci fin nel profondo. Scuoterci e muoverci al bene. Al bene quotidiano.  Comunque trascrivo per voi la poesia. E’ senza titolo. Ognuno può darle il titolo che sente.

S’annida nei polmoni,

ruba il respiro, avvelena il tempo

a noi che l’antidoto lo abbiamo

nella triangolazione tra cuore bocca e mani

e il vaccino è l’abbraccio

che di balcone in balcone

fa della distanza un canto.

E’ lo stare soli

e sentire nel silenzio, oltre il pianto,

il battito di ognuno scacciare la paura.

E’ sentirsi più intimi ora

che la lontananza è una frontiera

di fraternità e speranza.

Sapere che tra queste quattro mura

la vita è vita condensata

che, come gli atomi,

perdendo energia emette luce.

E  luce allora sia

e illumini ciò che ci fa umani

e mostri che non è radice il male

ma lo recide l’essere amati e l’amare

– l’impegno quotidiano

che della spiga fa pane.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera della Danimarca

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Mariù Safier
Giornate in ordine sparso 5 di Mariù Safier

La Giornata del Libro 2020  è passata, scivolata tra il mare sul quale galleggiamo, sopraffatta dagli elenchi, i sommari e le informazioni sul Covid 19. Il virus ha silenziato anche una manifestazione bella e importante, mentre avrebbe dovuto avere un risalto mediatico più grande del solito.

Ve ne ricordate l’origine? Fin dal medioevo il 23 aprile, festa di Sant Jordi, in Catalogna, gli uomini offrivano una rosa alle donne e ne ricevevano in cambio un libro. La leggenda che l’ha ispirata raccontava di un drago che esigeva il sacrificio di giovani donne e venne sconfitto dal Cavaliere Jordi, diventato poi patrono della regione spagnola. Sembra che fosse innamorato della principessa, destinata a essere divorata dall’orribile creatura: uccidendo il mostro, la salvò e lei riconoscente, gli dedicò un poema, mentre dal sangue del drago, nacque un roseto. Più tardi si diffuse la consuetudine dello scambio di doni. In seguito, la data è stata scelta per ricordare Cervantes e Shakespeare, morti in quel giorno.

Insomma,“State a casa” , “Leggete”, riscoprite il piacere dei classici, di libri che avete accumulato e mai trovato il tempo di affrontare poteva motivare una qualche manifestazione, oltre quelle in rete. Invece niente. Il risalto maggiore è stato dato alle notizie che continuano a tenere sospese le persone, piene di contraddizioni, di liti e accuse reciproche tra le cosiddette fonti istituzionali. Anche la scelta di usare per la clausura forzata lockdown è irritante. Non abbiamo abbastanza parole, nel nostro ricchissimo vocabolario, per trovare un termine adeguato, che ci faccia sentire autonomi? Deve per forza essere mutuato dall’inglese? Appare più accettabile restare chiusi tra le mura domestiche, più esotico, se detto in un’altra lingua? Mah!

C’è un torpore nell’aria che spolvera le strade, a tratti meno deserte, una sorta di scoraggiante attesa, che imprime un’accelerazione alle giornate, diventate gradatamente lunghe e luminose, con l’ora legale. Ci si interroga con ansia e dubbi, sulla Liberazione, che avverrà, pare, il 4 Maggio. Non per tutti. Tempi e modi da stabilire. Per questo forse, c’è poca allegria alla prospettiva. Il passaggio non sarà indolore e segnerà comunque una cesura. Una diga incontenibile. L’apertura biblica del Mar Rosso marcò un punto di svolta per il popolo ebreo. Siamo tutti in attesa di credere che davvero si spalanchino le acque del futuro.

Intanto, il primo bocciolo della mia pianta, di rose Mafalda di Savoia, è spuntato e sta lì, in attesa di altri raggi di sole. La prossima settimana spero di mostrarvelo in tutto il suo tripudio. Peccato non sentirne il profumo. Fidatevi, è meraviglioso.

Ombra di rosa, sul ramo fiorito

il cielo si curva su ogni giardino

il giorno è finito, aspetta la sera

il vento mormora una preghiera.

La luna appare nel cielo di perla

il richiamo discreto di una lucida merla

sembra strano e lontano;

voce buia, captata dall’aria

mentre il volo dorme, tra ali di brina.

 

Salvatore Rondello
DISTANZIAMENTO

Diffusori  di  morte

Invadono  gli  spazi.

Scansiamo insieme

Temuta  causa

Attentatrice  di  vita,

Nutrendo  pensieri

Zelanti di  rigore

Inasprito dalle  lunghe

Attese,  con  animo

Mesto  e  sopito.

Eccoci  ritrovati,

Nella  silente  solitudine

Tollerata  da  speranze,

Ove  arde  il  cuore.

 

Roma, 25 aprile 2020

Foto di Mariù Safier

 

Marinella Ferranti
Proteggere e promuovere il benessere psicosociale in tempi di Covit 19

La pandemia da Covit 19 pone nella storia dell’Umanità un segnalibro importante dove il perché, il come e gli apprendimenti conseguenti faranno da sfondo per organizzare il nostro futuro. Il perché sarà di competenza degli esperti e, spero, non degli vari opinionisti che ascoltiamo esprimersi in tv.
Il come lo stiamo vivendo tutti noi attraverso le nostre stesse esperienze quotidiane.
Ho presente la storia di un laureando alla Cattolica che, a 15 giorni dalla discussione della tesi, è stato costretto a lasciare in fretta e furia la sua adorata Milano per tornare nel suo luogo di residenza, un paesino della Puglia.
Il suo racconto era segnato da momenti di scoraggiamento e angoscia, impotenza e rabbia, rassegnazione e istinti suicidi, buonsenso e perdita del sé e dell’identità che da anni stava costruendo a fatica e che ora vedeva perdersi per cause di forza maggiore senza aver fatto “niente di male”.
Il ragazzo aveva studiato il cinese ed aveva ottenuto risultati eccellenti tanto è vero che il suo professore si stava adoperando, attraverso il canale dei  suoi rapporti accademici internazionali, per inviarlo in Cina dove avrebbe avuto ottime occasioni di lavoro.
Quando mi telefonò, nei giorni intorno al 15 marzo 2020, era un fiume di parole, poi si interrompeva per dire “è tutto finito” come fosse uno slogan che lo faceva crollare verso un precipizio di cui non percepiva il fondo. La discussione della tesi, inoltre, lo preoccupava come preoccupa tutti i laureandi del mondo ma, nella sua situazione emotiva, tutto sommato, non aveva un grande peso perché si prefigurava un futuro in cui bisognava salvarsi la vita e basta, dicendomi “in fondo, a che mi serve, ormai la discuterò questa tesi ma poi che ci farò, è tutto finito!”. La sua famiglia, che aveva dato impulso ai suoi sogni incoraggiandolo negli obiettivi e sostenendolo finanziariamente a Milano, gente pratica e di buoni principi, lo circondava di affetto, la mamma preparava cose speciali e i loro pasti erano arricchiti da vino rosso in abbondanza “quando questo finirà dovrò frequentare gli alcolisti anonimi!”.
La sua storia, assieme a tante altre diventa il simbolo della nostra attuale sofferenza, tutti noi vigili, allertati e disperati mentre cerchiamo a fatica di immaginare i tempi per un futuro migliore che non sappiamo quando arriverà.
Un giornalista, nei primi giorni di marzo mi diceva: “Non sappiamo niente, chi dice una cosa, chi il contrario, cerchiamo info utili, anzi, nel nostro giornale facciamo di tutto per non sembrare ridicoli ma leggo in giro cose che non stanno né in cielo né in terra. Comunque dobbiamo scrivere e vendere, dobbiamo superare brillantemente questo momento tanto difficile e non perdere la faccia. Escludendo notizie date da insensati, perditempo, complottisti e opinionisti da strapazzo, siamo fermi sui dati reali e stiamo cercando notizie attendibili da esperti veri. Non immagini che fatica stiamo facendo!  Cerchiamo di non dire sempre le stesse cose mettendogli un vestitino ogni giorno diverso ma, credimi, uno stress immenso. Quando finisce devo venire da te in psicoterapia a svuotare il sacco!”

Le conseguenze dovute al prolungamento della quarantena determinano il deterioramento delle reti sociali, delle dinamiche sociali e dell’economia. La stigmatizzazione dei pazienti che sopravvivono alla malattia può portare ad un’esclusione degli stessi da parte della comunità, gli stati emotivi di accresciuta intensità, rabbia e aggressività nei confronti dei rappresentanti del governo e dei lavoratori di prima linea possono provocare reazioni incontrollate.
Le nostre paure ci accompagnano e ci accompagneranno per molti mesi, paura di ammalarsi e morire, evitamento delle strutture sanitarie per paura di essere infettati durante le cure, sentimenti di impotenza, noia, solitudine, paura di perdere i propri mezzi di sussistenza, di non poter lavorare durante l’isolamento e di essere licenziati dal proprio posto di lavoro; paura di essere associati alla malattia e, come conseguenza, essere isolati socialmente e/o essere messi in quarantena in un contesto di razzismo nei confronti delle persone provenienti dalle aree colpite. Sentimenti di impotenza nel proteggere i propri cari e paura di perderli a causa del virus, paura di essere separati dai propri cari e da coloro che in qualche modo ci proteggono,  disinteresse nei confronti dell’alterità.
Ad esempio, una categoria di lavoratori che non può escludersi dalla presenza nel posto di lavoro è quella degli impiegati nei supermercati che, per il terrore di essere licenziati, mettono a rischio di contagio sé stessi e le loro famiglie ogni giorno accumulando difficoltà su difficoltà proprio per questa posizione lavorativa.

Due impiegati di un supermercato della Capitale, marito e moglie,  due figli, che avevano organizzato la loro famiglia sulla base dei rispettivi turni di lavoro con l’aiuto di una nonna e di una tata ad ore, sono entrati in grande sofferenza con la chiusura delle scuole e con l’impossibilità di usufruire della generosità della nonna che abita in un quartiere lontano dal loro. Proprio lei mi raccontò: “Mi hanno chiesto di fare la quarantena da loro, mai! Quando mi ricapita di stare a casa mia senza scocciature? No, non volevo dire questo, voglio tanto bene ai bambini, me ne occupo da quando sono nati, volevo solo dire che mi devo guardare la salute, dicono che muoiono i vecchi ed io voglio vivere, altro che vecchia! A 70 anni ancora mi piace ballare, fare ginnastica, leggere, fare le chiacchiere con gli amici, anzi, questa è la volta buona che mi fidanzo perché il tempo finalmente ce l’ho, e dai! Faccio la ginnastica on line, pure gratis, pure in pigiama, pure mentre prendo il caffè e si cuoce l’arrosto, una meraviglia! Però mi fanno tanta pena mio figlio e mia nuora! Pensi che per non infettare i figli dormono uno in salotto e l’altra nella cameretta dello stiro, mettono disinfettanti dappertutto e sanificano ogni cosa sanificabile. Mia nuora mi ha chiesto come facevo a sopportare i bambini, lei non li conosce proprio benissimo come me, il grande  ride sempre ma guai a fargli un torto, te la fa pagare, la piccola vuole solo giocare e alla fine non ce la fai più perché ti sfinisce. La tata non può andare perché il fratello e il padre sono infermieri e mio figlio  ha paura del contagio. Lui mi ha detto che invidia quelli che stanno in cassa integrazione. Poveretti, mi dispiace per loro!”

Data la convivenza forzata, In molte famiglie si registrano episodi di rabbia e aggressività nei confronti di bambini, coniugi, partner e membri della famiglia (aumento dei casi di violenza domestica e di genere); si denota maggiore diffidenza e scarsa fiducia verso le informazioni fornite dal governo e dalle altre autorità competenti, si temono ricadute in persone con problemi di salute mentale o uso di sostanze a causa della scarsa presenza delle strutture sanitarie o dell’impossibilità di accedere ai servizi di assistenza.

Alcune di queste reazioni e di queste paure derivano da pericoli realistici, tuttavia molti comportamenti sono rinforzati da mancanza di conoscenza, dicerie e disinformazione. Le conseguenze dovute al prolungamento della quarantena determinano il deterioramento delle reti sociali, delle dinamiche sociali e dell’economia. La stigmatizzazione dei pazienti che sopravvivono alla malattia può portare ad un’esclusione degli stessi da parte della comunità, gli stati emotivi di accresciuta intensità, rabbia e aggressività nei confronti dei rappresentanti del governo e dei lavoratori di prima linea possono provocare reazioni incontrollate.
Tutto questo insieme incontrollato si riverbera sulle Persone che non hanno più punti di riferimento certi. La chiusura dei tribunali e la convivenza imposta sta generando episodi gravissimi di intolleranza nei confronti dell’altro poiché la perdita delle buone prassi mette in pericolo soprattutto le  storie  già fragili.
Un signore che ha dovuto adattarsi alla vita di separato in casa mi diceva: ”Ora proprio non ne posso più e non so come farò ancora a sopportare questa situazione. Sto per esplodere ma mi devo tenere altrimenti faccio un disastro. La mattina mi sveglio e ho l’immagine di me con  gli occhi  sanguinolenti, come nei film dove fanno vedere gli assassini in procinto di  uccidere. Lei mi provoca minuto per minuto, lo capisco benissimo che lo fa per farmi andare via e lasciare la casa tutta a lei. In tempi non sospetti io ero equilibrato, uscivo per lavorare, rientravo, lei faceva le sue cose tutto il giorno e si conviveva, rapporto orribile ma vivibile. Sapevo che in mia assenza faceva salire lui ma occhi non vedono, cuore non duole, in fondo i patti erano questi. Lui è sposato e le giornate andavano avanti così.  Il bimbo a scuola, contento di stare con papà e mamma, ancora piccolo per capire che ci odiamo. La casa comprata in due, piccola ma ancora da finire di pagare, gli avvocati che raccomandavano sia a lei che a me di non lasciare casa per non perderne l’uso, le nostre entrate economiche che non ci hanno mai permesso di andarcene ognuno per conto suo, considerato tutto, a tutti e due conveniva andare avanti così.
Adesso invece proprio non ci si fa e lei vorrebbe che andassi da mia madre ma io non posso mollare perché il mio amico avvocato mi dice che perderei la casa per sempre. Dovrei continuare a pagare il mutuo, a mantenere il bimbo, me stesso e dovrei pagare l’affitto di una casa per me dove ospitare anche mio figlio nella cameretta  arredata appositamente per lui. Ma stiamo scherzando? Come faccio? Devo resistere ma ogni tanto mi arrabbio e gliela faccio pagare. Lei mi ha buttato nel secchio la mia camicia storica, io ho innaffiato il suo telefonino col vino, poi facendo finta che il bicchiere era caduto per sbaglio l’ho messo nel riso, lei mi lascia il bagno sporco, io ho svuotato nel lavandino il suo profumo preferito. Poi col bimbo siamo perfetti ma ieri gli diceva che purtroppo io faccio male la spesa perché non compro le cose che piacciono a lui. Allora sarà guerra. Ho detto a sua madre e a suo fratello e agli amici che lei beve  troppo vino e che barcolla quando porta a letto nostro figlio così loro potranno testimoniare quando chiederà l’affidamento esclusivo”.

Gli operatori che si trovano in prima linea (tra cui infermieri, medici, autisti d’ambulanza, diagnosti, tecnici di laboratorio, ecc.) vanno incontro ad ulteriori fattori di stress durante l’epidemia, stigmatizzazione nei confronti di coloro che lavorano a contatto con pazienti infetti, misure di bio-sicurezza molto rigide, stress fisico causato dai dispositivi di protezione, isolamento fisico che rende arduo dare conforto alle persone malate o in difficoltà, stato di allerta e vigilanza costante, utilizzo di procedure rigide che precludono la spontaneità e l’autonomia, richieste sempre maggiori sul lavoro con turni estremamente lunghi, numero di pazienti elevato e necessità di aggiornarsi costantemente sugli sviluppi metodologici poiché giorno per giorno si scoprono informa-zioni nuove sul virus; possibilità ridotta di avere un supporto sociale a causa degli orari di lavoro estremamente intensi e dello stigma che vi è nella comunità nei confronti di chi lavora in prima linea, energia insufficiente per mantenere un’adeguata cura di sé, in particolare per chi ha delle disabilità, mancanza di informazioni circa le conseguenze dell’esposizione a lungo termine a soggetti positivi al COVID-19, timore che coloro che lavorano in prima linea possano contagiare amici o parenti a causa del loro lavoro.

La loro dedizione al lavoro viene considerata eroica.

Gli anziani, in particolare coloro che si distinguono per il decadimento cognitivo o demenza, si sentono ansiosi, arrabbiati, stressati, agitati, chiusi in sé stessi e diffidenti. Coloro che sono in buone condizioni di salute ma in quarantena hanno minor accesso alle fonti di informazione quindi sentono maggiormente  la solitudine, pur essendo spesso in coppia, in modo doloroso se non conoscono o non vogliono utilizzare i dispositivi tecnologici (WhatsApp, e-mail, Internet, videochiamate) per ricevere e chiedere informazioni e per comunicare con i loro cari. Gli anziani che, al contrario, non sono ostili ai mezzi tecnologici stanno dimostrando una partecipazione attiva che rassicura le loro famiglie su loro benessere psicosociale nonostante l’ansia e lo stress. Negli ospedali e nelle Case di riposo gli operatori hanno fornito anche un sostegno psicologico e, se possibile, l’accesso alle comunicazioni con i familiari.

Sta, come speriamo tutti, arrivando il post Covit19.
Come faremo a ristrutturare il futuro? Chi ci dovrà pensare? La task force coronavirus di esperti? E’ solo una questione di soldi?
Mah, tutti insieme, intensamente, lavorando ognuno nel suo campo con dedizione ed onestà potremo uscire fuori dai nostri abituali circuiti del nostro sistema psichico. Via dall’onnipotenza, via dalla visione egoistica del mondo, via dal sistema consumistico che ci rende sciocchi, via dalla ricerca spasmodica di beni inutili. Più adesione alla realtà in quanto abbiamo la fortuna di passare su questo pianeta,  più solidarietà, più voglia di ristrutturare noi stessi ripulendoci dei pregiudizi che ci fanno sentire sicuri, più educazione alla speranza, più tolleranza delle frustrazioni, più umanamente interconnessi.

Raccomandiamo per ora ai figli di tutte le età di impegnarsi nell’istruire genitori, nonni e famiglia allargata, come “nativi informatici” all’uso dei mezzi informatici. Per la loro competenza proprio i giovani ci hanno fatto capire che l’allontanamento sociale, il distanziamento conseguente, si possono combattere e tutti dovrebbero poterne usufruire, soprattutto le persone sole.
Proprio i giovani ci stupiranno, proprio loro tanto sfuggenti in passato, perchè avranno osservato che la solidarietà va esercitata attraverso pratiche dove si deve essere  competenti. Tramite il lavoro di volontariato potrebbero  anche acquisire gli elementi di pronto soccorso utili a se stessi ed alla comunità perché stavolta abbiamo visto che i medici non sono bastati. Come mai noi genitori non abbiamo insegnato ai nostri figli ad usare un defibrillatore, a fare un’iniezione, a misurare la pressione, a mettere una flebo? Perché semplicente  non ci era mai capitata una roba del genere. Ora però possiamo rifarci!

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera del Portogallo

Realizzazione grafica di Mino La Franca

Massimiliano Kornmuller
Ho terminato di restaurare lo stipo di ebano del salone: ci ho impiegato un’ intera giornata!

Ma erano pù’ di vent’ anni che attendevo l’ occasione giusta per farlo, senza cercare piu’ scuse della mia pigrizia..Questo era il famigerato”mobile nero”che campeggiava tra due sedie del’600 emiliano dall’ alto schienale, nella sala del pianoforte, nella casa dei nonni materni, disprezzato da tutti, tanto che l’ ho recuperato da uno scantinato e l’ ho portato con me a Roma.
Invece io per questo mobile ho sempre avuto uno straordinario affetto: mi ricordo quando , a Natale su di un freddo pavimento di giallo antico, coi calzoncini corti giocavo da solo con un trenino mosso dal vapore (vero) di una piccola caldaia scaldata con zollette di un combustibile chiamato “meta(Ma esiste ancora? Altro che videogames…!).

Finito quel gioco, mi dedicavo ad esplorare tutti gli intimi spazi che questo misterioso mobile nascondeva, tra cassetti e cassettini segreti(forse ancora oggi non li ho ancora scoperti tutti…)

Lo stipo ha una facciata simile a quella di un palazzo barocco, con un corpo centrale occupato da un frontone con timpano spezzato da cui si erge un’ altra targa con timpano pieno ;i corpi laterali , invece, raffigurano delle nicchie tra lesene e sopra timpano, a loro volta incorniciate  da colonne tortili sopra il cui fregio corre una balaustrata. Aprendo queste facciate, altre architetture appaiono, tra una serie di cassetti , visibili  e segreti..

Le colonne tortili hanno sempre affascinato la mia immaginazione: esse sono anche chiamate salomoniche, perché gia’, secondo la tradizione, era presenti come struttura del tempio di Salomone; ma dovevano trattarsi di colonne strigilate, non tortili nel vero senso della parola: queste appaiono in realtà  legate al culto dionisiaco in eta’ romana così come ne vediamo esempi al Museo archeologico di Istambul, ed in quello di Efeso : a Roma erano presenti nel tempio di Bacco, poi riutilizzate per la pergula davanti all’altar maggiore della primitiva basilica costantiniana di S.Pietro (sec. IV d.C.)Adesso le vediamo sospese per aria ad ornare le nicchie degli evangelisti nel tamburo della cupola michelangiolesca. Queste colonne, antesignane di quelle barocche , spesso animate di putti vendemmianti dei tralci della vite che le avvinghiava, apparivano come scosse  dall’estasi dionisiaca, a guisa di baccanti, cosi’ come certi capitelli d’età tardoantica (basilica di San Simeone lo stilita, in Siria, sec VI d.C.) ove le foglie d’ acanto appaiono come scosse da un vento divino, che le sconvolge tutte soffiando dall’ altare, vera e propria scenografia sacra, poco più di un millennio prima di quelle dei gesuiti.

Ma tornando al mio mobile, mio nonno mi narrava che ai tempi di suo nonno ce n’erano due in casa .Uno scomparve in seguito ad una divisione ereditaria…Ma dai miei cari cugini, cui sono molto affezionato, non l’ ho mai visto, però..

Il restauro e’ stato eseguito senza grande difficoltà: si trattava solo d’ incollare gli elementi architettonici caduti e da me raccolti in cassetto nel corso del tempo: una specie di puzzle, tutto sommato.

Sopra lo stipo ho posto ho posto la mia wunderkammern  , cercando di essere il più possibile fedele allo spirito dell’ epoca in cui furono concepite, il Tardo Rinascimento. In quell’ epoca, oggi poco studiata, ogni persona letterata ambiva collezionare curiosità artistiche, archeologiche, tecnico-scientifiche e

“monstra” tratti dai tre regni della natura, classificandole nei quattro elementi di cui si credeva fosse composto il mondo: acqua aria terra, fuoco. Ho rispettato fedelmente questi criteri: per l’acqua ho posto conchiglie di madreperla e coralli montati su basi antiche tornite e dorate, per l’ aria due vasi di vetri di forma ovoidale ( i cd “vasi Veronese”)tappati da due teste canopiche da cui pendono entro ciascun vaso, sospesi da una sottile catenella, rispettivamente una radice di mandragora ed un corallo nero; per la terre ho bronzetti, fossili e albereti di  ottone da cui pendono calchi di gemme antiche e quadretti di pietra paesina; per il fuoco, turiboli , incensieri: completano il tutto uno specchio convesso, una sfera armillare ed un’ anamorfosi con specchio cilindrico…!

Tutto questo mi riporta nella Praga di RodolfoII, a Jhon Dee e  Tycho Brahe, dal naso d’oro( perso in un duello e non a causa della sifilide  come il bibiotecario palatinoritratto dall’ Arcimboldo con pezzi di salsiccia e pollame..)  , che mori’ per lo scoppio della vescica, non potendo alzarsi, essendo a pranzo con l’ imperatore.

Penso a Bartholomaeus spranger ed alla cerchia dei pittori rudolfini , ove mitologia ,erotismo estremo (secondo i capricci di Rodolfo), alchimia e araldica si fondono tramite i loro pennelli in capolavori stupefacenti (al corso di pittura all’accademia copiai una sua “Sofonisba che beve il veleno”) ed al viaggio che fecero in Italia per studiare la nuova maniera (Parma, Caprarola, Roma) .E penso a quella strana coincidenza (o sincronicità come diceva Jung) che mi accadde proprio a Praga all’istituto Italiano di Cultura quando in occasione della mia personale di fotografia con le antiche tecniche dal titolo “Da Praga a Roma e ritorno, il viaggio degli artisti rudolfini”, venni a sapere che proprio dirimpetto  al palazzo che l’ ospitava , sulla salita del Castello, c’ era la casa dello Spranger…!

Penso infine alle splendide musiche di quel periodo ed in particolare all'” Atalanta fugiens “di Michael Maier: sono fughe cantate che sembrano inni liturgici, ma celebrano le fasi alchemiche della Grande Opera, che mi danno un qualche conforto quando debbo lavare i piatti e le pentole prima che su di essi nascano forme di vita vegetale ed animale:o crudele e barbaro destino…!!!

Lucia Marchi
Fai rumore. Una riflessione dalla quarantena a Roma.

È finito il tempo dello spasso, quando si girava in largo ed in lungo per vicoli, piazze, strade e lungoteveri come se non ci fosse un domani .., per poi ritrovarsi sui posti di lavoro a discutere o in uffici a sbrigare pratiche con file allucinanti ed infine anche accalcati in locali straboccanti ove tra il brusio del vociare e la musica assordante si rideva e si beveva fiumi di birra o cocktail spesso abominevoli ma che erano cool!  Tutto ci rendeva nervosi e ci portava a lamentarci del traffico, della pessima accoglienza, della maleducazione delle persone … e chi più ne ha, più ne metta …
Ora che siamo confinati nelle quattro mura domestiche, ma chi l’avrebbe mai detto?
Quante volte ognuno di noi non ha pensato: … avrei bisogno di qualche giorno di relax, completo relax … il dolce non far niente … senza sveglie, orari, appuntamenti, disdette … Ed invece continuava la corsa tra metiing, eventi, brunch, lunch, aperitivi, spettacoli, cinema e post dinner correndo da una parte all’altra della città in maniera vertiginosa … incolonnato in ingorghi pazzeschi o imbottigliato in autobus e metro nell’ora di punta.
Ed ora invece è tutto fermo, la città così deserta non è stata mai neanche a ferragosto!
Si sente lo stridio dei gabbiani e le voci di quelli che camminano con il telefonino… Roma è vuota come se fosse giunta la fine del mondo e la testimonianza visiva è stata mondiale soprattutto grazie alle immagini di Piazza San Pietro con papa Francesco che da solo prega per la conclusione della pandemia e di Piazza Venezia con il presidente Mattarella che scende solitario dall’Altare della Patria dopo l’omaggio al milite ignoto nella giornata dedicata alla Liberazione.
Tutto ciò semplicemente perché un piccolo essere mutato da chissà dove ha scatenato una pandemia di proporzioni mondiali facendo tanto rumore ed ha messo ko tutto il pianeta in ogni latitudine ed ognuno di noi deve fare conto del silenzio nel quale è stato costretto a trovarsi,che più che fisico risulta esistenziale.

Certamente il brano di Diodato che ha vinto l’edizione di Sanremo 2020 oggi può apparire un presagio – anche se il cantautore ovviamente la sua bellissima canzone Fai rumore  l’ha dedicata ad una donna e non certo poteva prevedere tale coincidenza – per ognuno di noi che siamo stati improvvisamente sradicati dalle vecchie abitudini e costretti al restare a causa in quarantena con obblighi e prescrizioni mai pensabili qualche mese prima: noi che dal frastuono totale del caos giornaliero di una città metropolitana che palesa la vita che corre siamo stati costretti a  convivere in spazi contingentati e soprattutto fare i conti spesso con la voce del silenzio.
In fin dei conti ritorna certamente alla mente il musicale ritornello conclusivo che lancia il cantautore:

Che fai rumore qui
E non lo so se mi fa bene
Se il tuo rumore mi conviene
Ma fai rumore sì
Che non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale tra me e te

Ma fai rumore sì
Ché non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale
E non ne voglio fare a meno oramai
Di quel bellissimo rumore che fai

La morale è che comunque nell’amore come nella vita bisogna ringraziare di ciò che si ha, cercando quando non si sta bene di rimettere a posto le cose, qui ci vuole, senza fare rumore!

Roma, 26 aprile 2020

 

Valentí Gómez i Oliver
Divina Commedia

Canto Primo

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai in “quarantina impura

che la  via “vaccinale” era smarrita.

 

Ah quanto a dir qual era è cosa dura

esta “sí, quarantina” e aspra e forte

che nel “monde entier accresce” paura !

 

Tant’è “letale” che poco è più morte;

ma per trattar del “virus” che trovai,

dirò dei “gran contaggi” ch’i’ v’ho scorte.

………..

(intertextualitat: Valentinus)

[Inferno, Canto Primo, 1-9 ]

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera del Belgio

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Carlo Ambrosano
Coronavirus: da Kronos a Kairòs.

28 agosto 1976.
Busso alla porta del monastero di Notre Dame de Tamiè, nell’Alta Savoia Francese proprio mentre i monaci si preparano alla recita dei vespri. Il mio è stato un viaggio avventuroso: parto da Sanremo poco prima di mezzogiorno. Arrivo a Marsiglia, aspetto il treno, mi giro e la mia taschetta cartacea con soldi e documenti è scomparsa. Rubata.

“Dixit Dominus Domino meo…” cantano i monaci di Tamiè. Il canto gregoriano dei monaci della Badia di Cava lentamente riemerge dai ricordi, sepolto da frastuoni e da una quotidianità che pretende e ti stritola nella sua morsa crudele. Pacatamente, nel silenzio della sera, cullato da un canto antico, dolce come una ninna nanna, comincio ad assaporare una dimensione spazio- temporale diversa.

16 marzo 2020. Da qualche giorno sono confinato in casa. Il lavoro, i pazienti, il nuovo libro da pubblicare, tutto confinato in un arco di tempo privo di scadenze. Come a Tamiè, ho un attimo di smarrimento iniziale. Il silenzio mi incomoda; la solitudine mi opprime. Poi comincio ad assaporare il dolce trascorrere del tempo quando il tempo non è più padrone della mia vita ma lo sono io del tempo. Apprezzo il suono del silenzio. Assegno alla solitudine un ruolo diverso. Recupero la mia indole cilentana legata da sempre a due motti latini: “Festina lente” e “Age quod agis”.

Mi sveglio al mattino senza il suono della sveglia; mi protendo verso la giornata che appena comincia, senza chiedermi che giorno sia  del mese o della settimana. So solo che ci sarà una mattinata tutta mia, un pomeriggio tutto mio, una serata tutta mia. Proprio quando intorno a me lo spazio si restringe, si allarga il mio tempo interiore. E penso. E medito. E rifletto mentre le mie mani sfiorano, accarezzano un mobile in noce del settecento napoletano che diffonde ancora intorno a sé il profumo acre e delicato della gommalacca fresca che lo ha richiamato una nuova vita.

Penso agli anni del liceo; ritornano alla mia mente i termini che i greci usavano per definire il tempo: Aion ossia il tempo indefinito, non misurabile; Kronos, il tempo misurabile, sequenziale; Kairòs, il tempo propizio, opportuno.

Il primo, Aion mi fa quasi paura, non riesco a figurarlo davanti agli occhi della mia mente. Forse è come il tempo astronomico che gli astrofisici si sforzano di misurare facendo riferimento a due unità di misura unite insieme. Forse anche l’Aion si potrebbe misurare in anni-luce.  Continuo con olio di gomito a lucidare il mobile che ho davanti a me; la gommalacca in un punto si è un po’ bruciata e devo eliminare l’inconveniente. L’Universo in ogni caso finisce. E allora finisce anche il tempo. Finisce il mondo dei “fiusikà” e comincia il mondo della “ metà-fiusikà”. Comincia un iper-spazio che tutto contiene? Comincia il mondo del nulla? Ma cosa dico? Il mio conterraneo Parmenide sostiene che il nulla non è neppure pensabile. Risuona nella mia mente prepotente la domanda: cosa c’è oltre lo spazio all’interno del quale il tempo si dispiega? Non so darmi una risposta ma a quanto pare neppure gli scienziati lo sanno. Ipotizzano e basta. Tutto e il contrario di tutto.

“Carlo, è pronto. Vieni” Mia moglie mi chiama per il pranzo. Lo spaghetto con le vongole che si offre al mio odorato e al mio palato mi riporta alla mia quotidianità e alla mia fisicità e mette da parte ogni pensiero metafisico. Un bel pranzo, un bel bicchiere di Fiano di Tresino, un riposino pomeridiano. Il mobile di noce mi aspetta. Ritorno nel mio laboratorio.

Come è crudele Kronos! Un padre senza cuore, un gigante senza amore, un dio senza pietà che divora la prole che egli stesso ha generato. Kronos è il tempo che ti impone un ritmo incalzante; che ti sveglia al mattino con la suoneria di un cellulare. Kronos mercifica la tua esistenza, la strumentalizza e la finalizza puramente verso interessi di efficienza economica. Kronos, ad una osservazione superficiale, può apparirti come servo. E invece ti schiavizza, ti riduce a un ingranaggio di un meccanismo mostruoso del quale non ti puoi liberare. Kronos è solo un padrone dispotico, ti impedisce di pensare, di riflettere, di meditare. E quando non riesci ad adattarti ai suoi ritmi insorge l’ansia, una forma primigenia di ribellione, di ricerca di un “tempo perduto” che non sai ancora neppure cosa sia. Mi fermo un attimo, osservo il mio mobile sempre più splendente. Vado a casa per un caffè. L’ansia è solo un campanello di allarme. L’ansia ti dice che non sei più in grado di integrare il tempo esterno con il tuo tempo interiore; che non riesci più ad adattarti a ritmi imposti dall’esterno. E in questa maniera sei fuori dal mondo. Crisi profonda ed esistenziale.

“Fermati Carlo, ascolta.  Fa in silenzio un lungo cammino fino in fondo al tuo cuore. Al termine, laggiù troverai quello che cerchi”. Si fa sera. Intorno a me i rumori si sono affievoliti. Scomparsi. Avverti il bisogno di quiete, di pace assorta.

Nel mio garage-laboratorio la luce è scarsa e l’umidità che cala ti penetra fin nel midollo osseo. Rientro a casa. Una doccia veloce, una cena frugale, un dolcino.

Il mio iter ricomincia; cammino verso il centro del mio cuore come si risale la corrente di un ruscello fino alla sua sorgente. Aion, Kronos, Kairòs. Ma è la sera il momento di Kairòs? Quando vivi immerso in Kronos, dominato dal  suo dispotismo, forse solo di  sera Kairòs riesce a ritagliarsi un suo piccolo spazio.

La sera con i suoi lunghi silenzi, con la sua quiete, con la sua calma assorta ti invita dolcemente a riflettere, a pensare, a meditare. Forse per questo l’abbiamo violentata riempendola di luci e di suoni smodati.  Lascio che Kronos faccia il suo percorso, che continui nella sua corsa circolare verso un eterno ritorno ripetitivo e privo di significato. Io mi fermo. Kairòs prende sempre più forma. Non più confinato nelle ore della sera e della notte ma in una dimensione che non è più tempo, in una dimensione che è una finestra sull’eternità. Recupero il tempo del cuore, il tempo  della coscienza. Recupero la qualità dell’essere, propria di Kairòs e metto da parte la quantità di Kronos, la sua tendenza ad appiattirmi, la sua spinta spasmodica verso l’avere.

Mentre mi sfilo dal polso l’orologio, stretto alleato di Kronos, mentre spengo il cellulare, mio figlio mi chiama. Come ogni sera vuole una “ bella cosa” prima di addormentarsi. Gli porto una fetta di una ottima colomba cilentana e un pezzettino di cioccolata rigidamente fondente.

Kairòs: il tempo propizio non cronologico, il tempo qualitativo e non quantitativo. Kairòs, il tempo nuovo che scavalca e supera Kronos. Nella pace e nella quiete della sera comincio a potare il mio albero della vita. Gesti apparentemente importanti si svuotano completamente di senso e di significato: la cravatta, il colore dei calzini in linea con il resto dell’abbigliamento, la barba ben curata, i capelli, la borsa di pelle mai di “pezza”. Le partite di calcio, la formula uno, il teatro, le gite di fine settimana, il caffè con cornetto al mattino tutto diventa privo di valore.

Mi alzo; provo il piacere di indossare un pantalone qualsiasi, meglio se sporco di pittura, di olio paglierino, di gommalacca. E’ Kronos che vuole la perfezione formale; Kairòs punta all’essere non all’avere. Kairòs ti invita a dedicare ad ogni azione il suo tempo; “festina lente” mi ripete; mi esorta ad applicarmi al mio quotidiano senza affanno; “age quod agis” è il suo invito.

Ora nella mia casa tutto è pace. Sento il flebile russare di mia moglie; il respiro calmo e regolare di mio figlio. Mi trattengo ancora un attimo. Sarebbe una bestemmia se dicessi: “Grazie, corona virus”. Ma è grazie al corona virus che mi sono riappropriato del mio tempo riempendolo di senso e di qualità. Il mio tempo non è più Kronos ma Kairòs. È grazie alla mia reclusione che ho riscoperto la mia indole di “homo faber” di giorno   e di “homo sapiens sapiens” di sera e di notte, Un’ultima domanda: ma è l’uomo “faber” che precede l’uomo “sapiens sapiens” o viceversa? È il gesto della mano che favorisce l’insorgere dell’intelligenza o è l’intelligenza che finalizza il gesto? Ora ho sonno. Vado a letto. Domani è un altro giorno. Si vedrà.

 

Angelo Zito
COME SE LEGGE LA POESIA

Dichi che è enfatica?

quella è la nobirtà de la poesia

cammina armeno un parmo sopra tera,

fatte capace che nun è prosaica

lo dice la parola ch’è poetica.

Devi sentí er canto de li versi

la musica sta dentro a le parole

si l’accenti so’ messi ar posto giusto

er verso canta, vôr dí ch’e uscito bene.

Nun serve la chitara d’accompagno

la sola voce fa vibrà le note

te sembra come sentissi ‘na canzone

e nun perdi la forza der concetto.

Leggi come leggessi er pentagramma

c’è er mezzo tono, l’istesso der bemolle,

er sono prolungato der fa diesis

er p.p. si devi annà pianissimo

f daje de brutto co’ la voce

e ff mena anche più forte.

Presta attenzione a fà le pause giuste

lí trovi er pensiero der poeta

la pausa è er mattone der concetto

dentro c’è la capoccia de chi ha scritto.

Certi useno la corda der soffiato

te sembra de sentilli pregà in chiesa,

tiette lontano da chi se piagne addosso

farebbe ride pure Cristo in croce.

La poesia quann’è bella è come er sole

piena de luce, carica de forza,

rubbo le parole a Pascarella:

te s’apre er core come ‘no sportello

e in poche parole te concentra

l’idee de li filosofi d’Atene.

Mó che t’ho riccontato questo e quello

te metto ‘na purce nell’orecchio

si sei stonato trovete da legge

un ber romanzo un libro d’avventure

perché te lo ripeto a chiare note

quella cammina un parmo sopra a tera

fatte capace che nun è prosaica

lo dice la parola ch’è poetica.

 

FATTE UN GIRO PE’ ROMA

 

Si giri pe’ l’Urbe mani in saccoccia

e vaghi co’ lo sguardo tuttattorno

scopri le meravija der passato

ponti fiume monumenti cchiese

pitture capitelli serci antichi.

Nun arzà la cresta essi modesto

tutta robba che nun t’appartiene

te l’hanno data in custodia trattala bene

tu sei solo er portiere e la consegni

quanno sarà er momento a li nipoti

te basta de sape’ che hai fatto un tratto

pe’ conservalla pe’ l’eternità.

 

BEATRICE CENCI e ER POPOLINO

 

Da la spalletta der ponte sopra fiume

ho visto l’angiolone de Castello

ner gesto de dà l’assoluzione

da tutti li peccati vaticani.

“Inginocchiateve” pare che dica

“nun so si benedivve o condannavve.”

1599

All’arba de un giorno de settembre

su lo spiazzo davanti de la Mole

c’era la mejo gioventù der tempo

a véde er boia co la spada in mano.

Clemente VIII er papa marchiciano

interessato a le tere de li Cenci

aveva deciso de tajà  la testa

a Beatrice, a la madre e a li fratelli.

La poveretta, accusata senza prove

d’avé ucciso er padre stupratore,

sale su la pedana senza piagne.

Er popolino là sotto rumoreggia

chi pregava, chi rideva, chi se grattava,

chi magnava li bruscolini e chi strillava,

quarcuno era finito dentro fiume.

C’era pure Caravaggio er gran pittore

che a véde er sangue c’era abbituato.

Quanno er boia solleva lo spadone

la piazza se fa muta in d’un momento

li secondi so’ lunghi come l’ore.

“Daje, mena er corpo” pare che dichi

Beatrice ormai rassegnata

a volesse ricongiunge’ co quer Dio

che pe’ mano der vicario l’ha punita.

É robba d’un amenne, la capoccia

rotola giù dar parco tra la folla

che a la vista der sangue se trasforma

sente li brividi come li cristiani.

“È fenita.

Tornamo a casa, er più pe’ oggi è fatto

e domani se n’annamo ar mare”.

Uno co’ le lacrime all’occhi cià la tosse

le disgrazzie chiameno disgrazzie:

je annato er bruscolino pe’ traverso,

“Che te piagni? N’è gnente mó te passa,

che avrebbe dovuto dí quela poraccia,

annamo a la prima fontanella,

un sorso d’acqua e passa la paura.”

 

Giovanni Antonucci
Giorni rubati

Giorni rubati

Il maligno virus

ci ruba i compleanni

con i figli, i loro

doni, i loro abbracci.

Ci ruba la presenza

degli affetti lontani.

Ci ruba la gioia

di festeggiare con

gli amici il tempo guadagnato.

Ci ruba la libertà

di passeggiare

nelle strade di una vita.

Ci ruba i giorni

gli anni

che ci separano

dall’addio.

Roma 20 aprile 2020

 

Lucia Ileana Pop
Eram fericiți și nu știam

Eram fericiți, dar nu știam.

Liberi și fără griji călătoream,

cu  prietenii și cu familia ne întâlneam,

puteam îmbrățișa pe cine iubeam,

puteam iubi pe cine voiam.

 

Într-un minut totul am mântuit,

peste noi urgia neagră s-a abătut,

prieteni, bunici și părinți prea mulți am pierdut,

ce zile vom ajunge nu am bănuit,

că tăcut război peste noi va veni nu am crezut.

 

Eravamo felici e non lo sapevamo

 

Eravamo felici e non lo sapevamo.

Liberi e senza pensieri viaggiavamo,

con gli amici e con la famiglia c’incontravamo,

potevamo abbracciare chi amavamo,

potevamo amare chi volevamo.

 

In un attimo tutto è finito,

su di noi la nera furia si è abbatuta,

amici, nonni e genitori, troppi ne abbiamo perduti,

che giorni ci toccheranno non abbiamo indovinato,

che tacita guerra su di noi sarebbe arrivata non abbiamo creduto.

 

Speranța

 

Ființă plăpândă cu aripi, ce nu acceptă moartea

și luptă cu o-ncrâncenare

ce nu știi care zeu i-a dăruit-o,

când și de ce, pentru cât timp,

muzică stinsă cu ecou de nai ce-și cântă dorul

undeva, în depărtare, dar ce rămâne-n minte

în clipe cumplite de-așteptare,

mai vie decât orice nemărginită suferință,

mai plâpăndă decât orice suflet de ființă,

mai frumoasă decât primăvara,

mai mirositoare decât lăcrimioara.

Izvor e ce din lacrimă își ia viața,

clocotitor pe sub pământ ce se-ostenește

până la suprafață să iasă și izbutește.

Rază de soare firavă care topește

cea mai rigidă gheață și câmpu-l înverzește,

lună de-argint pe cerul negru și-nghețat,

prieten de nădejde ce-n lupta noastră omenește,

fără să crâcnească, s-a alăturat.

Speranța…cea mai nemuritoare neființă

și cea mai surprinzătoare știință.

 

La speranza

 

Fragile creatura alata, che non accetta la morte

e combatte con una caparbietà

che non sai quale divinità le abbia donato,

quando e perché, per quanto tempo,

musica spenta con eco di flauto di pan che intona le sue nostalgie

da qualche parte, in lontananza, ma quel che rimane nella mente

nei momenti tremendi di attesa,

più viva di qualsiasi sconfinata sofferenza,

più delicata di qualsiasi animo umano,

più bella della primavera,

più odorosa del mughetto.

Fonte che dalla lacrima prende vita,

gorgogliante sotto la zolla che si sforza

per uscir fuori in superfice e vi riesce.

flebile Raggio di sole che scioglie

il più rigido ghiaccio e il campo rinverdisce,

luna d’argento su nel cielo gelido,

amico fidato che nella nostra lotta,

senza fiatare parola, si è unito umanamente a noi.

La speranza… la più immortale non-presenza

e la più sorprendente conoscenza.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera della Germania

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Marzia Spinelli
Restando a casA, marzo – aprile 2020

Mascherina d’amore

Sotto il peso del cielo di Roma

intravisto avevo l’arcobaleno,

come segno del bene a vittoria del male,

ma già a sera coloravo di cuori alberi e fiori

l’introvabile mascherina,

pensando alle figlie bambine

 

un pensiero semplice e puro volevo

pulito come i loro disegni, faccette e capelli

dai colori improbabili, una cornice di bene volevo

approdasse a what’s app

come culla e riparo, nel passo indietro

del Tempo felice volevo fosse

a scardinare la distanza forzata,

nel cavo bianco di carta,

l’amore.

 

Semaforo verde

 

Semaforo verde

ogni sera la strada

nel silenzio di tutti

ciascuno il suo diverso

 

le luci accese del KUCHEN CUCINE

le sue belle luci fredde

sui componibili eleganti,

all’angolo della via grande che tace,

svanite le automobili

come da un vortice inghiottite

 

del gran via vai che era

resta il semaforo fermo

al suo verde smeraldo

a ricordarci il mare

 

lo guardo ogni sera e lo saluto

come un segno accecante d’Oriente,

come un sogno

che sarà vero al mattino,

come un terzo occhio che ci guarda

dove potremmo guardare

come in un periscopio immaginario

le sette meraviglie,

scartavetrare il passato

provare a leggere il futuro.

Trovare la gemma al presente.

 

Carla Gagliardi Desaur da Londra
6-20 Aprile

Durante questi pochi giorni ho dovuto seguire una dieta, la fasting mima digiuno del dottor Longo, che mi costringe a casa: il lockdown dovuto al virus è rilassante a confronto.
Per la prima volta ho visto mio marito realizzare l’isolamento in cui vivo mensilmente, in questi cinque giorni di dieta, durante i quali posso mangiare pochissimo, muovermi solamente tra il letto ed divano, leggere ma non scrivere, tentare di riposarmi senza annoiarmi, bere tanta acqua girando lontana dalla zona cucina colma delle sue tentazioni.
Questa dieta che seguo con maniacale attenzione e profonda dedizione mi aiuta ad assorbire, probabilmente in maniera adeguata, gli altri medicinali: grazie al grande sogno di perfezione che è scritto nel nostro corpo?…quest’ultimo troppo spesso trattato e valutato come una semplice macchina, riesco mensilmente o quasi a resettare la mia persona, sia fisicamente sia psicologicamente, in questi pochi giorni di ritiro.
Mi dico che non è  tanto diverso quello che stiamo cercando di fare o che dovremmo poi proseguire con il virus: PRIMA e DOPO la sua apparizione tutta la vita viene vista, amplificata dai mezzi di comunicazione di massa, cosi diversa?….ma forse viverla non lo è.
Abbiamo una caleidoscopica speranza di trarre soluzioni e conclusioni positive da quello che accade DENTRO  e FUORI di noi?conosciamo meglio noi stessi, i nostri collaboratori, i nostri famigliari, tutti hanno la sensazionale opportunità di conoscersi meglio, riscoprirsi.
Guardando fuori la prima questione che mi ha colpito è stata immediatamente la macroscopica differenza, tra le diverse nazioni, di reagire a questo virus. In queste giornate di mancanza di cibo sono diventata bulimica di informazioni poiche’ ero costretta sul divano, trascinata per immobilità a sorbirmi anche certi telegiornali, prediletti da mio marito, che di solito evito.
Calandoci nel microcosmo impariamo giorno per giorno quello che non potrà piu passarci sotto il naso inosservato perché ci ha riguardato cosi da vicino che mentre PRIMA del virus lo ignoravamo, DOPO la sua apparizione ci appartiene tutto, maggiormente.
Ecco un primo ministro scozzese, la Calderwood, rientrare per ben due volte nella sua seconda casa nella country side: due multe per non aver seguito il precetto <stay at home>. Nella stessa settimana il borioso Jonshon è  stato dimesso dall’ospedale e anziché tornare alla casa governativa in città  ha avuto la brillante idea, probabilmente sostenuta dai suoi acefali collaboratori, di recarsi alla tenuta a 50km da Londra, nella country house di stato a Chequers.
Non solo non ha rispettato a pieno le indicazioni ?stay ate home? – safe lives?, ma vi ha anche fatto arrivare l’attuale compagna che è  in stato interessante.
Non ho sentito un giornalista, professione che ho sempre inserito tra le nobili mansioni di utilità per il bene pubblico, segnalare nulla in merito. Non una sottolineatura, nessuno che abbia avuto il coraggio, anche nel settore della opposizione, di sollevare un sottile ed indignato commento.
Mi pare una pagina di commedia dell’assurdo che si possa permettere ad un rappresentante dello stato di prendersi gioco delle indicazioni che lui stesso aveva dato: in merito alle numerossisime coppie di Londra, giovani e di una certa età, che non vivono sotto lo stesso tetto coniugale era stato fatto preciso invito di evitare di vedersi, di non frequentarsi durante le settimane del lockdown. Avevano volutamente glissato sul fatto che questo periodo iniziasse con le vacanze pasquali…..
Mi era parsa immediatamente una questione ridicola in una città dove un gran numero di persone vive una vita da single: come impedire a un compagno, che vive nella parte opposta della metropoli, di venire a trovarti mentre sei chiusa in casa, per la Pasqua, tutto il giorno?  La sola e semplice scusa era stata espressa in questi termini <non muovetevi da casa se non per andare a lavorare, per recarvi in farmacia o fare dello sport…ma che sia esercizio fisico ed una sola volta al giorno.
A parte la mastodontica confusione su chi abbia il permesso di <andare a lavorare> poiché tanto si è parlato di key worker quanto abbiamo visto un inspiegabile imperversare di imbianchini, manutentori, idraulici, elettricisti, muratori attivi, non certo per emergenze, in quelle seconde o terze case che sono il polmone economico degli affitti londinesi!, escludendo questa parte del discorso peraltro interessantissima ma che richiederebbe un capitolo intero, mi chiedo come sia possibile che nessuno abbia fatto un paragone tra questi due casi <politici>.
Mi resta impossibile non verificare, con disappunto e disgusto, che nessun giornalista abbia tentato di paragonare la <Scotland’s chief medical officier >, la quale ha ammesso di essere rientrata nella sua seconda casa ed ha pagato la sanzione, mentre tutto ciò che attornia il primo ministro inglese viene comunicato come se fosse un infante incosciente da tutelare.
Non mi sono informata se la seconda casa della Calderwood sia a 50 o pià km da Edimburgo ma ho immediatamente pensato che piuttosto di stare rinchiusa in un appartamento cittadino avrà magari raggiunto la casa di famiglia dove si reca da una vita una casa che probabilmente lei riconosce come prima abitazione del cuore, della famiglia, e nella quale si sente sicura e tutelata, con buona probabilità, dal classico giardino della country side.
Mi sono invece chiesta come mai nessuno si sia indignato per la scelta del Primo Ministro di allontanarsi dalla città , silenziosa e nonostante il sole fredda, per recarsi in una casa di stato che non è  nient’altro che l’abitazione ufficiale per le vacanze dei governatori in carica.

Aveva bisogno di far notare all’elettorato la sua differenza ?
Ho appena scritto che la città è  fredda perché vorrei sottolineare che Londra in questi giorni ha da un lato qualcosa di incantevole per il silenzio e per lo sbocciare della primavera nel concerto degli uccelli che agli angoli di ogni strada dominano sul traffico, ma desidererei mettere in evidenza la glaciale sensazione di trovarsi all?improvviso, nonostante i cieli sereni  privi del traffico aereo, in una città fantasma dove il silenzio viene rotto, senza magia, giorno e notte dalle sirene delle continue autoambulanze.
Vivo in una zona del centro molto tranquilla, in un cerchio tra zone una e zona due dove si trovano anche alcuni di quei pochi ospedali rimasti dopo la terroristica riduzione all’infinito di questo sistema sanitario che un tempo pare fosse all?avanguardia: ogni momento del giorno viene tagliato da qual suono come i quadri lacerati, silenziosi e cupi, come i dipinti dove le urla si fanno sentire senza l?uso della voce e sono, irrimediabilmente, profonde.
Metto musica per l’intera giornata ma le sirene delle ambulanze la stonano: sempre e comunque si percepiscono.
Allora torno al mio pensiero iniziale e mi rispondo da sola: anche la regina e tutta la sua corte sono scappati in tempo nella country side per lanciare il messaggio alla nazione, impacchettato con un viola funerario, dalle loro dorate residenze perché ma le loro non sono banali seconde case ma sono le abitazioni di stato con le quali il popolo, che vota, accetta un diverso trattamento di fronte a qualsiasi legge, obbligo, imposizione.
E finalmente penso che questo virus a modo suo ci ricorda che tutti dovremmo essere uguali davanti alla legge, almeno nel dna forse troveranno che la legge di diffusione di questo virus e? uguale per tutti. Sarà  vero? Forse ….per ora la notizia che domina i notiziari è la seguente: Camilla, la moglie contestata del vecchio principe Carlo, non è  risultata positiva ….neppure il coronavirus l’ha voluta!.

21 Aprile 2020 martedì

Ci sarà un senso di giustizia planetaria? Mentre sfuggono notizie rispetto al numero dei Cobra meeting, le riunioni indette per l?emergenza del virus, cui non ha partecipato il borioso primo ministro inglese aumentano il numero dei decessi tra il personale medico ed infermieristico.
Un esempio per tutti quello urlato dai  telegiornali oggi: è deceduta una donna, in cinta di troppe settimane per lavorare in un qualsiasi ospedale europeo, ma qui era presente nel suo turno quotidianamente, e le parole soffocate dal pianto dei suoi collaboratori ci fanno capire che qualcuno dovrà rispondere di queste ingiuste morti.
Da giovedì scorso è apparsa la notizia che il personale ospedaliero reclami sempre con maggior urgenza il materiale di protezione PPE, guanti e grembiuli cui da qualche giorno si associano come necessarie le mascherine, ma il governo dopo qualche stentata dichiarazione confessa di aver calcolato di non averne ordinate a sufficienza, di non averne a disposizione da oggi, 21 aprile, si apre un nuovo piano economico per poter conservare il vecchio materiale usato pensando di ripulirlo durante il turno seguente e di poterlo riutilizzare.
Le dichiarazioni ormai superano la follia e finalmente qualche giornalista sporadico apre il dibattito attorno a quei 38 giorni durante i quali  il primo ministro ha dimostrato un atteggiamento criminale, denunciato dal comitato medico-scientifico: gli Uk sono letteralmente scivolati nel disastro totale poiché per ben cinque volte il borioso Jonshon non solo non ha partecipato al cobra meeting, ma soprattutto ha volutamente ignorato l?invito degli esperti per rendere obbligatorio l?utilizzo dell’attrezzatura protettiva (PPE).
Mi calo nel privato… torno alla mia cara amica che lavora in una elegante e costosa, molto dispendiosa, casa cura alla periferia di Londra: al 30 marzo presentandosi al lavoro con una mascherina che si era comprata su Amazon venne invitata da due manager, entrambi sui superiori ma di diverso livello, a non indossare quell?oggetto che non protegge ma spaventa gli anziani?. Pena, qualora avesse deciso di indossarla, un licenziamento pronto verbalmente ma certo non scritto nero su bianco. Dal 21 marzo mi scrive e si fotografa soddisfatta dicendomi: da oggi abbiamo e possiamo indossare le mascherine!
Mi viene naturale chiederle: <Come mai?> e lei mi risponde con una serie di faccine del repertorio what-app ed io chiarisco a me stessa con una semplice banale riflessione…ora che le mascherine sono diventate un simbolo economico, dato che risultano introvabili negli ospedali e nelle farmacie, adesso per una casa di cura luxury ha senso iniziare ad indossarle, ora fa parte del business! Anche loro hanno perso tempo in modalità? boriosa, incuranti della salute dei loro pazienti, si sono affrettati a trattare tutti, anziani e personale infermieristico, come clienti.
Forse anche per il primo ministro siamo semplici clienti cui vendere scempiaggini in cambio di un voto e nei suoi stravaganti calcoli avrà valutato che, non avendolo votato una cosi alta percentuale di londinesi, avrebbe potuto tranquillamente liberarsene con una comoda immunità che si porta via una ragguardevole fetta della popolazione. Ripenso, e a questo punto rimpiango, gli incendi di Nerone.
Questa teoria si sposa alla perfezione con la sua fuga da Londra, dalla citt° metropolitana che è  il cuore UK ma che è stata anche lo zoccolo duro della non accettazione del suo Brexit. Non dimentichiamo che solamente quando il bubbone pestilenziale era esploso in maniera irreversibile il team di Jonhson decise di includere nelle loro riunioni di emergenza il sindaco di Londra!
Ora le dichiarazioni ufficiali del primo ministro sono nelle mani di qualche sprovveduto giovane che cerca, nonostante tutto, di fare carriera e mentre il mondo politico si nasconde dietro STAY SAFE=STAY AT HOME=SAFE LIVES i volti veri che conquistano lo schermo sono, finalmente, quelli del personale ospedaliero che non regge i ritmi di lavoro, che lamenta la carenza di spazio, che ricorda quanto sia impossibile nella maggioranza di questi edifici disporre delle distanze di sicurezza che paiono essenziali per evitare il contagio.
Un mondo altro, un paese vero che respira a fatica e reclama con le diverse voci di tutte le persone che lavorano, aiutano, soccorrono.

22 aprile: mercoledi

Da due giorni ho ricominciato la mia vita normale tra casa, ufficio e passeggiata al parco.
Oggi finalmente abbiamo concluso le pratiche di pura burocrazia per permettere alle nostre insegnanti dell?asilo di accedere a questa forma di aspettativa con cui il governo dovrebbe assicurare loro l?80% dello stipendio.
Noi siamo molto preoccupati e titubanti perché se prima eravamo in ansia in attesa del bando e del sito online dove poter inserire i loro nominativi, aspettavamo dal 6 aprile un cenno… un indirizzo …qualcosa oltre la promessa, ora sopraggiunta la piattaforma, che avrebbe dovuto essere ready per il 20 aprile, abbiamo altri cocenti dubbi.
Ora siamo terrorizzati da alterne e sconnesse dichiarazioni rilasciate venerdì scorso, casualmente l’ultimo giorno feriale prima del lunedì in cui si era tutti pronti all?inserimento dei dati, poiché certe non ben definite fonti governative hanno iniziato a scrivere che per le nursery, gli asili nido e le scuole materne, ci si dovrà arrangiare in qualche altra maniera.
Ciò che al momento pare chiaro è che lo stato non vorrà pagare le nostre insegnanti con quei famosi stipendi all?80% perché il personale degli asili non viene ora considerate <vero> personale docente perché non possono gestire corsi online: temo solamente che il prossimo passaggio, giocando sul termine <nurse> infermiera, non diventi una convocazione di tutte le mie maestre come personale infermieristico d?urgenza.
Mi aspetto di tutto ormai e temo il peggio?
Per ora la procedura da parte nostra è iniziata, commercialista attivato, docenti presenti hanno rinviato la loro documentazione con l?ausilio di tutti gli strumenti informatici, attive nonostante siano chiuse in casa ed isolate.
Siamo nel sistema e crediamo nell’impegno dei due commercialisti: presto vedremo.
Io intanto prego, lavoro, passeggio …e mi scopro a camminare sempre con maggior rapidità nel tentativo di scaricare la tensione.
Anche oggi sono sazia di vita vissuta e mentre ceno cerco di godermi una videochiamata con la mia famiglia sopraggiunge la lettura del reale: presto mia madre mi fa notare che mangio con troppa rapidità, non è ingordigia ne mancanza di tempo, solamente tanta tensione che non trova pace.

 

Roberto Croce
Anche se il timore avrà sempre più argomenti, tu scegli la speranza. (Seneca)

Aiutati, che Dio t’aiuta.
La nave stava quasi per salpare, piena di giovani reclute che, come me, nel pieno dei vent’anni, si sporgevano dal ponte per salutare i propri cari. 
La banchina era piena, pullulante di braccia che si agitavano e di occhi che lacrimavano. 
Non era il mio primo viaggio, ma quella volta era diverso perché stavo partendo per il servizio militare, per ”la naia” come si diceva allora. 
I giovani di oggi non sanno più cos’è la naia, ma negli anni ‘80 era ancora considerata un’occasione per formare un uomo, oltre che (molto più modestamente) un soldato, perché da ogni parte d’Italia si veniva “strappati” dalle fragili certezze del proprio ambiente di origine e, qualunque fosse la propria  estrazione sociale o formazione culturale, sottoposti alla stretta disciplina militare, che talvolta somiglia a quella che più tardi, nostro malgrado, ci impone la vita. 
Mio padre era lì, pochi metri più in basso, mentre mi sporgevo dalla balaustra della nave nel vano tentativo di colmare con il pensiero lo spazio che separava le nostre mani e che, insieme, le univa in un viaggio ideale lontano nel tempo. In quel breve saluto, nei suoi occhi lessi il riassunto della sua gioventù, “strappata” – quella sì – dai sogni di un ragazzo e gettata in pasto agli orrori della guerra, quella vera. 
Lessi la sua paura dell’ignoto destino e insieme il coraggio di affrontare la vita a testa alta. Lessi la stanchezza, la fame, la sete, la voglia di libertà, la sofferenza per gli amici perduti, e insieme il riscatto, la fiducia e la forza di ricostruire l’Italia, lui come tutti i ragazzi, gli uomini e le donne della sua generazione, malgrado le macerie. 
E da quei brevi fotogrammi appannati dalla commozione imparai che non si deve mai arretrare davanti al nemico, chiunque o qualunque cosa esso sia. Che bisogna sapersi difendere, talvolta nascondere, per poi combattere senza paura, ma sempre con l’intelligenza, con la fiducia in se stessi e con la speranza di un futuro migliore. 
Non ebbi il coraggio di dire nulla, salvo un debole “stai tranquillo”, perché quello che leggevo con il cuore mi paralizzava l’anima. 
Fu solo un attimo, anche se eterno.  
Mio padre agitò lentamente il braccio in un cenno di saluto e mi disse la frase che ancora oggi, dopo tanti anni, mi accompagna nei momenti più difficili: “aiutati, che Dio t’aiuta”. 
Ed è quello che ora ripeto nel momento peggiore dal dopoguerra, spaventato come tutti da un nemico invisibile e, per questo, ancora più insidioso. 
Ora che ci viene chiesto di proteggere noi stessi per proteggere gli altri, di rinunciare alle libertà che credevamo intoccabili e alle abitudini che davamo per scontate, di allontanarci e nasconderci l’uno dall’altro, di soffrire e perdere oggi per vincere e ricostruire domani, proprio ora è il momento giusto per ripetere a noi stessi, con fiducia, fede e speranza, “Aiutati, che Dio t’aiuta”.

 

Lisa La Pietra
Covid-19: lo Spazio del “Non Tempo”.

Il Covid-19 è un fenomeno di straordinaria equità umana. Di fronte ad un batterio cosi piccolo siamo tutti incredibilmente uguali e equamente esposti.
Al rischio di ammalarci, ci esponiamo tutti alla stessa maniera e non c’è razza, cultura, religione o status che possa concorrere all’acquisizione di strumenti di difesa che facciano la differenza per gli uni o gli altri.
Tutti possono essere portatori sani e dunque ognuno di noi: amato, amante, familiare, conoscente, vicino di casa, datore di lavoro, obbligo di relazione o frequentazione può rappresentare quello che a Napoli viene ancora definito come: “il Puttano della porta accanto”. Ovvero, chiunque: ricco o povero, ignorante o colto, simpatico o antipatico, rappresenta la nostra minaccia. Chiunque puo trasmetterci il virus e questo, a mio avviso, è il primo grande elemento a cui la ribellione dell’universo, detta universalmente Covid-19, ci invita a riflettere.
Di fronte ai gradi temi della vita: siamo tutti uguali.
D’altronde, il mondo contemporaneo, prima o poi doveva pur fermarsi, considerato il surriscaldamento da iper-voltaggio socio-politico a cui si era esposto negli ultimi 20 anni.
Pensiamo al crollo delle Torri Gemelle, all’incendio al Pentagono.
Questi eventi non hanno colpito fisicamente il mondo intero come nel caso del nostro Corona Virus, ma certamente hanno sconvolto l’attenzione dell’umanità in senso globale.

Dopo i primi momenti di stupore la serie di domande a concatenamento standard si diffonde senza possibilità di trovarvi risposta alcuna. Sembra come se, ad un certo punto, nell’immagi-nario comune, si estenda un sistema di concause ed effetti a tutto e a tutti, che concluderà con: scoppierà la terza guerra mondiale? Scenderà la Nuova Gerusalemme conclamata e annunciata per la notte fra il 31 dicembre e il 1 gennaio 2000?
In realtà la costante che si ripresenta in seguito ad ogni grande catastrofe come quelle degli ultimi vent’anni, nonostante il progresso scientifico e l’impegno etico nell’ambito della ricerca, è il divario fra conoscenza e profitto; risoluzione del problema e redditi; coinvolgimento diretto delle istituzioni scientifiche lieder dell’oggetto in questione o delle istituzione dell’élite del contesto interessato.
Se dunque possiamo affermare che la storia abbia un senso, il senso della storia è da ricercare nella conoscenza. Quella stessa che è data dall’esperienza e di cui, grazie agli innumerevoli sistemi di divulgazione dell’informazione, dovremmo trarre gli strumenti per affrontare una situazione alla quale certamente non eravamo preparati, ma di cui il fine, ci era già stato preannunciato.
Il mondo è destinato a vivere un’altra Guerra dei Cent’anni con i suoi alti e bassi, le tempeste e i periodi di calma, ma sarà una guerra interna, civile, una guerra squisitamente politica, la cui posta in gioco consisterà nel sapere se la democrazia può trasformarsi senza perdersi, se l’utopia planetaria è realizzabile o se alla lunga e fin negli astri, avranno la meglio le ingiunzioni alterne della follia religiosa e della barbarie mercantile.“ —  Marc Augé da Diario di guerra Sul mondo, Sulla guerra, Democrazia, Follia.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera della Bulgaria

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Maggie van der Toorn
La svolta di un matrimonio

Lucia era una delle poche persone felici della quarantena obbligatoria per il coronavirus. Me lo diceva fin dai primi giorni di clausura ogni volta che ci sentivamo al telefono. Essendo amiche di lunga data ci confidavamo le nostre preoccupazioni, oltre alle nostre gioie. E la permanenza di Alfredo, suo marito, era per lei un ottimo motivo per essere più raggiante.

Si erano sposati ben dodici anni fa, avevano messo al mondo due figli, e abitavano in una bella villetta in centro con perfino un giardinetto. Non mancava nulla alla vita di Lucia. Lei faceva la casalinga, lui l’informatore di una grossa azienda farmaceutica che lo portava lontano da casa dal lunedì al venerdì. Infatti, erano solitamente i fine settimana in cui si vedevano con una certa calma, seduti tutti a tavola per il pranzo della domenica e a fare la passeggiata nel pomeriggio. E nemmeno tutte le domeniche, in quanto Alfredo girava l’Italia in largo e lungo e spesso doveva prolungare il suo soggiorno anche nel weekend.

Perciò, durante la quarantena Lucia si buttò a cucinare pietanze per il suo caro consorte, con ricette che spesso le avevo suggerite io, e la sera indossava completini stuzzicanti ed i tacchi per svegliare il libido di Alfredo, scomparso oramai da tempo. La reazione di suo marito però fu assai deludente. Me lo diceva al telefono. Era perplessa perché pensava di aver sposato un uomo dinamico con interesse per la politica e per la cultura, invece lo vedeva sempre sdraiato sul divano, spesse volte in pigiama, a vedere film con duelli all’ultimo sangue. Lucia non riuscì nemmeno a seguire le scene iniziali e si rifugiò in cucina, anche se gli urli dei combattimenti la raggiungevano anche lì.

Mi disse che era tutto finito tra loro, e che forse non c’era mai stato quel rapporto che tanto le era sembrato perfetto. L’immagine di un’alchemica unica le crollò davanti agli occhi. Pianse quando ci sentivamo e cercai di consolarla dicendo che tutto sarebbe andato bene.

Alfredo se ne stava sempre più in disparte, come se la forzatura di stare a casa fosse per lui un sacrificio enorme, e l’unica cosa che diceva quando le rivolgeva la parola era che voleva uscire. Lucia si avviliva sempre di più, e al cinquantesimo giorno aveva messo da parte il completino ed i tacchi.

Ma poi, un giorno mi fece una telefonata con la voce squillante di gioia. Le chiesi che cosa era successo di così importante.  Disse che Alfredo era uscito di casa perché non ce la faceva più. Aveva preso la scusa delle sigarette e Lucia aveva avuto per un attimo il dubbio che non sarebbe più tornato. Invece, fece ritorno con un mazzo di fiori. Non spiegò dove le aveva prese. Un mazzo di rose con un biglietto per chiedere scusa e le aveva dato un lungo bacio. Da quel momento non mi cercò più, e potevo solo immaginare la sua contentezza per la svolta del suo matrimonio.

Le crisi servono a capire meglio chi e cosa si ha di fronte, a tirare fuori la forza più profonda che vige in ognuno di noi, a cui possiamo aggrapparci come una rosa rampicante per voler lottare per quello a cui teniamo di più e scoprire piacevoli sorprese.

 

Pascal Schembri
Dal mio confinamento parigino di Montparnasse

Avevo deciso di non scrivere più niente, perché dalle varie    notizie non  c’é niente di chiaro.  Poi…….

L’altro giorno parlando al telefono con il Presidente della FUIS, Professor A. N. Rossi, mi ha chiesto di scrivere un’altra mia riflessione su questo nuovo male del secolo, COVD 19.

A dir la verità , non volevo più scrivere niente perché  ho sentito tanti eminenti , professori , virologi, ematologi, scienziati  e tanti altri  e alla fine, ho capito  che ognuno difende la sua teoria.
Il premio Nobel francese  Luc Montagner , nell’intervista che ha rilasciato in Francia e nel mondo, dice tutt’altro rispetto a  tutti quegli  illustri eminenti della scienza.  Secondo lui, il virus  è partito da un laboratorio in Cina, poi  potrebbe esserci stato   un errore nel  laboratorio cinese ,mentre stavano lavorando al fine di  trovare un vaccino per l’HIV. Comunque troppi qui pro quo, e alla fine il cittadino non ci capisce più niente.

*Solo dire, che in Italia  siamo più avanti dei francesi. Presto  si saprà chi aveva ragione. Noi Italiani cerchiamo di divulgare notizie non sempre controllate, ma alla fine si vengono  sempre a sapere gli errori  fatti  a causa della  mala sanità. Tante denuncie  sono state fatte da diversi famigliari che hanno perso i loro cari ,per mancanza di assistenza. Non hanno abbastanza tamponi  da fare ai cittadini, a parte tutti i problemi che sappiamo essersi verificati per mancanza di letti e di macchine per ossigeno. Comunque , in  Italia dicono che il 4 maggio  ci sarà lo sconfinamento  e la paura si impossessa dei  cittadini , perché, pur dovendo uscire con mascherine e guanti , non si sa  come fare a mantenere lo spazio di un metro di distanza nei mezzi pubblici.  Vedremo.

l  francesi  sin dall’inizio , hanno cercato di nascondere questa epidemia , perché al governo  faceva comodo far passare almeno  15 giorni, per inviare il popolo a votare al fine di eleggere i nuovi sindaci.

Il Presidente ha dato l’annuncio il giorno dopo le votazioni, cioé il 16 marzo e il 17, a mezzogiorno , ci ha confinato come aveva fatto l’Italia, solo che in Italia, sin dall’inizio, hanno detto di portare la mascherina e i guanti, quando si esce per fare la spesa, mentre in Francia , non solo ci hanno dato il permesso di uscita di un’ora,  nel giro  di un kilometro attorno alla nostra abitazione, ma non hanno mai  dato indicazioni  circa la necessità di   uscire con i guanti   e la mascherina, perché  non ne avevamo nemmeno per il servizio sanitario. Pertanto hanno continuato a dire che non servivano le mascherine fino a quando si sono superati  dieci mila morti ed allora  hanno incominciato a parlare della necessità delle mascherine. Un vero Rebus.

L’undici maggio il Presidente  sicuramente   dirà che il confinamento è sospeso e tanti esercizi e fabbriche  apriranno al pubblico.  Come faranno le persone che devono fare almeno due ore andata e  due ore al ritorno al giorno di viaggio per andare a lavorare?  Ammettiamo che riescano a distribuire le mascherine all’ingresso delle metropolitane e nei buss, come ha detto la Sindaca di Parigi Anne Idalgo, ma quanto al metro di distanza da osservare, come faranno a trovare  la soluzione?

Tanti virologi  dicono che se le persone non facessero molta attenzione, ci potrebbe  essere una massiccia ricaduta di  positivi.

In italia  hanno incominciato a fare dei tamponi,anche se sembra non siano molto affidabili, mentre gli esami sierologici   non sono pronti. In Francia  è ancora peggio , i tamponi vengono fatti  soltanto per i casi molto urgenti  ed ancora non si conosce la data in cui si potranno  fare gli esami sierologici.

Per me , più che una guerra batterica, come continua a dire il Presidente francese Macron , è una guerra economica. Vedrete fra qualche mese quanti piccoli esercizi di tutti i generi saranno costretti a chiudere per mancanza di fondi e saranno costretti  a dichiarare il fallimento.
Oggi ogni giorno ci dicono via televisione, giornali e radio, quanti morti ci sono, dopo ci diranno quante persone si sono date la morte per  la disperazione di aver perso tutto.

Mi auguro con tutto il cuore di sbagliarmi e che fra un paio di mesi possiamo ritornare a vivere, non dico come prima , ma almeno  liberi di  girare e incontrarci,  facendo sempre attenzione a non farci contaminare o a contaminare altre persone e, per questo , abbiamo bisogno dei tamponi e delle analisi  sierologiche. Riusciranno a farli a tutta la popolazione?????

 

Vincenzo Ruggero
La Terra girerà, e noi?

Uno legge sempre libri e giornali, va al cinema e teatro, oppure gira un po’ di mondo per farsi un’opinione della vita e la sua complessità, poi basta un momento, un  evento inaspettato magari secondario,  e molte cose diventano improvvisamente più chiare, come per incanto. Mi è successo qualche anno fa’ nel vedere in un interessante documentario RAI di Astrofisica – materia che per certi versi mi affascina particolarmente, insieme alla Matematica – dei meravigliosi scenari a colori dell’Universo Astrale, con Pianeti  e Orbite nel loro movimento armonioso. Oggi come oggi, inoltre, la filmica di tali saggi televisivi è corroborata con numerose riprese dallo Spazio visto da Satelliti e  navette. Ebbene, nel contesto, quel minuscolo corpo  che è la Terra ha come squarciato molte nebbie in me.

Il nostro Pianeta, partner (femminile?) di un ballo immenso nello Spazio Siderale, possibile che contenga in esso tutte le Verità immaginabili? dalla Religione alla Scienza e al Pensiero, fino a scendere all’ Antropologia, la Politica, eccetera eccetera…? Vediamo.

Logico domandarsi, e lo dico da Cattolico, se è lecito credere che il nostro Dio (peraltro ben rappresentato in terra da Gesù Cristo) possa essere l’unico valido per l’Universo. Oppure può valere un’idea teistica del problema, ovvero che, se c’è un Dio davvero, esso è uno solo (senza un nome preciso, che sia, oltre Cristo, Maometto o Budda).

È congruo illudersi che noi siamo l’unica specie di esseri intelligenti nell’immensità siderea? Forse potremmo essere, chissà quando, in compagnia di qualcuno?

Il Pensiero profuso nei secoli dall’Uomo – da Socrate a Popper – è il massimo che tutto l’Universo può esprimere? o ci potranno essere altre verità che al momento ci trascendono?

La nostra Storia con tutte le sue poliedriche vicende e sfaccettature, inoltre, è veramente l’unica storia già scritta e che si scriverà ancora nel profondo Universo degli abissi?  Personaggi grandiosi, da Cesare a Napoleone, o i miseri protagonisti politici di oggi e di ieri , potranno ritenersi, essi solo, gli eroi nello Spazio?

E finalmente, ci possiamo illudere che se l’Uomo continuerà a distruggere con la sua follia l’armonia della Terra, essa non sopravvivrà alla tempesta – come palla di terra, fuoco, e acqua -, continuando a girare e volteggiare nel ballo celeste? Con tutta probabilità essa sorriderebbe nel dare l’addio al funerale del suo ex ospite, con l’eccezione di qualche (fortissimo) microbo misteriosamente sopravvissuto, come preconizzava anni addietro il filosofo  Bertrand Russel.

°°°°°

Questa quarantena da Coronavirus, esperienza unica per tutti, all’improvviso ha letteralmente fermato il mondo, nella stessa rotazione di 1700 Km orari intorno al proprio asse, quasi un’inverosimile status contro-natura che farebbe impallidire il più bravo degli scrittori di fantascienza: vedi le immagini desolanti di New York, Londra, Madrid, Roma o Parigi, e poi capisci…il terribile il vuoto e il silenzio che coprono la loro mitica vivacità: è sparito l’uomo dalle vie, mentre le auto  e i bus sembrano un privilegio per pochi, e in taluni posti animali come cervi o volpi vagano spaesati per la strada.

°°°°°

Oggi, in un ideale scenario di fermo-Terra, da un punto qualsiasi dello Spazio mi calo sul nostro pianeta, e munito di una speciale lente d’ingrandimento alla Sherlock Holmes entro nella mia città, la mia casa, il mio giardino, per osservare un tantino meglio quello che non normalmente non vedo quando il mondo gira fortissimamente.

Così, il colore giallo del cespuglio di margherite lo vedo più giallo; il canto dell’usignolo sul bordo del terrazzo sembra meno solitario, come di corteggiamento amoroso; l’acqua della fontana è più fresca per dissetare al tepore della primavera; tenero è il tentativo delle roselline di sbocciare presto nel grido da nascituro, quanto poetico il rigoglio delle foglioline verdi nell’ulivo, già in festa per la Pasqua, e pittorico il vecchio acero, non più spoglio ma vivo e fremente in ansia di impennare ancor più i suoi rami…

Il vetro della lente sembra ormai appannarsi, forse per il mio stesso fiato nella passeggiatina; potrei continuare per molto ancora, chissà? ma me ne torno con grande stretta al cuore verso l’uscio di casa. Oh, attenzione! stavo calpestando una pacifica fila di formichine. Meno male che non ne ho ucciso qualcuna, però poi mi fermo e rifletto: a proposito, guarda come vanno piano! vedi tu quanto (molto) e come (bene) lavorano per la loro comunità… non hanno alcun bisogno della frenesia degli umani, proprio come è per noi oggi, insolitamente, in quarantena.

°°°°°

Quanto durerà nel mondo questa pace silente proprio non lo so, ma di sicuro appena possibile l’Uomo tornerà a correre, incatenato dagli interessi economici, impietoso a distruggere la Natura, incurante del rischio che la Terra, malgrado tutto, continuerà a girare nello Spazio (magari trasformata, ma viva), ma lui?

A Dio (unico, se c’è)  o ai posteri (se ci saranno) l’ardua (dura) sentenza.

casa mia, oggi 19 aprile 2020

 

La tuta

 

Comincio onestamente ad essere stanco di vedermi sempre in tuta sportiva dentro casa, che aiuti a preparare il pranzo o che scriva qualcosa nello studio fa lo stesso; da casalingo forzato, d’altronde, è ragionevole non pretendere la cravatta su una camicia ben stirata, come però non lasciarsi andare con la barba non fatta e vestiti da lavoro (si fa per dire…) magari un po’ sporchi. Un relativo decoro dà dignità anche nei momenti più semplici, ed ecco allora che a parte tutto una divisa domestica a guisa di tanti maratoneti della domenica risolve molti problemi, ivi compresa un’ indiscutibile praticità. Facendo i conti tuttavia con formazione e indole, indipendentemente da come mi sono regolarmente vestito da più di mezzo secolo in attività, non posso non vedere la piccola insofferenza attraverso pagine del mio passato. Mi spiegherò meglio.

Sono cresciuto in una grande famiglia di artigiani della persona: mamma camiciaia, con due sorelle più due fratelli tutti sarti; papà maestro calzolaio (pluripremiato, anche dal Presidente della Repubblica De Nicola nel 1947), lui con due fratelli parrucchieri; infine altri due miei zii materni calzolai. Ricordo che alle scuole Medie ero l’unico a portare la camicia col cravattino, cosa alquanto rara se non si era benestanti (ed i miei certamente non lo erano). Quando nel ’68, fresco diplomato, iniziai a lavorare in un prestigioso laboratorio elettronico della Siemens Telecomunicazioni a Milano, rifiutai il camice bianco per non occultare il bel completo di giacca e pantaloni appena comprati con il primo stipendio percepito (da insegnante, per alcuni mesi nella mia stessa scuola, appena diciannovenne). Alla Selenia di Roma, dove negli anni ’70 progettavo dei Sistemi di Automazione con gli ingombranti mini-computer della 3° generazione, per settimane intere permanevo con disinvoltura in giacca-camicia-cravatta fra rack e cavi impolverati e non proprio puliti, quasi fossi sulla scrivania dell’ ufficio. Non vorrei essere noioso, perciò mi astengo dal proseguire in questi remoti fatterelli.

Ciò che voglio rimarcare, a scanso di vanità ed esagerazione, è il peso che un certo retaggio  dei primi anni giovanili può avere avuto nel corso della vita, qualcosa che sarebbe passato dal rifiuto in generale dell’omologazione – in ambito Linguaggio, Moda, Cultura – per arrivare all’apprezzamento dello Stile e della Bellezza, ovunque essi si trovino in Arte e Natura.

Questo fermo coatto con tanto di tuta sportiva – peraltro precipuo di un tempo che speriamo tutti finisca a breve – allo speciale disagio accennato, tuttavia, qualche vantaggio lo aggiunge pure, in special modo alla estesa facoltà di pensare e leggere sui più disparati temi politico-socio-culturali che ci appassionano da sempre.

Sbirciando fra i libri, per fortuna eternamente  preziosi, oggi mi capita di ritrovare Colloqui con Mussolini (Emil Ludwig) e un testo del X Congresso del Partito Comunista Cinese del 1973 (Stella Rossa), quest’ultimo regalatomi da un collega, rivoluzionario del ’68, stimatissimo sul piano personale quanto non su quello politico. I due volumetti istintivamente mi hanno ricondotto – sul livello ovviamente più nobile che compete loro – al tema della tuta-divisa, quando essa diventa: fosco emblema di massa, livellamento e sonno della ragione, camicie nere-rosse-verdi a mo’ di tragica metafora di dittatura e repressione, fanatismo e propaganda nazional-popolare e regionalistica, tutto quanto purtroppo a scapito delle sacrosante libertà individuali o a favore di politiche illusorie e reazionarie.

Oggi ho cambiato la tuta blu con un’altra grigia – il pensiero mi vola auto-ironicamente ai cinesi in tenuta simile nei tempi di Zhou Enlai in piena Rivoluzione Culturale – e già il colore mi dà un pochino più tristezza; ma sopporto il piccolo disagio, e provo ad allungare lo sguardo verso il guardaroba che si aprirà (?) il 4 maggio, liberi di indossare ciò che vogliamo dentro e fuori casa, contenti non certo per l’abbigliamento in sé quanto perché si ritorna (?) lentamente fra la gente.

casa mia, oggi 26 aprile 2020

                                                       

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera della Croazia

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Italo Pignatelli
La liberazione dalla dittatura e quella dal coronavirus

Data storica per noi cittadini democratici. Sono passati 75 anni dal 1945. Troppi anni per l’uomo ma pochi per la Storia. La Memoria non muore. No. Non deve morire mai. Dal 1994 Capo del Governo Ministri politici hanno tentato per anni di farci dimenticare la Giornata. Hanno cercato di imporci una cultura fascista ancora più razzista volgare delinquenziale. Abbiamo visto le ronde leghiste nelle città lombarde e venete. Ultimo tentativo nel 2018-19 con al potere Lega e Cinque Stelle. L’Italia Maestra di arte musica poesia teatro moda cucina è stata nel mondo ispiratrice di satira barzellette rozzo umorismo con protagonisti i politici. Il 25 aprile ’45 partigiani donne giovani sfilavano in corteo nelle strade cantavano ai balconi.

Ora siamo tutti in casa. La povertà di allora sta tornando? Si viveva la gioia di essere liberi dal fascismo e di aver cacciato i tedeschi. Le fabbriche erano chiuse perché bombardate ora dal virus. Negozi chiusi perché non avevano nulla da vendere e nessuno aveva denaro. Ora il commercio bar ristoranti pizzerie pub gelaterie teatri musei discoteche sono in quarantena.

Le file davanti a supermercati ricordano quelle tutti in abiti logori con la tessera per il pane.

Si programmava il referendum del 2 giugno ’46 per liberarci dei Savoia complici di Mussolini. Si sognava la Repubblica ideata dal saggio Mazzini. Ora si sogna la liberazione dal virus. Nemico invisibile ma meno dannoso dei fascisti e nazisti. Oggi siamo aiutati da medici infermieri russi cinesi polacchi albanesi e da altri paesi culturalmente a noi simili da secoli. La Liberazione è la Vittoria di migliaia nostri partigiani con quelli di ogni paese europeo. Tutti volontari di ogni età ceto sociale religione. Non vengono ricordate le donne anche se sono state più numerose. Hanno lottato in silenzio nel ruolo di vivandiere infermiere staffette operaie nelle fabbriche contadine nei campi attente alla cura degli animali da cortile o stalle.

Al fianco di ogni uomo mamme sorelle mogli fidanzate figlie. Mute dopo la vittoria sono tornate alle solite faccende domestiche. A loro era vietato partecipare alla politica allo studio.

Poche in politica. Tina Anselmi Nilde Iotti vanno menzionate. Da non ricordare mai: Meloni Santachè Mussolini Bindi e tante altre. I Saggi della Costituente riconoscono il generoso impegno nella lotta partigiana concedendo a tutte il voto nel referendum del giugno ’46. Settembre ’43, Napoli si libera dell’esercito tedesco. Uomini donne ragazzi, privi di armi, dopo quattro giorni, assistono il 1 ottobre festosi alla fuga dei carri armati nemici. Gioiosi, dimenticando i loro bombardamenti giorno notte morti fame monumenti palazzi in polvere, accolgono i nuovi alleati americani e inglesi che, mentre in città si combatteva, soggiornavano al sole di Capri e Sorrento. La gioia durò pochi giorni. La città divenne la prostituta dei nuovi amici. Donne minorenni dei due sessi furono vittime di ogni violenza al prezzo di pasta scatole di piselli cioccolata sigarette. La nota rozza volgarità americana non aveva limiti. Palazzo reale musei chiese furono usate per orge e latrine. Napoli divenne stimolo alla lotta partigiana per altre città europee. Il Vesuvio Faro del golfo, indignato furioso, erutta copre la città con una coltre di polvere per nascondere al mondo l’umiliazione vissuta. La delusione del popolo fu cantata da Nino Taranto alla festa di san Gennaro nel ’46 in “Dove sta Zazà”. E’ un inno alla Libertà per la quale tanti hanno combattuto sono morti tra cui Gennaro Capuozzo di anni 12.

Zazà è la Libertà. “Che l’ho perduta, ahimè! / Chi ha trovato Zazà, / che m’ha purtasse a me./ iammela a truvà/ su facciamo presto/ iammela a truvà/ Tutte quante aimma gridà: Zazazazà.”

Oggi siamo costretti in casa per la nostra salute e per quella degli altri. Anche se stonati cantiamo il nostro Inno o ascoltiamo quello inciso da Tosca. Lei, ospite a Tg 3 notte, ha cantato con un filo di voce triste in tono poetico senza enfasi meditando su ogni parola. Giovanna Botteri, giornalista in Cina, ascoltandola, ha parlato del virus con occhi umidi. La donna, ispiratrice di ogni arte da sempre, sa farci commuovere innamorarci anche da artista.

Evitiamo il tricolore ai balconi per non confonderci con i simpatizzanti dei partiti di Destra. Oggi va esposta solo la bandiera dell’Europa con le 12 stelle. E’ il simbolo della Cultura madre di Pace Fratellanza Unione dei popoli. La Comunità europea nasce dai 60 milioni di morti tra partigiani civili dissidenti politici. Nel Ventennio era d’obbligo la camicia nera. Marinetti, però, non era fascista. Propone il voto alle donne divorzio aborto nel Manifesto politico presentato a Napoli il 14 febbraio del 1909 sul periodico “La tavola rotonda” e applaudito a teatro e poi sul “Figarò” a Parigi. Si oppone con Persico e Pagano, direttori di Domus e Casabella, all’architettura di Piacentini. Nel 1933, Michelucci vince il concorso della stazione di Firenze in ferro e vetro, Terragni realizza la Casa del Fascio in stile razionale, Carlo Cocchia e altri laureati a Napoli progettano la Mostra d’Oltremare in città dove la Posta Centrale è moderna in un contesto di palazzi stile fascista. Ettore Petrolini, obbligato alla camicia nera, si presenta in scena davanti a politici gerarchi con fare pigro indolente trasandato ma con capelli lucidi impomatati come uso comune dei maschi, voce effeminata. Tutti divertiti ridono applaudono ignari di essere ispiratori della goffaggine dei personaggi a loro molto simili. Sui canali Mediaset regna squallore ignoranza volgarità. La Cultura nuoce al potere della Destra.  Napoli viene ritratta da Caravaggio nelle “Sette opere di Misericordia”. L’artista lombardo vede nella città il simbolo dell’Umanità tesa ad aiutare chi ha bisogno di aiuto, ad ospitare lo straniero, dare abiti latte dal seno a chi è povero. Venite vedete l’opera e conoscerete Napoli.

Sarà ancora la città delle “Quattro Giornate” a stimolare l’Italia a cacciare dalla politica tanti inquisiti ma mai condannati per truffe convivenze con la malavita? Il futuro dipende da tutti. Non è accettabile ignorare se un nostro caro è morto anche se ospite di una casa per anziani.

“Fenesta che lucive”, versi di A. Longo musica di V. Bellini, 1842, dopo il colera di cui fu vittima Leopardi, poetizza la drammatica struggente angoscia di un amante per la giovane fanciulla. “Fenest che lucive e mo nun luce, / Sign’è ca nenna mia stace malata? / S’affaccia la sorella e che me dice? / “nennella toia è morta e s’è atterrata. / Chiagneva sempre ca durmeva sola;/ mo dorme co li muorte accumpagnata”. Salvi dalla morte per virus, industriali, politici, professionisti, commercianti, pagheranno le tasse per ospedali scuole agibili ponti strade sicure? Ricordiamo il comportamento ignobile di Governatori di alcune Regioni dei politici mafiosi prima di votare alle prossime elezioni politiche municipali regionali. Non dimentichiamo di esiliare dalla politica chi ha lasciato in mare in tempesta senza cibo acqua malati donne bambini. Ha arrestato capitani delle navi che hanno salvato dalla morte popoli che hanno liberato noi dal fascismo. Ha lasciato liberi gli scafisti manovali dei suoi elettori mafiosi anche al nord. Con lui gli amici della Meloni, priva di idee ma brava a fargli da eco alle sue volgari menzogne. Lo sceriffo d’Italia, in tuta da sportivo da militare, ci fa ricordare Bossi in canottiera che in volgare dialetto urlava “noi lo abbiamo sempre duro”. Affermazione in forte contrasto con le vistose corna in testa alle sagre paesane. Il Pio ha chiuso i porti tutti i paesi hanno smesso di dialogare con noi. Fuori dalla politica il capo branco avremo il piacere di non vedere più nelle pubblicità barbuti con sguardo bieco da malavitoso. Oggi, meditando riflettendo ricordando, ci convince di più che l’Unità d’Italia non esiste ancora.

 

Annamaria Bianchi Grippa
2020 ODISSEA  NEL CORONAVIRUS

Alla tenera età di quasi 73 anni vivo  l’Odissea di quel film che tanto mi ha appassionato da giovane, l’avventura nello spazio che superava la nostra immaginazione. Oggi la pandemia ci ha catapultato in qualcosa di inimmaginabile se non nella fantascienza.
Vivo ciò che alla mia generazione era stata risparmiata: la guerra. Si, una guerra, senza bombe,  con un nemico invisibile il virus Covid .
Com’è potuto accadere che la ricerca in vitro in un laboratorio di analisi abbia avuto scienziati sbadati a cui è sfuggito .. hop !  una mostruosità simile! provocando una tragedia per il mondo intero. Il mio sospetto, da vecchia paranoica, come mi ha detto qualche amica, è che la tensione e la conflittualità  delle super potenze America e Cina, abbia avuto il suo epilogo nella realizzazione di un’ arma micidiale. E’ stato un incidente,  mi sono corretta,come quello di CERNOBYL nel 1986, l’anno in cui aspettavo la mia secondogenita e, sempre in ritardo, ci avvertirono che la radioattività era giunta a noi trasportata dalla nube micidiale. Purtroppo l’avevamo già respirata,assorbita nella pelle e “mangiata” con cibi contaminati.
Penso  alle tragedie di portata mondiale,la distruzione delle Due Torri a New York , che ha colpì’   direttamente la mia famiglia  perché mia figlia si era trovata lì, bloccata e non sapevamo come farla rientrare in patria. Nel 2001 però c’era ancora mio marito.Oggi,al contrario, vedova e con figlie lontane,affronto la clausura di una suora, la limitazione e la solitudine di un carcerato.ed ho dipinto la Medusa,perché evidententenente quella testa compressa dalle serpi,rappresenta l’angoscia del mio animo.

Ho  iniziato però a dipingere l’onda di HOKUSAI che è la metafora della vita . Il  virus è la nostra tempesta,ma non ci travolgerà, così come l’onda risparmia i naviganti. Ecco sto esorcizzando le mie paure.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera di Malta

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Fortuna della Porta
Sisma

Il pavimento tremò ma Lucia continuò a impanare la carne, sicura che fossero i nervi a renderla instabile. Con le mani gelate passò e ripassò ogni fettina nel pangrattato perché sembrasse più alta. Lo stesso Alessandro domandò: – Ne posso avere un’altra? Lei fece finta di scherzare: —Mangione, ti verrebbe mal di pancia.

Dopo che i gemelli si misero a letto, nel silenzio i sussulti continuarono. Sentì il bisogno di uno spazio aperto, proprio come durante un terremoto. Se non fosse uscita immediatamente in strada, disperata si sarebbe messa a urlare e non poteva svegliare i ragazzi e soprattutto spiegare.

La notte era scesa tranquilla e inconsapevole. Sul portone alzò lo sguardo al casermone di sette piani dove abitava. Strinse la mascherina sul naso. Allungò lo sguardo verso le ombre della strada che l’avrebbero protetta dalle ronde. Conosceva molti lì intorno, non solo quelli del suo palazzo. Se la mattina aiutava alcune famiglie nei lavori domestici, di pomeriggio andava con la Singer per rifare orli e modificare abiti. La stimavano, si rivolgevano a lei chiamandola: -Signora…

Quando era cominciato il confinamento, decise di cucire un bel po’ di mascherine lavabili in tessuto di cotone idrorepellente e le aveva distribuite casa per casa. Poi la vita si era fermata: nessuna entrata. Eppure i pochi risparmi raggranellati euro dopo euro non li avrebbe presi mai. Lo aveva giurato ma ora era incerta. Dopotutto, quanto sarebbero durati? Il mese prima, raggiunti miracolosamente i 500 euro, aveva portato i ragazzi in pizzeria per festeggiare. Quei soldi sarebbero stati utili qualora le fosse successo qualcosa. Saverio e Alessandro avrebbero saputo cosa fare, per esempio rivolgersi a una lontana cugina, che aveva promesso di prendersi cura di entrambi. Se la sarebbero cavata anche senza di lei. Ormai erano quasi adolescenti.

Con orgoglio ricordò come ai suoi figli non fosse mai mancato nulla, neanche la palestra e l’anno precedente un corso di palla a nuoto. Per i compleanni, poi, erano liberi di invitare l’intera classe.

Il suo piccolo mondo era crollato da un giorno all’altro come immaginava fosse accaduto a molti altri. Quella mattina si era posta a percorrere il frigo e gli stipetti dove conservava i generi alimentari, quasi fossero in grado di germogliare yogurt o latte. Gettò uno sguardo affranto sulle due ultime fette di carne e quindi con un filo di voce telefonò al Comune, esponendo la sua situazione con grande imbarazzo. Non era abituata. Dopo la vergogna, si sentiva in colpa per non essere capace di procurarsi il necessario. Le consigliarono di presentare il modulo per i buoni spesa. L’unità di emergenza, però, l’aveva dirottata alla Caritas. Erano stati tutti disponibili e gentili assicurandole un appoggio. -Signora, la pregarono, ci dia un giorno. Noi si assiste ormai 89 famiglie. Inseriamo anche lei nella lista, ma domani purtroppo salta. Abbia pazienza, si faccia coraggio.

Si sedette su una panchina, spezzata dal peso della giornata. Di notte, rifletté, un tale vuoto non fa impressione perché l’assenza è abituale. Nella quiete le sembrò di udire il crepitio delle stelle che formicolavano. Si accorse di piangere: -Se mi scoraggio anch’io, mormorò, non c’è salvezza a questo mondo.

Ad un tratto notò una borsa rigonfia, di plastica pesante, addossata ad un albero. Il cuore le fece un balzo. Sarà un’anima buona che ci ha messo qualcosa, mormoro tra sé e sé. So che molti lasciano viveri in giro per chi ne ha bisogno. Si avvicinò ma si accorse che era solo spazzatura, ossia cartacce appallottolate.
Salì a piedi fino al sesto piano, per non prendere l’ascensore. Si fermò un paio di volte non perché fosse affannata, ma per differire il rientro. All’ultimo pianerottolo si sfilò con precauzione i guanti, come aveva visto fare in televisione e prese le chiavi dalla tasca della giacca. Fu allora che vide lo scatolone davanti alla porta. Cautamente aprì uno dei lembi e si rese conto che erano generi di prima necessità, compreso un pezzo di carne da brodo e pasta e pelati e biscotti. Su tutto era appoggiata una busta. Aprì anche quella, cercando di nettarsi gli occhi per essere in grado di leggere. Vi trovò 20 euro e un foglietto col disegno di un arcobaleno.

 

Anna Maria Petrova – Ghiuselev
BRICIOLE

Che inferno! …

Come tutto è  reso squallido da noi umani.

Abbiamo dissacrato ogni cosa,

resa minuscola, impotente, inesistente.

Solo l’odio è  lo stesso di prima,

anzi più combattivo e resistente.

Ci consuma le anime,

rovina ogni beltà,

uccide la gioia nel nascere…

 

Tutti infelici siamo. E depressi.

E insoddisfatti siamo sempre noi…

Impoveriti, spenti, condannati…

Al nostro futuro rovinato da noi,

della nostra feroce avidità  e struggente miopia.

Tutte marionette – noi, che mangiamo le OGM

e aspettiamo le direttive dei G-20.

Senza ideali, senza morale, senza poesia …

Tiriamo avanti nelle nostre tane illusorie,

rimpiccioliti, imprigionati…

Sognando un futuro rosa su Marte…

Ma chi siamo?

Briciole…

 

 Annabelle

 

Gabriella Belviso
Coronavirus – Il gabbiano ed io (seconda e ultima parte)

Nei tre giorni successivi ci fu un grande cambiamento. A ppena salita sul terrazzo, il gabbiano immediatamente planava e si posizionava sempre nello stesso punto, ma invece di rivolgere il rostro verso Monte Mario si mise di lato verso di me, guardandomi negi occhi e poi piano piano si accucciò per circa venti minuti, dopo di che volò via.
Pensai che, essendo primavera, quindi nel pieno risveglio della natura, seguendo l’istinto, forse il gabbiano aveva altro da fare che guardare me.
Com’è andata a fnire la storia? Non lo saprò mai, perché sono caduta in casa e mi sono fratturato il braccio sinistro, per cui le mie passeggiate sul terrazzo si sono concluse.

25 aprile   ˂———˃ 1 maggio in coronavirus

 

Il panorama che si gode dalla terrazza del mio palazzo è straordinario: da una parte si vede tutto Monte Mario, con Villa Miani, l’Hotel Hilton, rimasto con due luci in alto, l’Osservatorio Astronomico, dall’altra, tutte le cupole di Roma, in primis San Pietro, il Palazzaccio, l’Altare della Patria, etc…
Ho una fortuna, abitando al settimo piano, dal mio balcone  si vede tutto Monte Mario, e affaccia su via Silvio Pellico, una strada alberata con dei magnifici tigli che in altezza arrivano più o meno al quinto piano. Ogni anno, tra il 25 aprile e il 1° maggio (ci si può rimettere il calendario) avviene una specie di miracolo: il 24 aprile fino a sera, gli alberi appaiono spogli, con rami brunastri, secchi, scheletrici.
Affacciandosi la mattina del 25, improvvisamente i tigli sono tutti verdi di foglie trslucide, lucenti, brillanti e dopo qualche giorno fioriscono, emanando un profumo acuto, stordente, inebriante.
E ogni anno penso dentro di me: ancora una volta la natura si è esibita in uno spettacolo meraviglioso, che, nonostante i brutti periodi, apre il cuore ad un pizzico di gioia e di bellezza.
Questa mattina,però, un pensiero si è materializzato nel mio cervello e mi sono venute in mente alcune parole della grande artista Violeta Parra, suicida dopo il colpo di stato di Pinochet l’11 sttembre 1973 in Cile:

Cuando fui para la pampa
Llevaba mi corazón contento
Como un chirigüe
Pero allá se me murió
Primero perdí las plumas
Y luego perdí la voz
Y arriba quemando el sol.*

“E lassù brucia il sole”: ma “quemando” che viene dal verbo “quemar”è pressocchè intraducibile  in italiano perché signfica sia che brucia se stesso, sia che brucia tutto il resto.
Per cui si genera una sorta di moltiplicazione di prospettive. Questo astro che ci sovrasta ha un potere su di noi di vita e di morte, però è indifferente, muto e guarda (inconsapevole?) nel suo fulgore , ma con cecità la nostra piccola terra sofferente, martoriata isolata….

Ho deciso di non approfondire questo mio ragionamento, perché mi avrebbe portato ad una visione pessimistica, troppo pessimistica, fonda, profonda.

E quindi dobbiamo, dico dobbiamo, avere uno sprazzo di positività che ci aiuti ad andare avanti.

*Invito ad andare a vedere sul sito di Violeta Parra il testo completo della canzone: “Arriba quemando el sol”

 

Maria Teresa Serafini
Diario: “Contra spem in spem credidit”
Civitavecchia 20 aprile 2020

La Pasqua è passata da qualche giorno ma il messaggio che ho ricevuto ieri diceva: ”Buona Pasqua!” siamo di nuovo a Pasqua o sono auguri rivolti a chi festeggia la Pasqua degli ortodossi? Con il Covid 19 ho modificato  il mio credo religioso? Sono in casa dal 7 Marzo forse sono smarrita e poi, questo Covid non potrebbe essere un alieno? Ieri era la prima domenica dopo l’equinozio di primavera invece per i cattolici la domenica giusta è quella che segue la prima luna piena di primavera o no? … equinozio, luna piena, mi vengono in mente i pirati della luna con  Jack Sparrow, ossia Jhonny Depp era la luna piena o la prima luna? Che confusione. Di sicuro guardo troppa tv, fortuna che il calendario mette tutto a posto, basta consultarlo. Per me è stata una festività diversa dal solito, per tante cose e situazioni, il Covid 19 ha davvero sconvolto tutto e tutti anche se tanti sono stati i messaggi scambiati con i mezzi a disposizione. Una cosa non mi aspettavo, che le file al supermercato fossero lunghissime come mi è stato riferito. In un certo senso forse c’è in ciò, un aspetto apprezzabile: le persone hanno comunque mantenuto le tradizioni legate al periodo. Certo, le uova di cioccolata per i bambini,  non potevano restare lì e neppure colombe, pizze e pastiere. Non parliamo poi delle portate del pranzo!!!
Mi rendo conto che forse io devo essere stata una delle poche a non sentire l’atmosfera pasquale. Pasqua, il passaggio dell’Angelo, il passaggio del Covid direi. Non ho trasformato quella domenica in una giornata particolare, ho provato ma senza successo. I nipotini lontani, mia sorella Eugenia con la sua famiglia, lontana. No, non ce l’ho fatta al punto che quando i miei parenti mi hanno dato appuntamento a prima di pranzo per lo scambio degli auguri in videochiamata, al pensiero di non avere nulla che richiamasse la festa, neppure un uovo o una campanella di cioccolata, sono stata presa dal panico. Poi visto che mancava un’ora all’appuntamento virtuale, IDEA: forse avrei potuto avere un bel cesto di colorate UOVA PASQUALI. Incurante delle proteste del marito e delle figlie, ho iniziato una ricerca spasmodica tra armadi e biblioteche: possibile che tra tante, tante cianfrusaglie non vengano fuori delle uova di plastica o di cartone? Apri, chiudi, rimesta, getta intorno, nastri, forbici, taglierine, cestini, pezzi di rafia “No, questa è rossa, è di Natale, ci vuole un colore pastello, rosa, verde acqua, magari giallo o celeste… ragazze ma dove è finito l’uovo di cartone dove mettevamo le caramelle per papà?” “O mamma, ma proprio adesso lo devi cercare?” “Sì, è necessario! I pulcini?
C’erano anche i pulcini e le coccinelle, il coniglietto … è  che da quando abbiamo fatto i lavori, in questa casa non si trova più nulla!” “Ma se sono passati otto anni!” “Allora? Non ci si capisce più nulla!” Esclamo quasi sull’orlo di una crisi di pianto, travolta da infiniti fogli di carta “Lo dicevo” – esclamo – “Ecco la scatola finalmente. Il cestino, quello ovale col manico era qui!” “QUI!?” “O Signore, ah, eccolo”. Subito dopo taglia qua, incolla là, metti un pulcino, metti un fiore, è comparso un cestino pieno di uova Pasquali da far invidia alla vetrina del bar più in voga della città.

E quando durante la video chiamata ho udito: “Ma quante belle uova avete!”  “Beh, è Pasqua” ho risposto quasi sottovoce e in quel momento il mio ego smisurato penso abbia ricevuto una iniezione di ricostituente: ero salva!

22 aprile 2020

Anche oggi piove o meglio il tempo è grigio e le mie amiche Tortore ancora non si sono viste. Ho dormito poco e nulla questa notte c’era un tale silenzio che mi sembrava di avere un ronzio nelle orecchie, poi verso le tre un cane, in lontananza, ha abbaiato finalmente un segno di vita, qualcosa che riporta fuori dall’incubo e poco dopo dormivo. Ora la casa  – sono le 8,30 – è in subbuglio tutti ai posti assegnati le figlie iniziano le video lezioni !!!

Mi sembra di vivere in un thriller perché tutto è stravolto da questo nemico invisibile ma ben concreto. Io resto a casa.

Ridda di trasmissioni in TV.

Si riapre! Non si riapre! Il pericolo sussiste ma bisogna uscire da un periodo terribile. Serve il vaccino. L’app Immuni. Settore produttivo, imprese, famiglie, dramma di massa, dire che sarà facile sicuramente NO! La vittoria è in prospettiva, ma siamo tutti chiamati ad essere trasformati a livello nazionale anzi a livello del Pianeta. LA PIU’ GRANDE CRISI DELLA STORIA DELL’ UMANITA’, la riapertura non è la strategia migliore …. allora? Ma ognuno parla un linguaggio diverso! Questa è la nuova torre di Babeleeee. CNR, tecnici, tecnologie, competenze, regioni, servizio sanitario nazionale, OMS mi gira la testa,  non ce la posso fare!

“Contra spem in spem credidit” non ricordo bene ma queste parole continuano a girarmi intorno, dobbiamo avere SPERANZA …, mi chiedo se, no, forse farei meglio a rivolgermi alla fonte: “Con grande umiltà e profondo rispetto, san XX, potrebbe tranquillizzarmi? Ma alla persona cui la frase si riferisce, come andò? Potrei sapere?”

 

Silenzio. Non c’è risposta !? Allora, allora scusi, mi astengo!”

Forse, a questo punto, non mi resta che rileggere la lettera ai romani 4,18, potrebbe essere chiarificatrice.

Non c’è più religione e poi a tavola, al momento del pranzo, qui, non ci si contenta mica!

Ieri ad esempio, ho apparecchiato per bene e, come al solito: “A tavola!” ho gridato. “Che si mangia?”

“Risotto!”

“Bene!”
Passo i piatti in cui ho messo tre cucchiai di riso olio e parmigiano. Silenzio. Che siano svenuti dalla sorpresa?

“Ma quanto riso hai cotto?”

“Tre manciate per uno, otto più una per la pentola. Come sempre.”

“Ma siamo in quattro, forse dovevano essere almeno dodici …”

“Una manciata come?”

“La mia.”

Una voce: ”….  e dopo che c’è?”

“ Mela verde!”  Rispondo con un’unica emissione di fiato.

A questo punto odo un “NOOOOO!” che più che una parola è un grido.

Mi giro, li guardo sono tutti e tre in piedi con le forchette in mano.

HO PAURA  “Magari a cena…” sussurro.

 

23 aprile 2020

 

C’è il sole.

Oggi è la Giornata Mondiale del libro e del diritto d’autore è bene ricordarlo perché “Un libro sogna. Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni”  Ennio Flaiano. Allora leggiamo!

A Civitavecchia da 11 anni si tiene la manifestazione: “Una nave di libri per Barcellona” con una nave che parte il 21 e raggiunge la capitale catalana il 23 aprile dopo uno scalo a Porto Torres. Il Coronavirus ha cambiato anche questo evento: la nave non partirà dal nostro porto per la tradizionale traversata, ma si potrà navigare con i libri e le parole!

 

Erminia Gerini Tricarico
Sogni

Era una macchia di cioccolato, all’altezza del cuore, e sembrava sangue secco. Nel sogno vedevo con chiarezza il mio vestito bianco della prima comunione imbrattato: uno sfregio all’innocenza di cui era simbolo. E il mio pianto sconsolato. Era la prima festa, in pieno dopoguerra. Lo squaglio di cioccolata era stato l’unico lusso e il languore che mi portava quasi allo svenimento non era dovuto al rigido digiuno che precedeva la cerimonia, ma alla prospettiva della tazza fumante che mi aspettava nella piccola sala da pranzo, sul tavolo con la tovaglia e le ciambelle fatte in casa. Quel giorno mia madre disse: Ben ti sta! E suonò peggio di uno schiaffo.

Queste parole mi hanno svegliato. Il Covid-19 ha cambiato i mei sogni, mettendo a riposo desideri e fantasie di cui erano nutriti fino a quel momento, per riportare a galla grumi mai sciolti del mio passato, mostrandomi particolari che all’epoca non riuscivo a cogliere, offrendomi interpretazioni che la mia acerba età non era in grado di dare.

Quindi, a quella tazza di cioccolata dovevo la mia incapacità di concedermi questo piacere fino in fondo.  E alla frase “Ben ti sta!” con cui mia madre liquidava le cose spiacevoli che mi capitavano, il sentirmi sempre responsabile anche di quelle che mi venivano dagli altri (Non era che in qualche modo me le ero andata a cercare?).

Questa notte ho sognato che avevo preso di nascosto la bicicletta da uomo di mio padre ferroviere, con cui andava al lavoro, e approfittando del suo sonnellino pomeridiano, facevo il giro dello spiazzo vicino casa. Anche se ero alta per i miei otto anni, non riuscivo a scavalcare la canna e incapace di frenare, andavo a sbattere contro il muro di cinta di un giardino. Abbandonata la bicicletta mi trascinavo con un ginocchio sanguinante a casa. Mio padre, tirando giù qualche moccolo era corso a recuperare il suo strumento di lavoro. Mia madre prendeva la bottiglia di alcol e tenendo fermo il ginocchio, lo ha disinfettato e fasciato concludendo con “Ben ti sta!”.  Nessuna parola di consolazione alla mia sofferenza. Non ebbi allora il coraggio di guardarla da sotto in su per vedere la sua espressione. E i ricordi non possono alzare gli occhi. Ma i sogni sì. Ho visto quelli di mia madre pieni di lacrime e dopo settanta anni ho capito di aver avuto una mamma tenera, incapace di dimostrare il suo amore con le parole e che ogni suo “Ben ti sta!” era una dichiarazione di impotenza a evitarci il male. Questo modo di sognare mi fa stare bene. Come direbbe Borges, nei giorni di Covid -19 “l’unico enigma è il tempo, quell’infinita trama di ieri, oggi e domani, del sempre e del mai”.

 

Maria Raffaella De Bellis
Pronti a salpare

Sorpresi e sospesi

raccoglieremo al mare

conchiglie nuove,

appena l’anima

sarà pronta a salpare.

Ci immergeremo eterei

fino a toccare il fondo

delle profondità dell’essere,

senza più scorie.

E sarà bello allora

il tramonto

senza vernice.

Saluteremo il sole con la mano.

Nulla sarà più tormento.

Tutto sarà lontano.

Addormentati tra le braccia

di un cielo affollato di stelle,

torneremo a nuotare

nelle limpide acque

di un sogno reale.

 

Cortocircuito virale

 

Nella tempesta virale

di un quotidiano stravolto,

coinvolto in un dramma globale

da reclusi forzati

tra mura protette,

più d’un metro distanti

dagli affetti più cari,

da passanti fuggiaschi

che contano i passi

nel recinto obbligato,

siamo gente smarrita

che subisce e sostiene

l’esame più duro.

Siamo gente costretta a pensare…

a cambiare.

Scorre il tempo,

percorso dall’eco di ambulanze in soccorso.

Corre il tempo,

silurato dai bip di sale affollate, blindate.

Instancabili eroi

finiti e sfiniti sul campo,

dentro tuta e scafandro

sono veri marziani,

pronti a rischiare

per pura missione.

Canti, inni, applausi e suon di campane

muovon l’orgoglio del bel tricolore

al rintocco di ore dodici e diciotto

di un giorno sempre più lungo

e  innaturale.

Intanto l’aggressore letale

entra senza bussare

e ingoia affamato

la vita di tanti

senza commiato.

 

Daniela Quieti
Modalità pandemica

Andrà tutto bene, dici
ma sono giorni in cui
nulla sembra muoversi
nel verso giusto
intrappolato nel disagio
che contraddice i pensieri
e tormenta l’anima.

La modalità pandemica
di questo virus inaspettato
il cui nome ricorda la regalità
ha generato un impensabile
numero di vittime nel mondo
rovinato economia e speranze
spargendo visioni spaventose.

Il cielo d’ogni alba è infuso
di malinconia impotente
la notte si riempie d’incertezza
e demoni, nell’isolamento
nel continuo lavarsi le mani
senza baci e abbracci
braccati dall’invisibile nemico.

La definizione di eroe è mutata
medici, infermieri, scienziati
lavoratori in prima linea
proteggono il tessuto sociale
mentre restiamo a casa
tra sfumature di primavera
per combattere ancora
nell’attesa di una resurrezione.

Pescara, 24 aprile 2020

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera della Svezia

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Sara Favarò
DIARIO DI UN GIORNO

“Una mattina mi sono alzato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao” echeggia nella mente e nei post di fb. È il 25 aprile 2020 ricorrenza della “Liberazione”.

Mi chiedo cosa sia oggi la libertà, e non solo nel suo concetto politico e storico di liberazione dal fascismo, ma quale sia il suo significato e il suo significante per chi vive questa prolungata quarantena che vede gli Italiani “rinchiusi” nelle proprie abitazioni. Quarantena resa necessaria dalla pandemia del Corona Virus o Covid 19, come pare sia più esatto definire, questo mostro invisibile che vuole fare incetta di vite umane, gli anziani in primo luogo. Da dove viene? Come è diventato tale? Da dove o da chi partorisce la sua primigenia essenza questo mostro che a guardarlo sembra una palla rivestita di rose?

La mitologia è segnata da strani mostri e quasi tutti, prima di diventare tali, erano buoni e poi, per la perfidia di altri, sono diventati orripilanti mostri distruttivi, divoratori di uomini. E penso a Scilla e a Cariddi, due mostri che nello stretto di Messina, una dirimpetto all’altra, dilaniavano e divoravano gli incolpevoli naviganti. Ma prima non erano mostri! Erano bellissime Ninfe! La maga Circe trasformò Scilla in mostro per gelosia e invidia, Cariddi fu mutata in mostro da Zeus, in ciò indotto da Eracle a cui la ninfa aveva sottratto dei buoi. Animali che, a sua volta, anche Eracle aveva rubato. Ma poiché egli era figlio di Zeus, l’ingiustizia non si fece attendere. Il padre degli Dei punì la Ninfa, e non anche il figlio, trasformandola in un mostro vorace. Ma vale poco dire: Povere Ninfe! Alle incolpevoli vittime che attraversavano quel lembo di mare non importava sapere il motivo della loro forza distruttrice e assassina, l’importante era evitarle, affrontare percorsi alternativi, studiare idonee strategie. Quelli che non lo fecero dovettero soccombere.

E il Corona… pardon Covid 19 che mostro è? Da dove proviene? Quale storia l’accompagna? Domande tutte legittime, ma le istanze precipue sono altre in questo momento. Come evitarlo? Come fronteggiarlo? Come liberarsene nel presente? Come debellarlo per sempre? E mentre la scienza mondiale studia il da farsi, agli altri mortali non resta che difendersi evitando di incontrarlo e per farlo, rimedio essenziale è rimanere a casa. Queste le direttive del Governo Conte e questo è ciò che quasi tutti gli Italiani facciamo, almeno in Sicilia, tranne rare incoscienti eccezioni.

Io e mio marito abbiamo deciso di evitarlo e oggi abbiamo raggiunto la nostre “cinquantena”, proprio così “cinquantena” e non quarantena poiché è da 50 giorni che rimaniamo al chiuso della nostra casa, uscendo rarissime volte e solo per fare, a turno, la spesa e per buttare l’immondizia, ma questo lo fa soltanto lui.

Non è lontano il tempo in cui mi chiedevo come mio marito avrebbe vissuto in futuro un eventuale pensionamento. Davvero non sapevo rispondermi. Talvolta pensavo che un uomo come lui, che per lavoro vive almeno dieci ore per strada e tra la gente, si sarebbe potuto sentire in gabbia e prenderla male, oppure  avrebbe potuto dare sfogo alla sua arte che si riversa su due fronti: musicale e artistico. Per il primo, però, le ansie sarebbero state di tipo condominiale. Lui è un batterista proveniente dal rock e dal pop psichedelico, per intenderci da quel genere che la forza dei colpi sulla pelle dei tamburi, riempie di vibrazioni il cielo e strappa le nuvole. Credo che l’intero condominio, prima d’insordire con i suoi giri multipli di bacchette su timpani, crash, piatti e i colpi roboanti della doppia cassa, avrebbe chiesto all’Amministratore di farci cambiare casa. No! Sicuramente non avrebbe potuto suonare in casa! O forse avrebbe ripreso in mano gli inchiostri di china, quasi sempre nere, e con i puntini e le linee della sua fantasia, avrebbe dato vita a forme astratte che, prodigiosamente, sarebbero state sembianze e simboli nella mente dell’osservatore.

La nostra “cinquantena” ha dato la più bella risposta che potessi desiderare. Ha ripreso le sue chine! Sono già otto le sue nuove meravigliose creature, che non smetto mai di ammirare con lo stupore che la sua arte sa generare.

Il nostro è un amore di lunga durata e, secondo la credenza comune, dovrebbe essere anche un poco stanco delle vicendevoli sopportazioni per tutto ciò che non rientra nell’individuale modo di essere e di sentire. Ma stare così a stretto contatto per 50 giorni, ci ha dato la gioia di comprendere quanto siamo fortunati! E lo siamo nel nostro amore, e lo siamo nella conduzione delle cose semplici, e lo siamo nel rispetto l’uno dell’altro e nel sostegno vicendevole dei nostri dispiaceri personali e nella gioia comune di stare insieme. Ma, con tutta sincerità, non penso che sia soltanto nostro merito. Anzi, ne sono sicura. No. Non lo è. Il merito è anche di altri fattori che, solo apparentemente, sono esterni e che invece sono intrinsecamente rinchiusi nel nostro Essere. C’è più di qualcosa che semina germogli di reciproca conoscenza nelle nostri menti: i geni. Proprio loro: i nostri geni che, per certi versi, ci rendono simili. Siamo figli di due uomini che avevano uguale nome e cognome, entrambi nati nel mese di luglio, uno il 9 e l’altro il 10, cugini di primo grado, figli di due fratelli. Ma noi siamo voluti andare oltre, creando un distillato di geni: Anna, nostra figlia.

Conosciamo bene limiti, pecche e debolezze della nostra razza,così come condividiamo l’amore per la musica, la scrittura e l’arte in generale. Suo padre suonava l’oboe, mio padre scriveva storie e poesie, un nostro comune prozio era un filosofo. Piero è batterista come ho detto, io non so suonare, ma recito e canto ed è così che con il nostro gruppo folk- rock in progress “Sikelia”, abbiamo girato in lungo e in largo spingendoci in Europa, in Australia e in Canada. Ma questa è un’altra storia. Mi piace, però, ricordare che quando Anna era piccola, molto spesso durante i nostri concerti, lei dormiva beata nascosta sul palco dietro la batteria, un’intera band di 10 persone che suonava e cantava e lei dormiva. Era abituata a sentire la musica ad alto volume fin da quando era ancora nel mio grembo e con la band facevamo estenuanti prove.

Ritornando ad oggi, mentre Piero con le sue chine dà vita a forme, che devono solo a lui la loro nascita, io scrivo. Un mio libro è in stampa. Entro la fine del mese dovrò consegnare all’editore il mio nuovo libro di cui il titolo provvisorio è: La terra degli Dei, mitologia in Sicilia.

Ed ora poso il pc e vado a tavola. Oggi è toccato ad Anna cucinare perché, benché siano già le 14,30, noi due siamo così immersi nella nostra Arte da dimenticare, finanche, che esiste il tempo.

disegno a  puntillisme di Piero Favarò

 

Pietro De Santis
Roma, venticinque aprile, sabato

Ho ricevuto un po’ di auguri, da amici e amiche che riconoscono in questa giornata un appuntamento importate per la vita democratica; ma la parola libertà oggi si arricchisce di ulteriori significati anche in tema di virus e di pandemie.
Non saremo liberi dal virus per un po’; ma saremo virtualmente liberi tra un po’.

Quello che si vede e che si sente dire – ufficialmente – nel merito, si colloca a metà tra l’esortazione autentica e il gioco politico. Fatto salvo il rispetto dovuto alla dignità umana in generale e alla persona – intesa come singolo individuo –, che comporta il rispetto delle distanze; l’uso della mascherina e tutte le precauzioni raccomandate; comincia a sembrare demoralizzante l’insieme dei ragionamenti proposti a partire dai più alti livelli politici per finire alle telefonate di amici e conoscenti.
Innanzitutto si percepisce il bisogno di dimenticare il più in fretta possibile, magari ricorrendo al gioco dello scarica barile e le sette opere di misericordia corporale – che includono la dedica del 20 febbraio – sono già nell’album dei ricordi. Lo sono anche e purtroppo decine di migliaia di persone.
La parola solidarietà, che fino a quindici giorni fa era il motto “di noi italiani”, sta impallidendo pian piano sotto ai colpi di altri urgenti bisogni, alcuni importantissimi, altri un po’ futili: mascherine? Contatti telefonici? Perché mai?

L’immagine proverbiale del chiodo che scaccia il chiodo si viene vieppiù presentando: se nelle strade si manifesta ancora la formalità della distanza e del ballo in maschera, negli uffici privati si cominciano a deridere i comportamenti più prudenti. Come nel gioco degli incartamenti in ufficio: le ultime cartelle sono quelle in evidenza; le altre sottostanti rimangono nascoste e persino dimenticate. Troppo spesso accade che l’ultimo gesto d’affetto venga dimenticato perché si impone una intransigenza nuova e, perciò, la noia e il costo della mascherina cancellerà presto l’affetto e la solidarietà verso chi è più fragile.
Giorni fa, sfogliando i giornali, leggevo il titolo di un editoriale che affrontava il problema dell’Io, qualcuno direbbe dell’Ego. Non ho letto l’articolo ma voglio immaginare che ponesse come questione urgente il superamento dell’egoismo e dell’egocentrismo, capaci di sfociare nel solipsismo: passata la paura, che spinge alla solidarietà perché nessuno ce la può fare da solo, si preferisce dimenticare.

I poeti ce lo ricordano; ce lo ricordano i musicisti. Mi fa piacere citare una bella canzone di Giorgio Gaber – Barbera e Champagne, 1972 –: racconta la profonda solidarietà di una notte tra due persone, disperate per amore, che si aiutano dimentiche della propria condizione economica e sociale, di fronte ad uno stesso dolore. Il dolore è uno solo affermava anche Umberto Saba guardando una capra dal viso semita.
Ma gli uomini vogliono dimenticare: al sorgere del sole le differenze sociali tornano ad essere prevalenti e chi beve barbera non dividerà il proprio destino con chi compera champagne.
Questa breve pagina non può che sfociare in una retorica amara: rimane la piccola speranza dell’identificazione per uscire dall’Io, dall’egoismo, dal solipsismo. I bambini lo sanno, gli adolescenti forse ancora.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera dell’Ungheria

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Alessandra Cesselon
Poesia e solitudine.
Da Alda Merini a Geoffrey Chaucer

“S’anche ti lascerò per breve tempo, solitudine mia, se mi trascina l’amore, tornerò, stanne pur certa; i sentimenti cedono, tu resti.”

Alda Merini

 

Con queste parole la grande poetessa ci sottolinea una dimensione della solitudine che a volte sembra l’unica possibile, oltre il dolore generato dall’abbandono di chi ti ha amato.

In questi giorni, in cui il tempo si dilata in dimensioni strane e precedentemente inconcepibili, la solitudine diventa l’amica e la compagna d’ogni giorno. In particolare per chi non ha una familiare vicino, essa può diventare una sorta d’intollerabile cattività.

Fare i conti con se stessi, con le proprie pulsioni primarie, intellettuali o meno, è, in queste situazioni, una necessità del cervello, del cuore e anche del corpo.

Nelle tante analisi delle realtà collettive o sociali in questo periodo, ciò che è evidente è il nostro stato di monadi: con un twitter o un post di face book lanciamo un messaggio nell’etere: una bottiglia, che a volte qualcuno raccoglie a volte no.

Già prima dell’emergenza non ci si riuniva più, non come gruppi familiari, non ci si vedeva più neanche negli oratori, nelle sedi dei partiti, delle associazioni. Già il mondo Smart, aveva isolato tanta parte degli esseri umani, ma il coronavirus ha portato questa realtà acclarata alle estreme conseguenze.

Nel caso in esame che caratterizza le situazioni eminentemente private durante il coronavirus, ognuno comunque in questa situazione scopre se stesso. Come in una cartina tornasole, riesce a vedere i colori della propria essenza più intima e, se individua la tavolozza giusta da usare, per dipingere il proprio mondo, sicuramente l’equilibrio psicologico se ne avvantaggerà di molto. Se nei primi tempi d’isolamento le attività che ciascuno svolgeva si avvicinavano molto a quelle animali, ed erano quindi primarie ed essenziali: reperimento del cibo, pulizia, movimento, sonno, veglia. Poco dopo ciascuno ha scoperto che non poteva essere solo quella la strada per affrontare un’emergenza, una cattività che ricorda quella di tante figure storiche della letteratura, dal Conte di Montecristo a Robinson Crusoe.  Personaggi emblematici che stavano bene in salute, e che, per varie contingenze dovettero affrontare in qualche modo la relazione con la solitudine e nel contempo utilizzare delle strategie per conservare la sanità dello spirito!

Abbiamo tutti potuto vedere quali motori nascosti muovono noi e i nostri amici e conoscenti. Ci sono coloro che hanno dedicato attenzione al cibo, e alla cucina, preparando manicaretti e specialità di ogni genere. Un’altra categoria sono gli sportivi, che non smettono di fare esercizi, tapis roulant, e ogni altro tipo di movimento. Chi non può fare a meno di fare bricolage, ristrutturare la casa, il giardino o fare i mille lavoretti per troppo tempo dimenticati. E poi ci sono quelli che leggono, scrivono, cantano, suonano e dipingono.  Infine c’è anche chi non fa assolutamente nulla! Ritroviamo dunque, in questa emergenza le nostre più segrete esigenze e personalità. Ogni essere umano deve fare i conti con se stesso quando l’interazione con gli altri è impossibile. Ognuno può assecondare o negare il suo carattere ma questo sarebbe in vero peccato. La solitudine, in fondo, è un’incredibile prova, ma anche un’occasione per centrare la propria vita su ciò che davvero è importante per noi e che, tutto sommato, può renderci felici.

Ma non dobbiamo mai dimenticare che la solitudine non certo non è la dimensione naturale degli esseri viventi, poiché solo nella relazione si realizza un disegno superiore di amore e solidarietà.

“Guai a chi è solo, perché se cade, non ha alcuno che lo soccorra.” Geoffrey Chaucer

 

Antonio Scatamacchia
Irrefrenabili transeunti di nubi

Irrefrenabili transeunti di nubi

l’aria arroventa e rinfresca

con la rapidità di un refolo di vento

la piega del cielo muta con la stessa fretta

di una primavera che apre alla luce libera

e s’oscura in ottenebrati tramonti

d’improvvise notti a giorni bruni.

I nostri umori così nell’astinenza,

il cielo splende d’opale e grigio a occidente

mentre è azzurro come il mare a sud e ovest

quando il mare è azzurro.

 

24 apr.2020
Pensieri nella pandemia dell’isolamento e dell’inedia
Abbiamo reso tenebroso il mondo

 

Il lago che traspariva

luminoso nelle vertebre del cielo

ora irato è offuscato,

la foresta che solleticava

le nubi trasecolanti

ora è uno sterile embrione

senza fiato,

abbiamo reso tenebroso il mondo

per un’errata interpretazione della vita.

Il sentiero che si apriva

su interminabili orizzonti

ora è scosceso e impervio,

quel che creato piano e retto

lo abbiamo distorto e sconvolto

per volontà di arricchimento

che è devastata nella miseria,

nella necessità continua di sollievo

a questa infezione

che ha aperto le regole della sopravvivenza.

La natura s’appropria dei suoi confini

e rimuove gli ostacoli che l’uomo ha generato

rendendo il creato più visibile

disorientando l’essere con la sua negazione.

 

22 aprile 2020

 

Lara Di Carlo
Note di malinconia

 

Note di malinconia
in questo anacronistico 25 aprile
dove vive la speranza 
di una seconda liberazione.

Al Grido delle nostre anime
rispondono lievi canti   
librandosi in un cielo limpido 
eco di un pallido sorriso.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera dell’Irlanda

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Lidia Popa
Il suono della pioggia (Omaggio a chi non c’è più, a chi lotta e a chi uscirà vivo dall’inferno)

Non lo so, probabilmente non sarò la stessa persona che ero, qualcosa è cambiato e l’isolamento ha contribuito maggiormente. Mi sento come se fossi parte di un insediamento monastico, in cui sono l’unica anima presente, capo di tutto il monastero. Ho solo la forza di pregare. Ma non so a chi e perché se in questo spazio ristretto fosse presente una divinità, questo attico che ho iniziato a odiare come un sotterraneo. Forse ora ero fuori a ballare sotto la pioggia e non aspettavo il lavaggio del cervello con il disinfettante per il covid19. Intorno profuma di libri, morte per ispirazione e troppa natura statica, circondata da grate di ferro alle finestre, delimitata da un immenso vuoto di persone che non puoi raggiungere senza motivo. Sento che non ho più bisogno di alcuna necessità immediata, niente è più necessario per me della libertà di lasciare questo spazio limitato da un’applicazione assurda di immunità controllata.

Molto tempo fa solo i politici erano immuni, sono rimasti anche oggi, la storia è stata testimone e lo sarà. Abbiamo perso la nostra immunità, siamo sottoposti a un sistema di libero arbitrio per non essere condannati al silenzio, isolati, allontanati dalla nostra famiglia, come se non lo fossimo già. Anche se non ho varcato la soglia della cosiddetta vecchiaia, che alcuni furfanti ottusi istituiscono, nella loro mente estranea alla realtà, ovviamente, in nessun modo mia, perché è inaccettabile che una manciata di sciocchi decida sulla vita, l’ultimo passo verso l’inferno o il paradiso. Cosa importa quando loro decidono? Mi chiedo se hanno una madre o un padre. Mi chiedo se abbiano ancora un’anima o una scheggia di ghiaccio persa nei loro cuori. Mi chiedo se non sono nata in un tempo di immobilità della vita sulla terra. Mi sono affrettata, forse dovevo ancora aspettare, oltre la linea di partenza, nel pancione della madre, per non correre fuori e respirare come individuo. Quanto sarei stata meglio nella posizione fetale! Non avrei conosciuto la pioggia o il folle desiderio di ballare a piedi nudi sotto la pioggia. Questo sì il paradiso anche se sentirei solo l’asfalto sotto i piedi. Dentro di me sarebbe di nuovo verde, e potrei ancora sperare che questa conversione all’intuizione filosofica non sia altro che un’illuminazione inaspettata dopo una fase di latenza.

Il suono della pioggia mi sussurra:

Il caotico dubbio della società ci ha ucciso.

 

Carlo Bernardi
Contagion (film del 2011)

19/04/2020 Domenica – Oggi sembra che molti aspetti non siano cambiati. Finché non si trova il vaccino, quello che renderebbe inutile ogni sacrificio sarebbe la ripresa della pandemia mentre la speranza che tutto finisca presto e bene è anche quello che ci fa resistere. Peggio sarebbe se, dopo aver passato una pesante restrizione, si dovesse scoprire che di COVID-19 si muore lo stesso. Insomma, se si muore per non dover morire, a che serve tutto questo? In ogni caso il governo si sta muovendo bene mentre le opposizioni non hanno di meglio da proporre che pensare a detassare tutti senza distinzione e salvare il salvabile. Cosa questa che arricchirebbe solo chi è già ricco e pensa che col denaro si può fare tutto, compreso curarsi e vincere la morte. Non importa se sarà peggio per chi non ha i mezzi per curarsi.

Si accusa il Governo, non per collaborare, ma per appropriarsi di questa fase perché con la normalità sarà ripristinata la libertà democratica mentre una certa destra, una volta al governo, questa libertà non la restituirebbe più e farebbe di tutto per cambiare la Costituzione.

Ormai in Europa, con l’estendersi della pandemia, ci si comincia ad accorgere che occorre una politica e scelte comuni per abbattere il coronavirus perché, anche se fosse debellato in un Paese potrebbe manifestarsi in un altro in modo più violento di prima. Solo con un’azione comune e mirata, seguita da controlli, può garantire un ritorno a una vita quasi normale.

Fontana insiste nell’apertura totale della Lombardia comprendo le sue scelte sbagliate senza preoccuparsi delle conseguenze di come una regione, con una situazione ancora grave, potrebbe esportare nel resto della penisola. Tanto se succede qualcosa sarà sempre colpa del Governo.

Oggi ho visto il film Contagion del 2011 che racconta di una pandemia portata da pipistrelli e maiali che parte dalla Cina. Le vicende narrate somigliano in modo impressionante a quanto sta accadendo ora nel mondo comprese le forme di contagio e la necessità dei distanziamenti. Infine, come ogni sera, è giunta l’ora di andare a dormire. Buonanotte.

Grazie Federica Angeli

21/04/2020 lunedì – Ieri la domenica è trascorsa con qualche buona notizia e la visione del film Mio fratello ricorre i dinosauri con Alessandro Gassman. Un film divertente dove un bambino down appare più intelligente e umano di tanti che si ritengono sani. Poi alle 11,15 la trasmissione Lessico Civile con Recalcati sul Fanatismo che è stata molto interessante perché ha portato in evidenza il fenomeno di cui approfittano i regimi autoritari appiattendo le menti e eliminando il senso critico negli individui.

Oggi, lunedì, la trasmissione Leonardo ha informato correttamente sul perché per un vaccino siano ancora necessari tempi lunghi mentre per un farmaco, che richiede tempi più brevi, ancora sono in atto ricerche senza soluzioni.

La sera il PdC Conte ha dichiarato che per la fine di questa settimana ci sarà l’informazione completa su come si entrerà nella Fase due. Non capisco l’attacco mosso al governo da elementi dell’opposizione. Il governo lavora mentre l’attacco arriva da chi insulta o si offre di collaborare soltanto per bloccare tutto o costringere a scelte affrettate e sbagliate per poi incolpare chi governa. La nostra Costituzione è stata varata da forze tra loro ostili che dopo aver cercato di imporre la propria visione sono arrivate a un accordo venendosi incontro.

22/04/2020 martedì

Dopo l’uscita per la spesa e la sosta per il pranzo, abbiamo terminato la lettura del 4° Canto del Purgatorio. Poi il resto del pomeriggio abbiamo visto il film A mano disarmata con la Gerini che mette in scena l’azione e il coraggio della giornalista di Repubblica Federica Angeli. Conoscevo tutta la vicenda e i problemi di Ostia che frequento regolarmente da 29 anni. Devo riconoscere che il film è molto buono e di fronte al coraggio di una donna mi sono anche commosso. Oggi stesso è stata data notizia del sequestro dei beni della famiglia Spada che è stata condannata per i crimini commessi in quaranta anni di attività mafiosa. Grazie Federica che hai dovuto muoverti per anni con la scorta e infine ci hai liberato da una cosca criminale e pericolosa.

La sera dopo cena abbiamo visto il film Automata con Antonio Banderas dove il nostro pianeta è stato investito da un’eruzione solare lasciando in vita pochi milioni di individui circondati da automi intelligenti che svolgono funzioni di supporto e assistenza. Quando questi automi arrivano a auto-ripararsi eseguono modifiche che li rendono in grado di fare a meno della superiorità umana creando condizioni la cui conclusione arriva imprevista.

Domani, oltre l’approvazione del decreto sulla salute, si riunirà la Commissione Europea dei capi di Stato che dovrà pronunciarsi sulle richieste di Conte contenenti la necessità di un intervento economico unitario sui danni della pandemia. Con questa attesa ne cuore vado a dormire. Ci risentiremo domani.

Dalla quarantena alla tomba (ma presto non sarà più così)

23/04/2020 Mercoledì

Oggi sono uscito a comprare una radio e un cordless. Ci sono buone notizie sui progressi per trovare un vaccino contro il COVID-19 e anche per i test su farmaci e cure che possono inibire la formazione del virus. Se è così come sembra siamo sulla buona strada per uscire abbastanza presto da questa situazione perché altrimenti il virus porterebbe:

 

Dalla quarantena alla tomba

 

Il virus attacca e ci mette in quarantena

continuamente cambia causando gran pena

Il virus ci cambia anche se si contrattacca

Non resta che il vaccino a toglierci dai guai

O un farmaco che pianino ci salva la vita

Altrimenti il virus come bomba

senza pietà ci conduce alla tomba

 

La CE oggi ha approvato il Recovery Bond che è una forma di eurobond che dovrebbe aiutare i Paesi dell’Eurozona ad affrontare la crisi economica conseguente alla pandemia che ha colpito il nostro pianeta. Occorrono adesso le norme che puntualmente stabiliscano i tempi e i modi dell’applicazione delle misure.

Conte ha ottenuto con fermezza e diplomazia quello che le opposizioni non sarebbero riuscite a fare sbattendo i pugni e da questo deriva la loro irritazione. Ma forse qualcuno avrebbe voluto giocare allo sfascio creando fratture insanabili all’Unità Europea e questo è emerso chiaramente in più di un’occasione.

Nel pomeriggio abbiamo letto il 6° Canto del Purgatorio. La strada per il Paradiso prosegue senza interruzioni anche se non mi spiego il motivo della sostituzione di Verzelli come direttore del quotidiano La Repubblica anche perché dopo le gravi minacce alla sua vita da parte di forze nazifasciste avrebbe richiesto un atto di solidarietà e di difesa del Direttore di un giornale democratico. Domani cercherò di saperne di più.

Dopo cena abbiamo visto il film Gli anni dei ricordi del 1995 con Winona Ryder e un cast di attrici mature quanto brave e la regia di Jocelyn Moorhouse.

La giornata poi si è conclusa con Linea notte e una notte quasi insonne e tormentata.

Dal Recovery Fund al 25 aprile passando per la anelata
sconfitta del coronavirus

24/04/2020 Venerdì Oggi ho acquistato una bandiera italiana con il Corriere della sera. Poi Sono arrivato da Unieuro per farmi spiegare come cercare i canali sulla radio acquistata ieri. Subito dopo sono andato in farmacia perché avevo terminato la Tachipirina visto che mi sono alzato con qualche dolore lombare. Poi sono arrivato dal fruttivendolo per acquistare delle verdure. Lasciato il tutto a casa sono risceso per completare la spesa al supermercato. In tutti questi passaggi ho dovuto mettermi in fila perdendo il doppio del tempo passato a coprire le necessità familiari. Ma anche questo è colpa del coronavirus.

Oggi il Parlamento ha approvato, con voto di fiducia, il decreto Salute Italia mentre in Europa si sta cercando il modo per ridurre i tempi di attuazione e finanziamento del Ricoveri Found. Se si riesce a trovare accordi e forme di finanziamento significherebbe che l’Europa esiste ed è salva.

Il pomeriggio abbiamo visto il film Strangerland del 2025, con la regia di Kim Farrant e con Nicole Kidman e Joseph Fiennes che narra le vicende di due genitori alla ricerca dei due figli scomparsi.

Per quanto riguarda il vaccino si sono avviati i primi test su individui volontari e si spera presto di conoscere il risultato.

In questi giorni sono andato avanti nella lettura del romanzo di Dolores Prato arrivando a pagina 240 delle settecento di cui è composto.

Dopo cena abbiamo visto il film The next Three days con Russel Crow che riesce a far evadere la moglie accusata di omicidio fuggendo con lei fra inseguimenti pieni di suspence. Come il solito in questi giorni ho ascoltato Linea notte dove mi è sembrato sempre più evidente che solo i fascisti non sanno cosa significa e non vogliono accettarlo. Con questo cruccio nel cuore sono andato a dormire sperando in un riposo senza disturbi. Domani anche io festeggerò la liberazione del 25 aprile, che lo comprendano i fascisti o no.

Primo step, la spesa.

Piove, devi andare con la macchina.

Vai fuori al supermercato e speri di trovare parcheggio. Perchè il supermercato è aperto, ma il parcheggio del supermercato no: follie governative.

L’angioletto del parcheggio ti aiuta. Quindi entri, fai la spesa e ti rechi alla cassa.

Mentre stai pagando si avvicina la signora che è in coda subito dopo e inizia a mettere i prodotti sullo scivolo della cassa.

La cassiera “non si avvicini, la chiamo io”. E lei “no, ma era solo per iniziare” e continua. Sbircio il carrello, tutte referenze di prima qualità. Mentre, noncurante, continua, la signora tira fuori il buono di 100 euro del comune: questo lo accettate?

Soldi rubati a chi lavora, grazie al governo. Grazie al sindaco.

 

Mi giro e me ne vado pensando: vado a lavorare e a guadagnarmi il pane onestamente.

Arrivo, quindi, nei pressi dello studio, sempre in auto.

Fila chilometrica fuori alla posta centrale (guai a fare la fila dentro perché negli immensi saloni fascisti grandi come campi di calcio l’aria non circola….).

Un posto auto manco a pagarlo con un rene, perché gli uffici pubblici sono aperti, ma i mezzi pubblici non funzionano (come sempre) e garage e parcheggi sono chiusi.

L’acume politico dello sceriffo.

Dopo 50 minuti di giri a vuoto, torno a casa.

 

Cosa resta? un profondo senso di vuoto, l’ansia dell’incertezza, la fatica a convivere con l’assenza di prospettive.

Tutto questo solo perché volevo una mattinata utile…

 

Primo step, la spesa.

Piove, devi andare con la macchina.

Vai fuori al supermercato e speri di trovare parcheggio. Perchè il supermercato è aperto, ma il parcheggio del supermercato no: follie governative.

L’angioletto del parcheggio ti aiuta. Quindi entri, fai la spesa e ti rechi alla cassa.

Mentre stai pagando si avvicina la signora che è in coda subito dopo e inizia a mettere i prodotti sullo scivolo della cassa.

La cassiera “non si avvicini, la chiamo io”. E lei “no, ma era solo per iniziare” e continua. Sbircio il carrello, tutte referenze di prima qualità. Mentre, noncurante, continua, la signora tira fuori il buono di 100 euro del comune: questo lo accettate?

Soldi rubati a chi lavora, grazie al governo. Grazie al sindaco.

Mi giro e me ne vado pensando: vado a lavorare e a guadagnarmi il pane onestamente.

Arrivo, quindi, nei pressi dello studio, sempre in auto.

Fila chilometrica fuori alla posta centrale (guai a fare la fila dentro perché negli immensi saloni fascisti grandi come campi di calcio l’aria non circola….).

Un posto auto manco a pagarlo con un rene, perché gli uffici pubblici sono aperti, ma i mezzi pubblici non funzionano (come sempre) e garage e parcheggi sono chiusi.

L’acume politico dello sceriffo.

Dopo 50 minuti di giri a vuoto, torno a casa.

Cosa resta? un profondo senso di vuoto, l’ansia dell’incertezza, la fatica a convivere con l’assenza di prospettive.

Tutto questo solo perché volevo una mattinata utile…

 

Raffaele Fiume
Primo step, la spesa.

Piove, devi andare con la macchina.

Vai fuori al supermercato e speri di trovare parcheggio. Perchè il supermercato è aperto, ma il parcheggio del supermercato no: follie governative.

L’angioletto del parcheggio ti aiuta. Quindi entri, fai la spesa e ti rechi alla cassa.

Mentre stai pagando si avvicina la signora che è in coda subito dopo e inizia a mettere i prodotti sullo scivolo della cassa.

La cassiera “non si avvicini, la chiamo io”. E lei “no, ma era solo per iniziare” e continua. Sbircio il carrello, tutte referenze di prima qualità. Mentre, noncurante, continua, la signora tira fuori il buono di 100 euro del comune: questo lo accettate?

Soldi rubati a chi lavora, grazie al governo. Grazie al sindaco.

 

Mi giro e me ne vado pensando: vado a lavorare e a guadagnarmi il pane onestamente.

Arrivo, quindi, nei pressi dello studio, sempre in auto.

Fila chilometrica fuori alla posta centrale (guai a fare la fila dentro perché negli immensi saloni fascisti grandi come campi di calcio l’aria non circola….).

Un posto auto manco a pagarlo con un rene, perché gli uffici pubblici sono aperti, ma i mezzi pubblici non funzionano (come sempre) e garage e parcheggi sono chiusi.

L’acume politico dello sceriffo.

Dopo 50 minuti di giri a vuoto, torno a casa.

 

Cosa resta? un profondo senso di vuoto, l’ansia dell’incertezza, la fatica a convivere con l’assenza di prospettive.

Tutto questo solo perché volevo una mattinata utile…

 

Fabrizio Labarile
DIALOGO CON IL PARROCO

Durante queste settimane d’isolamento, il mio pensiero è andato spesso alla mia chiesa, e, pur ripromessomi da diversi giorni di telefonare al parroco don Rocco, soltanto oggi ci sono riuscito. Il sacerdote, alquanto sorpreso dall’inaspettata telefonata, mi risponde con cordialità. E, dopo i convenevoli di rito, gli chiedo:” Don Rocco, come va,  e come stai vivendo questo periodo del Coronavirus?”  Con la solita voce soave, che tanto ha contribuito ad avere e consolidare un rapporto anche di amicizia con tanti parrocchiani, risponde: ”Grazie,  sei molto gentile a chiamarmi. Sto bene  e, naturalmente, come tutti anch’io ora vivo con difficoltà, soprattutto  per la lontananza dei miei familiari e dei genitori in particolare. Come tu sai io provengo da Acquaviva  e, pur essendo distante da qui soltanto 14 chilometri, non posso andare a visitarli. Naturalmente mi manca tanto la mia vita missionaria; il rapporto con i fedeli e, in particolare con i giovani. Prego il buon Dio che allontani da noi questa pandemia, e tutte le persone ritornino  presto alla loro vita abituale.”
Curioso di appurare come sta esercitando il suo ruolo nella Caritas. Di cui lui è il presidente, affermo:” Ho letto sui social che il tuo impegno per la Caritas, durante queste ultime settimane , si è incrementato notevolmente. Ma come riesci a gestire le numerose richieste di aiuto che ricevi?”  Il prete, dopo qualche attimo, risponde: ” In accordo con i miei più stretti collaboratori , ho promosso alcune iniziative, che si stanno rivelando vincenti.  Ai poveri abituali, in questo periodo se ne sono aggiunti molti altri, anche perché impossibilitati a svolgere qualsiasi tipo di lavoro. In attesa degli eventuali sussidi si sono rivolti a noi fiduciosi. Non potevamo di certo deluderli. Pertanto, abbiamo concordato con i supermercati locali di invitare le persone a lasciare generosamente dei generi alimentari nell’apposita cesta.
A sera i nostri ragazzi passano a ritirarli.
Inoltre abbiamo ricevute diverse donazioni sia in natura che in denaro. La popolazione si è dimostrata più sensibile di quanto mi aspettassi. Ciò ha permesso alla nostra Caritas di soddisfare le necessità dei nostri poveri.”
Mi complimento con lui per il grande lavoro eseguito a favore di questa gente bisognosa  e, cambiando discorso, aggiungo.” La chiesa è stata chiusa per diverso tempo, ora è aperta? E dopo questa epidemia,si riempirà di nuovo ? “  Il Parroco, dopo qualche attimo di riflessione, risponde.” Già dalla settimana santa la chiesa è stata aperta, e lo è ora , ma sempre al mattino. Noto che diverse persone ,in modo disciplinato, entrano per una preghiera , ma subito escono per dare agli altri la stessa opportunità d’intrattenersi con il Signore. Sono convinto che i fedeli ritorneranno ,forse, anche più di prima,perché questa epidemia sta avvicinando molte persone a Dio. Ora devo formulare io una domanda a te:  Come vedi la fase 2 che dovrebbe partire fra alcuni giorni ?”  Alquanto contento della richiesta ,dopo alcuni secondi, gli rispondo:”  Auspico che tutte le persone, a prescindere dalla religione, dalla fede  e dalla nazionalità, sappiano trarre  da questa epidemia una lezione di solidarietà, modestia  e, soprattutto, di rispetto verso Dio, la natura e il prossimo.” Don Rocco di rigetto: “ Condivido con te, e grazie per avermi chiamato.”
Chiudo la conversazione,mentre un pensiero di fiducia  mi viene in mente: speriamo che noi uomini quando torneremo alla normalità, sappiamo farne buon uso di questa lezione, impartitoci dal Coronavirus.

Santeramo  22.04.2020

IL  SERMONE DEL PAPA

Questa mattina,  come faccio da diversi giorni alle ore 7,00, ascolto la Santa Messa alla televisione officiata da Papa Francesco. Durante l’omelia, sono stato favorevolmente impressionato dalle seguenti parole pronunciate dal Santo Padre durante l’omelia: ”Auspico una sinergia costruttiva tra i politici  di tutti i partiti . E’ opportuno che i nostri parlamentari s’impegnino per risolvere i problemi degli italiani e non per ottenere risultati personali.” Questo invito ha un grande significato perché racchiude il senso vero della politica. Essa dovrebbe essere espressione deontologica della democrazia . Già durante i periodi normali , e a maggior ragione in questo periodo , le varie forze politiche, a seconda del ruolo che occupano : dirigere il Governo  o essere all’opposizione,  tutti dovrebbero comportarsi da colleghi rispettosi e non da  avversari agguerriti. I provvedimenti  che prendono sono  sempre nell’interesse del popolo che, secondo l’articolo n. 1 della Costituzione, è sovrano. Purtroppo, quasi sempre,invece d’impegnarsi tutti  a varare leggi atte ad alleviare le sofferenze fisiche e sociali del Paese, diversi Parlamentari, a prescindere dal colore politico, alimentano critiche inopportune. E’ la solita  storia. Quando uno o più partiti dirigono il Governo , pur tentando di emettere leggi buone, sono sempre criticati dai partiti dell’opposizione. Nella prossima legislatura, quasi sempre i cittadini con il loro voto invertono i ruoli dei partiti. Quelli che governavano vanno all’apposizione,e  quelli dell’ex opposizione dirigono il Governo . Si scambiano i ruoli ma la didascalia delle critiche rimane. In sostanza, non tutti  i  politici  guardano alla bontà delle normative,  soprattutto se vengono applicate con rigore nell’interesse di tutti i cittadini, ma a chi le produce. Esaminando i provvedimenti di questo periodo , anche l’attuale Governo si trova a  fare di necessità virtù: prendere decisioni, spesso non popolari, per arginare la pandemia e per salvaguardare l’economia. Tuttavia, gli sforzi del Governo  non vengono neppure esaminati dai partiti dell’opposizione  e, spesso, neppure da quelli della maggioranza, ma  criticati a priore. Per tanti Parlamentari la politica è diventata il mezzo più idoneo per apparire e per fare gli affari personali,senza curarsi  dei bisogni dei cittadini.
Negli ultimi due decenni i Governi che si sono avvicendati,  prima dal centro destra e poi dal centro sinistra, hanno pensato a smantellare molti ospedali. Le conseguenze  sono che in Italia adesso  abbiamo una percentuale di posti letti  minima in rapporto al fabbisogno: soltanto il  3,2%  di letti per mille abitanti contro il 6% della Germania. Il Coronavirus ha evidenziato ancora di più la mancanza degli ospedali ; tanto è vero che in certe località i militari hanno dovuto attrezzare diversi ospedali  da campo. Voglio augurarmi che le parole del Santo Padre siano uno sprono a tutti i nostri politici di tutti i partiti  a cambiare atteggiamento . Pertanto, non più sfilate e  logorree propagandistiche , ma una responsabile collaborazione per risolvere i problemi e  fare rispettare le leggi, a vantaggio della nostra società.

Santeramo 20.04.2020

UN INCONTRO CASUALE

All’’uscita del supermercato m’imbatto in un mio vecchio amico, Nicola,che non vedevo da molte settimane, e mi saluta cordialmente. Io, osservando il suo aspetto sereno,gli chiedo:” Hai una bella cera. Sono contento di vederti, anche se tu, come tutti d’altronde,  sei scocciato  a causa di questo isolamento forzato.” Egli, mi osserva con simpatia, e asserisce:” Anch’io mi compiaccio  di averti incontrato. Come stai ?. Certo l’osservanza delle normative restrittive  della pandemia  ci ha un poco estraniati e, parlo per me, mi sembra che sia trascorso un’infinità di tempo, nonostante siano passate appena sei settimane.” Rispondo con immediatezza:” Ma tu come impieghi il tuo tempo libero,considerato che vivi da solo ?.” E lui replica:” Mah, devo esserti sincero e ,forse, la mia asserzione ti sembrerà strana. Io vivo meglio di prima,almeno da un punto di vista economico.” Alquanto sbalordito  gli chiedo:” Non capisco ! Mica  hai avuto un aumento di pensione o hai vinto ad una lotteria ?  O , forse, hai ereditato ricchezze che non ti aspettavi ?. Raccontami un poco.” Egli, con una flemma da fare invidia anche ad una persona vivace, asserisce:” Io, come tutti, sono obbligato a restare in casa, e non recandomi al bar,evitando di giocare a carte nel solito circo e non spedendo nulla nelle sale da gioco, mi ritrovo con un certo gruzzolo. Pertanto, ora posso permettermi di mangiare da re, comprarmi pasticcini e, finanche, lo spumante di qualità ; come ho fatto a Pasqua.” Incuriosito  dal suo appagamento, aggiungo:” E’ vero che hai più soldi e puoi permetterti alimenti di ottima qualità ma, ora non ti senti più solo di prima ? “ Nicola ha subito la risposta pronta:” Devo esserti sincero. Durante queste settimane mi sento certamente più solo di prima, ma il vantaggio economico che sto ottenendo  evitando i miei vizi abituali ,che spesso mi costringevano a vivere  peggio di un barbone,  mi mette di buon umore. Sono determinato a mantenere questo virtuoso comportamento per sempre” Nell’accomiatarmi da lui,affermo:” Mi ha fatto piacere averti incontrato. Ti auguro di continuare a vivere  felice come in questo momento. Ciao .” Durante il tragitto verso casa riflettendo sulla conversazione intercorsa con  Nicola, penso che dopo il periodo del  Coronavirus  noi tutti potremo  cambiare le  nostre abitudini . Potremo considerare il nostro vicino di casa non soltanto come una persona verso cui elargire un saluto o un ghigno, ma fermarci a parlare; e perché no, scambiare opinioni  e,forse, con il tempo diventare dei veri amici. Impiegare  il nostro tempo libero per occuparci della nostra famiglia: dialogare con i figli, ascoltare le loro idee, i loro futuri programmi e ,perché no, anche i loro sogni. Occupare il tempo della cena non più ascoltando la televisione che con le sue notizie,  ci distrae  e, spesso, ci fa precipitare in una  triste malinconia. Continueremo , come facciamo adesso ,a raccontare i fatti salienti della nostra giornata  e ,soprattutto , ad ascoltare i fatti capitati agli altri familiari .   Insomma, auspico che il tempo del Coronavirus non sia ricordato soltanto per i  tanti lutti e le  gravi angosce che ci ha riservate:  migliaia di  vittime innocenti ,tra cui i martiri del personale medico. Ma diventi  un insegnamento per migliorare la nostra vita sociale , apprezzare i rapporti umani  e rispettare l’ambiente e il creato, di cui dobbiamo tutti sentirci custodi.

Santeramo 23.04.2020

 

Carlo Piola Caselli
Appunti Coronavirus 6

«Piove dalle nuvole sparse. Piove sulle tamerici salmastre ed arse», questa è poesia, sì, di d’Annunzio. Passiamo alla prosa, piove sui buoni e sui cattivi, sugli intelligenti e sui cretini, sui sani e sui malati, sui belli e sulle belle, sui brutti e sulle brutte, sulle vacche e sui tori, sui leoni e sulle leonesse, sui ciuchi, persino sui delfini, sui sani e sui malati, sui morti e sui vivi, sui monti, sui mari, sui laghi, sui fiumi, sul bagnato, sui bambini e sugli anziani, sui soldati e sulle soldatesse, sui vigili e le vigilesse, sui carabinieri e le carabiniere, sugli infermieri e le infermiere. Anche sul virus.

Passiamo alla politica, «Piove, Governo ladro!», ma ora non si può più dire, poiché non solo son diventati tutti dei santarellini e delle santerellone, ma a parole, sia i politicanti che sono al governo ed ancor maggiormente coloro che sono all’opposizione, si sciacquano la bocca dispensando da essa, invece di divorare, trasformata in una cornucopia, una specie di corno di rinoceronte rovesciato, miliardi di euro, ce n’è per tutti, insomma le tre leggende si stanno avverando, quella di Mida, di Creso e di Danae, quest’ultima relativa alla pioggia d’oro nel suo grembo.

Diamo allora un’occhiata ad esse, al loro significato, al loro rapporto con l’attualità. Mida (confuso con l’omonimo re) aveva avuto da Dioniso, al quale aveva riportato Seleno, il dono di trasformare in oro tutto ciò che toccava, infatti così è rappresentato da Walter Crane poiché, avendo abbracciato sua figlia, si è ritrovato fra le mani la statua lucente di lei. Ad un certo punto non ne poteva più, non riuscendo né a mangiare né a bere, né far altro, finalmente il dio gli ha tolto questa fastidiosissima fatalità che era diventata una vera e propria maledizione, come vediamo nelle pitture di Poussin e di Baldassarre Peruzzi (con Mida che si lava alla sorgente del fiume Pattalo, ed esso così si arricchisce di sabbie aurifere). Nel 2004 il Kazakistan ha emesso una moneta d’oro «Gold of King Midas» per ricordarlo.

A noi può interessare anche l’altra parte del mito, in cui Apollo, in competizione con Pan, per il suo giudizio musicale gli ha fatto crescere le orecchie d’asino, leggenda che ha ispirato Cima da Conegliano, Abraham Bloemaert, Abraham Jannsens, Hendrick de Ckerck e Baldassarre Peruzzi nella villa Farnesina (e come vediamo anche nello stamnos di Chiusi, al British). Quante orecchie d’asino stanno spuntando anche oggigiorno, da nascondere sotto berretti, mascherine e zazzera.

Creso, re della Lidia (da non confondere con l’omonimo eroe di Creta), avendo sviluppato un’intensa collaborazione commerciale e culturale con le città della Grecia e con tutto il bacino orientale del Mediterraneo, era diventato ricchissimo ed aveva creato il sistema monetario aureo, per cui ogni oggetto aveva una stima in oro equivalente. Erodoto ha scritto il dialogo di Solone e Creso («Creso mostra i suoi tesori a Solone», dipinti del fiammingo Frans Francker il giovane e di Claude Vignon) ma questo re è menzionato anche da Pindaro e da Bacchilide.

Solone al cospetto di Creso è stato molto ben rappresentato da Gerrit Van Honthorst (Gherardo delle Notti), con uno schiavo ed una schiava in adorazione dei tesori. Il saggio ateniese è stato congedato freddamente dal re, poiché gli aveva replicato che di ogni fatto occorra aspettar di vedere la conclusione, ossia come andrà tutto a finire, avendo Zeus fatto intravvedere a molti la felicità materiale ma essi poi son precipitati nelle più profonda rovina; concetti memorabili che ha poi compresi quando si è ritrovato sulla pira, ad invocare il soccorso degli dei.

Erodoto ci ha infatti detto che Creso ha rischiato di fare una brutta fine, infatti Ciro, per vedere se fosse stato veramente in grado di fare prodigi e se quindi delle forze soprannaturali lo avessero salvato, lo ha fatto mettere al rogo su una pira (anfora di Vulci, al Louvre) ma, essendosi improvvisamente addensato un fortissimo temporale, la pioggia ha spento le fiamme ed allora, secondo alcune versioni, lo avrebbe nominato suo consigliere economico e finanziario.

Creso ha ispirato delle opere, di Reinhard Keiser, su libretto di Lukas von Bostel (tratto da un dramma anteriore di Nicolò Minato, rappresentato per il compleanno dell’imperatrice Eleonora, sposa di Leopoldo, nel 1678), di Jospeph Schuster, su libretto di Giuseppe Pagliuca (in scena a Napoli). John Gower gli ha dedicato un verso della «Confessio Amantis» del 1390. Ricordiamo la moneta d’oro al British, del 550 circa  a.C.

La leggenda di Danae (la terra che soffre la siccità su cui cade la pioggia d’oro provvidenziale, personificata nella sua graziosa ed elegante nudità) ha ispirato moltissimi artisti, a volte in attesa di Giove oppure delle gocce preziose, il Primaticcio, Jan Gossaert, Correggio (alla Galleria Borghese), Rembrandt, Tintoretto, Tiziano, Rubens, Orazio ed Artemisia Gentileschi (in maniera un po’ fredda), Adolf Ulrik Wertmüller (stupenda), Hendrick Goltzius, Léon Comerre (in un dipinto assai poetico), Jean-Baptiste-Marie Pierre (con resa plastica), Alexander Jacques Chantron (altrettanto), Klimt (è andato al sodo), Egon Schiele (in maniera disperata), Vladin Zakharov alla biennale di Venezia del 2013. Ella appare nei crateri del Louvre e dell’Hermitage, nella perigliosa vicenda con il piccolo Perseo nella coppa di Spina, nell’idria di Boston ed in un affresco pompeiano a Napoli.

Fertilità, intesa come ricchezza. Dietro all’Arco di Giano si trova la porta degli Argentari (detta impropriamente Arco degli Argentari), a cui si riferisce il detto popolare «Tra la vacca e il toro troverai un tesoro», che ha ispirato anche un sonetto del Belli, e tutti andavano perciò a cercarlo in essa, invece significa la fertilità quale ricchezza materiale e morale, mentre il fico che non fa fichi vien maledetto persino da Cristo.

La morale è questa: moltissimi reclamano mancati guadagni, chi ha ragione e chi però esagera e gonfia a dismisura. Molti furbacchioni si arricchiranno. I problemi sociali, quelli veri, sono molti. Pensiamo poi alle economie deboli, che vivono principalmente di turismo. Prima o poi, chi pagherà? Ovviamente … tutti noi, come nel quadro di Claude Vignon, «Creso reclama un tributo da un suo cittadino», in cui si vede quest’ultimo implorante, assai atterrito peggio che dal coronavirus, fra due placide guardie dal cappello piumato.

Se tutto andrà per il meglio, pagheremo con l’inflazione, come dopo la guerra. Comunque sia, chi vivrà vedrà! Ma, anche, sicuramente, pagherà! Altrimenti, sarebbe come «fare i conti senza l’oste».

Nel frattempo, concludiamo con poche parole di Giovanni Pascoli, tratte dal suo «Inno a Roma» o «Hymnus in Romam»: «un dio sì umilmente dio! … Gli uomini eretto i templi hanno al dolore!».

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera di Cipro

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

Luigi Mazzella
La pandemia del Coronavirus

Gli effetti della pandemia del Coronavirus (in termini scientifici: covid 19), scoppiata in Cina e diffusasi poi nel resto del mondo (in Italia si è insediata, con un numero di contagiati che, per un certo tempo, è stato superiore a quello di ogni altro Paese) sono stati molti rilevanti e meritano un attento esame.
In passato, fin dai tempi di Gregorio Magno, la diffusione di un’epidemia (peste, colera) generava, a distanze ravvicinate e consecutive, processioni guidate da alti prelati della chiesa (magari a piedi scalzi come il cardinale Borromeo, vescovo di Milano, nella peste del 1576), preghiere collettive di fedeli, assembramenti numerosi negli edifici di culto. Dominava la convinzione che il liquido  benedetto delle acquesantiere  guarisse i corpi e le anime e v’era ancora chi invocava, urlando all’indirizzo del cielo, il miracolo, l’arresto improvviso e magico del morbo per un intervento diretto o mediato della divinità.
Oggi le stesse autorità ecclesiastiche hanno fatto la tara a tali credenze: le Chiese sono state chiuse e i sacerdoti invitati a prendersi buona cura del proprio corpo più che delle anime dei fedeli (indossando mascherine, tenendosi a reciproca distanza, e facendo uso ripetuto di disinfettanti);  il Papasi è autoimposto una “quarantene”, avvalendosi di un “diabolico” streaming per fare giungere ai fedeli la voce di Dio.
Sulle piscine di Lourdes ritenute miracolose per le guarigioni che si assumevano prodotte in 160 anni dalla loro apertura s’è cominciato ad avanzare qualche dubbio e nessuno (neppure il più invasato dei credenti) ha proposto, almeno pubblicamente, immersioni collettive di malati di coronavirus (magari con accompagnatori volontari e autorizzati, covinti di non essere infettati per le virtù delle acque).
Un altro effetto dell’odierna pandemia è che oltre a dar luogo a una copiosa letteratura descrittiva delle conseguenze drammatiche  del morbo non si è limitata alle tradizionali imprecazioni (dagli all’untore)  contro i pretesi malvagi e perversi diffusori della malattia ha scatenato (e non solo  sui social) una tale “gara dietrologica”, da fare impallidire ogni più immaginifico scritto di “fantapolitica”.
Sono stati immaginati “complotti” ideati o da misteriose Spectre fleminghiane, o da laboratori di ricerca che, secondo le vedute politiche dei narratori, erano o  cinesi, o americani, o addirittura multinazionali; e ciò sia per l’ origine sia per la propagazione  del morbo.
S’è parlato e scritto, naturalmente, anche di fughe del virus per errori umani, comunque colpevoli.
V’è stato chi ha tentato soltanto  di capire se non vi fosse  qualche interesse “a cavalcare la tigre” della paura popolare,  se, cioè,  si fosse voluto provocare  un  eccesso di terrore (pur comprensibile nelle sue motivazioni) per raggiungere altri, misteriosi e inafferrabili obiettivi, economici o politici.
Poi, come già nel precedente caso della follia religiosa, la ragione ha prevalso: s’è capito che si stava effettivamente vivendo un momento di rischio reale: almeno sotto il profilo dell’inadeguatezza (chi più, chi meno)  dei servizi sanitari nazionali a far fronte alle necessità di  terapie intensive che il covid 19richiedeva; certamente, in misura maggiore rispetto a polmoniti virali causate da altri ceppi.
Il terzo effetto della pandemia riguarda la sola parte continentale dell’Europa.
Chi ha voluto, ha potuto capire che l’essere membro dell’Unione Europea avesse comportato, negli ultimi decenni, l’impossibilità di adeguare  il servizio sanitario nazionale alle esigenze di un pianeta  di sette miliardi di abitanti (che galoppa verso gli undici miliardi). Non tutti, naturalmente, hanno condiviso la necessità di liberarsi dalla camicia di Nesso del pareggio di bilancio e dell’austerity. E nessuno ha chiesto pubblicamente   e con determinazione all’Unione Europea di  rivedere le norme dei Trattati, soprattutto quello sulla moneta unica, per  non lasciare solo nelle mani dell’Ultradestra una tale importante battaglia di libertà e democrazia.
Eppure, il presupposto della richiesta doveva essere abbastanza chiaro per tutti: se gli Stati membri avessero potuto investire più fondi avrebbero avuto un sistema sanitario in grado di soddisfare le più consistenti richieste di terapie intensive.
Solo in un Paese, come il nostro, la discussione sulla misura dello “sforamento” da richiedere ai tecnocrati per riparare i danni prodotti da una calamità eccezionale più che straordinaria poteva mascherare e mettere in ombra il problema vero, quello da affrontare e discutere subito a epidemia finita,  di uno Stato che aveva perso la sua “sovranità” sino al punto di non poter soccorrere, senza il consenso dell’Unione Europea,  i propri cittadini.
E tale limite al fine, tutt’altro che encomiabile, di tenere i soldi dei contribuenti a disposizione delle Banche che falliscono per le loro “bolle” e delle Organizzazioni non governative per il loro, già di per sé lucroso,  traffico di esseri umani.
Il semplice buon senso avrebbe dovuto fare rire  inconcepibile che uno Stato non potesse neppure garantire la salute dei propri cittadini perché a vietarglielo erano i tecnocrati di Bruxelles. Non si trattava di “nazionalismi” risorgenti e di ritorno all’Europa degli anni Trenta ma di “sovranità” senza la quale uno Stato, che voglia dirsi tale, non ha alcuna ragione di essere, soprattutto in presenza di gravi calamità naturali.
Un effetto non secondario della pandemia è direttamente connesso all’ eco mass-mediatica e all’allarmismo sociale arrivato a vertici mai visti prima. La crisi civiltà  “industriale” nell’Eurocontinente è sta descritta diffusamente (fabbriche ferme tranne quelle di disinfettanti e altri prodotti per contenere l’epidemia o di beni e servizi adatti a una lunga conservazione tra le mura domestiche di cibi, oltre  quelle dei fabbricanti di cyclettetapis roulant, dei sistemi di comunicazione digitale, soprattutto per la telemedicina)  e qualche notista politico aveva cominciato ad avvertire la possibilità che Wall Streete la City,  centrali del capitalismo finanziario, intendessero cavalcare la tigre del coronavirus per determinare una situazione di arresto drastico e clamoroso della produzione di beni (oltre  a cadute azionarie a ripetizione). Solo con il passare del tempo, si era capito che l’idea di  utilizzare l’occasione dell’epidemia (e del terrore che essa provocava) per dare un colpo mortale al sistema industriale e rafforzare il capitalismo finanziario, come ultima spesdi sopravvivenza aveva perduto colpi. D’altronde, l’evento del morbo in sé avrebbe costretto, comunque,  tanta gente a indebitarsi e   le Banche ne avrebbero tratto vantaggio (non a caso, si stavano già adoperando per “attrezzarsi” in misura adeguata).
Ultima conseguenza: l’epidemia ha consentito di sperimentare, per un tempo prolungato, la possibilità di far cambiare radicalmente le abitudini della gente, riducendo drasticamente la presenza della folla in luoghi di lavoro produttivo comune e/o di consumo collettivo (nonché i contatti interpersonali, diradandoli).
Lo stile di vita dei cittadini, anche dopo la fine dell’epidemia, non sarebbe stato verosimilmente più lo stesso  che si era sviluppato nella civiltà industriale; avrebbe favorito quel ritorno all’ “arroccamento” e alla chiusura in “compartimenti stagni” che era stato proprio del feudalesimo il cui spettro aveva ripreso ad aleggiare sul vecchio continente. Se, infatti, si fosse affermata la versione finanziaria del capitalismo con latifondi e servi della gleba sostituiti dal denaro e dai robot per i calcoli, nuovamente non vi sarebbe stato alcun bisogno di intermediazione del lavoro umano.

L’epidemia di Coronavirus ha dimostrato (anche se non ve ne era alcun bisogno) che l’Italia è il Paese più frammentato e diviso del Pianeta e che la realizzazione del sogno risorgimentale dell’unità ha costituito solo una tappa per rendere tutti gli Italiani maggiormente consapevoli ed edotti della loro incapacità di sentirsi parte di un’unica Nazione. Ciò dimostra, altresì, di quanta falsità si ammanti sia il loro Europeismo sia il loro Nazionalismo.
Il primo è solo il riflesso indotto dalle vocazioni ecumeniche ed universalistiche, instillate nelle loro menti dal fideismo cattolico e dal fanatismo comunista; il secondo è il prodotto dell’esaltazione patriottica che ha portato sistematicamente alla rovina tutti i popoli convinti di essere prediletti da Dio.
Da ciò a dire, però, che l’Italia sia un Paese di individualisti, seguaci, cioè,  di un indirizzo filosofico incline a negare la possibilità di rapporti di interdipendenza tra i singoli, ci corre.
Il Coronavirus ha dimostrato esattamente il contrario: gli Italiani non riescono a fare a meno dei momenti di incontri collettivi chiamati, per giunta, con i nomi più assurdi e ridicoli: apericena (chi ha inventato tale neologismo?)  movida e via dicendo.
E già prima dell’epidemia i circoli dei tifosi Ultras erano particolarmente affollati e i frequentatori assidui di bar, bigliardi e fast-food esprimevano un bisogno di interrelazioni non indifferente.
Che sia stata questa, però, la ragione per cui un ceppo virale nato e sviluppatosi in Cina abbia trovato il modo di trasformare  un Paese Europeo,  come l’Italia, nel focolaio più attivo, dopo quello originario, è poco credibile. I motivi vanno ricercati altrove.
E’ da chiamare in causa, forse e senza forse l’ incapacità persistente di molti abitanti dello Stivale di usare il raziocinio e la logica in luogo della fantasia; che, per contro, con i suoi voli, talora anche eccelsi, dimostra una versatilità (artistica? non solo) incontenibile anche nei momenti più drammatici della vita collettiva.
Solo in un Paese, come l’Italia, sui social poteva comparire la foto di un crocefisso del ‘600 con l’invito alle Autorità competenti (religiose, ma anche civili, date le leggi emanate sul divieto di assembramenti) di portarlo in processione e giro per l’intera Penisola, perché aveva salvato i nostri antenati dalla peste di quegli anni!
E per converso, solo in un Paese come il nostro, allo scoppiare dell’epidemia in Cina, potevano esservi rappresentati delle più alte istituzioni fare a gara per farsi ritrarre o riprendere televisavemente in compagnia di gente orientale (soprattutto bimbi).
Quando, improvvidamente, il governatore del Veneto aveva accennato alle abitudini culinarie dei cinesi di mangiare topi (e avrebbe potuto aggiungere anche i serpenti, pipistrelli e altri animali, in base all’idea, che si vuole “dominante” in quel paese, secondo cui tutto ciò che vive è commestibile), il pericolo che il “razzismo” potesse trionfare in Italia, a causa di un’anticipata chiamata degli Italiani alle urne era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
I proclami governativi di non voler “chiudere” i voli dalla Cina avevano avuto un’accentuazione “buonista” e incontrato, ovviamente, il favore di tutti quegli abitanti del Bel Paese (ancora tanti)  che, fin dagli anni Sessanta-Settanta (secondo il film di Marco Bellocchio “La Cina è vicina”) vedevano nella gioventù italiana, allora maoista, la sola speranza di riscatto da un socialcomunismo ritenuto imbolsito e flaccido.
Volendo azzardare delle previsioni, è verosimile che alla fine della pandemia del Coronavirusil quadro Euro-continentale non sarà cambiato, sotto il profilo, per così dire, “politico”. Esso continuerà a essere contrassegnato  da uno scontro titanico tra due correnti di pensiero e forze politiche, profondamente, antitetiche e, sostanzialmente, inconciliabili (in sintesi vale il motto: mors tua vita mea).
a) Da un lato, vi sarà chi intenderà riportare la parte di Pianeta in cui viviamo ai livelli di grandezza, sul piano produttivo industriale, di qualche decennio fa, rivedendo vecchie regole  del liberalismo economico d’antan, ritenute non più compatibili con l’ attuale realtà economica e politica mondiale; in particolare si penserà di mettere in discussione la regola della libertà di scambio di merci quando il costo del lavoro è divenuto fortemente differenziato; di impedire la trasmigrazione libera e incontrollata di persone di culture e consuetudini di vita profondamente diverse; di fermare un’imposizione fiscale sempre più spinta per assicurare  un welfarea più ampio raggio e praticamente insostenibile;  di procedere a investimenti massicci pubblici  e stimolare quelli privati (con appiattimento e riduzione al minimo delle tasse);
b) Dall’altro, si opporrà una strenua resistenza a ogni cambiamento. Si punterà fortemente sulle ideologie politiche di sinistra che hanno sempre dominato nell’Occidente nell’era moderna, così come sulla mentalità religiosa dominante in Europa continentale nella sua doppia connotazione giudaica, cristiana e, se necessario, anche islamica.  Sul piano storico (e latamente statistico), infatti, il sistema bancario di rilievo mondiale, ha puntato, sempre con buona fortuna, a convincere alla sua causa  i partiti universalistici della sinistra, seducendoli con opere e azioni volte a diffondere le consuete idee della fratellanza tra i popoli, dell’ugualitarismo economico-sociale, della solidarietà umana, dei diritti inalienabili, impliciti anche nel concetto di “globalizzazione”. Alla fortuna di tale orientamento ha giocato il fatto che i partiti “gauchiste”, erano alla ricerca di un utile approdo dopo che erano rimasti senza una programmazione politica a causa del  disastroso naufragio dei principi d’uguaglianza universale, del crollo dell’impero sovietico e della “conversione” al capitalismo della Cina. L’arricchimento dei membri del Nomenklatura bolscevica (di cui ogni Europeo aveva potuto, negli ultimi anni, vedere gli effetti) aveva inferto un ulteriore colpo (questa volta “mortale”) al “buonismo” comunista; così come gli abusi di pedofilia e quelli bancari (molto più gravi) dello IOR avevano nuociuto alla Chiesa cattolica (se non anche al cristianesimo protestante, peraltro, anch’esso non indenne da scandali e soprusi).
Verosimilmente, la lotta sarà senza quartiere: nessuno dei due combattenti baderà a mezzi per acquisire consensi e sostegni diversi alla propria azione, a tutti i livelli.
Naturalmente, i Paesi a più alto tasso di corruzione e di assenza di pensiero libero (idest: i più religiosi e ideologizzati)  saranno più esposti di altri a subire pressioni e suggestioni nella direzione auspicata da una parte o dall’altra. Anche in essi, però, la democrazia potrà  fungere da argine alla confusione delle menti, prese di mira dalle contrapposte “propagande”. Per la contraddizion che nol consente, i  partiti politici non potranno vendersi né acquistarsi, per così dire,  “in blocco”: né, com’è fin troppo ovvio, a livello di massa, né di vertice. Di norma, nessun corruttore riesce a indurre un leader(e meno che mai tutti i suoi seguaci) a “sposare” una linea d’azione fino al punto di precipitare insieme in una catastrofe elettorale: la sopravvivenza personale e del partito fa premio su ogni altra istanza.
Distogliendo lo sguardo da carta stampata e immagini televisive, si possono disegnare due scenari, come possibili sbocchi della crisi europea dopo il Corona virus.
Primo scenario. Il mondo dell’Alta Finanza Occidentale di New York e di Londra con la sua appendice della Banca Vaticana, i Tecnocrati di Bruxelles, i fautori del Capitalismo monetario, i teorici del pareggio del bilancio, del cosiddetto patto di stabilità con le misure di austerity e del conseguente, inevitabile blocco degli investimenti nei Paesi Eurocontinentali, i trafficanti di schiavi (africani e non solo) con il loro seguito di “scafisti”, “caporali” e fabbricanti di imbarcazioni, giubbotti e salvagenti, subiscono una cocente sconfitta per i disastri provocati dalla pandemia nel vecchio continente. Tutti scorgono la causa della catastrofe nell’inadeguatezza dei sistemi sanitari conseguente a mancati investimenti.
Paesi di grande tradizione industriale, come Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Spagna e così via, che erano stati tra i massimi poli produttivi del mondo e al top delle grandi potenze industriali diventano consapevoli della loro sudditanza psicologica, politica ed economica a “emissari” degli “gnomi” di Wall Street, della City e dello IOR.
Nessuno di loro si chiede perché i Paesi Europei da una posizione di leadership tra i grandi poli produttivi del mondo, siano precipitati nel baratro attuale, facendo solo la gioia delle banche erogatrici di prestito a imprese sbilenche e disastrate e la fortuna economica dei gestori, a vari livelli, del lucroso traffico di mano d’opera centro-africana.
Non intendono più essere condannati a battere il passo nell’economia planetaria, assistendo al loro tramonto e accontentandosi di una crescita zero (o giù di lì) mentre altri Paesi passano da successi a successi.
E’ il momento della riscossa dell’Europa continentale, che memore di aver subito  nel corso di due millenni mire egemoniche di assolutismi e autoritarismi politici che hanno rallentato il suo cammino verso traguardi più ambiziosi, distanziandola dall’Occidente anglosassone, diversamente e più intelligentemente gestito, dice: basta!
Secondo scenario. I “Padroni” di Wall Street, della City e dello IOR riescono ancora a mantenersi a galla..
L’Unione Europea perde un po’ della sua garibaldina baldanza ma riesce ad allontanare il giorno del redde rationem per il  suo asfittico capitalismo monetario e per il dominio dei banchieri e dei bancari.
Naturalmente, spera che nell’Europa dei Pontefici, dei Monarchi, dei Tiranni, asservita da duemila anni agli assolutismi più ciechi, stentino a nascere leader veramente democratici che sappiano interpretare in maniera giusta e corretta il senso di riscatto dell’Euro-continente e continua a “catapultare” sugli Stati membri leader politici di mezza tacca, che ascoltano fedelmente “la voce del padrone”.
L’idea di Unione Europea coltivata, verosimilmente, come giusto e nobile sogno, dai Padri Fondatori della Comunità, nei lontani anni del secondo dopoguerra mondiale, potrebbe trarre nuova linfa dalle macerie della pandemia di Corona virus. La trasformazione dell’attuale Unione in una Federazione politica comune degli Stati del vecchio Continente, con un organismo politico di governo i cui membri non si sentano rappresentanti del loro Paese ma parte integrante di un’unione che va al di là dei singoli Paesi e difende interessi comuni potrebbe evitare il peggio.
Chi, oggi, parla o scrive contro la piovra che  impedisce agli euro-continentali di crescere (come fanno la Cina, l’India, l’Indonesia, la Russia) sul piano della produzione delle res, materiali e immateriali, dei servizi e degli investimenti necessari è un nemico da abbattere.
Nessuno deve tentare di convincere gli Eurocontinentali di sottrarsi al servaggio oppressivo e asfittico del Moloch monetario che ha le sedi dei suoi tentacoli in New York (nella lower Manhattandi Wall street), a Londra (nella City degli affari) e a Bruxelles (nei palazzi in vetrocemento dell’Unione).
La “vecchia fiaba che ancor beatamente la beve il popolo” è respinta solo da minoranze, ancora modeste, che sono etichettate, non a caso, dai mass-mediacome “ultra-destra”.
Per convincere meglio la gente a considerare quelle forze pericolose e indurla ad accettare piuttosto, in prescritta (chi, veramente, scrive la ricetta?) astinenza da elezioni. Governi-ponte verso il baratro, gli “amanti della Patria” fanno di tutto.
La lotta agli “antieuropeisti”, definiti anche, sempre dispregiativamente “sovranisti”, “populisti” e chi più ne ha ne metta,  è divenuta di recente, senza quartiere, ma è stata sempre molto dura.
A fermare il feto dell’octopus europeo, bloccandolo a livello prenatale, non riuscì possibile neppure a uno dei maggiori statisti dei nostri tempi.
Certo, un’Europa allargata al numero odierno di Stati, creerebbe seri problemi.
I “dinosauri” della Finanza mondiale, però, potrebbero accettarlo come il male minore.
L’Europa è meno divisa di quanto sembri e con leader politici liberi, autonomi e indipendenti dalle centrali finanziarie del Pianeta potrebbe aspirare a costituire un’unità politica analoga a quella degli Stati Uniti d’America.

 

Gli scrittori italiani propongono un’Europa Unita anche nelle bandiere.
La bandiera dell’Estonia

Realizzazione grafica di Mino La Franca

 

 Domenico Mazzullo
AL TEMPO DEL CORONAVIRUS 6

Abbracci al Tempo del Coronavirus

Questo maledetto Coronavirus, pur elargendoci, come abbiamo visto, qualcosa in cambio, in realtà ci ha tolto, progressivamente, ma anche piuttosto velocemente tanto, tantissimo, cui tenevamo ardentemente e che faceva parte integrante del nostro stile di vita, della nostra esistenza, spesso legata indissolubilmente a questi accessori assolutamente indispensabili alla nostra sopravvivenza.
Ci ha tolto in primis lo sport, sia , anzi soprattutto, come spettacolo, e in questa versione il primo posto spetta d’onore al calcio, che ci ha lasciati orfani delle giornate, anche feriali e non più solo le domeniche, in cui si era in ansiosa attesa dell’inizio delle partite e poi, rapiti come in trance, nella attentissima visione di queste, in assoluto religioso silenzio, rotto solo dalle grida di giubilo, o viceversa di dolore, accompagnate, queste ultime, da indicibili imprecazioni a seconda dell’andamento del gioco.
Partite cui facevano seguito, inevitabilmente, accese dispute al bar davanti all’immancabile cappuccino e cornetto, con gli amici, anche essi esperti di gioco del calcio a tavolino, sugli errori dei giocatori e dell’allenatore, o le colpevoli sviste dell’arbitro.
Niente più calcio…e ora, anche i bar sono chiusi.
Ma non possiamo certo dimenticare altri sport seguitissimi dal nostro sportivissimo pubblico nazionale da sofà, come il Golf, sui verdi prati all’inglese, in rigorosa tenuta britannica, o la Corsa ad ostacoli e il seguitissimo Lancio del giavellotto, che tanti appassionati conta nel nostro Paese, o l’altrettanto amato Tiro con l’arco.
Anche i Teatri, sempre così affollati e le multisale cinematografiche sono drammaticamente chiuse, per non parlare della desolazione delle librerie, prive di clienti da tempo, con i libri in bella mostra, esposti negli scaffali, in attesa di essere ardentemente sfogliati, accarezzati, annusati per sentirne il tipico ed amato odore, da frotte di lettori ansiosi di acquistarli, per poi, in tutta fretta, rinchiudersi in casa, in splendido isolamento acustico, e assaporarli, gustarli, inebriandosi con le parole nelle loro pagine impresse.
Libri che poi , una volta letti, vengono deposti in bella forma nelle librerie domestiche, a riprova e testimonianza del livello culturale vigente in quella casa.
Per buona sorte è prevista la riapertura di queste librerie, ma non in tutte le Regioni d’Italia, per cui sono previsti spostamenti, con inevitabili ingorghi stradali, dalle Regioni meno solerti nella riapertura a quelle più osservanti.
Nella recentissima Pasqua e Pasquetta abbiamo dovuto, a malincuore rinunciare alla classica e irrinunciabile gita fuoriporta, con la famiglia intera al completo, ma ahimè con l’unica assenza giustificata della nonna anziana ricoverata e al sicuro nella casa di riposo.
Ma le privazioni più evidenti e più dolorose, più inique e più ingiuste provocate alla nostra vita dal Coronavirus, sono certamente quelle che riguardano i nostri rapporti sociali ed umani e che colpiscono duramente, alla radice i nostri valori e le nostre consuetudini civili, frutto del lavoro di secoli, nel lento cammino che l’Umanità faticosamente ha percorso.
Non possiamo più stringerci la mano, nel saluto che ci è più congeniale e caro, frutto di consuetudini risalenti al Medioevo e che simboleggiava la fiducia dell’uno nell’altro.
Altri tipi di saluto, più lontani e anche più vicini nel tempo, risalenti originariamente alla Antica Roma, ci sono proibiti per Leggi, promulgate nell’immediato ultimo dopoguerra.
Anche i Fedeli hanno dovuto rinunciare alla stretta di mano, durante la Messa, per scambiarsi un segno di Pace. Ma ora anche le Chiese sono chiuse.
Per non parlare poi dei baci, nella duplice forma di saluto pudico, affettuoso tra parenti o amici, e di scambio di effusioni affettive, a volte prologo di altre intimità, che ci sono rigidamente e draconianamente proibiti, in quanto fonte pericolosissima e validissima di contagio interumano, con tutte le conseguenze che questo comporta.
Ma ciò che sinceramente, in tutte queste sottrazioni provocate dal Coronavirus, mi manca maggiormente, oserei dire supremamente, se mi fosse consentito dalla grammatica, sono gli abbracci, in tutte le loro forme e materializzazioni, di tutte le specie e categorie.
Gli abbracci materni e paterni non li ho più da tempo e li rimpiango, ma gli abbracci delle persone a me care, degli Amici, nei quali sento la stretta forte dell’affetto sincero, dei ”Fratelli”, ci chiamiamo così, nei quali sono racchiusi tanti significati e valori, quelli sì mi mancano acutamente e tremendamente e devo essere sincero, è forse l’unica cosa che dolorosissimamente e crudelmente il Coronavirus mi ha tolto e di cui sento fortissima la mancanza.
Un abbraccio forte forte a Tutti (virtuale naturalmente)

Roma, 18 aprile 2020

Distanziamento sociale al Tempo del Coronavirus

Un episodio accaduto oggi di primo mattino, mi fornisce lo spunto per questa pagina domenicale del nostro Diario, testimone della particolare esperienza che stiamo vivendo adesso.
Come tutte le mattine, all’incirca alle 7 mi recavo alla edicola dei giornali per acquistare il quotidiano, assieme a quelle pubblicazioni, o libri che ora sono anche lì in vendita e essendoci delle persone ad attendere il loro turno, mi sono disciplinatamente messo in coda, attendendo il mio turno e osservando chi mi precedeva, per ingannare il tempo.
La mia attenzione è stata rapita dalla persona immediatamente avanti a me, una persona visibilmente anziana, che si appoggiava ad un bastone, vestito con abiti di buona fattura, ma irrimediabilmente lisi e consumati, segno di un passato florido e di un presente, ahimè, decaduto.
Il collo della camicia, rigorosamente bianca, lanciava lo stesso messaggio, mentre l’atteggiamento posturale e il tremore caratteristico delle mani, mi avevano indotto a comprendere che il Signore avanti a me, soffrisse del Morbo di Parkinson.
Mentre ero rapito da queste considerazioni, improvvisamente sentii urlare.
La persona che precedeva il mio “Paziente anziano” e che gli dava le spalle, improvvisamente voltatosi, redarguiva violentemente l’Anziano, perché, a suo dire, si era troppo avvicinato a lui, non rispettando la distanza di sicurezza e prima che potessi intervenire a difesa del mio quasi coetaneo, l’altro era già andato via imprecando e si era dileguato.
Non mi è rimasto altro che soccorrere moralmente la persona anziana, rimasta frastornata e interdetta dalla violenza verbale dell’aggressore e che cercava di giustificarsi mortificata, spiegandoLe che evidentemente il soggetto che lo precedeva aveva certamente, nella migliore delle ipotesi problemi psichici evidenti, oppure soffriva di semplice e acuta maleducazione.
Questo episodio, purtroppo comune e di comune e frequente arroganza, mi ha messo di cattivo umore, ma mi ha indotto a riflettere sul momento storico che stiamo vivendo, e soprattutto su un termine che sta diventando di uso comune e diffuso in questo momento :”Distanziamento sociale”, termine apparentemente anonimo e piuttosto sgradevole, nella sua freddezza burocratica, che tradotto in linguaggio volgare, significa, più o meno, che a causa della pandemia da Coronavirus, dobbiamo prendere delle precauzioni nei nostri rapporti umani, cosa che stiamo già faticosamente facendo, come non stringerci più la mano in segno di saluto, abolire assolutamente gli abbracci e oltre, e rispettare le distanze di sicurezza, come siamo abituati a fare quando siamo in auto.
Sono precauzioni, per carità necessarie, non discuto, ma che a me e credo a molti altri costano molto e essendo assolutamente innaturali e del tutto non spontanee, necessitano di una sforzo di attenzione e volontà per metterle in atto.
Spero che siano assolutamente temporanee e che cessino il prima possibile, con il finire della emergenza, ritrovando tutti noi il piacere e la consuetudine di stringerci la mano, di abbracciarci, di baciarci, di camminare l’uno vicino all’altro, di dialogare non dovendo urlare per fasci sentire, a distanza dal nostro interlocutore, di riprendere le frequentazioni abituali con i nostri amici, di riscoprire il piacere sottile e sublime dei rapporti umani, della fiducia, della gentilezza, della vicinanza, non solo fisica, ma soprattutto umana e morale, della solidarietà, del piacere di renderci utili, gratuitamente e spontaneamente, piacere indescrivibile, che solo conosce chi lo ha provato almeno una volta nella vita, il piacere di un gesto di affetto, dato e ricevuto, di una silenziosa carezza, che non chiede nulla in cambio, appagata già dalla felicità nel darla.
Tutto questo per me significherebbe il ritornare ad una vita “normale” con la gioia nel cuore di aver superato un momento molto difficile per la nostra Umanità, che ci è costato tantissime vittime e dolori profondi, indimenticabili, ma che è stato superato e risolto con la nostra volontà, il nostro impegno e la nostra fiducia nel futuro.
Perché, se invece questo cosiddetto “distanziamento sociale”, dovesse continuare, dovesse stabilizzarsi, dovesse permanere, dopo la fine della epidemia, come un comportamento ormai acquisito e consolidato e dovesse far parte definitivamente del nostro stile di vita, del nostro modo di rapportarci con gli altri, se dovesse diventare definitivamente il nostro stile di vita, allora dovrei pensare che l’Umanità ha decretato, senza rendersene conto, la propria fine, non fisica, ma in modo ancora più grave e definitivo, morale.
Allora significherebbe che il Coronavirus oltre ad aver sottratto la vita a tanti esseri umani, avrebbe sottratto ai sopravvissuti qualcosa di ancora più prezioso e insostituibile, la loro Umanità.
Allora il “Distanziamento sociale” si sarebbe tramutato tragicamente in “Distanziamento morale”

Roma, 19 aprile 2020

Animali al Tempo del Coronavirus

La metodicità e costanza che caratterizza i ritmi della mia vita anche negli orari, non raggiunge certo quella di Immanuel Kant per cui, narra la leggenda, che i Suoi concittadini rimettessero gli orologi, vedendolo passare, puntualmente sempre alla stessa ora, nella Sua passeggiata mattutina, per le vie della città, ma senza volermi minimamente paragonare a Lui, la mia molto più modesta passeggiata, alle 7 verso l’edicola dei giornali e ritorno, mi permette, con grande piacere, di incontrare sempre le stesse persone, con le quali evidentemente coincidono gli orari e la stessa metodicità.
Si sono così creati, spontaneamente e delicatamente, intensi rapporti di amicizia basati sulla casualità di vite che si incontrano.
Uno tra questi è certo il più lungo e il più duraturo, quotidiano e costante.
Un signore anziano, della mia età, ho scoperto più tardi, che anni addietro incontrai per la prima volta, mentre portava a spasso il Suo cane anch’egli anziano e malato.
Fare amicizia fu rapidissimo, : una carezza da parte mia al cane, un sorriso a Lui, due chiacchiere sul Suo cane e sui miei, due, e la confidenza e la simpatia furono spontanee e immediate.
Mi raccontò che era vedovo e che questo cane, ormai vecchio, era la Sua unica compagnia, vivendo solo.
Ben presto sono diventato il Suo medico, interpellandomi in strada, con molta discrezione e cortesia, per ogni Suo problema, che cercavo sempre di risolvere, nei limiti delle mie capacità.
Il più delle volte si trattava di disturbi provocati dall’ansia e dalla solitudine, addolcita e lenita solo dal Suo cane.
Un giorno tragico, che non dimenticherò mai, Lo vidi da solo, senza il Suo cane e in un attimo capii.
Mi venne incontro piangendo e riuscì a dirmi, tra le lacrime, che il Suo cane era morto nella notte tra le Sue braccia.
Non riuscii a dire nulla in quel momento, per la commozione e forse fu meglio così. Lo abbracciai forte e vidi che qualche passante ci osservava, stupito dalla scena insolita di due uomini adulti che si abbracciavano piangendo commossi.
Da quel momento, ogni giorno a seguire, incontrandolo sempre da solo, ripercorrendo lo stesso percorso che faceva col cane, lo esortavo, con la autorevolezza che mi conferiva il mio essere medico, a prendere un altro cane, spiegandoGli, per quanto fossi capace, di fronte alle Sue resistenze, che non si trattava di sostituire quello di prima, insostituibile, ma piuttosto di dare ad un altro cane la possibilità e la gioia, di avere il Suo affetto e di contraccambiare con il proprio.
Una mattina lo vidi di nuovo con un cane, un giovane cane adottato al canile.
Ho provato una gioia ed una commozione indescrivibile, vedendolo di nuovo accompagnato e così in tutti i giorni a venire, felice con il Suo nuovo Amico.
Fino a che ieri mi ha salutato con aria preoccupata e triste e mi ha detto: “Dottore, io non ho paura del Coronavirus, perché non ho paura di morire, ma se io dovessi ammalarmi, essere ricoverato, anche morire, lui che fine farebbe? Finirebbe di nuovo al canile, dopo aver provato il calore di una famiglia?”.
Non serve un grande sforzo di fantasia, per immaginare la mia risposta.
Lo rassicurai dicendoGli che nella malaugurata, lontanissima ipotesi, a Lui fosse accaduto qualcosa, del Suo cane mi sarei sicuramente occupato io.
Ne ho due, più tre gatti e un nuovo venuto sarebbe stato certo il benvenuto.
Mi ha ringraziato e salutato sollevato e rassicurato, dandomi appuntamento all’indomani.
Da allora non ho più smesso di pensare a Lui ed alla realtà che mi ha prospettato, raccontandomi la Sua propria preoccupazione.
Tante persone sole, alleviano, vincono la propria solitudine, accogliendo la compagnia di un animale e donando a questi la propria.
Si viene a creare così una simbiosi strettissima e fortissima tra due Persone che vivono l’una per l’altra.
Se una delle due, l’umana, si ammala e viene meno, chi pensa all’altra?

Roma, 20 aprile 2020

“Il Dopo” al tempo del Coronavirus

La nostra, e tutta umana, capacità e attitudine a prevedere, nel senso letterale del termine, di vedere prima, ossia di vedere, con gli occhi della nostra immaginazione, ciò che accadrà, o meglio potrebbe accadere, nel futuro, prossimo o remoto, è ed è stata, una prerogativa importantissima della nostra specie, che ci ha permesso, mercè lo sviluppo della nostra intelligenza, di prevedere, soprattutto i pericoli e quindi approntare le difese necessarie per non essere colti impreparati e alla sprovvista.
Questa stessa attitudine, o proprietà, può trasformarsi, o si trasforma, soprattutto nel nostro tempo in un pericolo, un inconveniente, un fardello, che spesso ci rende la vita difficile, piuttosto che aiutarci.
Tale proprietà di previsione, infatti, quando viene esasperata, come oggi accade, diventa fonte grave di ansie, di preoccupazioni ingiustificate, irrazionali e quindi difficilmente dominabili.
Ho detto e sottolineo irrazionali, in quanto, quando questa proprietà e capacità, non viene utilizzata, con il controllo della nostra ragione, ma diviene dominio della emotività, allora sorgono i problemi che possono anche essere gravi e seri.
Questa capacità o proprietà, quando viene, involontariamente, mal utilizzata, è la causa di ansie e di angosce, che tutti proviamo o abbiamo provato, è la causa della ipocondria, ossia paura delle malattie, al di là e al di sopra delle normali preoccupazioni, è la causa di comportamenti assolutamente irrazionali e che possono ritorcersi contro noi stessi, vanificando completamente quella facoltà di previsione, utilizzata però in modo improprio.
Perché questo lungo preambolo su una pagina del nostro diario, che vorrebbe occuparsi del dopo epidemia?
Perché, proprio quella attitudine a prevedere, fa sì che ci si prepari alla cosiddetta ”fase 2” ossia quella che segue alla più seria emergenza provocata della epidemia e si cerchi di prevedere come sarà il progressivo ritorno alla normalità e prepararlo nelle sue modalità, fase molto delicata e complessa, perché si esplica quando l’epidemia non è ancora abolita completamente, ma, in funzione di una riduzione della sua gravità, si studia un allentamento delle restrizioni personali dolorosamente resesi necessarie per contrastare il progredire del contagio.
Si comprende facilmente come questa fase sia molto delicata e pericolosa, perché un errore nella precocità dell’allentamento delle misure restrittive potrebbe avere conseguenze molto gravi sul riaccendersi della epidemia e quindi sulla salute delle persone.
Non vorrei essere al posto di chi si assumerà la responsabilità di prevedere e quindi di realizzare questo ritorno progressivo alla normalità, gravido di così pesanti conseguenze, ma mi auguro e spero, che ogni decisione venga presa sulla base di una razionale considerazione del problema e non sulla spinta di una valutazione emotiva, che tenesse conto delle pressanti richieste di tutti noi, ansiosi e desiderosi di ritornare, quanto prima, ad una seppur limitata e progressiva normalità.
Dal mio limitato e parziale osservatorio, consistente nella esperienza dei miei Pazienti e di ciò che posso modestamente cogliere, dalla osservazione di quanto mi circonda e che accade attorno a me, mi sembra di poter desumere, che la maggior parte della popolazione , attualmente interessata dalle misure restrittive, seppur necessarie, desideri, aneli soprattutto a tornare quanto prima ad una normalità precedente, ponendo certamente in secondo piano la preoccupazione per il pericolo di contagiosità della malattia, che invece dovrebbe essere al primo posto nelle preoccupazioni di ciascuno di noi.
Arrivo dolorosamente a questa conclusione, osservando due fenomeni, non certo lusinghieri e piuttosto sconcertanti nel loro significato: prima di tutto la facilità e la superficialità con la quale, in varie circostanze e occasioni si è, da parte di tanti, rinunciato con leggerezza alle più elementari norme di prudenza, riunendosi in assembramenti numerosi ove il pericolo di contagio è molto evidente e presente, soprattutto nei trascorsi giorni di festività, ma non solo. Tali circostanze sono state molto ben documentate dai servizi giornalistici e televisivi.
Accanto a queste manifestazioni sconsiderate, mi ha colpito molto e sfavorevolmente, l’elevatissimo numero di contravvenzioni al divieto di non uscire di casa, di non abbandonare il proprio domicilio, se non per giustificati e seri motivi, manifestandosi ancora una volta l’attitudine da parte di molti di noi a considerare Leggi e Divieti come uno spiacevole incomodo da aggirare con furbizia.
Rende una ulteriore dimostrazione di ciò, lo straordinario spiegamento di Forze dell’Ordine resosi necessario per obbligare al rispetto e alla osservanza di un divieto, che non avrebbe dovuto richiedere nessuna azione repressiva, visto che si è reso necessario per difendere e proteggere la nostra salute.
Ancora una volta si deve purtroppo constatare che le spinte emotive hanno la prevalenza su un controllo della ragione.

Roma, 21 aprile 2020

Proponimenti al Tempo del Coronavirus

Questa mattina, fedele alle tradizioni e alla mia meticolosa e ossessiva puntualità, la mia sveglia interiore mi ha richiamato all’ordine destandomi, come ogni giorno alle ore 4.50, in tempo per ascoltare alla radio in bagno il primo notiziario su RAI 1 alle ore 5 puntuale come sempre dopo l’Inno d’Italia.
I pochissimi minuti che ancora mi mancavano, prima dell’inizio del notiziario, come sempre li ho dedicati a consultare il computer, sempre rigorosamente acceso, anche durante la notte, per verificare se fossero giunte e-mail o messaggi urgenti.
Con mio grande stupore ho constatato, che nelle ore notturne, un mio carissimo Amico e Fratello, probabilmente sofferente di insonnia, mi aveva inviato un video.
L’ho aperto con curiosità e con mia grande sorpresa ho scoperto che il video inviatomi era quello famoso del Monologo tratto dal celebre Film di Charlie Chaplin “Il grande Dittatore”.
Confesso che fin da piccolo non ho mai amato particolarmente Charlie Chaplin e l’unico Suo film che ho amato profondamente è stato “Luci della ribalta”, che vidi per la prima volta bambino al cinema con mio padre.
Stupito per la scelta del mio Amico ho ascoltato il Monologo, accompagnato dalle immagini in primo piano di Charlie Chaplin truccato da Hitler con gli inconfondibili baffetti e la divisa bruna.
All’inizio, quasi distrattamente, forse chiedendomi perché il mio Amico, me lo avesse inviato e poi precocemente sempre più assorto e seriamente attento ad ogni parola, ad ogni espressione del volto, ad ogni pausa nel monologo, che confesso non ricordavo di tale intensità e profondità, accompagnato dal primo piano del viso di Chaplin, Che sottolineava con ogni piega, con ogni ruga del volto e soprattutto con gli occhi di una straordinaria espressività, ogni parola del Suo monologo.
Confesso che mi sono commosso e non mi vergogno per nulla di ammetterlo, anzi ne vado orgoglioso, una volta tanto, perché ho avuto la prova che quelle parole andavano dritte al cuore e muovevano, evocavano dei sentimenti, che mi piace scoprire di avere.
Intanto era iniziato il notiziario radiofonico e di sotto fondo, ad un tratto è comparsa la voce arrogante di un politico, non ricordo e non mi interessa ricordare che fosse, il quale, con fare saccente annunciava che forse, in fondo questa epidemia di Coronavirus, si sarebbe potuta tradurre in un vantaggio per noi, in quanto la politica sarebbe stata costretta ad un rinnovamento, a scoprire e percorrere nuove strade, nuovi linguaggi, nuove prospettive e tutto questo avrebbe portato una nuova linfa vitale alla nostra società, come sempre avviene in ogni dopoguerra, quando si verifica una forte, concreta e volenterosa iniziativa e spinta di ricostruzione.
Parole superficiali, irreali e senza molto senso, ma che alla luce e in confronto a quanto avevo ascoltato, un attimo prima nel monologo di Chaplin, mi sono apparse addirittura blasfeme, idiote, irriverenti, assurde e drammaticamente irrilevanti e false.
Questo vorrebbe significare che l’Essere umano, per progredire, per crescere, per maturare, per percorrere un piccolo passo in avanti, nel suo lento cammino, dovrebbe ogni volta rischiare di estinguersi di essere distrutto, o meglio di autodistruggersi, di essere sconvolto da una calamità naturale o una epidemia come questa o le tante altre che ci sono state nel passato, o guerre lunghe, sanguinose e devastanti, per scoprire, ogni volta la stessa medesima cosa, ossia che la vita è un bene prezioso, è un dono, un regalo che abbiamo ricevuto gratuitamente e che disprezziamo o non apprezziamo mai a sufficienza, che manomettiamo e contaminiamo con le nostre stesse mani, per scoprire, una volta che ci manca, che ci viene meno, che ci viene sottratto, quanto fosse stato prezioso.
E’ mai possibile che noi uomini, da che esiste una memoria storica, esultiamo ed iniziamo baldanzosi una guerra, contro altri uomini, per poi scoprire che quella stessa guerra è stata una inutile carneficina e di nuovo esultiamo quando la guerra finisce, promettendo a noi stessi che mai più ci sarà una guerra, per poi iniziarne dopo poco un’altra?
E’ mai possibile che noi uomini, la cui vita ha raggiunto una durata inimmaginabile solo un secolo fa, ma comunque limitata nel tempo, dobbiamo trascorrere buona parte della nostra vita a lottare contro altri uomini, nostri avversari, per conquistare, nella migliore delle ipotesi, qualcosa cui a breve dovremo rinunciare?
E’ mai possibile che noi uomini dobbiamo ammalarci per scoprire quanto sia preziosa la salute.?
E’ mai possibile che noi uomini dobbiamo distruggere il Mondo in cui viviamo, per accorgerci, quando è ormai troppo tardi, quanto era bello e confortevole?
E’ mai possibile che noi uomini avessimo bisogno del Coronavirus per richiamarci all’ordine?

Roma, 22 aprile 2020

La Depressione al Tempo del Coronavirus

Purtroppo sapevo che prima o poi sarei arrivato a scrivere questa pagina del Diario, e oggi credo proprio che sia giunto il momento.
Si tratta di un argomento che fa parte integrante della mia vita, che è sempre presente in essa, naturalmente in ambito professionale come psichiatra, ma anche in ambito personale, nella mia vita privata, conoscendo bene e personalmente questa malattia che affligge tanti di noi.
Perché ho deciso di parlarne proprio oggi, su questa pagina del Diario, dedicato ad un’altra malattia altrettanto temibile, ma su un piano del tutto diverso?
Perché, tutti noi siamo vittime di questa epidemia, trasformatasi in pandemia, che incombe minacciosa su tutti, e che ci ha costretto, oltre a dover contare giornalmente i nostri morti e i malati, anche a radicali cambiamenti, dolorosi, nelle nostre vite, nei nostri stili di vita, nelle nostre abitudini radicate e consolidate, nei nostri legami sociali e affettivi, in tutte le nostre umane esistenze, in ultima analisi.
L’epidemia ci ha costretti, bruscamente e brutalmente, a chiuderci in casa, assediati da questo nemico invisibile ed onnipresente, ma che manifesta la sua presenza subdolamente, solo attraverso i danni che provoca entro il nostro organismo,che ci impedisce quella che è una delle nostre prerogative più umane, la socialità, la contiguità, lo scambio affettivo anche se con semplici gesti, il lavoro, lo svago in compagnia, le attività culturali, anche la scuola, la cui sospensione era stata salutata con giubilo dagli studenti e oggi comincia ad essere rimpianta.
Tutte queste privazioni, necessarie e sacrosante, atte a difendere la nostra salute, a proteggerci dal contagio sempre immanente, sono state affrontate, all’inizio, naturalmente, con un atteggiamento quasi sportivo e sprezzante, ironico e sarcastico, anche e a volte, ma con il passare del tempo ed il perdurare di queste, si sono fatte sentire le conseguenze di questa sospensione generale della vita cui eravamo abituati e assuefatti, tra le quali, in primis, la interruzione del lavoro produttivo per tantissime categorie di persone, con due effetti negativi sostanziali, la perdita del corrispettivo economico, indispensabile per vivere, e il problema dell’impiego del tempo, prima in gran parte assorbito dal lavoro stesso e ora abnormemente dilatatosi, proprio per la assenza di questo, con un enorme danno materiale e morale.
Altro problema molto serio, a mio parere è la privazione dei rapporti sociali che rappresentano una prerogativa indispensabile della nostra esistenza, a tutti i livelli.
Sappiamo tutti che l’essere umano è un animale sociale e ove è privato di questa socialità soffre grandemente e in tempi brevi.
E noi ne siamo stati privati bruscamente e improvvisamente, per motivi più che validi e indispensabili, ma comunque dolorosi e questa privazione dura già da qualche tempo facendo sentire, assieme agli altri fattori menzionati prima un profondo disagio esistenziale.
E’ tutto normale e perfettamente comprensibile e razionalmente derivabile dalla situazione che stiamo vivendo tutti, anzi ci sarebbe da stupirsi se non lo provassimo, ma la normalità di quanto ci accade non ci esime dal prenderlo in considerazione e cercarne una soluzione.
Nei primi tempi di questa forzata clausura, tutta particolare c’è stato il fenomeno quasi folcloristico, ma comunque gioioso, delle persone sui balconi e affacciati alle finestre intenti a cantare, a suonare, a fare rumore in qualche modo, tutti sorridenti e apparentemente gioiosi nel tentativo di rincuorarsi reciprocamente, anche se da lontano, sostenuti dal desiderio di sentirsi vicini, seppure lontani.
Ma ora tutto questo mi sembra finito, scomparso, esaurito e ciascuno si è rinchiuso ancora di più nella propria rassegnata solitudine e isolamento.
In questa condizione psicologica si sviluppa e si realizza alligna quella mala pianta che noi psichiatri chiamiamo “Depressione” e che io vedo presentarsi sempre più di frequente in questi tempi.
Possiamo fare qualcosa per prevenirla? Sì certamente, ma prima di tutto dobbiamo imparare a riconoscerla sul nascere.
Come?
La pagina del Diario di oggi si è esaurita. Ne parleremo nella prossima pagina.

Roma, 23 aprile 2020

Depressione al Tempo del Coronavirus II parte

Riprendo volentieri il discorso lasciato in sospeso ieri, seppur non esaurito, perché altrimenti sarebbe diventato troppo lungo per il nostro Diario.
Voglio prima chiarire una sostanziale differenza tra due termini che spesso vengono confusi tra loro:
L’ansia è una sensazione di paura, di allarme per un pericolo che non è immediato, ma futuro (un esame che dovrò sostenere tra quindici giorni), ma anche una sensazione di disagio, di fastidio, sia psichico, sia fisico, per una situazione non ben definita e comunque spiacevole.
La depressione è invece una condizione più seria che si verifica quando non mi sento più in grado di oppormi e resistere alla situazione spiacevole e mi arrendo, non lottando più.
Questo in termini molto semplici e sintetici. Ora devo specificare che l’ansia, che comunque mi stimola ad una azione, può essere isolata, o può precedere e poi accompagnare la depressione ormai instauratasi, quando rinuncio a combattere.
Riferendoci a ciò che stiamo vivendo adesso, in questa situazione particolare provocata dalla epidemia da Coronavirus, assistiamo spesso ad entrambi i fenomeni:
L’ansia , è caratterizzata dalla paura per il pericolo del contagio, paura tanto più cogente quanto più il pericolo è subdolo, invisibile, indefinibile ma non solo da questa. Essa può essere provocata anche dal disagio, l’insofferenza, il malessere per una situazione anomala di clausura in casa, di isolamento sociale, di forzata convivenza o sempre di forzata rinuncia alle nostre abitudini più radicate e fedeli.
La depressione provocata dalle stesse cause precedenti interviene, quando abbiamo ceduto le armi, quando abbiamo rinunciato a lottare, quando ci siamo arresi e non opponiamo più resistenza, ma ci assoggettiamo passivamente alla situazione, non facendo nulla per cambiarla o per risolverla, per opporci ad essa.
L’ansia è caratterizzata quindi ancora da una volontà di reagire, di combattere di lottare, quindi da una spinta alla attività.
La depressione invece e contrariamente, è caratterizzata dalla passività di chi ha smesso di lottare, ha rinunciato a combattere, si è arreso e quindi ha un atteggiamento di assoluta arrendevolezza.
Si comprende bene quindi, come ci possa essere uno stato di ansia isolato, oppure uno stato di ansia che sfocia poi nella depressione e come l’epidemia da Coronavirus possa essere responsabile di entrambe le condizioni.
Quali sono i segnali che debbono metterci in allarme e farci sospettare la presenza dell’una o dell’altra condizione?
Per quanto riguarda l’ansia enumero i più frequenti:
Sensazione di pesantezza sul petto e difficoltà a fare un respiro profondo; senso di nausea o conati di vomito soprattutto al mattino, dolori all’addome e alternanza di giorni di diarrea e di stipsi; la sensazione di testa vuota o ovattata; sensazione di perdita di equilibrio o di ondeggiare come su una barca; sensazione di stranezza o di irrealtà riguardo a tutto ciò che ci circonda; irritabilità e insofferenza per tutto; i rumori vengono percepiti amplificati e particolarmente disturbanti; tremore alle mani, soprattutto nei fini movimenti; stimolo ad urinare frequentemente.
A metà strada tra i sintomi propri dell’ansia e quelli della depressione dobbiamo considerare “gli attacchi di panico”, che rappresentano un anello di collegamento tra ansia e depressione, meglio detto costituiscono i prodromi di una depressione, che prima o poi si manifesterà in tutta la sua evidenza.
Gli attacchi di panico rappresentano una evenienza sempre più frequente e diffusa in questi tempi, soprattutto tra i giovani, ma per cause che esulano dal nostro discorso sul Coronavirus, in quanto spesso sono provocati dall’uso della marijuana, ma a parte questa situazione specifica, costituiscono spesso l’evoluzione naturale dell’ansia, verso la depressione, come abbiamo detto.
Essi rappresentano una evenienza molto spiacevole per chi ne soffre con una insorgenza improvvisa, senza alcun preavviso, nelle situazioni più disparate, a pranzo o cena, mentre stiamo guidando, in casa, al cinema, da soli o in compagnia, in ambienti chiusi, autobus, treni, metropolitana, o aperti, senza alcuna specificità
Si manifestano con una sensazione molto spiacevole di malessere intenso e diffuso, che progressivamente interessa tutto il corpo, sensazione di caldo intenso o di freddo, sudore freddo, pallore, tachicardia, sensazione di costrizione al petto e difficoltà di respirare liberamente.
Ciò che però caratterizza tipicamente gli attacchi di panico è la sensazione di morte imminente e il bisogno spasmodico di fuggire. Tali attacchi di panico, in genere non durano a lungo e quando si risolvono, lasciano una condizione di profonda spossatezza.
La libertà delle persone che ne soffrono viene gravemente limitata da inevitabili comportamenti evitativi, ossia le persone evitano tassativamente, tutte quelle situazioni in cui tali attacchi si sono verificati, venendo sempre più a restringere la loro sfera di autonomia.
Dagli attacchi di panico, se non curati, con grande probabilità si passa alla condizione di depressione conclamata, ma per la descrizione di questa dobbiamo aprire una nuova pagina del Diario perché questa è finita.

Roma, 24 aprile 2020

La Depressione al Tempo del Coronavirus parte III

Apriamo, quindi, questa nuova pagina del nostro Diario, per affrontare il tema certamente più difficile e complesso, ma anche il più doloroso riguardante la Depressione, che nel nostro caso specifico, sarebbe stata provocata dalla situazione particolare e abnorme indotta dal Coronavirus e dalle conseguenze di questa epidemia.
Per rendere le cose più facili e più comprensibili, questa volta, invece di parlare in termini impersonali, immaginiamo di avere avanti a noi un Paziente in carne ed ossa, come suol dirsi, il Signor M. che ci è venuto a trovare in studio chiedendoci una visita.
Avendo letto le pagine precedenti del nostro Diario il Signor M. si è riconosciuto in esse:
E’ infatti molto spaventato per questa infezione da Coronavirus e pur prendendo tutte le precauzioni del caso, è costantemente terrorizzato al pensiero di ammalarsi. Si è poi riconosciuto in tutti i sintomi descritti e riguardanti l’ansia e ha compreso, dalla descrizione, di aver avuto degli attacchi di panico, per cui ora ha paura di rimanere solo in casa, o di uscire da solo, non usa più la metro e non mangia più la pasta, perché l’ultimo attacco di panico l’ha avuto mangiando gli spaghetti, ma da qualche tempo sente che la situazione è cambiata, forse peggiorata, in maniera però non chiara e per questo ha chiesto un incontro.
Mentre conversiamo per qualche minuto del più e del meno, per sciogliere il ghiaccio, approfitto per osservarLo e noto subito che ha la barba lunga, non rasata da due o tre giorni e le mani ben curate, ma con le unghie sporche, indice di una trascuratezza non abituale. L’abito di ottima stoffa e di buona fattura, è però sgualcito e non stirato da tempo. Le scarpe, anch’esse di pregio, sono sporche e il nodo della cravatta è mal fatto.
Dopo le domande di prammatica sulle malattie passate, sulle abitudini di vita ecc. Lo lascio libero di parlare dei Suoi disturbi.
Esordisce dicendomi che da tempo non dorme più bene. Si addormenta facilmente, ma si sveglia più volte nel cuore della notte, a ore fisse e di soprassalto, e poi al mattino si sveglia definitivamente molto prima che suoni la sveglia.
Al mattino, poi, Gli pesa tantissimo l’idea di dover affrontare la giornata e vorrebbe rifugiarsi sotto le coperte. Il mattino è il momento peggiore della giornata, mentre stranamente la sera si sente un po’ meglio.
L’idea di dover andare al lavoro, cosa che prima gli piaceva, ora lo terrorizza, perché non riesce a concentrarsi, non riesce ad applicarsi a lungo, gli sembra di non essere più capace e si sente insicuro su tutto.
Decidere è una tragedia. E poi stranamente, il lavoro che prima lo appassionava, ora gli è diventato odioso, ma al tempo stesso non trova più interesse per niente. Non riesce più a leggere i Suoi amati libri, che giacciono abbandonati e la stessa collezione di francobolli, da tempo non viene più visitata.
Prima era un compagnone, l’anima delle comitive di amici e ora non vuole più vedere nessuno, e se gli capita di non poterne fare a meno, soffre tremendamente e vorrebbe stare solo, ma paradossalmente, quando è solo soffre la solitudine.
Prima era considerato un uomo forte e ora si commuove spesso, come una femminuccia di fronte a qualunque cosa. Si sente sempre stanco e gli pesa fare qualunque cosa, anche una telefonata gli mette pensiero.
Gli piaceva tanto cucinare ed era di ottimo appetito, mentre ora i soli odori della cucina gli danno la nausea e non sente più i sapori. Con un certo imbarazzo mi dice che è divorziato e ha una relazione con una donna molto più giovane di lui, che prima lo attraeva molto ed aveva una vita intima molto soddisfacente. Ora la sola idea di un rapporto lo fa inorridire.
Con una certa riluttanza mi confessa, che da poco è venuto meno un Suo caro amico e Gli capita di pensare a lui con invidia e, pur non avendo pensato mai di togliersi la vita, quasi quasi spererebbe che il Coronavirus, di cui aveva tanta paura, lo portasse via, tanto ora ogni giorno gli sembra pedissequamente, monotonamente uguale all’altro e non riesce ad immaginare il futuro. Mentre invece pensa ossessivamente al passato e ai tanti errori commessi. E’ consumato dai sensi di colpa.
Ho detto al Signor M. che ha fatto benissimo a chiedere aiuto, perché quello che era cominciato come un semplice stato di ansia, si era tramutato in una evidente depressione, che è una malattia come le altre, assolutamente curabile e guaribile, a costo di curarla bene.
Gli ho prescritto dei farmaci antidepressivi e ansiolitici, spiegandoGli bene, che sono farmaci innocui, che non danno assolutamente dipendenza e che solamente sono proibiti gli alcolici.
Lo rivedrò tra quindici giorni. Questa sera, a visite terminate, appunterò sulla scheda a Suo nome, tutto ciò che mi ha raccontato

Roma, 25 aprile 2020

 

Alessandra Iannotta
La fabbrica di Iole (racconto completo)

Mi chiamo Iolanda, ho nove anni, i capelli biondo cenere e gli occhi che ridono.

Con mia zia aprirò presto una fabbrica di cioccolato.

Sarà una fabbrica bellissima dove i bambini potranno cuocere il cioccolato usando tutte le formine del mondo.

Io voglio i cioccolatini a forma di stelle, piccole, grandi, grandissime, anche con la coda.

Oggi finalmente dobbiamo uscire a comprare tutto quello che ci serve, non vedo l’ora di andare a fare la spesa.

Mia madre mi prende per mano e mi fa sedere sul letto: “sai amore, penso che oggi dobbiamo rimanere a casa”, le parole di mia madre mi raggiungono come tanti spilli cattivi che fanno scoppiare tutti i miei sogni.

I miei sogni, quelli che non sono stati bucati dalle parole della mia mamma, volano via come tanti palloncini colorati lasciati andare in cielo quando il filo che li lega a terra viene lasciato libero.

Sul mio volto si legge tutto il mio dolore.

La mamma mi prende in braccio, mi guarda negli occhi e incomincia a parlare con voce profonda: “Iole conosci la storia del Coronavirus?”

Guardo la mamma, sono alquanto confusa. Non riesco a capire come quella storia possa riguardare la nostra spesa, so che la televisione, i giornali e i miei fratelli da qualche giorno non fanno altro che parlare di un virus, non so se sia lui, ma se lo è, ha un nome bellissimo… Corona, forse si chiama così perché è un re? Mi chiedo tutto ciò in silenzio.

Poi la mia mamma incomincia a raccontare:

“In un paese lontano, lontano abitava una grande famiglia. I bisnonni, i nonni, i genitori e tantissimi figli, il più piccolo si chiamava Virus. Vivevano tutti insieme in una grande casa. I componenti della grande famiglia si erano dimenticati del piccolo Virus. Fu così che un giorno il piccolo decise di chiedere aiuto alla fatina buona che lo fece diventare invisibile, avrebbe così potuto dare qualche pizzicotto ai famigliari e fare loro qualche piccolo dispetto. La strega cattiva però aveva visto la magia e quando ancora Virus non era diventato invisibile lo toccò con la sua scopa facendolo diventare per sempre un cattivissimo nemico di tutti. Virus, ormai invisibile e cattivo, iniziò così a vendicarsi su tutti i suoi famigliari e poiché era veramente spietato la strega lo incoronò re di tutti i cattivi.”

Ho ascoltato in silenzio e poi con curiosità ho chiesto: “Mamma ho capito, ma cosa c’entra Coronavirus con le formine della mia fabbrica?”

“Iole, il solo modo per sconfiggere l’invisibile re dei virus è restare in casa e renderci, in tal modo, anche noi invisibili ai suoi occhi. E sai perché? Perché nella nostra casa regna l’amore e lui non può vincere contro ciò che non ha mai conosciuto.”

Mi volto verso la mia mamma, accenno un sorriso e come se fossi diventata improvvisamente grande: “ho capito mamma, il Coronavirus è l’invisibile che rende visibile ciò che sfugge a chi non ama…La mia fabbrica può aspettare, ora voglio godere la mia famiglia, restiamo a casa.”

12 marzo 2020   Angeli senza le ali

Oggi ho litigato con mia sorella.

Sono davvero arrabbiata.

Agnese-come al solito – pensa di sapere tutto.

Mio fratello Riccardo, prima ha cercato di farla ragionare, poi, ha lasciato perdere e si è messo a giocare alla PlayStation.

Adesso – ho deciso- ne parlo con la mamma, lei saprà sicuramente darmi la risposta giusta.

La trovo finalmente in cucina intenta a preparare la cena.

Appena mi vede mi sorride e mi domanda: “Iolanda cosa succede?” Adoro la mia mamma, mi capisce al volo anche quando non dico una parola, Lei è magica, ormai ne sono certa.

“Ho litigato con Agnese; le ho detto che tutti i dottori e gli infermieri che lavorano in ospedale, quelli con i guanti e le mascherine che fanno vedere in televisione, sono Angeli. Agnese mi ha detto che sbaglio, che gli Angeli non esistono e che -se esistono -non sono certamente uomini.”

La mamma lascia da parte pentole e pentolini, mi abbraccia e sorridendo mi sussurra qualcosa all’orecchio.

Corro in stanza da mia sorella e felice la guardo negli occhi, poi le chiedo scusa: “Hai ragione Agnese – le dico- i medici e gli infermieri che fanno vedere in televisione sono uomini e donne proprio come tutti, però dietro di loro ci sono degli Angeli bellissimi con delle grandi ali dorate che li aiutano a sorridere a tutti e a non essere mai stanchi.”

Mia sorella mi guarda perplessa: “io non ho visto nessun Angelo, se ci fossero stati si sarebbero visti anche in televisione”. Ribatte lei.

“Anche il Coronavirus è invisibile eppure c’è”.

Ho parlato con una voce allegra e cristallina, mia sorella mi abbraccia e finalmente, per la prima volta in quindici anni della sua vita, mi dà ragione.

13 marzo 2020    Un mondo invisibile

Sono contenta.
Ho fatto pace con mia sorella e lei adesso non pensa più che sono piccola e che non capisco niente.

Devo ringraziare la mia mamma -è vero- senza il suo aiuto non sarei riuscita a spiegare ad Agnese che gli Angeli ci sono anche se non si vedono.

Sono immersa in questi pensieri quando il mio sguardo viene improvvisamente catturato da una pianta che sembra sorridermi.

La pianta verdissima scoppia di vita, carica di boccioli, presto sarà piena di fiori colorati.

Anche lei – ne sono certa- ha vicino Qualcuno invisibile che le ricorda di prepararsi perché sta arrivando la primavera.

 

Non posso fare a meno di pensare che -mai come in questi ultimi tre giorni -ho sentito così tanto la presenza di un mondo invisibile vicino al mio…

14 marzo 2020 Il vero coraggio

Entro in camera di mia sorella.

La televisione è accesa, c’è il telegiornale.

Mi siedo sul letto e chiedo ad Agnese se ha paura.

“No Iolanda, perché dovrei? Cosa vuoi che sia è poco più di una semplice influenza!”

Il suo sguardo la tradisce, capisco subito che mente e che in realtà ha molta più paura di quanto non voglia far credere.

Riccardo entra in camera e chiede a mia sorella di abbassare il volume della tv.

Anche a lui faccio la stessa domanda e anche lui risponde vago:” Ma no Iolanda, non bisogna avere paura, non succederà nulla, è solo un momento, passerà presto.”

Lo guardo negli occhi e anche nei suoi leggo chiaramente che non dice la verità.

Corro via a cercare la mamma, la trovo in salone, sta parlando con papà. Anche a lui faccio la stessa domanda che ho fatto ai miei fratelli, anche lui minimizza. So che anche lui mente.

Mi avvicino a mia madre: “mamma perché tutti dicono che non hanno paura del Coronavirus? Io invece ho un po’ di paura.”

Mia madre è una donna fantastica, mi abbraccia e guardandomi negli occhi mi risponde: “Brava Iolanda non c’è assolutamente nulla di male ad avere paura, il vero coraggio -sai- non è quello di chi lotta con le proprie paure, ma quello di chi, sorridendo, riesce a convivere con loro…”

“Grazie mamma non lo dimenticherò e poi ti ricordi la storia che mi hai raccontato quando volevo assolutamente uscire per andare per fare la spesa? Ti ricordi che mi hai detto che Virus era il fratellino a cui nessuno voleva bene? Adesso proverò a dirgli che non ho paura di avere paura di lui perché so che lui c’è…”

15 marzo 2020 La lettera

Stamattina mi sono svegliata presto.

Fuori c’è un sole meraviglioso, gioca in un cielo azzurrissimo.

È bello.

Lo vedo dalla finestra e sorrido.

In casa tutto è silenzio, anche fuori il mondo sembra non fare più rumore.

È bello anche questo.

Prendo un quaderno dalla mia cartella, oggi voglio scrivere una lettera a Coronavirus.

“Ciao, mi chiamo Iolanda, ho nove anni, i capelli biondo cenere e gli occhi che ridono. Ho una sorella di quindici anni e un fratello di tredici.

I miei genitori sono veramente bravi perché non ci sgridano mai.

La mia mamma – te lo devo proprio confessare-è davvero fantastica, lei sa tutto e sorride sempre.

Mi dispiace che la tua famiglia ti abbia sempre ignorato.

Deve essere davvero brutto sentirsi soli.

A me capita quando litigo con i miei fratelli, allora mi sento un po’ come te, sola e triste.

E vuoi sapere cosa mi succede?

Mi sembra come se il cielo si riempisse di nuvole.

Io però so che poi tornerà a brillare il sole più caldo di prima, perché la mia famiglia c’è.

Ho capito: il tuo cielo è sempre pieno di nuvole nere, ma se tu conoscessi il calore e la luce del sole diventeresti più buono e magari la smetteresti di essere così cattivo…

Adesso devo andare, mi stanno chiamando, ma torno presto. Ah dimenticavo fuori c’è un Sole meraviglioso mi piacerebbe che lo conoscessi …Prima o poi!

16 marzo 2020   La grande bolla

Resterò in pigiama.

Mi sembra che il mondo sia entrato in una grande bolla sospesa in aria e che per entrare al suo interno gli adulti siano tornati ad essere come i bambini.

Hanno incominciato a giocare anche loro, proprio come facevano da piccoli.

Il mio papà ha lasciato a terra chili di pensieri e così è riuscito ad entrare nella bolla.

La mia mamma, invece, è come sempre piena di gioia. Lei sa ridere e non deve diventare più leggera per entrare al suo interno.

Caro Coronavirus ti devo, quindi, ringraziare perché sei riuscito a fare anche qualcosa di buono.

Mi raccomando- però – cerca di essere più bravo altrimenti -ti avverto – dico a tutti di restare nella grande bolla sospesa in aria e tu rimarrai da solo sulla terra e così non potrai più fare male a nessuno!

Adesso devo andare, mi stanno chiamando, ma torno presto. Ah dimenticavo fuori c’è un Sole meraviglioso mi piacerebbe che lo conoscessi …Prima o poi!

17 marzo 2020 Il sogno e il silenzio

Stamattina mi sono svegliata felice

Ho fatto un sogno bellissimo.

Ho sognato di volare su grandi ali dorate in uno spazio dove il tempo non esiste.

Lì, leggera come una molecola di aria, ho abbracciato la mia nonnina che ora vive tra le stelle e ho rivisto di nuovo brillare i suoi occhi.

Le ho raccontato del piccolissimo virus che sta facendo preoccupare il mondo.

Lei mi ha sorriso, ma non era un sorriso normale, era una carezza dolcissima, un abbraccio infinito.

Non ricordo tutto quello che mi ha detto, ma sono certa che questa poesia l’ho scritta con il suo aiuto.

Sarà il mio piccolo regalo per tutti quelli che avranno voglia di leggere.

Silenzio

Anche il silenzio ha la sua voce.

Nel silenzio si trovano risposte, non si giudica e si comprende.

Anche in silenzio si può dire grazie, una parola di pace.”

18 marzo 2020  Il sorriso

Sono uscita a fare una passeggiata.

Le saracinesche dei negozi si sono abbassate, come tanti occhi chiusi, sulle strade semideserte.

Le persone vagano perse tra muri di ferro.

Sento e tocco la loro paura, la riconosco perché è stata anche la mia.

Stringo la mano alla mamma, lei mi sorride e il suo sorriso, carico di luce, si aggiunge al mio.

Così insieme, stretti tra loro, i nostri sorrisi riescono a sbriciolare i muri che ho visto.

Dobbiamo rientrare a casa, ma il mio cuore ora è leggero.

L’invisibile virus, che tutti temono, mi ha fatto capire la bellezza del dono di un sorriso …

19 marzo 2020   Il rumore del mondo

Agnese e Riccardo stanno facendo lezione. Sono collegati con le loro classi tramite il computer.

Anche il mio papà lavora da casa grazie a questo magico amico tutto in bianco e nero.

Fuori c’è una giornata fantastica, ma anche

oggi, per colpa tua, tutti dobbiamo restare chiusi in casa.

Mi sento sola. E mi sto annoiando.

Penso di provare quello che ti è capitato quando i tuoi famigliari ti ignoravano, ma non per questo mi metto a mordere il mondo come stai facendo tu!

Ti devo dire una cosa: Non pensavo che ciò che mi sarebbe mancato di più sarebbe stato il rumore.

20 marzo 2020 Kore (Persefone)

Mia sorella sta leggendo una poesia di una poetessa contemporanea.

È davvero bella, mi piace anche se non capisco bene cosa deve fare, Le chiedo di spiegarmi un po’ di che si tratta, sono curiosa.

Agnese mi dice che Kore è una figura mitologica e che l’insegnante di lettere Le ha chiesto di attualizzarne la figura.

Sono ancora più confusa.

Mia sorella allora mi sorride, si siede vicino a me e continua:

I miti-Iolanda-sono storie tramandate dagli Antichi e il Professore mi ha chiesto di provare, con un po’ di immaginazione, a trasportare le protagoniste di queste storie nella realtà di oggi…”

Sono felicissima, adesso incomincio a capire, chiedo a mia sorella di rileggere la poesia, Agnese incomincia a leggere:

Kore

Ho capelli lunghissimi leggeri

Occhi verdi, profondi

Un sorriso che scioglie

Movenze che suonano musiche senza spigoli capaci di fluire

spazio senza tempo.

Mi affido al vento,

Mi piego al suo volere.

È Stupore, Meraviglia, Gioia.

Mani pesanti sul mio corpo

Inghiottono

Mi trasportano dove la notte è regina

Abissi dove non arriva luce.

Tutto sembra spegnersi.

Il mondo urla il mio nome

La terra ascolta.

Si raggiunge l’accordo.

Magica Dualità.

Lei è Stupore, Leggerezza

Meraviglia, Gioia.

Alessandra Iannotta “

“Agnese ho capito – dico felice – il mondo di Kore era bellissimo, poi è arrivato Coronavirus e tutto è diventato buio, ma non bisogna avere paura perché l’accordo è stato trovato e nella magica “Dualità” di cui parla la poetessa c’è il Segreto della vita che continuerà sempre …”

Mia sorella mi abbraccia e ridendo mi dice: “Iolanda sei un genio, ora vado a scrivere

21 marzo 2020 Il laser magico

Oggi vorrei tanto andare a fare una passeggiata.

Non posso e allora decido di fare una passeggiata virtuale con la mia amica immaginazione.

Mi sono appena seduta con carta e penna, quando mio fratello, armato di un laser, si mette ad inseguirne la luce blu finendo con la testa sotto il divano.

“Cosa stai facendo?”

– Gli chiedo come sempre curiosa-

“Sto cercando di capire come funziona il laser perché con il mio telescopio olografico quando con il laser colpisco una scheda posso vedere il mondo in tante dimensioni e poi se taglio la lastra in mille pezzettini in ogni pezzetto posso ritrovare l’intera immagine.”

Mi risponde lui serio.

Lo guardo stupita:

“È fantastico! Grazie Riccardo, lo sai che oggi è la giornata mondiale della poesia?”

“No, non ne avevo la minima idea – mi risponde lui sempre più serio – “ma Iolanda cosa c’entra la poesia con il mio laser?”

“Beh è un po’ come il tuo ologramma, se cerchi una scheda con la poesia la poesia sarà ovunque…” gli rispondo io seria.

Scoppiamo a ridere insieme ed è bellissimo, finalmente sono riuscita a fare ridere mio fratello!

Chissà se i dottori riusciranno prima o poi a fare ridere anche Coronavirus -penso – magari potrebbero provare con un laser e così sarebbe anche lui contento e la smetterebbe di fare male …

22 marzo 2020 Nonno Enrico

Oggi non ho voglia di pensare a quello che stai combinando in giro per il mondo.

Non voglio ascoltare le notizie al telegiornale, andrò dal mio adorato nonno Enrico e gli chiederò di raccontarmi qualcosa.

Lo trovo seduto in poltrona a sfogliare un album di fotografie.

I suoi occhi profondi e caldi mi trasmettono sempre un senso infinito di pace e di dolcezza. Ha uno sguardo carico di Gioia contagiosa.

Lo amo con tutto il cuore.

“Nonno cosa stai facendo?” gli domando avida di risposta.

“Vieni Iolanda, guarda questa fotografia, mi ricordo come se fosse ora il momento in cui è stata scattata, avrò avuto più o meno la tua età …Era il cinema del mio paese, pitturato di fresco, odoroso di calce e di ossigeno.

Sai nell’Italia del dopoguerra, nell’Italia che si rialzava vestita di stracci, ma fiera le persone andando al cinema cercavano di bere speranza, evasione, di dimenticare i fischi delle bombe, di ritrovare pace.”

“Si nonno capisco -nei tuoi occhi sempre uguali, capaci di inghiottire e che riconoscerei tra mille, leggo tutta la tua voglia di sognare- mi sembra di vedere tutta la tua gioia mentre andavi al cinema”.

“Eh si cara Iolanda, era proprio così, nel piccolo schermo, incorniciato da pesanti tendaggi rossi a rimarcare l’importanza di quello spazio magico, la Vita era lì con tutta la sua Forza. E sai che ti dico piccola? Anche la pioggia di bucce di lupini, gialla e appiccicosa, frammista anche a qualcos’altro che pioveva sulla platea e che mi faceva tanto arrabbiare aveva un suo perché … Avevamo comunque i berretti di carta che ci riparavano.”

“Nonno doveva essere davvero un’avventura andare al cinema” dico sorpresa.

“Un’avventura fatta di fatica e di Bellezza. Dovevi proteggerti i capelli e fare la fila per comprare il biglietto …”

23 marzo 2020 Parole in musica

Sto ascoltando una musica stupenda e mi è venuta voglia di scrivere.

Prendo il mio diario e guidata dal ritmo delle note lascio correre la penna sul foglio bianco che mi guarda avido.

“Parole in Musica

Oltre confini di carta viaggiano pensieri.

Su ali dorate volano emozioni.

Cadono muri.

Su note fatate

Viaggiano pensieri

Si abbracciano emozioni

Cadono muri.”

Che meraviglia -penso- è fantastico quando la musica prende per mano le parole, forse le canzoni sono poesie in musica?

Chissà se Virus ha mai ascoltato la musica, una poesia …

24 marzo 2020  La fabbrica ed i suoi tesori

Caro Virus, mia zia mi ha detto che sarò io a decidere come costruire la nostra fabbrica.

Avrà la forma di una gigantesca conchiglia, con tanti piani che potrebbero non finire mai e che partiranno tutti da uno stesso punto magico.

La fabbrica assomiglierà così ad un abbraccio immenso.

Ogni piano avrà un colore diverso e in ciascun piano ci sarà un tesoro nascosto dietro una Poesia.

Solo chi riuscirà a capire la poesia potrà salire al piano superiore!

Man mano che si saliranno i piani, il cioccolato diventerà sempre più buono,ma le poesie da interpretare saranno sempre più ermetiche e richiederanno a chi vuole salire uno sforzo sempre un po’ più grande.

Il centro da cui partirò sarà un puntino quasi invisibile, ma se tu riuscirai a fare il bravo ti darò un indizio che potrà aiutarti a salire al primo piano, ti va di giocare con noi?

Allora ascolta bene ecco la prima poesia è senza titolo:

“L’invisibile che rende visibile ciò che sfugge ai più.”

25 marzo 2020  Cioccolatini al limone

Caro Virus, complimenti hai indovinato il titolo della poesia e quindi ora puoi salire al primo piano della mia fabbrica.

Adesso però mettiti in un angolino e lasciaci lavorare.

Ho deciso di dipingere tutte le pareti di giallo oro e quindi i cioccolatini saranno al gusto di limone.

Pianterò migliaia di alberi e così ci sarà ovunque il profumo inconfondibile dei loro fiori e non mancheranno mai i limoni per fare il cioccolato.

Nasconderò il tesoro ai piedi dell’albero più bello.

Se fai il bravo ti farò assaggiare un cioccolatino e vedrai è una vera delizia, una miscela perfetta di “dolce/amaro”.

Ti sei comportato bene e quindi anche questa volta voglio darti una mano per salire al secondo piano della mia fabbrica.

La poesia che metterò a guardia del tesoro è un po’ come il limone che hai assaggiato …

“Legge universale

Il cielo di questa mattina è diviso a metà.

Nero, nerissimo da una parte, di un azzurro luminoso, accecante, dall’altra.

Lentamente il nero si ritrae per lasciare spazio ad un nuovo giorno.

S’inchina in silenzio.”

26 marzo 2020  Cioccolatini fragole e mirtilli

Agnese dice che non sei un “essere vivente” perché così hanno detto illustri dottori di fama

internazionale.

Per Riccardo, invece, tu esisti, ma sei invisibile.

Non so chi tra i miei fratelli ha ragione, ma so che anche oggi puoi salire al piano superiore della fabbrica perché hai capito il messaggio della poesia di ieri: “È possibile anche ciò che appare incredibile…”

Il secondo piano sarà tutto blu e rosso e in alcuni punti i due colori si fonderanno tra di loro, proprio in quei punti pianterò tantissimi campi di fragole e migliaia di piante di mirtilli.

I cioccolatini alla fragola e ai mirtilli che si faranno al piano saranno squisiti e si potranno mangiare su gigantesche altalene appese al soffitto.

Se anche oggi riesci a fare un po’ meno rumore…ti reciterò la poesia che metterò a guardia del tesoro:

“Sogno

Voglio correre con il mio sogno

abbracciarlo stretto a me.

Lo voglio portare, vento tra i capelli,

sopra le nuvole,

abbracciata al mio sogno voglio cavalcare i raggi del sole,

voglio rubare alla Stella di Fuoco.

Voglio correre con il mio sogno,

non lo lascerò cadere nelle tempeste,

scivolare via sul ghiaccio.

Lo porterò sopra le nuvole-vento tra i capelli-

a baciare la Meraviglia, a godere del Bello.

Lo trasformerò in polveri di stelle,

in mille baci dorati,

in scintille di Luce.

Solo allora non correrò più …”

27 marzo 2020 Un’amica speciale

Oggi è il compleanno di Celeste, la mia migliore amica.

Tu non hai amici e -siccome ultimamente sei stato un po’ più bravo- ho deciso che, con la mia immaginazione, sarò io a trovarti un’amica fantastica, proprio come la mia.

Anche lei sarà, infatti, dolcissima, buonissima e sempre sorridente.

Le piaceranno le feste, il sole, il mare, il colore, il movimento e la danza.

Non si stancherà mai di conoscere e di scoprire la Bellezza perché-a differenza tua – riuscirà a trovare qualcosa di positivo in Tutto.

Ti chiederai allora come farete a diventare amici🤔.

Anche lei sarà invisibile proprio come te e anche a lei piacerà la Poesia e il cioccolato… Sono sicura che prima o poi tu e Speranza farete amicizia.

Non ho ancora deciso il colore del terzo piano della fabbrica, né il gusto del cioccolato che verrà fatto lì, ma ho deciso quale sarà la Poesia che metterò a guardia del tesoro:

“Amici

Ho chiesto ai tuoi occhi di raccontarti.

Mi hanno attraversato con tutta la loro

potenza.

Poi un sorriso ha sciolto i tuoi nodi più difficili,

ti ha suggerito di fidarti di me …

Mi appartenevi.

Potevi parlare con la mia voce-quella che tocca l’anima-ora legata alla tua.”

28 marzo 2020   Lo specchio

Ho deciso il colore del terzo piano della mia fabbrica.

Sarà tutto arancione.

Pianterò un grandissimo aranceto e migliaia di alberi di albicocche.

Ci sarà ovunque un profumo fantastico e i cioccolatini saranno all’arancia e all’albicocca,ma la cosa davvero incredibile sarà un gigantesco schermo su cui verranno proiettate le fotografie di montagne con le loro vette innevate, che -vanitose- si specchieranno nell’acqua cristallina di laghetti felici, incastonati tra il verde abbagliante di prati verdissimi.

Anche tu potrai gustare i cioccolatini ammirando quello splendido spettacolo naturale e chissà se-così facendo -diventerai un po’ più bravo…

Adesso però devo andare, ma prima ti lascio la poesia che metterò a guardia del tesoro.

Fatti aiutare dalla tua amica altrimenti penso che- questa volta-difficilmente riuscirai a capirne il significato.

“Lo specchio

Lontano dal rumore là dove la mano dell’Uomo non ha offeso il bello,

tutto si riflette in magico splendore

ed io quaggiù

brillo ancora?”

29 marzo 2020 Antiche radici

Dalla finestra della mia camera riesco a scorgere un albero di mandorlo, è in fiore.

Intorno a lui cemento e asfalto nero, ma le sue radici intelligenti hanno trovato la terra e i suoi rami fioriti regalano bellezza.

Voglio fare partecipare mia sorella di questo miracolo della natura.

“Corri Agnese, vieni a vedere!” Le dico tutto d’un fiato.

Mia sorella, un po’ contrariata, mi rimprovera: “Iolanda sto studiando, cosa c’è?”

Deve avere letto sul mio viso tutta la mia delusione perché, dopo neppure un attimo, mi prende per mano e mi sorride.

Restiamo a guardare in silenzio, mano nella mano, il mandorlo vestito a festa.

Improvvisamente Agnese mi abbraccia:

“Iolanda sei fantastica, dovevo scrivere una poesia su questo periodo di forzata quarantena e guardando il tuo albero, mi è venuta l’ispirazione.”

“Stupendo!” -ribatto io- “al quarto piano della mia fabbrica devo mettere una poesia a guardia del tesoro,mi regali la tua?”

“Radici

Olio nero,

morsa galleggiante ti soffoca piano.

Un tappeto di plastica ti veste re

senza scettro e corona

Mi siedo e ascolto.

Mi guardi con i tuoi occhi bianchi e rosa.

Spazio terribilmente offeso.

Musica eterna.

Tra i tuoi fiori giocavano le farfalle, i tuoi rami erano capaci di muoversi liberi.

Simbiosi di antiche radici.

Anch’io come te

in una gabbia di maglie nere e plastiche taglienti.

Simbiosi di antiche radici.”

30 marzo 2020  Trilly e il suo Tesoro

Sono seduta sul divano con mia sorella, stiamo sfogliando un album di fotografie.

Vengo colpita da quella di una donna bellissima, è mia nonna Ella da giovane, seduta su un muretto del lungomare della sua città, ha un sorriso che ricorda terribilmente quello della mia mamma.

Sul retro della fotografia sono scritte poche parole:

“A Trilly

La bellezza è la forza che emana da forme che

sono al di là del tempo,

nella trasparenza di uno sguardo che attraversa muto,

in un sorriso che tocca senza muoversi,

in un abbraccio immobile che avvolge

nella potenza di ciò che sarà per

sempre.

La bellezza è in un volto che sa parlare una lingua senza suono…”

Caro Virus, ho appena deciso come sarà il quinto piano della mia fabbrica.

Sarà dipinto come un gigantesco arcobaleno, ci sarà il viola, il giallo, il celeste e l’arancione e i cioccolatini saranno di tutti i gusti e verranno incartati con tutti i colori del mondo.

Il tesoro verrà nascosto nel soffitto in una botola a forma di stella e “A Trilly” sarà la poesia che farà da guardia.

Sono certa che anche tu, tra stelle, arcobaleni e fatine, non potrai fare a meno di scoprire il segreto della Bellezza …

31 marzo 2020   Gli alberi che non ci sono.

Bravo Virus sei riuscito a salire al sesto piano, sono sicura che Speranza ti ha aiutato, forse finalmente anche tu stai iniziando a scoprire la bellezza di avere un’amica.

Con mia zia ho deciso il colore del sesto piano, sarà tutto azzurro fuoco, bellissimo e luminoso, proprio come il cielo estivo, ma la cosa strepitosa saranno gli alberi che pianteremo: “GLI ALBERI CHE NON CI SONO!”

Il mio preferito sarà l’albero della Fantasia, mi metterò a mangiare i cioccolatini alla nocciola sotto i suoi rami e tutte le volte che scarterò un cioccolatino volerò, su foglie magiche, in mondi fantastici.

Mia zia, invece, mi ha già detto che lei si sistemerà su un’amaca sotto gli alberi della Poesia.

Non so ancora quale sarà l’albero di Agnese, ma sono sicura che Riccardo sceglierà l’albero dei video giochi e che resterà tutto il giorno appeso ai suoi rami, saltando tra l’uno e l’altro, senza mai scendere a terra.

 

Ora devo proprio andare, ti lascio la Poesia da mettere a guardia del tesoro, mi raccomando continua a fare il bravo…

“Follia virtuale

Se ti dicessi che gli elefanti volano?

Se ti portassi a guardare il riflesso delle stelle negli abissi di oceani sconfinati tra sabbie d’oro, coralli e perle?

Se con i nostri sogni riuscissi a costruire ali fatate capaci di raggiungere vette inaccessibili ai più?

Se incominciassi a parlare con i fiori per cucire tappeti di desideri?

Se, abbracciata alle tue paure, ti facessi scivolare, capelli al vento, su distese azzurre di ghiacciai eterni?

Se incominciassi a ridere, sorridere, danzare,

danzare a piedi nudi, ridere e sorridere,

vortici di musiche ancestrali tra polveri di stelle e profumi di antiche intuizioni sospese

Follia virtuale

Se …”

1º aprile 2020  “In Puero Homo”

Ho trovato il libro della poetessa contemporanea su cui studia Agnese.

Lo apro a caso e mi metto a leggere ad alta voce:

“Gocce di uno stesso mare

Poi guardo uomini e donne.

Hanno gambe, braccia, una testa, unghie, capelli, denti proprio come i miei. Si sbranano tra loro senza pietà convinti che solo il loro credo sia nel vero.

I miei occhi si riempiono di lacrime salate che scivolano sul mio corpo stanco, scendono negli abissi della nostra miseria umana, ricoprono di maglie di ferro la mia anima.

Urla silenziose spaccano il mio sentire.

Vorrei trasformarmi in tutti quegli esseri involuti che nella loro diversità trovano la loro forza.

Poi guardo i bambini

Giocano insieme,

ignari delle nostre gabbie.

Mi sorridono.

Mi avvicino, mi tendono una mano, non mi chiedono nulla, vogliono anche me.

Loro si gocce di uno stesso mare …”

Virus, forse per vincerti devono ritornare tutti ad essere bambini? Sono assorta in questo pensiero quando ma sorella mi raggiunge: “Iolanda è il mio libro, quante volte devo dirti che la Poesia non è un gioco?”

“Scusa Agnese, non volevo farti arrabbiare, mi piace come scrive questa poetessa, sa parlare al cuore di tutti, anche a quello di noi bambini, anzi nella poesia che stavo leggendo ha detto che noi siamo le gocce del mare della vita perché amiamo tutti e forse se …”

Mia sorella non mi fa finire di parlare, mi guarda, scoppia a ridere e mi abbraccia.

2 aprile 2020   Il segreto

Ho sempre amato il mare e oggi mi manca,

mi manca tanto.

E allora sai cosa ho deciso?

Il settimo piano della mia fabbrica parlerà di Lui.

Sarà tutto giallo oro come una gigantesca, splendida spiaggia di sabbia dorata. Quella che amo.

E poi ci saranno anche il nero, il blu, il viola, l’azzurro, il verde, il bianco, tutti questi colori s’intrecceranno tra di loro come le onde del mare.

I cioccolatini avranno le forme delle conchiglie, dei sassi, dei vetri colorati, delle stelle.

I miei preferiti però saranno quelli a forma di cavallucci marini, con loro potrò rubare la brezza, il sapore del sale e sarà bellissimo!

Caro Virus, hai mai visto il mare?

Se fai il bravo, ti porterò a vederlo, sono certa che ti piacerà.

La poesia che metterò a guardia del tesoro ti aiuterà a capire il segreto di quell’immenso specchio blu …

Il rumore del mare

Non mi manca il suo Profumo

Non mi manca la sua Luce

Non mi manca la sua Immensità

Mi manca il suo Rumore

Il Rumore del mare

Il Rumore del mondo…”

3 aprile 2020 Nascondino

Mio nonno non è andato a riposare, gli chiedo di raccontarmi qualcosa.

Lui mi sorride ed incomincia:” Quando avevo più o meno la tua età impazzivo di gioia per la festa del Paese.

Nel centro della piazza veniva allestito un teatrino con i burattini dalle teste di legno e gli occhi fatati, capaci di toccare le stelle.

Le bancarelle con le nocciole, i torroni e lo zucchero filato, riempivano l’aria di un profumo speziato, dolce e amaro, il profumo inconfondibile della festa.

Tutti ridevano.

Il silenzio-quello profondo e denso che aleggia solo nei paesi-spariva come per magia. Doveva arrendersi anche lui alla forza contagiosa della musica che risuonava ovunque.

Noi bambini, dopo lo spettacolo, giocavamo con le bolle di sapone, facendo a gara a chi riusciva a fare le bolle più grandi. Scoppiavano tutte e noi via a soffiare altre bolle, queste ancora più grandi di quelle precedenti e così fino a quando non dovevamo rientrare a casa per la cena.

Il mio gioco preferito però -piccola mia – era comunque il nascondino.

Andavo a nascondermi sempre nello stesso ripostiglio dietro la porta del negozio del barbiere, lì mi sentivo invincibile anche se sapevo che sarei stato scoperto perché ormai il mio nascondiglio non era più un segreto…”

“Nonno – sai una cosa – Secondo me anche Virus ama giocare a nascondino…

Ecco, ho trovato! A guardia del tesoro, al nono piano della mia fabbrica, metterò una poesia, sempre di quella poetessa contemporanea che mi piace tanto:

Nascondino

Nuvole bianche dormono pigre sulle cime di montagne verdi sono sospese come i miei pensieri.

Nuvole nere cariche di pioggia subito dietro.

Campi di mais in cui si perde il mio sguardo

ed io tra nuvole bianche e nere gioco a nascondino con gnomi ,fate, folletti e streghe …”

4 aprile 2020

Il sonno di una rosa

Riccardo deve scrivere una poesia su Raffaello.

Vengo incuriosita dal racconto di Agnese che cerca di aiutarlo e mi siedo ad ascoltare.

“Intorno alla fine del 1400 ad Urbino nasceva Raffaello, il suo papà, un bravo stimato pittore, intuì subito il genio che abitava l’animo del figlio.

Raffaello cresceva sano e bello, circondato dall’amore straripante di sua madre. Un giorno la sua mamma incominciò a tossire, divenne sempre più pallida e, giorno, dopo giorno, si ammalò sempre di più.

Quando Raffaello aveva da poco compiuto gli otto anni, la sua mamma volò in cielo, lasciando stampate nel cuore del suo piccolo bambino la luce del suo sorriso e la dolcezza del suo volto.

Raffaello si dedicò allora con passione sempre crescente all’Arte e nella pittura trasfuse tutto l’amore che da sempre aveva nutrito per la sua amata mamma.

Dopo appena altri tre anni egli perse anche il suo papà e, rimasto completamente solo, strinse un legame, ancora più profondo, con la sua unica vera amica: la Pittura.

In quel periodo il giovane Raffaello si dedicò alla pittura delle Madonne con Bambino in cui trasfuse tutta la sua abilità artistica, guadagnandosi così l’appellativo di Pittore della dolcezza.

Dopo aver viaggiato nelle più importanti città d’arte, stimato e apprezzato dai suoi contemporanei, approdò a Roma e qui, forte di un vago presentimento, chiese al Papa, suo grande ammiratore, di essere sepolto al Pantheon. Pregò, poi,il suo allievo preferito di realizzare la statua di una Madonna in pietra da mettere a guardia del suo sonno eterno. Morì giovanissimo e oggi sulla sua tomba-protetta dalla cosiddetta “Madonna del Sasso”- ogni giorno, in occasione dei 500 anni dalla sua morte, viene deposta una rosa.”

“Agnese, so la poesia che potrebbe essere perfetta per la storia che hai raccontato! ” Esclamo felice non appena mia sorella finisce di parlare.

Corro via e ritorno raggiante con il libro di poesia che sento ormai anche un po’ mio:

“Il sonno di una rosa

Ho chiesto al mio pennello di fermare il tempo, di volare oltre la paura.

Ho dipinto il mondo con i colori dei tuoi occhi dolcissimi, ironici, buoni.

Ho chiesto al mio pennello di abbracciare lo spazio per non farti andar via …

Ti ho voluta di sasso, fredda come la morte che ti ha strappata a me bambino.

Ti ho voluta di sasso come il mio cuore quando ha capito che non avresti più asciugato le mie lacrime.

Sul marmo bianco ora finalmente dorme una Rosa …”

Caro Virus, dopo questo bel pomeriggio, ho deciso che il decimo piano della mia fabbrica sarà tutto dedicato all’Arte…

5 aprile 2020 La giostra

Adoro le giostre.

Mi incanto a guardarle anche da ferme e poi, quando finalmente la mia mamma mi dà il permesso di salirci sopra la mia felicità è immensa.

La giostra incomincia a girare, prima piano, poi sempre più velocemente, mentre io, comodamente seduta, non devo fare nulla, posso sognare.

Mi piace talmente tanto il libro della poetessa contemporanea che mi ha fatto scoprire mia sorella che anche oggi l’ho portato con me.

Lo apro a caso e indovina come s’intitola la poesia che ho trovato?

La giostra

Ho aperto il cassetto della mia memoria,

ho rivisto i tuoi occhi di ieri,

profondi, neri, veloci, vivi.

Guardo i tuoi occhi di oggi, vaghi, lontani, quasi trasparenti.

Nel viso vissuto, solcato dal tempo,

i tuoi occhi osservano il mondo correre veloce, un pò pazzo.

Loro non sanno di essere diversi.

Io si.

Mi fermo.

Ti prendo la mano, uguale a quella di ieri, solo più nodosa,

mi stringi forte, in silenzio.

Ora so.

La tua anima vive e non importa,

amore mio,

se i tuoi occhi hanno cambiato colore,

se la luce del giorno li attraversa in modo diverso,

se si stancano prima.

Sei qui con me, mi basta così.”

È una giostra strana quella che descrive la poetessa, chissà perché ha intitolato così la sua poesia … Non lo so e allora -sai che ti dico? – Metterò la poesia a guardia del tesoro e sarai tu, se vorrai salire all’undicesimo piano della mia fabbrica a doverlo scoprire…

6 aprile 2020  L’orologio

Oggi sono rimasta a letto. Non ho nessuna voglia di alzarmi perché sto pensando a come sarà l’undicesimo piano della mia fabbrica.

Ci sarà un orologio speciale grande, grande, con soltanto quattro ore.

Allo scoccare di ogni ora dal soffitto cadranno migliaia di cioccolatini, i primi saranno al cioccolato bianco, poi al latte, al cioccolato fondente e, infine, al cioccolato amaro.

Sarà sempre una festa stupenda e una grandissima gioia per tutti perché i cioccolatini non finiranno mai …

Ho appena trovato anche la poesia che metterò a guardia del tesoro.

È una poesia della poetessa contemporanea che mi piace tanto e che, prima o poi, vorrei proprio conoscere.

L’ Orologio

Spazio bianco

dove non c’è giudizio

dove tutto è possibile.

Libertà.

Amore senza condizioni.

Tutto si abbraccia.

Occhi brillanti

carichi di Luce

giocano.

Occhi veloci

carichi di desiderio

corrono.

Occhi

quasi trasparenti

fermi in un presente dove tutto è conquista. “

7 aprile 2020  Il viaggio

Il dodicesimo piano della mia fabbrica avrà la forma del sole.

Ogni raggio sarà una strada che condurrà in un luogo fantastico, si potrà scegliere di viaggiare nel tempo: nel passato o nel futuro.

All’ingresso del piano bisognerà solo indicare la destinazione prescelta e subito la stanza inizierà a girare fermandosi quando si arriverà all’ingresso magico…

È meraviglioso perché così anche adesso -che per colpa tua non ci possiamo muovere da casa – posso comunque andare dove voglio.

Ah dimenticavo, la poesia che metterò a guardia del tesoro è, come sempre, una di quelle pubblicate dalla mia poetessa preferita:

“Stupore

Tra i rami di una palma regina

i pensieri

sono i raggi del sole che giocano a nascondino tra i suoi rami.

Un tuffo

nel mare infinito.

I pensieri sono ora bagliori dorati che si rincorrono su onde lunghissime.

L’ ANIMA in un bagno di Sole e di Luce

non conosce TEMPO.”

Ora devo partire per il mio viaggio e domani, se continui a fare il bravo, ti racconterò dove sono stata…

8 aprile 2020  La risposta

Al dodicesimo piano della mia fabbrica pianterò migliaia di fiori coloratissimi e danzanti.

Nella corolla di ogni fiore metterò un cioccolatino a un gusto diverso.

Pianterò, poi, tantissimi alberi parlanti con le foglie, i fiori e i frutti di cioccolato.

Tutte le volte che un bambino mangerà i cioccolatini, con il cuore pieno di Gioia, l’albero, a lui più vicino, si trasformerà in un mago per esaudire un suo desiderio.

Se, invece, ci sarà un bambino triste, mille fiori del giardino si trasformeranno in tante piccole fatine pronte ad esaudire tutti i suoi desideri.

Le fatine torneranno ad essere fiori splendenti solo quando il bambino tornerà a sorridere.

A guardia del tesoro metterò come sempre una poesia della mia poetessa preferita:

“La risposta

Ho chiesto ai papaveri rossi

perché siete nati?

Non mi è giunta risposta

in parole

Ho guardato quel campo, punteggiato di rosso,

era bello, era luce nel grigio della strada asfaltata, ho sorriso.

Ho chiesto alla brina perchè accarezzi quel prato?

Non mi è giunta risposta

in parole.

Ho guardato quel prato di città,

magia nel cemento ho sorriso.

Ho chiesto all’azzurro del cielo,

intenso, brillante, perchè risplendi così?

Non mi è giunta risposta

in parole.

Ho guardato quaggiù, tutto adesso vita, forza, energia,

ho sorriso.

Ho incontrato, il dolore del corpo, dello spirito,

la sofferenza strisciante, la solitudine di uomini e di donne.

Non ho chiesto perchè.

Ho aperto loro mio cuore,

ho sorriso.

Mi è giunta risposta

in amore.”

 

Ah Virus, come ormai avrai capito, nel mio giardino tutti i fiori e gli alberi sanno ascoltare…Tu hai mai avuto qualcuno capace di ascoltarti?

9 aprile 2020 Gita in barca

Oggi avrei una voglia matta di fare una gita.

Fuori c’è un sole fantastico e se chiudo gli occhi riesco a sentire il profumo del mare.

La mia mamma mi ricorda che non possiamo uscire e che dobbiamo restare in casa.

Tutto questo sempre per colpa tua, sei davvero dispettoso, anzi dispettosissimo.

Ho visto la tua faccia rotonda, circondata da tanti ciuffi di capelli, mi verrebbe voglia di tirarteli tutti insieme!

Se proprio non posso uscire mi metterò a lavorare alla mia fabbrica.

Il tredicesimo piano sarà tutto blu, ma non sarà un blu normale sarà brillante e luminoso proprio come quello del mare che amo, ci saranno le onde e tante barche di coccolato e saranno tutte bellissime.

Ogni barca salperà per una destinazione diversa e prima di salire a bordo i bambini dovranno soltanto dire al capitano dove vogliono andare.

A guardia del tesoro metterò una poesia della mia poetessa!

“Gita in barca

Tra i capelli

la voce del vento

accarezza dolce.

Canta sull’anima.

Racconta

di sale, di sole, di vita!”

Ah Virus, devi ringraziarLa perché è solo per merito Suo se oggi non ti ho tirato i capelli…

10 aprile 2020  Vento di cioccolato

Ieri non ti ho tirato via tutti quei buffi ciuffi che circondano la tua faccia tonda, quindi, adesso mettiti in un angolino e-da bravo- ascolta come sarà il quattordicesimo piano della mia fabbrica.

Il segreto per fare il cioccolato più buono del mondo è la miscelazione perfetta tra tutti gli ingredienti, quindi, mi servono tantissimi mulini a vento, uno per ogni tipo di cioccolatino.

Ci sarà una grandissima cucina con migliaia di mulini che avranno forme e colori differenti a seconda del tipo di cioccolato che verrà miscelato al loro interno.

Quando la Fata e il Mago del cioccolato incominceranno a soffiare, i mulini – tutti insieme e nello stesso momento – faranno girare le loro pale.

I bambini avranno così i loro cioccolatini e, senza litigare, potranno mangiare felici tutti quelli che preferiscono.

Indovina di chi è la poesia che lascerò a guardia del tesoro?

“Come panni al vento

Vento,

tu che accarezzi il mondo,

perché i panni che baci danzano vicini?

Perché al tuo tocco giocano,

si rincorrono, volano via,

solo per poco,

per poi tornare ad abbracciarsi ancora?

Vento,

tu che accarezzi il mondo,

dimmi,

perché  i panni che baci, tutti diversi,

si stringono al tuo tocco, forti, forti insieme?

Perch  noi no?

Vento,

come panno steso,

accarezzami, toccami, baciami.

Anche a me, ai miei fratelli, a noi.”

11 aprile 2020 Il mondo sottosopra

Oggi Agnese mi ha letto la poesia che la mia poetessa preferita ha dedicato a tutti i ragazzi del mondo.

È stupenda!

“Omologazione No.

Amore mio

cammina a testa in giù sui fili del tempo.

Cerca sempre.

Porta la tua curiosità a scoprire oltre ciò che appare.

Bevi il mondo.

Ama il bello

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